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Assange in tribunale
di Craig Murray*
Sono rimasto profondamente turbato in qualità di testimone degli eventi che si sono svolti ieri presso la Westminster Magistrates Court. Ogni decisione è stata pilotata attraverso gli argomenti e le obiezioni inascoltate della difesa di Assange da un giudice che non si dava quasi la pena di fingere di prestare attenzione.
Prima che mi dilunghi sull’evidente mancanza di un processo equo, la prima cosa che non posso fare a meno di notare è lo stato di Julian Assange. Sono rimasto profondamente sbigottito da quanto peso il mio amico abbia perso, dalla velocità con cui si è incanutito e dall’evidenza di un prematuro invecchiamento in rapido avanzamento. [Assange] ha una marcata zoppia che non avevo mai notato prima. Da quando è stato arrestato, è dimagrito di 15 chili.
Ma il suo aspetto fisico era ben poca cosa paragonato al declino mentale; quando gli è stato chiesto di dire il suo nome e la sua data di nascita, ha faticato visibilmente per svariati secondi per ricordare entrambi. Parlerò al momento opportuno dell’importante contenuto della sua dichiarazione alla fine dell’udienza, ma la sua difficoltà nel parlare era più che evidente; ha dovuto sforzarsi veramente per articolare le parole e concentrarsi su una linea di pensiero.
Fino a ieri ero sempre stato tacitamente scettico delle voci – anche di quella di Nils Melzer, il Relatore Speciale ONU sulla tortura -, secondo cui il trattamento inflitto a Julian equivaleva ad una tortura, e parimenti scettico anche verso coloro che sostenevano che venisse sottoposto a trattamenti farmacologici debilitanti.
Ma, dopo aver assistito ai processi in Uzbekistan di diverse vittime di forme estreme di tortura e avendo lavorato con dei profughi della Sierra Leone e di altri paesi, posso dire che da ieri mi sono ricreduto completamente e che Julian esibiva esattamente gli stessi sintomi delle vittime di tortura portati semi-accecati alla luce del giorno, in particolare in termini di disorientamento, confusione e di sforzo palpabile nell’affermare la propria libera volontà al di sopra di un acquisito senso di impotenza e disperazione.
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"...Aveva continuato la politica della destra con uomini e frasi di sinistra..."
di Norberto Natali
Questo titolo è tratto dai “Quaderni dal carcere” di Gramsci nella parte in cui egli descrive il tradimento della sinistra storica nel tardo ‘800. Da quando fu fondato lo stato italiano (Regno d’Italia) nel 1861 -scrive Gramsci- il governo fu guidato dalla destra, mentre uomini come Crispi erano all’opposizione: ferventi repubblicani ispirati da Mazzini e Garibaldi, generalmente su posizioni sociali molto moderne e progressiste.
Dopo un quindicennio, la destra storica fu sostituita dalla sinistra nella direzione del paese; essa, appunto, continuò la politica della destra ma ingannando il popolo con frasi di sinistra e facendosi rappresentare da uomini con un passato di sinistra (è il caso del governo Depretis).
Tuttavia si trattò solo di un passaggio intermedio (una decina di anni) perché poi -queste stesse forze- proseguirono più semplicemente come destra, macchiandosi di colpe che la destra storica, in precedenza, aveva forse sognato ma non realizzato. In primo luogo, lo spargimento del sangue del proletariato reprimendo ferocemente le rivendicazione e le istanze degli operai e dei contadini, iniziando dai “Fasci siciliani” movimento di lotta bracciantile.
Ciò prese avvio con il governo Crispi.
Non a caso il termine “trasformismo” cominciò ad essere usato proprio in quegli anni, con riferimento a quei governi e alla metamorfosi di quelle forze politiche. Tuttavia quel termine non esprimeva un mero giudizio morale su alcuni individui: era piuttosto un’analisi politica. Il De Sanctis, infatti, denunciò che quei sinistri tentavano di disarticolare i partiti e cancellarne la funzione “strappando” dai loro gruppi alcuni parlamentari e “trasformandoli” in gestori di un disegno di governo e di un assetto di potere determinato.
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Anticapitalismo
di Figure
Ormai da decenni il concetto di lotta di classe appare insufficiente per le pratiche politiche che si vogliono anticapitaliste. I discorsi più diffusi negli studi accademici e nella sinistra anticapitalista – che si tratti di partiti, sindacati o movimenti – attribuiscono questa insufficienza principalmente a due ragioni. La prima riguarda un cambiamento del sistema produttivo; la seconda l’emersione di nuovi soggetti politici.
Iniziamo dalla prima. Si narra che da quando ha avuto inizio la fase post-fordista l’operaio abbia perso la sua centralità nel sistema produttivo. Esagerando possiamo dire che non ci sono più abbastanza operai sufficientemente concentrati in grandi complessi industriali da poter creare conflitto nei luoghi di lavoro, anche in virtù di una diminuzione del loro potere all’interno della produzione capitalistica.
Di certo questa è un’esagerazione. Fine della fabbrica fordista non significa fine del lavoro operario. Fine del lavoro operaio non significa fine del lavoro. Inoltre, quello di classe è sempre stato un concetto sfuggente e variamente interpretato, ma non si è mai trattato di una semplice constatazione sociologica, dire classe non ha mai solo voluto dire; operai, impiegati, ingegneri, architetti, insegnanti, imprenditori, precari, garantiti e via dicendo. La classe è piuttosto l’indicatore di un rapporto di potere: sfruttati e sfruttatori; padroni e servi; lavoratori e capitalisti.
Il concetto di lotta di classe appare insufficiente per le pratiche politiche che si vogliono anticapitaliste
Tale rapporto evidentemente non si è esaurito nemmeno con il passaggio al post-fordismo, ma sicuramente è mutato.
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L’alibi della verità
La dialettica vero-falso nel romanzo poliziesco
di Paolo Francesco Pagani
1. Prologo. La lettera rubata
Partiamo da quella che potremmo chiamare “la scena primaria” del romanzo poliziesco. Nel racconto La lettera rubata, di Edgar Allan Poe, la verità è sotto gli occhi di tutti. Non ci si fa caso perché è così visibile. La lettera è ben nascosta proprio perché è evidente. Si tratta esattamente di una evidenza cartesiana; con gli occhi della ragione si rende chiara una verità che i sensi non colgono, o meglio: vedono – è lì, in piena vista – ma non capiscono. L’investigatore, Dupin, è colui che smaschera il velo dell'inganno facendo emergere la verità incontrovertibile. Evidente. (Ovviamente, nel suo celebre Seminario su La letterarubata, Lacan ne amplia enormemente il valore metaforico, è l'inconscio che, strutturato come linguaggio, parla. Ma Lacan riconosce che Poe «era stato guidato nella sua finzione da un disegno pari al nostro». Perché l’inconscio, più che nascosto in profondità, parla in superficie. Basta leggerlo, nei giochi di parole, nei Witz). In ogni caso, come scrive Lacan, «se qui c’è una verità, essa si trova ovunque... da un punto qualsiasi alla nostra portata». Che la verità sia un crimine, o un significante, è qui, sotto lo sguardo.
2. Sklovskij e Todorov
Una minore fiducia nella verità, per lo meno letteraria, traspare dall’analisi effettuata dai formalisti sui romanzi dei misteri. Viktor Sklovskij, nel suo Teoria della prosa, non è affatto interessato all’evidenza cartesiana, bensì alla struttura interna della narrazione (per esempio di Conan Doyle) e alla coerenza dell’intreccio costruito. Ammette che l’interesse per l’azione ed il mistero è rafforzato dall’ambiguità del problema, più che dalla chiarezza della soluzione. E si spinge fino ad affermare, in una analogia con gli indovinelli, che «un indovinello ammette non una, ma diverse soluzioni». È un gioco, con la possibilità di istituire paralleli diversi, e il detective risolve “per professione” il gioco.
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Sulle necessità di teoria attuali
di Diego Sarri
Il contesto storico attuale sconta una forte necessità di teoria, tanto che appare quasi riduttivo e banale farne pronuncia, poiché il bisogno di riflessione che la sinistra rivoluzionaria ad oggi subisce non solo è profondo, ma anche determinante per la sua sopravvivenza. La riflessione althusseriana, concentrata nel Per Marx sul discorso teorico, oggi si presenta quanto mai di bruciante attualità: la TEORIA, come campo agonistico e politico, come terreno di scontro di classe, come momento di conflitto autentico, non apparente, non meramente sovrastutturale.
Procederemo con alcuni riduzionismi adesso, con delle semplificazioni storiche, dato che la storia si presenta sempre come una semplificazione, come una riduzione al sostanziale (non oggettivo) della narrazione, per poter esprimere un’esigenza dell’attualità. Con atteggiamento filosoficamente forse non originale, guarderemo al passato per affermare le necessità del presente. Per questo, abbiamo diviso la storia della sinistra rivoluzionaria in 3 tappe da considerarsi epocali per la formazione e la decostruzione di assunti teorici, per la spinta rivoluzionaria pratica o la sperimentazione di concetti e forme, anche artistiche, come accade si nel ’68, ma non solo, dato che spesso dimentichiamo quale pullulare di esperienze di avanguardia artistica fu per esempio la Russia rivoluzionaria, presi nel fascino dell’ammirazione dei carri armati dell’armata rossa, atteggiamento che in alcuni ambienti della sinistra, ma non chiamiamola rivoluzionaria, utilizza la nostalgia come maschera per una freudiana invidia del pene, cioè per un’impotenza pratica che denuncia sia la desuetudine di alcuni assunti teorici sia il bisogno concreto di scuoterne nell’analisi la radice, ritrasformando il nostro patrimonio , il nostro abbecedario da bravi rivoluzionari in qualcosa di davvero efficace.
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Smart city
Sorveglianza, mercificazione, alienazione, ricatto, tecnocrazia
di Elisabetta Groppo
Ciao cittadino. Sono la tua Smart City. Abbandona i bigliettini appesi al frigo, le biglietterie, le code. Dimentica gli sportelli del Comune, le sale di attesa. Scarica la app e dammi accesso a tutti i tuoi dati e permettimi di geolocalizzarti. Penserò a rilevare l’inquinamento atmosferico nel tuo giardino, a calibrare l’energia della tua casa, a controllare chi si aggira nel tuo quartiere e quante car sharing vi transitano. Controllerò anche se fai bene la raccolta differenziata dei tuoi rifiuti. Segui le notifiche che ti trasmetto: stai pagando le bollette, mentre il cardiologo sta visitando per via telematica i tuoi anziani genitori; i tuoi figli sono arrivati a scuola. La tua idea è già start up. Ho appena integrato il tuo fascicolo sanitario elettronico alla nuova polizza che hai stipulato. Hai raggiunto l’obiettivo green di questo mese: hai usato mille volte la ciclabile.
Non è Black Mirror, è la Smart City: efficiente, alla moda, coinvolgente, amicale, ambientalista, ricca di opportunità. Un’idea e una narrazione positiva divenute dominanti. Ma che cos’è davvero una Smart City? Chi, come, quando, perché?
* * * *
Il quadro programmatico
Nel 2013 la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) redige un report monografico: “Smart City. Progetti di sviluppo e strumenti di finanziamento”. La Smart City è descritta come “una proiezione astratta di comunità del futuro”, un perimetro “applicativo e concettuale” all’interno del quale i “bisogni trovano risposte in tecnologie, servizi e applicazioni”. Una sfida, secondo la CDP, dove al centro è posta “la costruzione di un nuovo genere di bene comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia dialogare persone e oggetti, integrando informazioni e generando intelligenza, producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano”.
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Militarismo e cambiamenti climatici
The Elephant in the Living Room
di Rossana De Simone
“E’ stato stimato che Il 20% di tutto il degrado ambientale nel mondo è dovuto agli eserciti e alle relative attività militari”
“The Elephant in the Living Room” è un'espressione tipica della lingua inglese che sta a indicare una verità ovvia e appariscente ma che si vuole ignorata o minimizzata. Nella conferenza "Salva la terra, abolisci la guerra" che si è tenuta a giugno nel centro di Londra, l’organizzazione Movement for the Abolition of War (MAW), l’ha riformulata in "The elephant in the kitchen when it comes to Climate Change is clearly the world's military” per dire che l'elefante nella stanza, quando si tratta di cambiamenti climatici, è chiaramente l'esercito mondiale. Il mondo spende qualcosa come 2 trilioni di dollari all'anno per i suoi militari. Almeno la metà di quella gigantesca somma va alla produzione militare con una enorme produzione di CO2. http://www.abolishwar.org.uk/day-conference-2019.html
La conferenza ha esaminato il tema del militarismo e dell'ambiente, come le attività militari contribuiscono ai cambiamenti climatici e in che modo questi cambiamenti causano conflitti. In particolare il dr. Stuart Parkinson, direttore esecutivo dell’organizzazione SGR (Scientists for Global Responsibility) affiliata alla rete International Network of Engineers and Scientists for Global Responsibility , ha illustrato i dati più recenti riguardanti le emissioni di carbonio prodotte dalle attività militari (spesso omessi nei documenti nazionali) esaminati e raccolti in “The carbon boot-print of the military”, che sta per impronta climatica degli scarponi militari, ovvero l’impatto sul clima causato dagli energivori sistemi d’arma, basi e apparti, aerei, navi, carri armati, eserciti e interventi bellici. Nelle “slides” sono elencati i principali risultati sulle emissioni militari di carbonio, i confronti tra le risorse utilizzate per le attività militari e quelle utilizzate per affrontare i cambiamenti climatici, e infine, i legami tra cambiamento climatico e conflitti https://www.sgr.org.uk/sites/default/files/2019-07/SGR_Military-carbon-bootprint_London19.pdf
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Il mercato è obsoleto
di Karl Polanyi
È appena uscito, a cura di Michele Cangiani, che ne ha scritto anche l'introduzione, Karl Polanyi, "L’obsoleta mentalità di mercato, Scritti 1922-1957" (Asterios), che fra i 24 saggi, articoli e manoscritti del grande studioso ungherese inclusi nel volume presenta due inediti in italiano, “Marx sul corporativismo” e “Il collasso del sistema internazionale”. Ringraziamo l'editore e il curatore per averci concesso di pubblicare questo estratto
Marx sul corporativismo[1]
… il costituzionalismo prussiano, cioè l’assolutismo appena camuffato dalla presenza dei cosiddetti stati [Estates, Stände]; Marx auspicava un governo rappresentativo, il voto popolare e l’abolizione dell’antiquata istituzione degli stati. La parte principale delle sue Note[2] è un attacco al tentativo di Hegel di sancire i metodi dell’ancien régime prussiano quale apogeo della libertà umana.
A questo punto vengono prese in considerazione le gilde o corporazioni. Le Korporationen (com’erano chiamate nella Germania del XVIII secolo) formavano una parte importante della costituzione, poiché erano rappresentate negli stati [Estates]. Nel suo attacco contro gli stati, Marx mette in questione l’insistenza di Hegel sull’organizzazione in gilde dell’attività economica e la presunta necessità di assegnare alle gilde una funzione nello Stato.
Possiamo dunque vedere chiaramente perché il ruolo delle gilde fosse un’importante preoccupazione di Marx e perché egli tenesse a opporsi ad esse in quanto sostegno dell’ancien régime; perché, inoltre, nella lotta contro il corporativismo fosse in gioco la causa della democrazia politica.
Lo Stato corporativo del fascismo contemporaneo è effettivamente un tentativo di adottare caratteristiche essenziali del sistema tradizionale delle gilde in circostanze differenti. Vedremo più oltre quanto diverse siano le condizioni, sia dal punto di vista tecnologico che da quello sociale. Una decisiva analogia con il passato è costituita, comunque, dalla funzione antidemocratica, ora come allora, del sistema delle gilde. Marx indaga questo aspetto con una straordinaria capacità di penetrazione, rivelando, fra l’altro, l’alternativa fondamentale che sta alla base dello sviluppo sociale attuale.
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La critica del valore come confezione ingannevole
di Thomas Meyer
1. Introduzione
Sono già passati alcuni anni dalla scissione di Krisis e dalla conseguente dissoluzione di quello che era il suo contesto precedente (cfr. Kurz, 2004). Anni durante i quali i testi di Krisis (e di Streifzüge) sono stati criticati più volte da Exit. [*1] Sia che si trattasse di una critica riduttiva del lavoro, o che nascondessero ed ignorassero le critiche al sessismo, all'antisemitismo e al razzismo, sia che esprimessero un punto di vista della classe media degli uomini precarizzati (cfr. Scholz, 2005). Con il riferimento positivo al «software libero», insieme allo scandalo delle merci che si presume non siano più tali, vale a dire, con la propaganda dei cosiddetti «beni universali», così come con la presunta «sorella delle merci», divenne evidente la fissazione sulla sfera della circolazione e l'adesione all'individualismo metodologico (cr. Kurz, 2008).
A partire dalla pubblicazione del libro "La Grande Svalorizzazione" (Lohoff; Trenkle 2012), il termine di «merci di second'ordine» (obbligazioni, prodotti finanziari, ecc.) ha cominciato a circolare in diversi testi di Ernst Lohoff, nei quali le merci di prim'ordine rappresentano i beni di consumo abituali (mele, automobili, armadi, ecc.). Le «merci di second'ordine» sarebbero la «nuova merce di base», in quanto nuova «base della valorizzazione del valore» al posto ed in sostituzione della forza lavoro (Lohoff 2016, 17) e, infine, le merci di second'ordine sarebbero la nuova «merce-denaro» che avrebbe sostituito l'oro (Lohoff 2018, 11). Mentre la nuova merce denaro « [esiste] solo dal lato delle attività di bilancio della banca centrale» (ivi, 38). La crisi del capitalismo viene negata a partire dal fatto che si afferma, in tutta serietà, che l'accumulazione di capitale fittizio non è affatto fittizia, e che il lavoro non è assolutamente l'unica fonte di produzione di plusvalore.
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Beirut, Baghdad, Cairo, Hong Kong, Quito, Santiago, La Paz
Masse autodeterminate, masse eterodirette
di Fulvio Grimaldi
“Credo che tutta questa operazione sia un trucco. Baghdadi verrà ricreato con un nome diverso, un diverso individuo, e l’Isis, nella sua interezza, potrà essere riprodotto con un altro nome, ma con lo stesso pensiero e gli stessi scopi. Il direttore di tutta la commedia è lo stesso, gli americani”. (Bashar al Assad)
E, alla luce di Storia e cronaca, mi fido più di Assad che di qualsiasi fonte occidentale.
Il video del Pentagono su uccisione di Al Baghdadi, un bombardamento sul presunto bunker. Punto.
Sesta morte di Al Baghdadi
Per prima cosa dobbiamo smettere di sghignazzare- peraltro rabbiosamente – sull’ennesima eliminazione del turpe socio del noto fu senatore McCain, Al Baghdadi, che piagnucola e si fa scoppiare senza che nessuno lo possa riprendere, dato che tutto quello che gli Usa hanno fatto con i Chinook è polverizzare un presunto bunker, mettere al confronto qualche lembo di qualcuno con le mutande che un presunto curdo avrebbe sottratto a un presunto califfo e disperdere ogni presunta prova scientifica e inoppugnabile in mare. Copia poco fantasiosa di quanto questi illusionisti da baraccone dello Stato Profondo avevano fatto con Osama bin Laden, o a Pearl Harbor, o nel Golfo del Tonchino, o l’11 settembre, o con John e Robert Kennedy quando volevano smetterla in Vietnam, o con Nixon, quando strinse la mano a Mao. Quanto, ma quanto ci hanno fatto ridere. Con tanto di smorfia.
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Una risata vi seppellirà
di Olimpia Malatesta
Il Joker di Todd Phillips è la rappresentazione perfetta della degenerazione di una rabbia giusta, la manifestazione dei sintomi morbosi del pericoloso interregno in cui viviamo [Allerta, contiene spoiler]
Bruciando tutte le tappe che consegnano un film alla storia del cinema il Joker di Todd Phillips è già diventato un cult: campione assoluto di incassi, film d’uscita in ottobre più redditizio di tutti i tempi, vincitore del Leone d’oro a Venezia, Joker è ormai oggetto di accesa discussione tra cinefili e comuni spettatori di tutto il mondo. A quasi un mese dalla sua uscita in Italia e a due negli Stati uniti occorre interrogarsi sulle ragioni di questo successo planetario che non può dipendere semplicemente da una pellicola eccellente sotto il profilo tecnico e impeccabile sotto quello stilistico. Joker è una lama conficcata nel ventre di un neoliberismo agonizzante. È un film profondamente politico che parla del mondo atroce in cui viviamo. Per questo non può che suscitare un vivissimo interesse.
Pur essendo ambientato negli anni Ottanta Joker restituisce una fotografia talmente realistica dei nostri tempi disperati, da non poter non sortire un effetto di immediata identificazione con il protagonista, magistralmente interpretato da Joaquin Phoenix. Accompagnato dalle musiche angoscianti della compositrice Hildur Guðnadóttir, Joker rievoca le tonalità cupe di Shining (1980), mentre Gotham City restituisce la stessa atmosfera claustrofobica della Manhattan trasformata in penitenziario a cielo aperto di 1997: Fuga da New York (1981). I riferimenti agli anni Ottanta in questo film si sprecano: forse a voler sottolineare che è proprio in quel periodo che si afferma il neoliberismo. L’inizio del film svela subito la cifra politica (o sociologica) della storia che sta per essere raccontata. Rivolgendosi alla sua assistente sociale il protagonista domanda: «Is it just me, or is it getting crazier out there?». E lei risponde: «It is certainly tense. People are upset, they’re struggling, looking for work. These are though times». Il film interroga l’intera epoca storica del neoliberalismo e ne annuncia i possibili esiti mostruosi.
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Marxismo, politica, capitalismo, classe operaia
Intervista a Gianfranco La Grassa
Il professor Gianfranco La Grassa è uno dei più importanti economisti di derivazione marxista del nostro paese. Allievo di Antonio Pesenti e Charles Bettelheim, è stato fortemente influenzato dalla scuola althusseriana. Negli anni ha scritto lavori molto interessanti sul pensiero di Marx e l’analisi del capitalismo. Dal maoismo allo studio del conflitto strategico, emerge dalla sua parabola intellettuale tutta la sua capacità di analisi del capitalismo e del pensiero marxiano. Professore associato all’Università Ca’ Foscari di Venezia tra il 1979 e il 1996 e alla facoltà di Giurisprudenza di Pisa tra il 1964 e il 1981, negli anni ‘70 ha scritto spesso su Critica Marxista, l’organo teorico del PCI. Negli anni ‘80, con Costanzo Preve, fondò il Centro Studi di Materialismo Storico. Attualmente cura, con l’aiuto di Gianni Petrosillo, il sito Conflitti e Strategie e il proprio canale YouTube.
* * * *
1) Professor La Grassa, lei ha avuto un percorso intellettuale molto interessante. Da maoista, agli studi sulla divisione tecnica come struttura portante del capitalismo per arrivare ai giorni nostri. Esiste un fil rouge che attraversa tutta la sua parabola intellettuale e quanto ha pesato l’influenza dei suoi due maestri Antonio Pesenti e Charles Bettelheim?
R. Dal punto di vista della discussione e interpretazione della teoria marxista (e, in particolare, di Marx), è innegabile che l’influenza maggiore è stata quella del Maestro francese, Bettelheim. Questi divenne di fatto parte della scuola althusseriana (sia pure con sue particolarità) nella seconda metà degli anni ’60. Ci si ricordi che nel 1965 uscì appunto il decisivo volume “Lire le Capital” di Althusser e i suoi allievi principali. Per quanto riguarda Bettelheim il testo più rilevante è “Calcul économique et formes de propriété” (1969), su cui si tenne il corso del 1970-71 all’Ecole Pratique des Hautes Etudes, cui partecipai interamente.
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Chi assiste chi? Il meridione paga le pensioni del nord Italia
di Vincenzo Alfano*, Lorenzo Cicatiello**, Pietro Maffettone***
Pensioni 2020: La "questione meridionale" ed il tema del "dualismo e delle due velocità del nostro Paese"
La cosiddetta questione meridionale, ed il tema del dualismo e delle due velocità del nostro Paese, hanno storia molto antica: basti pensare che a leggere Nitti, politico e studioso del tema di classe 1868, pare di trovarsi di fronte un moderno editoriale su di un giornale italiano.
Si ripete una retorica che vede nei, pur ampi, divari di capacità fiscale nel nostro paese, due diversi ed opposti poli. Questi sarebbero un Meridione stantio, che beneficia di una redistribuzione a cui contribuiscono in maniera netta le viceversa avanzate e prospere regioni del Nord, talvolta raffigurate come stanche di far la carità ad un Mezzogiorno borbonico, cronicamente arretrato, spendaccione ed incapace di auto-sostentarsi. I livelli di spesa primaria per i cittadini italiani sarebbero dunque garantiti come (all’incirca) omogenei solo grazie a questo trasferimento fiscale lungo la direttrice Nord-Sud, una vera e propria autostrada di trasferimenti di risorse pubbliche. L’efficacia di questo tipo di narrativa è sotto gli occhi di tutti. Senza voler addentrarci troppo a fondo in argomentazioni politologiche di carattere tecnico sul populismo e la retorica secessionista, non sembra peregrino pensare che l’ascesa della Lega di Bossi (e poi di Maroni, ed in parte anche l’ultima di Salvini) e del tema del federalismo fiscale (declinato in vari modi nel corso degli ultimi trent’anni), abbiano come comune punto di appoggio intellettuale una tale visione.
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Le risposte che è difficile trovare
Marco Diani intervista Nicos Poulantzas
E se accettassimo l'idea di una tensione strutturale tra la teoria e la pratica? Di fronte a problemi nuovi non troviamo soluzioni bell'e pronte nè in Marx, nè in Lenin, nè in Gramsci. Le difficoltà dei partiti operai non riguardano tanto la "forma" organizzativa, quanto il rapporto tra politica e società. Classe operaia e democrazia formale: una questione teorica cui guardare senza miti
Questa intervista a Nicos Poulantzas è apparsa sul settimanale comunista Rinascita il 12 ottobre 1979, pochi giorni dopo la morte dell'autore, e può essere considerata la sua ultima espressione pubblica. Nel corso dell'intervista emergono i temi centrali della sua analisi: l'irrisolta questione del potere e della teoria dello stato moderno nel pensiero marxista e l'inadeguatezza delle forme di rappresentanza e di organizzazione politica affermatesi nei partiti del movimento operaio occidentale.
Il testo, riprodotto di seguito, ci è stato segnalato da Marco Diani, che ringraziamo, ed è stato ricavato da una lunga conversazione da lui tenuta con Poulantzas, che avrebbe dovuto costituire il prelundio a un libro.
* * * *
Nel dibattito sulla « crisi del marxismo », o meglio dei marxismi, è stato ripreso e sviluppato il tema della « responsabilità della teoria ». Da parte tua, hai spesso ricordalo che non sì possono attribuire alla teoria responsabilità che non ha bisogna dedurne che sei propenso a separare i presupposti teorici dalla pratica e dalle realizzazioni polìtiche?
Precisiamo. In un primo momento, ho voluto intervenire nel pieno di una polemica, quella dominata dall’antimarxismo isterico dei nouveaux philosophes, in cui il marxismo era identificato puramente e semplicemente con il gulag. Mi sembra sempre più urgente abbandonare la concezione, impressa da Lenin al marxismo e ancor molto resistente, fondata sulla adeguazione tra teoria e pratica, e in base alla quale si riconoscono e si classificano i « ritardi » e gli « scarti » attribuiti alle peripezie della storia.
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Uscire dall'economia
di Antonio Savino
Filosofia economica. La crisi economica ed ecologica del pianeta è la conseguenza dell'elevata capacità produttiva di merci raggiunta, come mai nella storia, merci che devono passare dalla cruna dell'ago della loro valorizzazione per trasformarsi in denaro. Se non sopraggiungono strategie per abolire questo stato di cose, non si avrà nessun cambiamento e l'arma delle crisi e dei conflitti mondiali sarà sempre carica (Parafasi art. in Krisis)
Premessa
Se nel precapitalismo il sistema egemone era la religione che a sua volta aveva preso il sopravvento sul precedente sistema della città-impero (la Roma sacralizzata) nella modernità invece il sistema egemone è l'economia. Il valore che si valorizza ha preso il sopravvento sia sulle precedenti relazioni ed ha egemonizzato ogni altra forma di relazione sociale, è la grammatica della modernità. Essa ha messo l'intelligenza umana, l'intelligenza collettiva, al servizio del valore privato.
Il capitalismo non ha niente di “naturale”, ma è il frutto storico di relazioni e reazioni spontanee che si sono succedute nel tempo (da quasi 800 anni). Nato in un Occidente medioevale da una serie di coincidenze; è frutto di una “tempesta perfetta', come si dice in scienze. Conseguenza di una concatenazione di eventi particolari verificatesi in una particolare zona del mondo, si ha attecchito ed ha avuto successo.
La forma capitalista si è affermata in Occidente e poi ovunque e da qui ha segnato la storia dell'umanità degli ultimi secoli.
Per questo il capitalismo non va considerato come frutto di qualche progresso naturale, e neppure come un epifenomeno tecnologico, ma è una idea di uomo e di mondo mutuata dall'economia.
Il capitalismo nelle sue invarianti antropologiche, è un insieme di dispositivi sociali, un complesso sistema di relazioni che formano un insieme di canali, dighe e cascate dove scorre il fluido dell'economia, “liquido” su cui nuota tutta la civiltà attuale.
Dispositivi niente affatto “naturali”, ma prodotti dall'uomo, e per questo fanno parte integrante del suo “patrimonio” culturale. Un ordine sociale che ha plasmato il senso comune, e l'inconscio collettivo.
Ovunque nel mondo, sui fili portanti della società capitalista, si hanno le medesime reazioni di fronte ai medesimi stimoli si è un insieme omogeneo almeno sul fronte economico.
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Un governo senza qualità: quale opposizione possibile?
di Giovanni Bruno
La manovra del governo giallo-rosa non è di sinistra. La costruzione di un fronte anticapitalista comunista unito è l’unica soluzione a fronte di una nuova crisi imminente
Dall’esecutivo scaturito dalla folle estate (dalla Repubblica del Papeete al consolidamento dell’asse euro-quirinalizio), con un tratto sostanzialmente neo-conservatore e neo-centrista, che manovra finanziaria ci si può aspettare? Il documento di Economia e Finanza che l’esecutivo penta-dem(ocrisitiano) ha varato e che delinea i caratteri della prossima Legge di bilancio da portare nelle aule per i passaggi parlamentari è una manovra senza paradigmi, o piuttosto incardinata sulle compatibilità di sistema, ma elargendo qualche “mancetta” verso alcuni settori più sofferenti della popolazione.
La cifra neo-centrista dell’esecutivo è chiara: frutto di quell'accordo tra PPE e PSE (su cui c'è stata la convergenza dei 5 Stelle) che ha portato alla Presidenza della Commissione Europea Ursula von der Leyen, è in sostanziale continuità con la grosse koalition popolar-socialista responsabile delle politiche di austerity e di tagli alla spesa pubblica, a servizi sociali, sanità, istruzione, pensioni che per un paio di decenni ha funestato i popoli dell’Unione Europea, a partire dai greci. Al momento, a parte qualche promessa a mezza bocca di una maggiore attenzione e di una (limitata) flessibilità (garante il neo-commissario Gentiloni), non è stato neppure preso in considerazione che i parametri coercitivi della Commissione vengano ripensati: perciò, non ci possiamo aspettare dalla Legge di Bilancio per il 2020 nient’altro che qualche contenuta elargizione, ma nessun provvedimento che ripristini diritti e servizi massacrati dai governi degli ultimi venti anni.
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Il Reaganismo, la Curva di Laffer e la Flat Tax
Alcune considerazioni realistiche
di John Komlos1 e Salvatore Perri2
Presentiamo un saggio degli economisti, professori John Komlos e Salvatore Perri, che pone una serie di interrogativi sui conclamati effetti positivi della politica economica adottata negli Stati Uniti dal presidente Ronald Reagan negli anni ’80. I prevalenti toni di ammirazione per quelle teorie – egli fu comunque un grande Presidente – vanno forse ridimensionati, solo a por mente agli effetti reali sugli investimenti e sulla redistribuzione dei redditi che l’applicazione di quei principi generò – e continua a generare – sull’economia mondiale
Abstract. I partiti e i movimenti sovranisti che stanno salendo alla ribalta in gran parte dei paesi occidentali hanno come comune denominatore, di politica economica, la proposta di una riduzione generalizzata delle tasse sulla scorta delle ipotesi teoriche di Arthur Laffer. I tagli delle tasse alle classi più abbienti così come sperimentate negli Stati Uniti da Ronald Reagan e come applicate anche oggi da Donald Trump, vengono riproposte in altri termini sotto forma di regimi fiscali forfettari come la “Flat Tax”. I limiti di questa proposta risiedono proprio negli effetti a lungo termine che tali politiche hanno avuto sul tessuto sociale ed economico statunitense, nell’evanescenza, ai limiti dell’irrealismo, delle ipotesi teoriche su cui si fonda la curva di Laffer e nei possibili effetti catastrofici che una tale politica potrebbe avere sui conti pubblici di un paese indebitato, come l’Italia. Promettere meno tasse può portare consensi politici nel breve periodo, ma non è detto che non sia foriero di disastri economici nel lungo.
Riduzioni delle tasse e crescita tra mito e realtà
Le proposte di riduzione generalizzate delle tasse caratterizzate dallo slogan “meno tasse per tutti” hanno sempre rappresentato un formidabile catalizzatore di consensi nelle campagne elettorali dei paesi occidentali.
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Giovanni Arrighi, “Adam Smith a Pechino”. Parte III
di Alessandro Visalli
Nella seconda parte (qui la prima) di questa lettura dell’ultimo libro di Giovanni Arrighi avevamo descritto il modo in cui l’autore dà conto dell’intervallo tra la “crisi spia” degli anni sessanta, connessa con il doppio deficit statunitense, l’esaurimento del predominio industriale e il termine con successo dell’inseguimento dei paesi sconfitti della seconda guerra ed aiutati a rialzarsi in chiave antisovietica nei confronti degli Usa, l’evento scatenante epocale della sconfitta in Vietnam.
L’approccio del libro è molto largo e profondo, nel tentare di spiegare i lunghi percorsi della transizione in corso, e gli assetti di forza che di volta in volta si susseguono in essa, pone in questione l’idea che il capitalismo sia una sorta di destino del mondo, una tappa di un processo necessario di autosuperamento dell’umanità, che di qui, e necessariamente di qui, potrà infine giungere alla condizione pacificata del socialismo. Chiaramente questa critica viene svolta e diventa pertinente in considerazione della questione che è al centro del libro: può lo sviluppo imponente cinese costituire la base di un nuovo ciclo egemonico che sia significativamente diverso dal capitalismo anglosassone al quale succede (in caso succeda)? Non è, in altre parole, il modello cinese in effetti una pura e semplice mimesi del capitalismo occidentale senza neppure l’apparenza di libertà liberale? Ovvero, non è il peggio dei due sistemi?
Arrighi risponde di no. Ma nel farlo è costretto a chiedersi per quale ragione anche nella cultura marxista, ovvero nelle tante e diverse culture marxiste, in genere il capitalismo sia considerato contemporaneamente inevitabile e progressivo.
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Kodoku-shi, la morte solitaria
di Yosuke Taki
Un settore di grande successo
Nell’estate del 2018 si è registrato in Giappone un caldo record, con temperature di oltre 40 gradi in diverse città. Mai così caldo da quando la nazione nipponica ha cominciato a farne statistiche nel 1946. Sotto quel clima rovente, però, c’è stato un settore che non si è mai fermato in tutta l’estate.
Questa professione si chiama in giapponese tokushu-seisō-gyōsha, detta per brevità tokusō, ovvero impresa di pulizia speciale. Si tratta di ripulire luoghi che sono stati teatro di incidenti o persino di omicidi. Ultimamente però la tokusō è molto richiesta per pulire case e appartamenti dove è avvenuta la cosiddetta kodoku-shi, la morte solitaria: i cadaveri vengono trovati, in genere molto tempo dopo il decesso, in condizioni inenarrabili e spesso all’interno di ambienti pieni zeppi di immondizia accumulata a volte fino ad altezza d’uomo. Immagino che rimaniate esterrefatti, ma addirittura nel vocabolario contemporaneo giapponese esiste già un termine specifico per designare queste case riempite di rifiuti: gomi-yashiki, letteralmente “dimora di immondizie”. Sembra che i poveri abitanti di quelle case vivessero barricati dietro pareti di barattoli e di spazzatura senza più avere alcuna relazione con gli altri esseri umani. Insomma, una versione adulta degli hikikomori, gli auto-reclusi giovanili. Queste persone vivono nella trascuratezza totale, quello che in inglese si definisce self-neglect, e muoiono in completa solitudine. È per questo che i loro cadaveri vengono trovati dopo giorni, a volte persino dopo settimane, in molti casi solo per via degli odori prodotti dalla loro decomposizione. Sono di solito i padroni di casa o i vicini a chiamare la polizia, e dopo il ritrovamento del cadavere tocca alla tokusō il compito di ripulire e risanare l’ambiente, spesso in tutta fretta, perché la situazione è insopportabile per la vita e il benessere dei vicini.
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La straordinaria sollevazione cilena ha un significato internazionale
di Il Cuneo rosso
Dopo aver raccontato delle lotte in Libano e dell’Algeria, pubblichiamo un’altra breve nota sul Cile, per sottolineare l’importanza internazionale della grandissima sollevazione tuttora in pieno corso in questo paese, e la necessità di dare ad essa la nostra solidarietà di classe nelle forme possibili. Vuol essere un invito ad alzare lo sguardo e ad osservare come là dove la crisi e il meccanismo stritolatore del capitalismo globale colpiscono più duro (Sud-America, Centro-America, Medio Oriente), lì le risposte di lotta delle classi sfruttate si stanno facendo sempre più imponenti.
La magnifica sollevazione di massa in Cile è ancora a metà del guado – sia Pinera che i militari torturatori sono ancora lì! -, ma ha già assunto un valore mondiale. Perché proprio in Cile ha preso avvìo 46 anni fa il lungo ciclo “neo-liberista” globale, l’ininterrotta offensiva con cui la classe capitalistica ha aggredito il proletariato industriale e via via in progress l’intero campo delle classi non sfruttatrici. Nel 1973 l’avvento della dittatura militare stroncò nel sangue l’esperienza riformista di Allende e spianò la strada alle controriforme “neo-liberiste” del diritto del lavoro, delle pensioni, dei servizi sociali, della scuola, dei trasporti, dell’energia, dell’acqua, della sanità. In totale: una brutale svalorizzazione della forza-lavoro, la sua torchiatura all’estremo, lo smantellamento dei diritti e delle organizzazioni operaie. Per questa via il Cile è diventato, prima con Pinochet, poi con i suoi successori di centro-sinistra (Alwin, Frei, Lagos, Bachelet) e di centro-destra (Piñera) uno dei paesi-vetrina dei miracoli del modello di sviluppo “neo-liberista” – per i suoi tassi di sviluppo (di sviluppo dei profitti), per i bassi indici di disoccupazione, per la riduzione della povertà e altre frodi statistiche del genere. Il risultato sociale di questo prodigio è ora sotto gli occhi del mondo intero. Prima la rivolta dei giovani contro il ventesimo aumento del biglietto del metro in 12 anni; poi una montante mobilitazione di massa contro lo stato di guerra decretato da Piñera; infine due giorni di sciopero generale con manifestazioni oceaniche a Santiago e in tutte le principali città cilene, al grido di “Fuera Piñera y fuera los milicos”, “Abajo el estado de emergencia”.
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Rosa Luxemburg, Raul Sendic e Lenin bevono mate e discutono di potere in Uruguay
di Bollettino Culturale
Insurrezione e riflessione
Le classi dominanti latinoamericane (complici e allo stesso tempo fedeli servitori del colonialismo e dell'imperialismo) hanno sempre costruito l'immagine di un mostro spettrale e caricaturale per evocare e reprimere la ribellione delle classi popolari. Prima battezzarono quella bestia demoniaca come "cannibale indigeno" e "bighorn nero". Quindi "Giacobino assetato di sangue". Più tardi "stupratore anarchico" e "comunista mangiatore di bambini" (il pittore messicano Diego Rivera rise molto dicendo che, essendo un comunista, in Unione Sovietica provò la carne di bambino e la trovò molto gustosa). Avanzando nel tempo, quel fantasma onnipresente adottò la figura di "offensore sovversivo e apolide". Più tardi fu demonizzato come "terrorista" fino a quando non arrivò ai nostri giorni con il molto ripetuto dai media degli Stati Uniti "narco-terrorismo"...
Il filo rosso che attraversa questa prolungata demonizzazione è l'attribuzione dell'irrazionalità e della follia alle nostre ribellioni popolari. Ogni ribelle è un delirante, completamente privo di ragione e di logica.
Contrariamente a questa storia maccartista, ripetuta e riciclata fino ad oggi dalla voce del maestro, l'insurrezione in America Latina è stata più che prolifica nei suoi tentativi di riflessione, fondamento logico e argomentazione ragionata delle sue ribellioni. La tradizione della scrittura segna una chiara continuità durante l'insurrezione. Che Guevara, oltre ad essere un comandante di guerriglia e un convinto comunista internazionalista, è soprattutto uno scrittore prolifico. Il vertice più alto di un'intera tradizione di scrittura e pensiero marxista ribelle.
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Più delle sette piaghe potè Di Maio (e Grillo)
Dal vaffa dei cinquestelle ai vaffa ai cinquestelle
di Fulvio Grimaldi
Sono stato alla Festa Nazionale dei 5Stelle a Napoli e ve ne dirò. Un’organizzazione da paura, degna della migliore Festa nazionale dell’Unità. E tantissima gente. Della quale mi illudo di aver percepito gli umori, divisi tra chi era venuto a riconoscersi e confortarsi nella Grande Famiglia, qualunque cosa essa facesse; chi sperava di ritrovare, nel grande affresco, i tratti del dipinto-capolavoro di cui si era innamorato; e chi si presentava con il broncio, più o meno disposto a esibirlo. Di tutta quella gente sotto ai vari palchi condivido il trauma: la botta dell’Umbria è tale da indurre o la sveglia, o il coma.
Ma pochissimi, sempre di quelli sotto il palco, denuncerei di complicità con l’accaduto; semmai qualcuno di eccesso di fiducia per il pastore, elemento costitutivo del gregge, ma inerente anche all’assenza di un meglio. Il guaio è che, sparito il Partito Comunista che, a dispetto dei vari Togliatti, Napolitano e Berlinguer, una bella fetta di società aveva dotato di cultura, conoscenza e coscienza politica, di queste non v’è stata più traccia nella base del Movimento. Vedo gli smarriti, o euforici, che si aggiravano per padiglioni e viali della Mostra d’Oltremare, più come vittime, che come sicari. Ci torniamo dopo.
Peccati mortali
Andiamo in Umbria e citiamo alcuni peccati mortali che hanno inserito il M5S nella parte inferiore del Giudizio Universale comminatoci dalla cortesia del Signore e dall’infinito amore del suo figliolo. A partire dal matrimonio, ahinoi non morganatico, con il corpo politico a cui è assegnato il compito di produrre milionari e miliardari immuni e impuniti, soprattutto esteri, dato che dobbiamo essere globalisti-cosmopolitici-cittadini del mondo, e, corrispondentemente, masse sconfinate e indistinte di angustiati e affamati, ripugnanti portatori di “invidia sociale” e di “odio” cosmico.
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L'unità dei comunisti e la questione comunista
Pubblichiamo un interessante dialogo fra Alessandro Pascale, Roberto Gabriele e Paolo Pioppi
Il compagno Alessandro Pascale si è fatto interprete, in questi ultimi tempi, di sollecitazioni unitarie nei confronti di un'area che, in vario modo, si definisce comunista. La domanda che viene spontanea è questa: non è il caso di indagare meglio su come impostare la questione? È esigenza primaria quella di invocare l'unità o è preliminare portare la questione sul terreno dell'analisi e aprire un dibattito di contenuti sui processi che possono dare un fondamento solido alla questione che il compagno pone?
Noi riteniamo preliminare dare risposta su questo terreno prima di inoltrarci in discorsi unitari che, come il passato dimostra, non hanno prodotto risultati. I fallimenti dei progetti unitari hanno, a nostro parere, natura oggettiva e su questo bisogna indagare e discutere.
Da questo punto di vista due sono le questioni sul tappeto: 1) il rapporto tra crisi del movimento comunista e organizzazione comunista e 2) la natura dei gruppi che in Italia si richiamano al comunismo.
Analizziamo la prima questione. Sulla “ripresa” del movimento comunista, in Italia come altrove, pesa la crisi irreversibile che esso ha attraversato a livello mondiale negli anni '90 del secolo scorso. Illudersi che si possa andare avanti con la denuncia dei traditori e ricostruire sic et simpliciter un partito comunista, come è dimostrato da questi decenni di tentativi andati a vuoto, è un'operazione perdente, sia nella versione cosiddetta marxista-leninista che in quella dei progetti di “rifondazione”. In ambedue i casi si è trattato di ipotesi che non facevano certamente i conti con ciò che era avvenuto o stava avvenendo.
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Oltre l’illusione della green economy. Alcune riflessioni
di Militant
“E’ più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”
(Fredric Jameson)
Prima (ovvia) premessa
Interrogato su quali leggi scientifiche avrebbero superato indenni il test del tempo senza essere rigettate o radicalmente riformulate dalle future generazioni di scienziati, Albert Einstein indicò la prima e la seconda legge della termodinamica. “E’ la sola teoria fisica di contenuto universale di cui sono convinto che nell’ambito di applicabilità dei suoi concetti di base non verrà mai superata.” Semplificando, le due leggi affermano che l’energia totale dell’universo è costante, non può essere né creata né distrutta, ma che essa cambia continuamente forma, anche se in una sola direzione, da disponibile ad indisponibile, e che il “grado di disordine” del sistema, l’entropia, è in continuo aumento. La terra rispetto al sistema solare rappresenta un sistema termodinamicamente chiuso, ciò significa che assorbe energia dal sole, ma non riceve materia dall’universo circostante. Ora, se alle reminiscenze di fisica aggiungiamo frettolosamente anche quelle di chimica, rispolverando la legge di conservazione della massa di Lavoisier, secondo la quale all’interno di un sistema chiuso la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti (nulla si crea, nulla si distrugge…), appare evidente, come vanno ormai sostenendo praticamente tutti, che il pianeta su cui viviamo è “finito”. Intendendo con questo che lo stock di materie prime su cui possiamo e potremo contare è destinato prima o poi ad esaurirsi, ponendoci di fronte ad un problema di scarsità.
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Democrazia e potere
di Salvatore Bravo
Diritto e violenza
Il Marx di Maurizio Ricciardi in “Il potere temporaneo Karl Marx e la politica come critica della società” è il Marx della prassi (dal gr. πρᾶξις «azione, modo di agire», der. di πράσσω «fare»), in cui la cristallizzazione del potere capitalistico opera capillarmente e nel contempo si irrigidisce in istituzioni che eternizzano il potere politico. Le istituzioni che in Hegel erano il luogo etico nel quale il diritto esplicava l’universale, in Marx non solo sono storicizzate, ma non vi è nessun diritto che precede la prassi, il diritto si forma nella storia, nella relazione tra struttura e sovrastruttura. Le istituzioni ed il diritto, se rappresentate come astoriche, sono il mezzo con cui i sistemi perpetuano se stessi e legittimano la violenza. Con la genealogia storica si denuncia la modalità ideologica con cui il potere si afferma nel quotidiano. La ricostruzione storica curvata nell’ideologia, nella difesa degli interessi particolari a cui si doveva “necessariamente” giungere è già violenza, perché si vorrebbe inibire il pensiero, la critica radicale e la prassi. La storia collassa su se stessa, si chiude al futuro, ed il passato diventa il despota del presente1:
”Ciò che preme a Marx è mettere in discussione l’ipoteca del passato sul presente, il cui effetto è la radicale destoricizzazione dei rapporti tra gli uomini, che non vengono interpretati per ciò che sono, ma per ciò che si presume siano sempre stati e di conseguenza dovranno essere sempre, legittimando in questo modo la necessaria e indiscutibile trascendenza del potere”.
Astoricizzazione e gerarchia
Storicizzare è riportare il fenomeno storico alla sua genetica storica. Con la categoria della comprensione si materializza l’attività del soggetto storico resistente che in quanto tale “si umanizza”, mentre la naturalizzazione del presente, per mezzo della sua astoricizzazione preserva e conserva “l’antiumano”, il dominio della forma merce sulla persona.
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