Se Israele e Ucraina cominciano ad assomigliarsi anche nella propaganda
di Gianandrea Gaiani
Negli ultimi tempi si è molto parlato di similitudini nel modo di combattere di Ucraina e Israele, complice anche l’impiego spettacolare di droni imbarcati su veicoli civili occultati precedentemente in territorio russo e iraniano dai rispettivi servizi d’intelligence.
Complice forse pure l’ammissione dell’ambasciatore israeliano a Kiev che Israele ha fornito missili Patriot all’Ucraina, anche se Tel Aviv ha smentito tale fornitura lasciando intendere che le vecchie armi anti missili balistici fornite allo Stato ebraico durante la Guerra del Golfo del 1991 sarebbero state restituite agli USA (che a Israele dopo il 7 ottobre 2023 hanno dato il sistema THAAD) e da lì poi triangolate in Ucraina.
A ben guardare, Kiev e Tel Aviv si assomigliano sempre di più anche nella narrazione propagandistica delle rispettive guerre e dopo l’attacco all’Iran del 12 giugno anche Israele, come l’Ucraina, per sensibilizzare noi europei utilizza messaggi spesso grossolani se non imbarazzanti.
Certo la propaganda di Israele non ha raggiunto finora le vette inarrivabili di quella ucraina, diffusa a piene mani dai vertici politici e dai servizi di intelligence interna (SBU) e militare (GUR) ma ripresa e amplificata senza dubbi né valutazioni critiche da migliaia di tifosi e ultras schierati in forze nelle redazioni d’Italia e d’Europa.
L’ultima rivelazione, diffusa giorni or sono dall’intelligence militare ucraino (GRU) e ripresa da La Stampa, riferisce di intercettazioni dei militari russi che dicevano alla radio di aver divorato un prigioniero ucraino. Finora la propaganda israeliana non ci ha proposto casi di cannibalismo tra i pasdaran né tra i miliziani di Hamas, Hezbollah o Houthi.
In una teleconferenza tenuta il 12 giugno l’ambasciatore israeliano in Italia, Jonathan Peled, ha affermato che Israele ha rimosso la minaccia iraniana per sé “ma anche per l’Europa” poiché oltre al programma nucleare, l’Iran “ha accelerato anche il suo programma di missili balistici: ne ha centinaia che possono raggiungere anche Roma, Parigi, Londra“, ha spiegato l’ambasciatore sottolineando che “un’altra cosa che dovrebbe preoccupare gli europei è l’alleanza tra l’Iran e la Russia”.
In realtà missili balistici iraniani hanno un raggio d’azione massimo di 2mila chilometri, sufficienti raggiungere Israele e il Mediterraneo Orientale, cioè Cipro, e lembi di Grecia, Romania e Bulgaria. L’Iran dispone certo della tecnologia per sviluppare vettori a raggio più esteso ma al momento non risultano in servizio.
Affermare che l’Iran ha centinaia di missili che possono raggiungere anche Roma, Parigi, Londra è come dire che se l’Ucraina viene sconfitta i russi arriveranno fino a Lisbona.
Non è vero, nulla suffraga queste affermazioni ma hanno entrambe un sicuro effetto emotivo e mediatico.
Israele sta quindi utilizzando la stessa narrazione di Volodymyr Zelensky e della dirigenza ucraina, incentrata sul fatto che combattono per noi e che se dovessero cadere loro dopo toccherà all’Europa fare i conti con le orde siberiane dell’Armata di Putin, fino allo sgradevole eccesso di celebrare i tanti caduti ucraini il cui sacrificio risparmia la vita a tanti europei.
C’è di che tirare un sospiro di sollievo. In Europa da decenni nessuno chiude occhio nel timore di venire colpiti dai missili balistici iraniani e testate atomiche mentre chi riesce, nonostante questa minaccia incombente, ad addormentarsi spesso si sveglia di soprassalto per guardare dalla finestra se ci sono carri armati russi parcheggiati in giardino.
Soprattutto, c’è di che restare sorpresi nello scoprire che ucraini e israeliani sono così generosi da sacrificarsi per noi e hanno leader così altruisti da mettere in gioco i loro popoli per difendere la vecchia Europa.
Mettendo da parte l’ironia, va riconosciuto che un simile messaggio diffuso da “Radio Ucraina” ha avuto un rapido ed efficace impatto su politici e media in Italia ed in Europa, che questi slogan li hanno ripetuti e amplificati fino a farli diventare troppo ostentati per risultare credibili.
A Tel Aviv devono aver valutato che i “master messages” della propaganda ucraina fossero adattabili anche a quella dello Stato ebraico. E hanno avuto ragione. Il 17 maggio, al summit del G7 in Canada il cancelliere tedesco Friederich Merz ha affermato che Israele ha “il coraggio di fare il lavoro sporco per tutti noi” attaccando l’Iran, il cui potere “ha portato morte e distruzione nel mondo”.
Senza questi attacchi israeliani, “avremmo forse continuato a subire per mesi e anni il terrorismo di questo regime, che avrebbe forse finito per dotarsi dell’arma atomica”, ha detto alla rete televisiva ZDF a margine del vertice.
Le parole di Merz hanno suscitato reazioni immediate negli ambienti diplomatici, con analisti che hanno messo in guardia contro affermazioni che squalificano la Germania e l’Europa agli occhi del mondo arabo e islamico in una fase in cui, da europei, non tocchiamo palla in nessuna delle crisi che ci minacciano da vicino.
Con un po’ di spirito polemico si potrebbe ricordare a Merz che è difficile trovare traccia di attentati in Germania di matrice scita o iraniana mentre abbondano, in campo islamico, quelli di matrice sunnita legati a movimenti quali al- Qaeda e lo Stato Islamico, di cui ha fatto parte (ha militato in entrambi) il leader siriano al-Sharaa (o al-Jolani) a cui tutto l’Occidente (Germania in testa) stringe la mano, regala denaro, e cancella sanzioni.
Oppure che, nonostante le sanzioni, la Germania resta il principale partner commerciale dell’Iran in Europa, con un volume di scambi di 1,23 miliardi di euro nei primi dieci mesi del 2024, davanti all’Italia con 585 milioni, seguita da Paesi Bassi (512 milioni), Belgio (281 milioni) e Francia (234 milioni).
Curioso dettaglio quello nucleare, considerato che Berlino rifornisce da molti anni gratuitamente di armi e sottomarini la potenza nucleare Israele, che non ha mai ammesso di avere armi atomiche né ha mai consentito ispezioni internazionali dell’AIEA.
Evidentemente Merz ha vissuto sulla Luna fino a ieri: l‘Iran “terrorista che porta la morte nel mondo” è governato dal regime degli ayatollah dal 1979 (Merz dovrebbe ricordarlo, aveva 24 anni all’epoca) e il suo programma nucleare venne a galla all’inizio di questo millennio, eppure Berlino non ha mai smesso di fare affari con Teheran.
Chissà se Merz, ora che è cancelliere, chiuderà ogni interscambio con l’Iran “terrorista”?
E a proposito di lotta al terrorismo, non è necessario essere fans dei pasdaran per ricordare che a salvare Baghdad dallo Stato Islamico nel 2014 non furono i marines americani né le truppe tedesche ma tre reggimenti di Guardiani della Rivoluzione della Divisione al-Quds, così come la liberazione del nord dell’Iraq dall’ISIS fu opera in buona parte delle milizie scite filo-iraniane.
Precisazioni necessarie, non per attribuire patenti di buoni e cattivi ma solo perché non si può cancellare la storia solo perché i leader dell’Occidente non l’hanno studiata né intendono studiarla.
Dopo lo slogan “stiamo combattendo anche per voi”, l’altro master message che Israele sta mutuando dalla propaganda ucraina è legato al concetto di “invasione”, strettamente legato al binomio “aggressore-aggredito”. Certo più facile da assimilare nei confronti di Kiev, invasa dai russi nel febbraio 2022, che di Tel Aviv che oggi occupa ampie porzioni di Gaza, Cisgiordania, Libano meridionale e Siria del Sud ma lo ha comunque fatto in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
Nessuna paura quindi, si può fare anche se l’ambasciatore Peled si è fatto forse prendere la mano quando ha affermato che “abbiamo prove che l’Iran stava pianificando un’invasione territoriale di Israele simile a quella del 7 ottobre, utilizzando suoi proxy in Siria, Iraq e da altre aree”.
A indurre l’Iran a valutare l’invasione come “un’importante componente della sua strategia per distruggere lo Stato di Israele”, avrebbe contribuito il successo dell’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, che però fu una incursione temporanea e con forze limitate, anche se dall’impatto molto pesante, non un’invasione. I miliziani di Hamas rientrarono infatti rapidamente a Gaza dopo ave ucciso e catturato civili e militari israeliani.
L’affermazione di Peled cozza però con la geografia, innanzitutto perché l’Iraq non confina con Israele e pur considerando le milizie scite filo-iraniane presenti a Baghdad (parte integrante delle Forze Armate irachene) è difficile credere che possano concentrarsi lungo un confine inesistente per invadere lo Stato ebraico.
Anche in Siria gli iraniani non hanno più basi né forze militari come quelle schierare durante l’epoca del regime di Bashar Assad. Anzi, vale la pena ricordare che l’Iran evacuò il suo personale dalla Siria quando cadde Assad utilizzando un ponte aereo dalla base russa di Hmeymim, vicino a Latakya e da allora non sono segnalate formazioni filo-iraniane nel paese, peraltro considerate ostili dal nuovo regime islamista sunnita di Damasco.
Nessuno ha invaso lo Stato ebraico dalla Siria ma è vero l’esatto contrario. E’ stato Israele ha approfittare del cambio di regime a Damasco per invadere il sud siriano dopo aver bombardato in tutto il territorio siriano basi aeree, navali e terrestri distruggendo tutti i mezzi e le armi delle forze armate siriane per non rischiare cadessero in mano a forze ostili (nella foto a lato Benjamin Nethanyahu nei territori siriani occupati).
Israele ha occupato porzioni di territorio in Siria, Libano, Gaza e Cisgiordania per costituire aree cuscinetto a difesa dei confini nazionali da attacchi esterni. Esattamente quello che stanno facendo i russi nelle regioni ucraine di confine di Sumy e Kharkiv. Cambia solo la narrazione (la nostra): nel caso degli israeliani si tratta di difesa preventiva, i russi invadono.
Cha abbia qualche relazione con le "demoplutocrazie" giudaiche pure.
Poi non è il caso di fare certi miscugli: Bernays e Lippman operavano negli USA tra le due guerre, Chomsky ai giorni nostri.
Quanto all'uomo-massa, mi viene in mente "La ribellione delle masse" di Ortega y Gasset, uscita nel 1930 nella Spagna della "dictablanda" del generale Primo de Rivera. Questo uomo-massa che rivendica "la volgarità come diritto" però non è il proletario che si ribella allo sfruttamento, ma il "signorino soddisfatto", il borghese acculturato e lettore di giornali, allora il principale vettore di propaganda, che vede nella democrazia liberale il mezzo per pretendere senza dare, da cui la frammentazione dei movimenti politici in rappresentanze di interessi di categoria. Tanto che il filosofo madrileno vedeva nel fascismo italiano il modello della massificazione in Europa. Per evitare questa massificazione riteneva necessario un superamento del sistema liberaldemocratico, una delega del potere politico ai "migliori", ovvero un'aristocrazia disposta al "servizio" in nome della tolleranza e della libertà (fu un sostenitore della Repubblica spagnola contro il franchismo).
Allora va bene denunciare la propaganda diffusa nel sistema mediatico, ma senza dimenticare il Minculpop, Goebbels e l'anticomunismo sistematico che ha caratterizzato l'ultimo secolo. E oggi rende facile sostituire per le masse, come mangiatori di bambini, i russi ai comunisti.