Il 5% del PIL per la spesa in armi: cosa vuol dire realmente
di Il Pungolo Rosso
Grande allegria al vertice NATO all’Aia: hanno appena deciso un balzo storico della spesa per le guerre in corso e in programmazione. Programmano morte, distruzione, devastazione dell’ambiente su scala globale. Bisogna fermarli!
Aumentare in modo esponenziale gli stanziamenti in armi è un obbligo per tutti i paesi aderenti alla Nato. L’ha decretato l’internazionale dei signori della guerra riuniti all’Aja. La spinta, è noto, viene dagli Usa, ed è brutale. Addirittura è un’azione al continuo rialzo perché agli inizi della sua carriera di politicante per conto dei grandi produttori di armi Trump richiamava alla parità di “investimenti” militari con quelli della quota che gli Usa conferisce all’Alleanza atlantica, chiedendo ai paesi europei di portarsi al 2% del Pil per ognuno di loro.
Ripercorriamo brevemente la vicenda, le motivazioni addotte e infine cosa realmente c’è dietro questa pressione crescente. Nessun mistero, s’intende, ma la storia e la prospettiva di guerre e immani sofferenze per le popolazioni di tutti i paesi.
La vicenda inizia ai tempi del primo governo Conte nel biennio ’18-’19. Allora Trump 1, nel suo intervento a Bruxelles, minacciò di ritirarsi dalla Nato se i partner non si fossero impegnati a mettersi alla pari con gli Usa. Fu nel corso del summit Nato (11 luglio ’18) che furono pubblicati i dati sulla graduale diminuzione della spesa per armi nei paesi Ue.
La crisi mordeva tanto forte da far calare tutte le spese, anche quelle per il personale, riducendone il numero (già Monti ci aveva messo mano), riducendo le spese per le infrastrutture comuni, per le pensioni, per tutta la “difesa”, per il personale militare stesso. Giusto per capire a che livello sta andando la spesa italiana ricordiamo che nel 2011 era all’1,3%, poi scese all’1,01% nel 2015. Giuseppi, all’epoca grande amico di Trump, dichiarò di condividere “personalmente la chiara posizione” del presidente Usa, e stiamo parlando di “appena” il 2% del Pil. L’impegno “personale” di Conte si tradurrà successivamente in 25 miliardi in più rispetto al 2017 attribuiti al Ministero della Difesa, ma anche per l’acquisto di nuovi armamenti, come si legge nel Rapporto MIL€X della Rete italiana per il Disarmo. Sarebbe stato opportuno ricordare questi e altri particolari alla manifestazione per la pace indetta dal M5S il 5 aprile scorso, o magari a quella del 21 giugno.
La pressione statunitense – che non appare tanto sgradita ai paesi Nato, ai partner e in genere ai paesi Ue – è aumentata nel tempo e anche il 3,5% posto per un momento dagli Usa non è sembrato sufficiente. Con la doppia scusante della minaccia di Trump di abbandonare la Nato e della difesa dell’Ucraina a tutti i costi, i paesi Ue hanno finito per impegnarsi ad arrivare al 5%. La minaccia di un’invasione russa di tutta l’Europa – una delle fandonie più colossali del secolo – ha rafforzato e giustificato questa tendenza al riarmo con le dichiarazioni di von der Leyen e i suoi impegni per il famoso pacchetto di 800 miliardi.
Il balzo della spesa bellica deciso è mostruoso: per l’Italia saranno 400 miliardi in più di oggi nell’arco di 10 anni, 40 miliardi in più l’anno. Ma se nel giro di poche settimane si è passati dal 2% al 3,5% e poi subito dopo al 5%, cosa può far credere che ci si fermi qui?
Questi impegni, che evidentemente non riguardano solo l’Italia, porteranno nelle casse degli Stati Uniti fior di miliardi per il semplice motivo che gli acquirenti saranno obbligati a comprare da Lockheed, Raytheon technologies che produce sistemi di cybersicurezza, ed altri. I britannici sono della partita, e il loro entusiasmo non riguarda solo l’amicizia storica con gli Usa ma anche gli affari della loro BAE System. La diplomazia Cinorussa, dal canto suo, non ha mosso palpebra dato che qualche euro dovrà necessariamente arrivare anche alla cinese Norinco, alla russa Rostec, tanto per fare qualche nome di case costruttrici che già da tempo riempiono di armamenti i paesi del mondo. L’Italia, forte di un’industria bellica di primo livello (che contrasta con la crisi di altre parti del suo apparato industriale), è anch’essa favorevole ai programmi bellici. Nella giornata di oggi 25 giugno firmerà gli accordi del vertice all’Aja sperando di potenziare ancora di più il suo mercato di produzione e vendita di armi in sostituzione di quello “tradizionale”. Ricordiamo che la definizione di “paese delle armi” non è nostra, ma di un saggio di Giorgio Beretta di cui abbiamo parlato tempo fa sul nostro blog rispondendo alle lagne insopportabili dei kampisti secondo cui l’Italia è una colonia, o una semi-colonia anziché una protagonista di prima fila di questa corsa al riarmo e alla guerra globale.
Salvini ha elevato qualche protesta ma non è certo per difendere la spesa sociale. Il suo linguaggio contro l’incremento della spesa militare è diventato subito più moderato allorché la delegazione italiana – che il 22 scorso ha partecipato alla stesura dell’accordo che oggi si firmerà poco prima di un ricco pranzo che i maiali consumeranno alla faccia dei popoli del mondo – ha proposto di inserire i costi del ponte sullo Stretto di Messina all’interno della quota dell’1,5%. Questa nuova quota è una trovata di Rutte, segretario generale della Nato, che divide il 5% in due categorie, quella del 3,5% in spese militari “tradizionali”, il restante 1,5% in cosiddetta sicurezza allargata, informatica, cybersicurezza, infrastrutture critiche, e il ponte è critico per davvero!
L’affare delle armi e della contrattazione sul 5% non riguarda la sicurezza, la difesa e demagogia varia, ma soltanto interessi monetari e traffici di borsa. E allora, qual è il problema visto che “ci” viene proposto di risollevare un po’ il tessuto industriale che in Italia langue? Il piccolo problema è questo: oltre a sottrarre enormi masse di finanziamenti alla spesa per scuola, sanità e servizi sociali, questa nuova produzione dovrà essere “consumata”, altrimenti ingombrerà solo le caserme ed i depositi di armi. Le armi devono far sentire il loro rumore, e sarà quello delle campane a morto che solo i proletari potranno mettere a tacere una volta per tutte.
Intanto, tutta la nostra solidarietà va ai manifestanti arrestati durante questa giornata conclusiva del vertice Nato – si tratta di attivisti di Extinction Rebellion trascinati per terra e caricati dalla polizia. Anche senza leggi infami come quelle italiane, in tempi come questi ogni stato borghese non conosce altri metodi che arresti e manganelli. Gli attivisti manifestavano presso una stazione di servizio in una maniera che si può definire innocua, ma per i signori della guerra quella era una minaccia. Una minaccia ai loro interessi. Una minaccia che siamo chiamati a rafforzare ed estendere: la pace tra i popoli si può ottenere solo muovendo guerra alla guerra, guerra ai signori della guerra. I primi tra tutti, i gangster della NATO, un’organizzazione che ha seminato morte e distruzione in tutto il mondo. Bisogna fermarli!
La guerra che verrà (Berthold Brecht)
La guerra che verrà
Non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.