Il bluff del 5%: come la NATO all’Aia si è condannata all’irrilevanza
di Maurizio Boni
Il vertice NATO dell’Aia del 25 giugno 2025 passerà alla storia non per i suoi successi, ma per aver messo in luce tutte le contraddizioni e l’inadeguatezza di un’alleanza che sembra aver perso il contatto con la realtà geopolitica contemporanea. In meno di 24 ore – una durata record per la sua brevità – i leader occidentali hanno raggiunto accordi che appaiono più come illusioni collettive che come strategie concrete per la sicurezza europea.
Il fulcro del vertice è stato l’accordo sull’aumento della spesa militare al 5% del PIL entro il 2035, una decisione che già al momento della sua adozione appare destinata al fallimento. Nessun membro NATO ha finora raggiunto l’obiettivo di spesa del 5% (la Polonia è la più vicina, al 4,7%) e alcuni sono altamente propensi a trascinare i piedi quando si tratta di raggiungere quella pietra miliare. La Spagna, con il primo ministro Pedro Sanchez, ha già chiarito che Madrid non dovrà rispettare l’obiettivo del 5%.
I numeri parlano chiaro: se gli stati NATO avessero tutti speso il 3,5% del PIL per la difesa lo scorso anno, ciò avrebbe significato circa 1,75 trilioni di dollari. Quindi, raggiungere i nuovi obiettivi potrebbe eventualmente significare spendere centinaia di miliardi di dollari in più all’anno, rispetto alla spesa attuale. Una cifra astronomica che appare politicamente ed economicamente insostenibile per la maggior parte degli alleati europei.
La struttura stessa dell’accordo tradisce la sua natura propagandistica: 3,5% per le spese militari tradizionali e 1,5% per una categoria generica che include “protezione delle infrastrutture critiche, difesa delle reti, preparazione civile e resilienza”. Una definizione così vaga da permettere a ogni paese di inserirvi qualsiasi voce di spesa e dichiarare di aver rispettato gli impegni, come ha fatto l’Italia dichiarando di aver raggiunto la soglia del 2% mediante artifici contabili.
Analisti e funzionari hanno riferito a Reuters che spendere il 5% del PIL per la difesa era politicamente ed economicamente impossibile per quasi tutti i membri NATO poiché richiederebbe miliardi di dollari di finanziamenti extra.La Germania, storicamente riluttante negli investimenti militari, e paesi come Italia e Canada – che nel 2024 ha speso solo l’1,3% del PIL per la difesa – si trovano di fronte a un obiettivo che richiederebbe una trasformazione radicale delle loro economie e priorità politiche.
Il Presupposto fallace: la guerra impossibile con la Russia
L’intero impianto strategico del vertice si basa su un presupposto fondamentalmente errato: la possibilità di un confronto militare diretto e vincente con la Russia. La dichiarazione finale parla della “minaccia a lungo termine posta dalla Russia alla sicurezza euro-atlantica”, ma evita accuratamente di menzionare la “guerra di aggressione in Ucraina”, un cambio di linguaggio significativo che tradisce l’imbarazzo dell’Alleanza di fronte al fallimento della strategia ucraina e l’indisponibilità di Washington a sottolineare un confronto con Mosca che non sembra essere nelle corde di Donald Trump.
La realtà è che dopo oltre tre anni di conflitto, miliardi di dollari in aiuti militari e l’imposizione del più severo regime di sanzioni della storia moderna, la Russia non solo resiste ma sta vincendo sul campo. L’idea che raddoppiare o triplicare la spesa militare possa cambiare questi equilibri strategici appare come un esercizio di wishful thinking piuttosto che una seria analisi geopolitica, anche perché in questi oltre tre anni i costi di materie, prime, energia e prodotti militari sono più che triplicati in Europa.
Il segretario generale Rutte ha persino ipotizzato scenari apocalittici in cui qualsiasi mossa cinese su Taiwan sarebbe coordinata con la Russia, il che “terrebbe l’Europa impegnata” mentre gli USA sono impegnati nel Pacifico. Una narrazione che sembra più adatta a un romanzo di fantascienza militare che a una seria pianificazione strategica.
La diplomazia dell’umiliazione: 24 ore per evitare l’abbandono di Trump
La durata record del vertice – meno di 24 ore – rappresenta forse l’aspetto più emblematico della crisi dell’Alleanza. I funzionari NATO hanno deliberatamente accorciato i tempi per evitare che Donald Trump abbandonasse prematuramente i lavori, come aveva fatto una settimana prima durante il G7 in Canada a causa della crisi mediorientale.
L’episodio più grottesco è stato il messaggio servile che Mark Rutte ha inviato a Trump, poi pubblicato dallo stesso presidente americano sui social media. Nel messaggio, Rutte loda “l’azione decisiva di Trump in Iran” e annuncia che “l’Europa pagherà in GRANDE stile, come dovrebbe, e sarà una tua vittoria”. Un servilismo che ha fatto scrivere all’opinionista Arnaud Bertrand: “Abbiamo raggiunto l’apice del vassallaggio europeo, perfino i servi medievali avevano più rispetto di sé”.
Trump stesso ha rivelato l’approccio superficiale al vertice quando, interrogato sull’impegno americano verso l’Articolo 5 del trattato NATO, ha risposto che “dipende dalla tua definizione” dell’Articolo 5, rimandando una risposta precisa a dopo il vertice. Una dichiarazione che mina alle fondamenta il principio della difesa collettiva su cui si basa l’intera architettura dell’Alleanza.
L’Ucraina dimenticata: quando l’adesione diventa un tabù
Uno degli aspetti più significativi del vertice è stato ciò che non è stato detto: l’adesione dell’Ucraina alla NATO è completamente sparita dall’agenda ufficiale. La dichiarazione finale, pur riaffermando “gli impegni sovrani duraturi degli alleati a fornire supporto all’Ucraina”, evita accuratamente qualsiasi riferimento a una futura membership ucraina.
uesto silenzio è particolarmente eloquente se confrontato con i vertici precedenti, dove l’adesione ucraina era presentata come un obiettivo strategico irrinunciabile. La realtà sul campo ha costretto i leader occidentali a una dolorosa revisione delle loro ambizioni, ma senza il coraggio di ammetterlo pubblicamente.
L’inclusione delle spese per l’Ucraina nel calcolo della spesa militare degli alleati rappresenta un espediente contabile per gonfiare artificialmente i numeri, ma tradisce anche l’accettazione implicita che il sostegno a Kiev è diventato una questione di lungo termine piuttosto che il preludio a una vittoria rapida come inizialmente promesso.
Le voci del dissenso: quando i ministri della difesa svelano il re nudo
Il più coraggioso nell’esporre le contraddizioni dell’Alleanza è stato paradossalmente un ministro di un paese fondatore: Guido Crosetto. Il ministro della Difesa italiano ha dichiarato che la NATO ha perso la sua rilevanza nella forma attuale poiché il panorama geopolitico è cambiato, affermando che “la NATO non ha più ragione di esistere”.
Le parole di Crosetto all’Università di Padova sono state di una lucidità impietosa: “Il centro del mondo non sono più USA e UE, la NATO si adegui ai temi cambiati. Se la NATO è nata per garantire la pace e la mutua difesa o diventa un’organizzazione che si prende questo compito parlando con il Sud del mondo oppure non raggiungeremo l’obiettivo di avere sicurezza all’interno di regole che valgano per tutti”.
Il ministro italiano ha inoltre sottolineato come “è morta la multilateralità. L’ONU conta come l’Europa nel mondo, niente. Meno di una nazione”. Una diagnosi che mette in discussione non solo la NATO ma l’intero sistema delle istituzioni internazionali occidentali.
nche se Crosetto ha successivamente precisato che le sue parole erano state prese fuori contesto, il fatto che un ministro della Difesa di un paese NATO abbia sentito il bisogno di esprimere pubblicamente tali dubbi rappresenta un segnale inequivocabile del malessere che attraversa l’Alleanza.
La retorica anti-cinese: quando la NATO cerca nuovi nemici
Incapace di gestire efficacemente la crisi ucraina, la NATO cerca di reinventarsi trovando nuovi nemici. Alla vigilia del vertice, Rutte ha intensificato la retorica ostile nei confronti della Cina, definendo l’espansione militare di Pechino “senza precedenti” e una minaccia diretta per l’Occidente. “Non stanno accumulando forze per parate a Pechino“, ha avvertito, preparando l’Occidente a uno scontro su due fronti: in Europa contro la Russia e in Asia contro la Cina.
Questa strategia rivela l’incapacità della NATO di comprendere le dinamiche geopolitiche contemporanee. L’idea che un’alleanza nata per la difesa del Nord Atlantico possa estendere il suo mandato fino al Pacifico appare come l’ultima fantasia di un’egemonia occidentale in declino. E’ il prevalere della NATO politica su quella militare che tanto ha nuociuto alla credibilità dell’Alleanza nel corso del tempo.
L’industria della Difesa: il vero vincitore del vertice
Se c’è un settore che ha ragione di festeggiare gli esiti del vertice dell’Aia, quello è l’industria militare transatlantica. L’impegno a “eliminare le barriere commerciali della difesa tra gli alleati” e a “sfruttare le partnership per promuovere la cooperazione industriale della difesa” rappresenta un regalo di centinaia di miliardi al comparto industriale militare europeo e statunitense, dal momento che è ovvio che dovremo continuare ad acquistare dagli Stati Uniti.
La retorica della “guerra di produzione” utilizzata da Rutte – “unite, innovate e consegnate” – trasforma la NATO da alleanza militare in cartello industriale, dove la sicurezza diventa un pretesto per trasferimenti massicci di denaro pubblico verso il settore privato della difesa.
Verso l’inevitabile irrilevanza
Il vertice dell’Aia ha messo in luce una NATO che sembra più interessata a giustificare la propria esistenza che a fornire sicurezza reale ai suoi membri. Gli obiettivi irrealistici, la dipendenza dai capricci di un presidente americano sempre più disinteressato agli affari europei, l’incapacità di adattarsi alle nuove realtà geopolitiche e la scomparsa di qualsiasi visione strategica coerente fanno della NATO del 2025 un’organizzazione in piena crisi esistenziale.
Le parole di Crosetto, per quanto successivamente attenuate, hanno il merito della sincerità: in un mondo dove il centro del potere si è spostato verso l’Asia, dove le potenze emergenti del Sud globale ridisegnano gli equilibri internazionali e dove l’Occidente rappresenta una percentuale sempre minore della popolazione e dell’economia mondiale, un’alleanza concepita per la Guerra Fredda appare effettivamente anacronistica.
Il summit dell’Aia potrebbe essere ricordato come il momento in cui la NATO ha scelto l’irrilevanza autoinflitta piuttosto che la dolorosa ma necessaria trasformazione. Come ha osservato amaramente Crosetto, “siamo passati da un mondo in cui contavano i valori a uno in cui conta il valore economico”, ma la NATO sembra essere rimasta ancorata a un passato che non tornerà più.
Comments
L'autore dell'articolo lo sa, io lo so, la maggioranza delle persone lo sa...
Il problema è che la NATO non lo sa, o non vuole saperlo.
O si deve fare o pignoni anche per questo ?
Non va bene mai niente