Riarmo: finzione o minaccia reale?
di Leonardo Mazzei
Il riarmo non si discute! Questo è il succo di quanto dichiarato da Paolo Gentiloni a Bruno Vespa. Più precisamente: il riarmo non si deve discutere. Né si possono contrappore armi e sanità, come se – proprio lui, che ha pure fatto per cinque anni il commissario europeo – non conoscesse forma e sostanza dei vincoli euristi. E affinché la discussione venga subito stoppata ecco il suo appello bipartisan:
«Dovremmo fare uno sforzo, tutte le forze politiche, per spiegare che bisogna fare questo (il riarmo, ndr), invece di trasformarlo in una battaglia politica».
Dunque, nella concezione di questo ex nobile, in gioventù extraparlamentare di ferrea fede stalinista, la politica dovrebbe parlar d’altro. Bene finché si occupa di gay pride, di terzo mandato per i presidenti di Regione, delle solite beghe sulla giustizia; male, malissimo se vuole occuparsi di politica internazionale, guerra e riarmo. Non sia mai! Quelle son cose serie che si decidono a Washington e Bruxelles.
Del resto, sempre in un’intervista col solito Vespa, nel gennaio scorso Gentiloni definiva la politica estera di Giorgia Meloni come (testuale) “una meraviglia”, dato che da settant’anni l’Italia è atlantista ed europeista, e questo governo non fa certo eccezione.
Ovvio come nelle sue parole ci sia un chiaro richiamo alla dirigenza del suo stesso partito: basta con le furberie di piazza per raccattar voti. Certo, quell’esigenza è compresa, ma non si vada oltre che qualcuno potrebbe finire per crederci davvero.
Fin qui nessuna sorpresa. Ma il richiamo all’unità nazionale, in una novella union sacrée antirussa alla quale sacrificare pure il dibattito pubblico, qualcosa ci dice. Ed è un qualcosa sul quale vale la pena di soffermarsi. Se Gentiloni esprime con chiarezza il pensiero dei dominanti e dei palazzi del potere, qualche problema c’è invece nel nostro campo, quello di chi al riarmo si oppone.
Questo problema ha un nome: sottovalutazione. Proprio l’enorme portata del piano di riarmo Nato/Ue spinge molti all’incredulità, dunque alla sottovalutazione di ciò che è realmente in gioco. Si tratta di un errore molto pericoloso.
Alcuni si oppongono al riarmo soprattutto perché vi vedono l’ennesima bolla finanziaria a tutto vantaggio dei soliti speculatori. Altri perché ne comprendono le conseguenze sul piano sociale. Altri ancora perché mossi da un rifiuto etico e morale. Tutte cose giuste e da condividere in toto. Ma spesso, troppo spesso, chi si limita a questi aspetti non vede il problema principale: la scelta di guerra compiuta in sede Nato/Ue.
In tanti denunciano infatti il piano di riarmo per poi dire subito che è irrealistico, che da qui al 2035 succederanno molte cose, che l’Ue è ormai in fase di disgregazione, che comunque l’Occidente non è più in grado di condurre una vera guerra.
Dissentiamo totalmente da queste speranzose interpretazioni dei fatti. Sfortunatamente, il piano di riarmo non è affatto irrealistico. Certo, alla prova dei fatti non tutto procederà come da cronoprogramma, ma la strada è tracciata. E in Europa c’è già un modello da seguire, quello polacco. La Polonia, che di fatto ha già raggiunto l’obiettivo del 5%, ha messo in campo un gigantesco piano di acquisti di carri armati, aerei da combattimento, missili e lanciarazzi, sistemi antiaerei e chi più ne ha più ne metta. Ma tutto questo non funzionerebbe senza un aumento parallelo degli effettivi, con il raddoppio dei soldati dai 143.500 del 2023 (anno in cui il piano di Varsavia è stato varato) ai 300mila previsti per il 2035.
Ma più ancora della Polonia, dovrebbe inquietare la Germania. A Berlino si corre in fretta e l’obiettivo è quello di una spesa militare aggiuntiva di 900 miliardi di euro da raggiungere nei prossimi anni. Qui si ragiona molto sulla riconversione industriale, tanto nel settore automobilistico (veicoli militari al posto di quelli civili), quanto in quello delle costruzioni navali (navi da guerra al posto di quelle da crociera), senza escludere quello delle telecomunicazioni, con la massima attenzione all’utilizzo del 5G a scopi bellici. Ma non basta. In Germania il dibattito sulla reintroduzione della leva è già partito, mentre i capi dell’esercito indicano la necessità di 100mila soldati in più entro il 2029.
Come facilmente prevedibile la corsa al riarmo avverrà a diverse velocità, ma avverrà. Illudersi del contrario sarebbe il peggiore degli errori. Il piano Nato/Ue non si fermerà per le sue intrinseche difficoltà. Esso si fermerà solo laddove la mobilitazione contro la guerra avrà la capacità di incidere a fondo sulle scelte politiche dei rispettivi parlamenti e governi. Non è dunque alle presunte “incapacità” dei dominanti che dobbiamo guardare, ma alla costruzione delle effettive capacità di lotta di chi si batte per la pace.
Nessuna illusione neppure sulla tempistica. Dieci anni possono sembrare tanti, ma il riarmo partirà da subito. Certo che nel tempo le cose cambieranno, ma non necessariamente in meglio. La scelta della guerra è scritta in innumerevoli documenti dell’Unione europea e della Nato: li vogliamo considerare carta straccia? Ecco un altro errore da cui guardarsi come la peste.
Senza dubbio l’Ue è da tempo in difficoltà, e la confusione che imperversa in tanti stati membri ne è la riprova. Ma alla fine, nei passaggi essenziali, l’Occidente collettivo è unito. Lo si è visto in maniera esemplare con l’unanime sostegno all’aggressione israelo-americana all’Iran. Attenti, dunque, all’idea di una Nato in crisi. Come può esserlo chi ha appena varato un piano di riarmo come quello di cui stiamo parlando? Non esageriamo, poi, sulle contraddizioni (pure ovviamente esistenti) tra le due sponde dell’Atlantico. Se Ue e Nato sono ormai indistinguibili nelle loro scelte e nei loro proclami, e se la Nato ha sì la sede a Bruxelles ma il comando effettivo a Washington, dove starebbero – al di là delle reali beghe commerciali – le divisioni strategiche tra Unione europea e Stati Uniti?
Il problema è che da più di un decennio l’Occidente ha scelto la guerra. Prima l’hanno scelta gli Usa, in piena epoca obamiana; poi l’hanno condivisa (in posizione sempre più subalterna) i caporioni europei, che la vedono fra l’altro come l’ultima carta da giocare per tenere in piedi il loro mostro liberista. Ricordiamoci sempre quanto scritto da Altiero Spinelli nel suo Diario europeo, 1948/1969:
«Per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l’Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l’Unione Sovietica, da saper fare al momento buono».
Giunti a questo punto, per le oligarchie europee la guerra è dunque una sorta di carta della disperazione. Il che non è affatto rassicurante. Anzi, questa disperazione è semmai una ragione in più per comprendere come non si stia affatto scherzando.
C’è però un’ultima obiezione, che grosso modo recita così: anche la volessero, gli europei (qualcuno si allarga agli occidentali) non sono ormai in grado di reggere una guerra convenzionale. E siccome quella nucleare è altamente sconsigliata per tutti, guerra non potrà essere in nessun caso.
E’ interessante come la mente umana riesca sempre a trovare motivi di rassicurazione anche laddove dovrebbero prevalere con punteggio tennistico quelli di preoccupazione. Naturalmente anche il più pazzo tra i pianificatori la guerra preferirebbe vincerla a tavolino, senza combatterla, semplicemente con la resa del nemico. Da qui l’illusorio “Si vis pacem para bellum”, che andrebbe tradotto in “se vuoi la pace schiaccia l’avversario rendendogli impossibile combattere”. Questo schema rassicurante (per colui che lo progetta, s’intende) ha un piccolo difetto: spesso il nemico non è disponibile alla resa.
Fortunatamente, è vero che i governi occidentali incontreranno mille difficoltà nel mobilitare le loro società in una prospettiva di guerra pienamente dispiegata. Ma difficoltà non troppo diverse le ha affrontate la Russia, che le ha parzialmente risolte solo grazie alla consapevolezza di stare combattendo una “guerra esistenziale”, cioè decisiva per la propria stessa esistenza.
Ma anche queste difficoltà potranno diventare davvero determinanti solo se incroceranno un potente movimento contro la guerra capace di incidere sulla politica, sui governi, sulla cultura, sull’intera società. In caso contrario meglio non farsi troppe illusioni.
Quello che è importante capire è che l’Occidente ha scelto la guerra. L’ha scelta per due motivi: perché non riesce a venir fuori diversamente dalla crisi della globalizzazione neoliberista, perché non vede altra risposta in grado di contrastare la spinta oggettiva verso un mondo multilaterale che non intende accettare. L’ha scelta ora per un motivo molto semplice: perché ritiene di possedere tuttora una discreta superiorità militare, destinata però ad erodersi progressivamente nel tempo.
Il riarmo Euro-Nato non è dunque uno strano accidente, capitato chissà perché. Esso è figlio di questa scelta bellicista. Che poi funga anche ad altri scopi è un altro discorso. Ma è sempre così nelle umane cose come nelle scelte politiche, che presentano in genere molti e variegati aspetti. L’importante è capire ciò che è principale (e che ha dettato quello scelta) e ciò che è secondario e derivato. Molto spesso il discorso pubblico tende a cadere proprio sul secondario per oscurare il principale. Ovvio che lo facciano i media, comprensibile che ne risenta il famoso “discorso da bar”, più preoccupante quando questa distorta visione penetra anche nei settori più consapevoli della società.
Purtroppo, il riarmo ha un suo perché. E si chiama guerra. E’ così difficile capirlo?