Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

contraddizione

La Crisi irrisolta

Quel che si cela dietro ai drammatici crolli di borsa

di Francesco Schettino

3da48b ac8cbcf13a1f450594939aead4e99fd0È un fatto tristemente noto, grazie anche alla pluralità di pellicole girate sul soggetto e, soprattutto per esperienza diretta di coloro che tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta erano almeno adolescenti, che l’eroina è una bestia feroce in grado di trasformare completamente qualsiasi essere umano sino a ridurne in fumo ogni traccia di razionalità. Questo concetto doveva essere ben chiaro anche alla classe dominante giacché, anche attraverso l’inondazione del mercato di questa immondizia, che si sostituiva alle cosiddette droghe leggere, o agli allucinogeni, ampiamente usati nella decade precedente, essa riuscì – in modo estremamente più efficace di qualsiasi altra manovra repressiva – ad infliggere un colpo mortale a quello che era restato del movimento della sinistra alternativa italiana erede della resistenza al fascismo e delle battaglie di classe di fine anni cinquanta ed inizio anni sessanta[1]. È altrettanto riconosciuto, anche grazie alla recente uscita di libri o testi sul tema, come la cocaina, droga di classe (dominante) per eccellenza, circoli abbondantemente negli ambienti della finanza ed in particolare a Wall Street, come ampiamente descritto e documentato da un recente film di Scorsese.

Dunque, droga, dipendenza e tossicomania sono elementi che, in un modo o in un altro sono connaturati al modo di produzione del capitale giacché, essendo esso stesso un meccanismo sociale che agisce alla stregua di un organismo biologico, non può esimersi dall’essere attratto da sostanze\elementi che possono generare dipendenza risollevando, nell’immediato, da fasi più o meno lunghe di crisi profonda.

Print Friendly, PDF & Email

infoaut2

Iniziata la fase B?

di Raffaele Sciortino

sdacSVFSembra ufficiale: secondo Bloomberg la prosecuzione dei cali sulle borse mondiali - i più consistenti dalla crisi dei debiti sovrani del 2011 - segna inequivocabilmente il passaggio da toro a orso, da un mercato ascendente a uno in discesa di cui non si riesce a prevedere l’atterraggio. Controprove principali: corsa all’oro come bene rifugio (faccia nascosta della moneta creata con un click del computer); acquisti a valanga di titoli di stato Usa, tedeschi, inglesi come “porti sicuri” per il risparmio anche a costo di rendimenti negativi e del gonfiamento di una nuova bolla; assicurazioni sui rischi di default (cds) in netto rialzo.

C’è di più. Fin qui il crollo dei titoli, soprattutto bancari ed energetici, veniva messo in riferimento con il ribasso del prezzo del petrolio, lo scoppio delle bolle speculative e il rallentamento dell’economia cinesi, le difficoltà delle economie emergenti colpite da ingenti fughe di capitali e svalutazioni valutarie, nonché con il pur modesto aumento dei tassi statunitensi da parte della Federal Reserve (la banca centrale). Tutto vero. Ora però viene fuori che il problema di fondo sono i profitti in calo di buona parte della maggiori corporation mondiali - ma con epicentro proprio negli States! - con prospettive ancora più fosche dato il trend negativo di investimenti e ordinativi. Con l’aggravante di livelli di indebitamento -supportati in questi anni dalle politiche monetarie “facili” delle banche centrali- che ora diventano difficili da reggere sia per le imprese sia per le banche che devono cancellare dai bilanci sempre più crediti inesigibili. Il che porta a ulteriori vendite di titoli in un circolo vizioso che si autoalimenta.

Print Friendly, PDF & Email

alfabeta

Slump

Franco Berardi Bifo

Babilonia AngersStanno suonando le trombe del giudizio? L’orizzonte economico che si presenta nel primo scorcio dell’anno 2016 suscita vivo sgomento negli osservatori. Mario Draghi ripete l’esorcismo estremo: «Whatever it takes». Ma il pericolo attuale non è più quello di un collasso finanziario come nel 2008. Il pericolo è quello di una crisi di sovrapproduzione globale, e di una stagnazione di lungo periodo. Il crollo delle borse non è che un segnale. Da sei anni le banche centrali prestano denaro a costo zero, e da un paio di anni il petrolio scende ininterrottamente. Cionostante la domanda cala, e la stagnazione persiste, si aggrava, tende a divenire recessione.

Il 10 gennaio il «New York Times» ha pubblicato un articolo di Clifford Kraus dedicato agli effetti che il calo della domanda cinese produce sull’economia globale:

«Per anni la Cina s’è ingozzata di ogni tipo di metalli e di energia perché la sua economia si espandeva rapidamente; le grandi aziende hanno ampliato aggressivamente le loro operazioni di estrazione e produzione, scommettendo sulla prospettiva che l’appetito cinese sarebbe continuato per sempre. Adesso tutto è cambiato. L’economia cinese si contrae. Le compagnie americane, che tentano disperatamente di pagare i loro debiti mentre aumentano i tassi di interesse, debbono continuare a produrre. Questo eccesso spinge i prezzi verso il basso, e colpisce le economie dipendenti dalla produzione di merci di consumo come il Brasile e il Venezuela, ma anche i paesi sviluppati come l’Australia e il Canada» (Clifford Kraus, «New York Times»: China s Hunger for Commodities Wanes, and Pain Spreads Among Producers).

Negli anni passati le grandi corporation hanno investito somme enormi nell’estrazione di petrolio, nella raffinazione dello shale gas, nelle tecnologie necessarie per il cracking, e così via. Il sistema bancario globale ha finanziato queste operazioni.

Print Friendly, PDF & Email

doppiozero

Finanza globale e politiche monetarie

Un azzardo morale?

Mauro Magatti

mercato azionario di finanza globale 387670071. È oramai largamente condivisa l'idea secondo cui se dal 2008 ad oggi – negli USA prima e più di recente nella UE – le cose non sono andate troppo male è grazie alle politiche monetarie super-espansive – che ancora qualche anno fa venivano chiamate "non convenzionali". Politiche che hanno permesso di respirare a economie anemiche.

In effetti, l' obiettivo fondamentale di tale intervento è stato quello di ricostituire un livello minimo di fiducia al di sotto del quale le imprese non investono, i consumatori non spendono, le banche non prestano. Da questo punto di vista, quanto hanno fatto le autorità monetarie in questi ultimi anni è stato fondamentale, anche se non esente da rischi. Il problema è che, come i critici hanno sostenuto, la sovraesposizione finanziaria dell'economia globale dal 2008 ad oggi non solo non si è ridotta, ma è addirittura aumentata. Il che significa che quello che Keynes chiamava il "feticcio della liquidità" – e cioè la patologia dei mercati finanziari interessati solo ai rendimenti di breve periodo – è tutt'altro che debellato: in un sistema globale in cui fluttuano enormi quantità finanziarie, ritrovare un sentiero di crescita è molto difficile dato che vi sono contemporaneamente problemi di distribuzione del reddito, di disallocazione delle risorse e di instabilità cronica.

Quel che è chiaro è che la fiducia costruita solo sull'azione della Banche centrali non basta. Le politiche espansive adottate dalla FED (e più di recente della BCE) vanno intese solo come un modo per guadagnare tempo. Il tempo necessario alla politica e alla società per far ripartire l'economia reale e delineare un nuovo modello di crescita.

Print Friendly, PDF & Email

sbilanciamoci

Cronache di un mondo indebitato

Vincenzo Comito

I. Il debito complessivo a livello mondiale ha raggiunto, a fine 2014, il livello di 200 trilioni di dollari

t2XFNL’esistenza di un rilevante livello e di una ulteriore e apparentemente inarrestabile crescita dell’indebitamento mondiale è un fenomeno molto evidente; ora, il suo collegamento, per diverse vie, alle difficoltà e al rallentamento dello sviluppo dell’economia, nei paesi sviluppati come in quelli emergenti, pone dei rilevanti problemi di analisi e suggerisce anche delle possibili linee di azione. Nelle tre puntate di questo articolo cercheremo di individuare la situazione e le prospettive di soluzione di una questione cruciale.

 

Alcuni dati di base

Già in uno scritto apparso in questo stesso sito qualche tempo fa (Comito, 2015) ricordavamo alcuni dati che danno un’idea del fenomeno; ad essi ne aggiungiamo ora degli altri, più analitici.

Nel testo citato ricordavamo, in particolare, un rapporto Mckinsey (Mckinsey, 2015) del febbraio di quest’anno, che forniva delle informazioni di base sulla situazione.

Il debito complessivo a livello mondiale aveva raggiunto alla fine del 2014 il livello di 200 trilioni di dollari, essendo aumentato di ben 57 trilioni soltanto nel periodo tra il 2007 e il 2014. La sua incidenza sul pil mondiale raggiungeva ormai alla stessa data il 286%, contro il 270% del 2007. Si ha la sensazione, peraltro ancora non ancora suffragata da dati aggiornati, che la tendenza all’aumento sia proseguita nel 2015.

Print Friendly, PDF & Email
sinistra aniticap

Economia, le coordinate della crisi in arrivo*

di Michel Husson

7059433 10805259Mentre la zona euro abbozza una fase di ripresa molto moderata, si moltiplicano i pronostici allarmisti sulla traiettoria generale dell'economia mondiale: «La crescita cinese rallenta, l'economia mondiale soffre» è, ad esempio, il titolo di Le Monde del 20 ottobre 2015. Christine Lagarde 1 elenca «le ragioni per essere inquieti sul fronte economico», e Jacques Attali 2 annuncia che «il mondo si avvicina a una grande catastrofe economica».

Cominciamo con un breve panorama della congiuntura: la crescita mondiale rallenta, principalmente nei paesi emergenti tranne l'India. Tale tendenza si alimenta con la diminuzione del prezzo delle materie prime e si trasmette ai paesi avanzati. Anche il commercio internazionale rallenta, allo stesso ritmo del PIL mondiale, come se la mondializzazione produttiva avesse raggiunto un tetto. La zona euro registra una ripresa timidissima e disuguale. Gli Stati Uniti e il Regno Unito se la cavano meglio, ma la crescita tende a rallentare in un caso e appare artificiale nell'altro.

Dal lato della «sfera finanziaria», il quantitative easing (alleggerimento quantitativo) alimenta bolle di attivi [finanziari] più che l'investimento produttivo, che stagna. E la sola prospettiva - finora respinta - di un aumento dei tassi della Fed (la banca centrale degli Stati Uniti) grava come una spada di Damocle sufficiente per destabilizzare le monete e i mercati finanziari di molti paesi. In breve, «l'incertezza e forze complesse pesano sulla crescita mondiale», per riprendere la formula del FMI nelle sue ultime prospettive3.

Print Friendly, PDF & Email
pandora

A che punto è la crisi?

di Giacomo Bottos

NASDAQ stock market displayIl modello precedente, che è entrato in crisi nel 2007 (ma si tratta di una crisi -beninteso- che non equivale alla sua fine, ma anzi, in mancanza di alternative, alla radicalizzazione delle sue logiche) ma che già negli anni precedenti aveva iniziato, a livello globale, a presentare numerose crepe, è ciò che chiamiamo neoliberismo, che a sua volta nasce a cavallo tra anni Settanta ed Ottanta. Che cos’è il neoliberismo? Un modello che nasce come reazione alla crisi del precedente sistema, industrialista e fordista, basato su un grado di compromesso tra capitale e lavoro e sull’alleanza relativa tra il capitalismo ed una democrazia sostanziale e organizzata intorno al sistema dei partiti. All’epoca andò in crisi un modello che si era realizzato in quel trentennio postbellico che i francesi chiamano trente glorieuses, che Hobsbawm indicava come «l’età dell’oro». Diversi eventi segnanarono la crisi di questo modello. Li evoco brevemente:

1. La rottura del sistema di Bretton Woods, con la decisione di Nixon di bloccare la convertibilità del dollaro in oro, cosa che rese possibile la libera fluttuazione nel mercato delle valute e pose un importante presupposto per la finanziarizzazione dell’economia.

2. Gli shock petroliferi, che causarono una crisi di redditività delle imprese da un lato e una crisi fiscale degli Stati dall’altro, alimentando contemporaneamente l’inflazione e inondando al tempo stesso il sistema finanziario internazionale di petrodollari in cerca di impieghi redditizi.

Print Friendly, PDF & Email
sbilanciamoci

Sette anni di crisi: un bilancio

di Thomas Fazi

In Europa la crisi è stata utilizzata dalle élite politico-finanziarie per sferrare il più violento attacco mai visto, dal dopoguerra ad oggi, nei confronti della democrazia, del mondo del lavoro e del welfare

embalse LOGO DSC0001All’indomani della crisi finanziaria del 2008, quando il sistema fu salvato per il rotto della cuffia solo grazie a massicci interventi di spesa in deficit da parte dei governi di tutti i paesi avanzati (dimostrando la validità dell’assioma keynesiano secondo cui l’unico strumento in grado di risollevare un’economia in recessione è la politica fiscale) furono in molti a sinistra – tra cui il sottoscritto – a credere che il neoliberismo avesse i giorni contati. Cos’era la crisi, in fondo, se non la conclamazione del suo fallimento? Come ha scritto Paul Heideman, «l’impressione al tempo era che l’era della mercatizzazione assoluta stessa volgendo alla fine, e che la crisi dei mercati avrebbe condotto inevitabilmente al ritorno di una qualche forma di nuovo keynesismo».

Come sappiamo, è accaduto l’esatto opposto. Non solo il regime neoliberale continua a godere di perfetta salute in tutti i paesi avanzati (sì, qualche tabù è stato infranto – si vedano le politiche di quantitative easing – ma solo nella misura necessaria per garantire la sopravvivenza del sistema stesso); in Europa la crisi è stata utilizzata dalle élite politico-finanziarie per sferrare il più violento attacco mai visto, dal dopoguerra ad oggi, nei confronti della democrazia, del mondo del lavoro e del welfare; e più in generale, per ristrutturare le economie e le società europee in una chiave ancor più radicalmente neoliberista di quella esistente. «Una distruzione creatrice – ha scritto Alberto Burgio – finalizzata alla sostituzione del modello sociale postbellico (il capitalismo democratico incentrato sul welfare pubblico e sulla riduzione delle sperequazioni in un’ottica inclusiva) con un modello oligarchico (post­democratico) affidato alla “giustizia dei mercati globali” e caratterizzato dal binomio povertà pubblica-ricchezza privata».

Print Friendly, PDF & Email
sole24ore

Perché la Fed rischia di finire nella trappola del Quantitative Easing

Francesco Lenzi

33d65b4Con la frase “sarà probabilmente appropriato alzare il livello obiettivo dei tassi d’interesse federali entro la fine dell’anno” Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, pare aver tolto ogni dubbio sul fatto che ci stiamo avvicinando al primo rialzo dei tassi d’interesse negli Stati Uniti. Sono passati circa 6 anni da quando vennero fissati allo 0-0,25% per far uscire il gigante americano dalle secche della Grande Recessione.

Da allora la prima economia del mondo è riuscita a recuperare quasi interamente i posti di lavoro persi, anche se non è riuscita a riavvicinarsi ai ritmi di sviluppo avuti negli anni precedenti al crollo della Lehman Brothers. Dalle parole della Yellen l’abbandono dei tassi a zero sembra pertanto giustificato dal fatto che, con l’occupazione vicina al pieno impiego e l’attività economica in fase di recupero, l’inflazione potrebbe tornare a far capolino. La “normalizzazione” della politica monetaria avrebbe anche lo scopo di contrastare il pericolo di formazione di “bolle” finanziarie, visto il lungo periodo trascorso con tassi a zero e continue immissioni di liquidità.

Però, se dopo i ripetuti messaggi del board della Fed è ragionevole attendersi il molto annunciato rialzo dei tassi e un progressivo percorso di normalizzazione della politica monetaria statunitense, l’analisi del modo in cui i mercati hanno anticipato questa decisione e l’economia globale sta attualmente reagendo porta a conclusioni non più così scontate.

Print Friendly, PDF & Email
euronomade

Cronicizzazione della crisi e trasformazioni della governance europea*

Christian Marazzi

cropped laura tedeschi tristezza malinconia gHo come l’impressione che siamo entrati in una seconda crisi della regione Europa e sento la necessità di adottare un approccio indiziario per osservare la direzione che possiamo o dobbiamo intraprendere, allo stesso modo di come il cacciatore osserva la piuma d’uccello sul cespuglio per capire da che parte andare. Ad agosto mi sembra sia successo qualcosa che abbia a che fare con la fine di un ciclo: mi sembra che la crisi cinese dichiari la fine di quella forma che il capitalismo ha assunto negli ultimi trent’anni e che è stata definita impero, dove la colonizzazione della concorrenza, del mercato e della finanziarizzazione ha dispiegato dei confini senza un oltre, senza un fuori. Il lavoro di Michael Hardt e Toni Negri ha sottolineato la materializzazione di questa ragione imperiale che la crisi cinese sembra segni la fine dei suoi equilibri geopolitici, economici e finanziari.

La Cina, dopo forti investimenti nel settore immobiliare e dell’export – che hanno giovato non poco all’occidente in questi anni – e politiche espansive che hanno spinto verso la finanziarizzazione, da quanto si riesce a intuire vive una forte riduzione della crescita e delle esportazioni. Proprio per far fronte a questa situazione, il 12 agosto 2015 il renminbi è stato svalutato (un gesto salutato positivamente dal Fmi, considerato il primo passo per far entrare questa valuta nel novero dei diritti speciali di prelievo) e, per contenere questa svalutazione, gli stessi cinesi hanno venduto qualcosa come cento miliardi di buoni del tesoro americani. Ecco la piuma dell’uccello, ecco l’indizio.

Il flusso di risparmio dal Giappone e dalla Germania verso gli US negli anni Settanta, a cui è subentrata la Cina, ha permesso agli Stati Uniti di sviluppare forme di post-industrializzazione attraverso la finanziarizzazione e, allo stesso tempo, ha reso possibile a questi paesi di concentrarsi sulla crescita economica e una produzione orientata all’esportazione.

Print Friendly, PDF & Email
infoaut2

Crash tutto cinese?

di Raffaele Sciortino

China Meltdown 620x461Difficile ad oggi prevedere se il crollo della borsa cinese, che ha trascinato con sé le correzioni delle borse mondiali, sia l’innesco di una precipitazione della crisi globale dopo la pausa, economica in realtà più che geopolitica, degli ultimi due, tre anni. In ogni caso ne rappresenta un passaggio di fase: non solo la Cina sempre meno può, e vuole, fare da volano per un Occidente in prolungata stagnazione, ma si approssima un secco redde rationem sui circuiti di debito globali. Detto in altro modo: tende ad alzarsi il livello dello scontro sullo scarico dei costi della crisi a partire dagli scricchiolii del disequilibrio bilanciato1 Usa/Cina perno finora della globalizzazione.

Presentiamo di seguito alcune provvisorie ipotesi di lettura e inquadramento degli sviluppi in corso tentando innanzitutto una lettura non scissa tra dimensione “interna” cinese ed “esterna”. Tutto all’opposto della narrazione, di netto segno politico, che va imponendosi in Occidente dove -dopo anni di idiozie giornalistiche sullo scontato “sorpasso” del Dragone ai danni degli Usa- come d’incanto si riscoprono ora i nodi irrisolti dello sviluppo capitalistico cinese (!) per ingiungere a Pechino i compiti da svolgere pena la messa a rischio dell’economia mondiale.

Primo. La svalutazione agostana dello yuan secondo la narrazione corrente sarebbe stata la risposta al rallentamento dell’economia cinese che ha “naturalmente” innescato il crollo di borsa. Risposta “disperata” (addirittura!), comunque “scorretta” (come se gli stati occidentali in questi anni non avessero socializzato le immani perdite dei mercati…).

Print Friendly, PDF & Email
euronomade

La ‘cronicizzazione’ della crisi e la necessità di costruire coalizioni sociali

Alberto De Nicola e Biagio Quattrocchi

Appunti per una discussione a venire, a partire dalla giornata seminariale dell’11 settembre nella Scuola estiva di Euronomade

08 etica bioetica economia bannerDa più parti si discute sul fenomeno di sostanziale cronicizzazione della crisi capitalistica in Europa. Intendiamo riprendere questo tema nelle nostre giornate della scuola estiva, per tornare a discutere sulla nozione di crisi e sull’ipotesi che questa congiuntura, più che essere interpretata come una fase ciclica che apre ad un nuova stagione di espansione, sembra contenere invece tutti gli elementi di una “nuova forma di regolazione” di lungo periodo del sistema capitalistico. Sorprende che alcuni economisti del mainstream marginalista, anche negli ambienti da cui più direttamente sono provenute le ricette di politica economica centrate sulla austerità di bilancio e la liberalizzazione dei fattori nel mercato del lavoro, sia nata la preoccupazione sul futuro dello sviluppo capitalistico. Lawrence Summers alla conferenza annuale del Fmi nel 2013 suggerisce l’ipotesi che l’economia statunitense in modo particolare, si stia avviando lungo un sentiero di “stagnazione secolare”, aggiungendo che questa potrebbe essere la «questione [principale] del nostro tempo» . Ciò che questi economisti, insieme a tutte le altre teste d’uovo dell’establishment europeo non potranno mai vedere, è che alla base dell’ipotesi realistica della “stagnazione secolare” opera una radicale trasformazione del rapporto sociale capitalistico, maturata lungo il ciclo neoliberale.

Print Friendly, PDF & Email
inchiesta

La crisi globale e la Pizia cinese

Cronaca di un’estate torrida

Angela Pascucci

o CRISI CINA facebookAlla fine è arrivato Capitan America sfoderando un tasso di crescita dell’economia Usa che nessuno si aspettava e il rinvio dell’aumento dei tassi di interesse, e i foschi cinesi sono rientrati nei ranghi facendo quello che tutti si aspettavano dovessero fare, pompare soldi nel loro sistema spompato. Le Borse mondiali hanno rimbalzato di sollievo agguantando i rialzi, la “tempesta perfetta” si è dissolta. Fino al prossimo round che, a leggere bene le cronache economiche rosa del giorno dopo, è acquattato dietro l’angolo.

Ragion per cui l’immagine più vera  di questa torrida estate di crisi finanziaria resta una sola. Quella di un mondo che, entrato nella seconda fase della grande crisi economica deflagrata nel 2008, non ha ancora capito a che santo votarsi per arginarla. Il disorientamento globale è tale infatti da far apparire surreale, anche alla luce del poi, il  raccomandarsi spasmodico alla Cina che nella circostanza è apparsa anch’essa come una Pizia traballante sul suo trespolo fumoso, dal quale nei momenti più critici ha lanciato rimedi, senza apparentemente rendersi conto di dove sarebbero andati a parare.

Breve riassunto. Alle prime avvisaglie di squasso in Borsa, il governo di Pechino prima interviene massicciamente per bloccare il crollo, poi lascia andare rendendosi conto che frenare il panico di 90 milioni di piccoli azionisti incoraggiati dal governo stesso a entrare  nel recinto dei razziatori di professione è come andare contro la forza di gravità, e soprattutto in quel momento non servirà a ridare fiato all’economia in panne.

Print Friendly, PDF & Email
nuovasocieta

La ripresa Usa: una tigre di carta?

Prodromi di una nuova crisi globale

di Lorenzo Carrieri

usaUltimamente sono molti gli articoli che parlano di una crescita dell’economia degli Stati Uniti, che avrebbe ripreso a crescere a ritmi costanti nel corso degli ultimi anni: negli ultimi trimestri si è addirittura sentito parlare di livelli di crescita compresi tra il 4% e il 5%.

Ma quanti di questi dati hanno un legame con l’economia reale, ergo con aumento occupazionale e produttività industriale, spesa in beni di consumo e redistribuzione della ricchezza?

A scandagliare e comparare i grafici sulla crescita si notano diverse cose interessante.
Primo, stando ai dato del Bureau of Labor Statistics il 20% delle famiglie americane è composto da tutti disoccupati: come fa dunque il tasso di disoccupazione a stare all’attuale 5,5%?

L’errore della narrativa imperante qui sta nei filtri usati per calcolare i disoccupati: calcolare solo i disoccupati ufficiali, quelli che si mettono alla ricerca di un nuovo lavoro e/o quelli che lo cercano fino a 4 settimane dopo la perdita, trascurando coloro che sono inoccupati di lungo corso.

In tal modo la descrizione della composizione della forza lavoro viene sempre più a restringersi, evitando in tal modo di approfondire la profondità reale della crisi sociale americana.

Altro cosa da sottolineare: l’aumento di posti di lavoro non considera l’aspetto contrattuale dello stesso rapporto: dai dati del BLS risulta che quasi il 90% delle nuove posizioni sono solo part-time (dai 3 ai 6 mesi di contratto, assunti per lo più nella ristorazione e nei fast-food, dove la busta paga settimanale è di 351$…), mentre quasi 250mila posizioni full-time sono andate perdute.

Print Friendly, PDF & Email
controlacrisi

Il mal cinese si chiama capitalismo

di Domenico Moro

crisi opportunitaLa crisi borsistica della Cina e dei cosiddetti emergenti sta destando grande preoccupazione in Europa e negli Usa. Non si tratta di una crisi puramente finanziaria. Dietro il crollo delle borse c’è il calo maggiore in sei anni e mezzo dell’indice della produzione manifatturiera, il crollo dell’export del -7,3% nei primi sette mesi del 2015 rispetto all’anno scorso, e il drastico rallentamento della crescita del Pil della Cina, ormai la seconda economia del mondo di cui negli ultimi anni è stata la vera locomotiva.

Insomma, quella che si profila non è soltanto una possibile crisi della Cina, del Brasile e degli altri emergenti. Si sta profilando un rallentamento, se non una crisi, della globalizzazione e il rischio che si verifichi un secondo e più devastante secondo tempo della crisi iniziata nel 2007-2008, con lo scoppio della bolla dei mutui, che ebbe come epicentro gli Usa. Gli effetti della crisi dei mutui si estesero a tutto il centro più sviluppato dell’economia mondiale, oltre agli Usa, all’Europa occidentale e al Giappone. A distanza di otto anni non si è ancora verificata alcuna completa “recovery” in questa parte dell’economia mondiale. Nonostante i reiterati Quantitative easing, cioè l’immissione di massicce dosi di liquidità da parte delle banche centrali, nei casi migliori il tasso di crescita del Pil è ancora al di sotto di quello potenziale, e nei casi peggiori (in Italia e nella maggior parte dell’area euro) la crescita è nulla e il Pil reale rimane ancora al di sotto del livello del 2007.

Print Friendly, PDF & Email
effimera

L’angelo sterminatore*

di Franco Berardi (Bifo)

Introduzione/Prefazione a Diario della crisi infinita (ombre corte) di Christian Marazzi

antonella incorvaia tristezza della luna gQuesto libro di Christian Marazzi non è solo un diario dell’involuzione “austeritaria” che sta distruggendo la società europea, è anche un’indagine sugli effetti della piena realizzazione di un modello che lo stesso Marazzi aveva cominciato a delineare venti anni fa, ne Il posto dei calzini[1].

Nel 1994 quel libro anticipava gli effetti dell’integrazione linguistica dei processi produttivi, e al tempo stesso cartografava concettualmente il duplice mutamento che la svolta linguistica del capitale comporta.

Il primo aspetto del mutamento consiste nella sussunzione della dimensione comunicativa, affettiva, relazionale all’interno del processo di valorizzazione. Il secondo aspetto è la transizione che porta il denaro ad assumere sempre più una funzione pragmatica in quel ciclo della comunicazione umana che siamo abituati a chiamare “economia”.

A partire dagli anni Novanta, la ricerca di Marazzi converge con la ricerca di quei filosofi del linguaggio che cercano di capire come il verbo si faccia carne, primo tra tutti, naturalmente Paolo Virno.

Il denaro è un caso particolare ma anche esemplare del farsi carne del linguaggio, ovvero del farsi merce del segno monetario. Lo sviluppo di questa analogia tra denaro e segno linguistico ci ha portato però molto lontano. Vediamo dove.

Print Friendly, PDF & Email
ilcosa

Sette lezioni critiche e la teoria del meno peggio

di Turi Comito

GodMoneyA otto anni dall'inizio della Grande Crisi del nuovo millennio credo si possa fare un breve sommario dei principali effetti, diretti e collaterali, che questa ha comportato per un pezzo di mondo (quello dell'Europa Occidentale in primis) dal punto di vista economico, sociale e politico.
Ho chiamato questo sommario "lezioni" ma è solo un promemoria senza pretese di completezza, giusto per riepilogare alcune cose (tra le tante) riepilogabili.

 

1. La Crisi nasce negli Stati uniticome collasso del sistema finanziario privato dovuto all'ennesima bolla immobiliare. Banche dedite al prestito facile, alle stregonerie mobiliari (CDS, subprime, ecc.), agli investimenti d'azzardo e via dicendo crollano sotto il peso di crediti inesigibili e falliscono - creando disoccupazione, distruzione di ricchezza privata, impoverimento di milioni di persone - oppure (nella maggior parte dei casi) vengono salvate dalle finanze pubbliche, cioè dallo Stato, attraverso tassazioni supplementari per i propri cittadini o (come nel caso statunitense) attraverso una super produzione di moneta.

Print Friendly, PDF & Email
effimera

Gli anfratti inermi del potere

Dialoghi e pensieri su “Diario della crisi infinita” di Christian Marazzi

di Francesca Coin e Stefano Lucarelli

aziende crisiScriveva Deleuze:

“quando scrivo su un autore il mio ideale sarebbe di riuscire a non dire nulla che potesse rattristarlo… pensare a lui, all’autore sul quale si scrive. Pensare a lui con tanta forza che non possa più essere un oggetto e che non sia neanche più possibile identificarsi con lui. Evitare la doppia ignominia dell’erudizione e della familiarità. Restituire a un autore un po’ di quella gioia, di quella forza, di quella vita politica e di amore che lui ha saputo donare, inventare” (Dialogues, 1977).

È con questo spirito che ci accingiamo a scrivere qualcosa sull’ultimo testo di Christian Marazzi, Diario della crisi infinita (Ombre Corte, 2015), un testo denso e articolato di cui ci piacerebbe provare a restituire almeno un po’ della forza e della vita politica che lo impregna.

Dobbiamo iniziare con una domanda. Più volte durante la lettura ci siamo chiesti, infatti, quanti economisti, in quest’epoca, potrebbero pubblicare una collezione di testi scritti in anticipo sull’oggi. Quante volte, in altre parole, sarebbe possibile mettere alla prova della storia le proprie previsioni senza esserne imbarazzati. L’origine di questa domanda sta nella prima caratteristica spiazzante del testo: Marazzi è stato in grado di anticipare già anni addietro, precisamente, i nodi con cui si confronta il presente, a descrivere non un semplice diario – forse il titolo è troppo modesto – ma una sorta di dissezione, implacabile e ossessiva, di ogni particolare della crisi, nel tentativo di offrire, con precisione tanto raffinata quanto a volte dolorosa, una mappatura ad uso sovversivo di quella che egli stesso, in una bella intervista con Gigi Roggero, ha definito “la guerra diffusa della crisi”.

Print Friendly, PDF & Email
popoff

Cosa sta succedendo in Cina?

di Eduardo Garzòn

La seconda economia planetaria colpita da una storica e preoccupante bolla speculativa con conseguenze difficili da pronosticare

bolla speculativa cinaLa storica caduta della borsa cinese dovrebbe preoccupare molto di più di quanto stia avvenendo. In fondo stiamo parlando della seconda economia più grande a livello internazionale, una delle poche al mondo che in anni di crisi economica internazionale ha continuato a crescere a ritmi elevati e agendo da locomotrice per buona parte del pianeta, e che ha un potenziale di destabilizzazione per l’economia mondiale decine di volte superiore a quello della Grecia.

Tutto è iniziato alla fine dell’anno scorso. Il governo cinese, abituato a tassi di crescita economica travolgenti, non vide di buon occhio che l’economia cinese stesse rallentando nell’anno 2014 (segnò la sua crescita più bassa degli ultimi 25 anni), così ideò un piano per dare impulso alla crescita: iniezioni statali di enormi quantità di capitale alle borse con il fine di apportare alle imprese già molto indebitate nuove fonti di finanziamento. L’obiettivo era che gli indici di borsa, stagnanti dal 2009, aumentassero in forma graduale ma costante. Tuttavia quello che hanno ottenuto è stato l’inizio di un rally del mercato azionario che ha creato una delle più grandi bolle nella storia.

Ciò che sicuramente non saputo ben valutare il governo cinese è stato l’impatto che il contesto internazionale avrebbe avuto sulle sue borse. Per farla breve, alla fine del 2014 la Banca Centrale Europea (Bce) già stava tessendo la sua nuova strategia di espansione quantitativa, il Quantitative easing, consistito nell’inondare i mercati finanziari di denaro per stimolare l’economia europea.

Print Friendly, PDF & Email
doppiozero

Diario della crisi infinita

La crisi come forma permanente di accumulazione e di comando capitalistico

Cristina Morini

morini marazzi 6 luglio 2015 boteroParafrasando liberamente il disinvolto e cinico Gordon Gekko del vecchio film Wall Street di Oliver Stone, “al massimo settantacinque persone in tutto il mondo” riescono a comprendere che cosa stia capitando davvero nel sistema economico globale. Nella grande con-fusione tra capitale e stato, cioè di fronte al dominio diretto del potere economico e finanziario sui processi della decisione politica e perfino sulle ragioni dell’etica, si genera un senso – puramente emotivo e intuitivo – di vertigine e di assedio. In un certo senso, la violenza strutturale dei meccanismi dell’economia contemporanea sfugge alle categorie della politica ma non a quelle del corpo-mente. Così, seguendo quella che si potrebbe definire un’ispirazione foucaultiana, il potere che ci mette in difficoltà con la crisi, la precarietà, il debito, noi lo sentiamo prima di tutto con i nostri corpi, attraverso i riverberi che si riflettono sulle nostre vite.

Il sentimento prevalente del nostro tempo è, dunque, la percezione, indistinta e soffocante, di un “divenire mondo del capitale attraverso gli strumenti della governamentalità neoliberista”, per usare un’efficace immagine di Dardot e Laval tratta dal loro ultimo libro Del comune o della rivoluzione del XXI secolo (DeriveApprodi 2015), ovvero “la sensazione che non si possa più uscire da tale cosmo”. I discorsi “morali” che, a volte, vediamo dipanarsi a partire dalla descrizione delle nuove forme dell’organizzazione economica mondiale connessa alla crisi permanente, non riescono a rappresentare una difesa utile. Da questo punto di vista, non ha grande senso il rimpianto per l’età dell’oro del fabbrichismo, dell’economia “reale”, fondata su beni materiali e tangibili e contrapposta a una presunta, imprendibile e forviante, produzione “immateriale” contemporanea, che tutto avrebbe scombinato e corrotto. Tracciare una linea netta è pressoché impossibile, dovendo, tuttavia, tenere presente l’aspetto nullificante della convenzione finanziaria che sta alla base dell’intero processo: “Il vecchio modello industriale di accumulazione era fondato sul ciclo Denaro-Merce-più Denaro. Il nuovo modello di accumulazione sembra fondato sul ciclo Denaro-Predazione-più Denaro, che implica però una conseguenza: Denaro-Impoverimento sociale-Più denaro [...]. Come attrattore e distruttore di futuro, il capitalismo finanziario cattura energie e risorse trasformandole in astrazione monetaria, cioè in nulla” (Franco Berardi, prefazione a Diario della crisi infinita di Christian Marazzi, ombre corte).

Print Friendly, PDF & Email
militant

Il paradosso capitalista in due numeri

Militant

roboticautomazionefabbricaSe i capitalisti, presi singolarmente, non agiscono in termini razionali (in riferimento al sistema produttivo generale, s’intende), il capitalismo nel suo complesso sa descriversi molto bene. La voce del padrone, a volte, riesce ad illuminare meglio delle esegesi proletarie. L’assunto apparso sul Corriere di giovedì scorso sembra confermare questo dato. In un articolo di tal Roberto Sommella, si legge questa frase, buttata là per dimostrare una cosa che in realtà ne dimostra una opposta: “Apple quest’anno può guadagnare 88 miliardi di euro occupando 92.600 persone, mentre negli Anni 60 General Motors raggiungeva i 7 miliardi di dollari di ricavi dando un salario a 600.000 dipendenti.” Sembra una banalità, invece è esattamente qui il cuore della crisi capitalista, la contraddizione principale tale per cui le crisi, nell’attuale sistema produttivo, sono cicliche e mai risolte una volta per tutte. La natura borghese della riflessione del commentatore del Corriere impedisce però di trarne la giusta conclusione (una volta si sarebbe detto: la sua falsa coscienza necessaria che crede di scovare l’inghippo invece continua a non capirlo). Secondo Sommella, infatti, criticando tale forma produttiva di “crescita senza lavoro”, afferma che ormai, nel capitalismo digitale, questo riesce a generare profitti senza creare posti di lavoro (di qui alla conseguenza implicita subordinata, cioè che i capitali riescono a rigenerarsi senza mano d’opera lavorativa, il passo è brevissimo e già compiuto nella testa dell’articolista).

Print Friendly, PDF & Email
controlacrisi

La crisi, vera e falsa contraddizione del mondo contemporaneo

di Alain Badiou

maturita leninLa modernità è prima di tutto una realtà negativa. Effettivamente si tratta di una rottura con la tradizione. È la fine del vecchio mondo di caste, nobiltà, obblighi di carattere religioso, riti giovanili di iniziazione, mitologia locale, sottomissione delle donne, potere assoluto del padre sui suoi figli, e divisione ufficiale tra un piccolo gruppo di governanti e una massa condannata di lavoratori. Nulla può spingere questo movimento indietro – un movimento che, evidentemente, è iniziato in Occidente con il Rinascimento, si è consolidato con l’Illuminismo del XVIII secolo e poi materializzato nelle innovazioni senza precedenti nelle tecniche di produzione e nel costante affinamento dei mezzi di misurazione, di circolazione e di comunicazione.

Forse il punto più sorprendente è che questa rottura con il mondo della tradizione, questo vero e proprio tornado che si abbatte sul l’umanità – quello che in appena tre secoli ha spazzato via forme di organizzazione che duravano da millenni – crea una crisi soggettiva le cui cause e portata sono evidenti , e uno dei cui aspetti più rilevanti è la difficoltà estrema e crescente che i giovani, in particolare, affrontano nel trovare un posto in questo nuovo mondo.

Print Friendly, PDF & Email
alfabeta

Sull’uso capitalistico della crisi

Stefano Lucarelli

4 Lavoro CrisiLa crisi messa a valore. Scenari geopolitici e la composizione da costruire, a cura di Commoware, Effimera e Unipop, raccoglie gli interventi sviluppatisi, prima, durante e dopo, due intense giornate dello scorso novembre tenutesi presso il Centro sociale Cantiere e lo Spazio di Mutuo Soccorso a Milano. L’occupazione dei luoghi conta, guardarsi in faccia è importante, discutere senza bastare a sé stessi e senza ridurre l’altro a una “tiro a segni” è possibile; altrimenti “la ricomposizione delle lotte... animate da soggettività diverse” rimane un pensiero lontano, un’eco mentale.

Oggi La crisi messa a valore è un ebook liberamente scaricabile dal web, concepito in un tempo che precede l’attentato parigino a Charlie Hebdo e le elezioni greche (di cui però tiene conto il dialogo fra Gigi Roggero e Christian Marazzi). “L’incapacità di fare i conti con la diversità della composizione di classe, l’ansia di armonizzare che ha come contropartita la riduzione della possibilità di produrre innovazione”, sono i due fuochi attorno ai quali si sviluppano ipotesi e narrazioni di esperienze concrete, oltre che riletture anche critiche delle categorie e delle pratiche politiche messe in campo in questi tempi duri. Leggendo si cerca di riprender fiato per uscire dall’oceano di crisi nel quale si è naufragati, fra colpi di reni insufficienti a risalire, piedi che sbattono e corpi che si agitano in un’acqua melmosa in cerca delle correnti amiche.

Print Friendly, PDF & Email
contropiano2

BoT a zero, in attesa del grande botto

di Claudio Conti

In calce articoli di Plateroti dal Sole24Ore e di Martin Wolf dal Financial Times

f09bd802f5d0fd57f7d1b97ed69d8343 lLa notizia è da prima pagina. Ma siccome nessuno sa bene come trattarla quasi tutti spingono il tasto “ottimismo” e fanno finta di non vedere l'altra faccia della medaglia.

Partiamo dunque dalla notizia semplice semplice: ieri il ministero del Tesoro (ora accorpato a quello dell'Economia) ha collocato BoT a scadenza di sei mesi a un tasso di interesse pari a zero. In pratica, il Tesoro chiede un prestito sui mercati e tra sei mesi non pagherà nulla come “retribuzione del capitale”, limitandosi a restituire la cifra ricevuta.

L'Italia non è l'unico paese europeo a godere di questa eccezionale situazione finanziaria. Tutti i paesi del Nord Europa (Germania, Olanda, Finlandia, ecc), più paesi fuori dell'euro come Svizzera, Svezia e Danimarca, sono da qualche mese in una situazione ancora migliore perché possono addirittra restituire meno di quel che hanno ricevuto in prestito, visto che pagano interessi sia pur infinitesimamente negativi: -0,2%.

Se si spinge il tasto “evviva” il quadro è splendido: un paese in queste condizioni può rifinanziare il proprio debito gratis, o addirittura guadagnandoci, togliendo così un peso enorme dai conti pubblici (chiamato “servizio del debito”, ossia interessi).

Print Friendly, PDF & Email
micromega

Crisi, quando a crescere è solo la stagnazione

di Marco Bertorello

stagnazione economica bertorello 510Come un mantra il governo ripete che siamo in ripresa economica, in realtà – dati alla mano – la crescita è minima e sul tesoretto a disposizione si sta aprendo un gran dibattito mediatico e popolare su come utilizzarlo. Ma quello in corso è davvero un nuovo inizio oppure siamo ancora in fondo al tunnel, con la luce sempre lontana?

 

Quell'araba fenice della crescita

Non tutti si accodano al coro enfatico sul ritorno della ripresa1. Il Sole 24 Ore, ad esempio, commentando i recenti dati dell'Istat e del Centro studi di Confindustria sulla produzione (-0.2% a febbraio su base annua e +0,1% a marzo rispetto al mese precedente), scriveva che la ripresa «per l'economia italiana, assomiglia in modo preoccupante alla descrizione fatta dallo scrittore Edoardo Galeano a proposito dell'utopia: “Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là»2. Insomma i risicati decimali positivi o negativi non ci dicono un bel niente se non vengono contestualizzati in una serie di lungo periodo e soprattutto se non vengono incasellati nel quadro generale dell'economia mondiale.