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sinistra

L'esaurimento dell'attuale fase storica del capitalismo

di Guglielmo Carchedi

nottambulimostra1Una tesi fondamentale per la teoria della storia e della rivoluzione di Marx è che “Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso” (Per la Critica dell’economia politica, prefazione). Ora, se il marxismo è una scienza, ciò deve essere verificato empiricamente. Ma questa verifica è importante anche per un altro motivo. Come dice Gramsci, “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. (Quaderni del carcere , «Ondata di materialismo» e «crisi di autorità», volume I, quaderno 3, p. 311, scritto intorno al 1930). La verifica empirica ci permette anche di capire perché e soprattutto come il vecchio muore.

Nella fase storica attuale – e cioè dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi – il capitalismo incontra un limite sempre più insormontabile a causa della contraddizione tra la crescita della forza produttiva del lavoro da una parte e il rapporto di produzione, quello tra lavoro e capitale, dall’altra. Questa contraddizione si sta facendo sempre più dirompete e il capitalismo sta esaurendo le sue capacità di svilupparsi nel contesto di questa fase storica. La forma concreta presa da questa contraddizione, da questa sua crescente incapacità di svilupparsi, sono le crisi sempre più violente.

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sinistra

Capitalismo 2016. L’anno più nero dal 20091

di Antonio Carlo

1) Tutto peggiora: a) PIL inadeguato; b) disoccupazione incurabile; c) banche sull’orlo del baratro; d) diseguaglianze ingovernabili; e) mercato e commercio mondiale in crisi; 2) Segue: f) gli scandali fiscali; g) la guerra dei tassi bancari; h) l’emigrazione; i) il fallimento del G20 cinese e la debolezza dei poteri forti (e occulti); 3) Gli USA verso la stagnazione; 4) Cina e Giappone: declino senza ritorno; 5) L’Europa e la Brexit. L’inizio della fine; 6) Italia: finisce la farsa del governo Renzi; 7) Crisi economica e crisi politica. Impotenza e dissoluzione delle democrazie occidentali. USA verso un’esplosione socio-politica?

Capital garbage crisis1) Tutto peggiora: a) PIL inadeguato; b) disoccupazione incurabile; c) banche sull’orlo del baratro; d) diseguaglianze ingovernabili; e) mercato e commercio mondiale in crisi.

A) PIL inadeguato. L’anno scorso la signora Lagarde in un’intervista affermò che la crescita del PIL mondiale era mediocre e tale sarebbe rimasta fino al 2020, dopo non era dato sapere cosa sarebbe accaduto2. Quest’anno l’elegantissima signora ha espresso posizioni analoghe3, di rincalzo la capo economista dell’OCSE, signora Mann, ha detto che siamo prigionieri di una crescita bassa e per il 2016 la previsione è ridotta al 2,9% (precedente 3,1%)4. Non ci si azzarda a parlare di stagnazione secolare come fa Larry Summers (e non solo lui), ma il concetto è sostanzialmente simile, si cresce poco e male: la tabella che segue basata sui dati del FMI, evidenzia come i sette grandi (G7), che hanno nelle loro mani il grosso della produzione mondiale con una frazione modesta della popolazione, siano sostanzialmente al ristagno.

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alfabeta

Il populismo al tempo degli algoritmi / 2

Il diciassette che viene

Franco Berardi Bifo

popolo populismiIl crollo interminabile

Molti segnali di aggravamento della crisi sociale e di stagnazione irreversibile dell’economia sembrano annunciarlo: il diciassette che viene coinciderà probabilmente con una precipitazione globale. Il ceto finanzista globale ha reagito ai segnali rincarando la dose: l’aggressione golpista contro i governi latino-americani colpevoli di aver resistito al diktat finanziario, l’imposizione violenta del Jobs-act in Francia, la ferrea applicazione del Fiscal compact che ha già strangolato la società greca e sta finendo di strangolare l’Italia, la Spagna e la Francia. Ma il cavallo non beve, la ripresa cento volte annunciata non viene, e un’ondata anti-globalista, anti-europea, implicitamente quando non esplicitamente razzista, è ormai maggioritaria nel mondo bianco: America Europa e Russia unite nella guerra.

In assenza di una soggettività progettuale capace di ricomporre i processi sociali secondo un modello diverso da quello che si sta decomponendo, il crollo del capitalismo può essere interminabile e infinitamente distruttivo. Questa soggettività, che nel ventesimo secolo si riconobbe nel movimento operaio, oggi appare disgregata fino al punto che non riusciamo a intravedere possibili linee di ricomposizione.

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pierluigifagan

Andando incontro alla tempesta, senza mappe e bussole, litigando, in un vascello di cui non abbiamo il timone

di Pierluigi Fagan

giu10 21. Tra coloro che si trovano nella poco invidiabile condizione espressa nel titolo, c’è un gruppo di persone che nella loro vita hanno desiderato, sognato, immaginato un modo di stare al mondo in cui all’interno dei gruppi umani, grandi e piccoli, la differenza umana non si ordinasse attraverso una gerarchia fissa, il dominio sistematico di alcuni umani su altri. Questo sentimento sociale che chiamiamo sentimento d’uguaglianza, ha preso varie forme nella storia: piccole comunità religiose, produttive, militari, politiche, guidate dal principio d’uguaglianza. Nella grandi comunità, è stato molto più difficile trovare la forma che tende all’uguaglianza del potere sociale tra individui e la sua ricerca, ha preso per lo più la forma della rivolta a qualche odiosa condizione di sudditanza. Molte di queste rivolte sono poi state soffocate o normalizzate. In qualche raro caso, sono arrivate a conseguire il potere generale della comunità ma purtroppo, hanno poi subito una trasformazione che le ha portate a replicare, magari cambiando i segni della rappresentazione sociale sul solo piano formale, il potere dei pochi su i molti.

Questo sentimento di uguaglianza è non solo esteso a tutto il tempo umano ma anche a tutto il suo spazio, lo si può dire con cautela su i precisi confini della sua consistenza, forse, un universale. Probabilmente, si basa su un dispositivo di logica individuale naturale.

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blackblog

Il capitalismo finirà, o può essere riformato?

di Michael Roberts

streeck4Questo mese sono arrivati due nuovi libri sul capitalismo. Il primo è di Wolfgang Streeck ed è intitolato "How will capitalism end?" (Come finirà il capitalismo?). Wolfgang Streeck è il direttore emerito del Max Planck Istitute per la Ricerca Sociale, a Colonia, ed è professore di Sociologia all'Università di Colonia. È anche membro onorario della Society for the Advancement of Socio-Economics e membro della Berlin Brandenburg Academy of Sciences oltre che dell'Academia European. Insomma, il punto di vista di Streeck ha un qualche peso, sufficiente per essere recensito da Martin Wolf sul Financial Time.

La tesi di Streeck, come suggerisce il titolo, è quella che il capitalismo è un sistema che sta arrivando alla fine e che la sua scomparsa non è poi così lontana. Il libro comincia riferendosi ad un altro libro, intitolato "Does capitalism have a future?" (Il capitalismo ha un futuro?), in cui viene espresso il punto di vista di altri cinque scienziati sociali;  Immanuel Wallenstein, Randall Collins, Michael Mann, Georg Derluguian e Craig Calhoun. Come dice Streeck, tutti questi studiosi concordano sul fatto che il capitalismo si sta dirigendo verso una crisi finale, sebbene ciascuno apporti ragioni diverse.

Wallenstein ritiene che il capitalismo si trovi alla fine di un ciclo di Kondratiev da cui non può più riprendersi (per una molteplicità di ragioni, che hanno a che fare soprattutto col declino dell'ordine mondiale sotto l'egemonia degli Stati Uniti).

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sinistra

Per capire la crisi più lunga

di Ernesto Screpanti

gyZ2rS1Sei lezioni di economia (Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, 17 Euro) di Sergio Cesaratto è un libro importante che esce in un momento di grande confusione d’idee e di grande incertezza economica e politica. La lunga ondata di egemonia neoliberista che ha devastato il mondo negli ultimi 40 anni lo ha infine fatto naufragare nella grande crisi da cui non siamo ancora usciti. E ora il cittadino disorientato si guarda intorno in cerca di nuovi strumenti di comprensione della realtà. Questo libro di Cesaratto gli può essere d’aiuto, sia perché fornisce un’analisi approfondita della crisi in corso, sia perché lo fa usando strumenti teorici alternativi a quelli su cui si fonda l’egemonia liberista.

Il libro si divide in due parti. I primi tre capitoli presentano la ricostruzione storica di un sistema teorico di grande prestigio, che la teoria economica dominante però ha cercato di relegare nel sottomondo dell’eterodossia. Il primo capitolo espone l’approccio del sovrappiù sviluppato da Smith, Ricardo e Marx. Il secondo tratta della teoria neoclassica, versione raffinata di quella che Marx chiamava “economia volgare”. Il terzo si concentra sulla rivoluzione keynesiana. Ma non è un libro di storia del pensiero. Cesaratto presenta l’oggetto della sua ricostruzione come materia viva. Rilegge quella storia con gli occhiali di Marx, Keynes e Sraffa, e approda all’esposizione di un sistema teorico che è “se non del tutto giusto quasi per niente sbagliato”. In questo sistema i redditi non di lavoro sono spiegati non come remunerazioni dei contributi produttivi di fantomatici fattori di produzione, ma come un sovrappiù prodotto dai lavoratori.

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resistenze1

L'affermazione della sovranità nazionale popolare di fronte all'offensiva del capitale

R. Morgantini intervista Samir Amin

crisis estructural rebelion popular transnaci L Rbui tLe analisi che riguardano la crisi che scuote - in modo strutturale – il sistema capitalista attuale, risultano essere di una pietosa sterilità. Menzogne mediatiche, politiche economiche anti-popolari, ondate di privatizzazioni, guerre economiche e "umanitarie", flussi migratori. Il cocktail è esplosivo, la disinformazione è totale. Le classi dominanti si fregano le mani di fronte a una situazione che permette loro di conservare e affermare la loro superiorità. Proviamo a comprendere qualcosa. Perché la crisi? Quale è la sua natura? Quali sono attualmente e quali dovrebbero essere le risposte dei popoli, delle organizzazioni e dei movimenti interessati a un mondo di pace e di giustizia sociale? Intervista con Samir Amin, economista egiziano e studioso delle relazioni di dominio (neo)coloniale, presidente del Forum mondiale delle alternative.

* * * *

Da molti decenni i tuoi scritti e le tue analisi ci consegnano elementi di analisi per decifrare il sistema capitalista, le relazioni della sovranità nord-sud e le risposte dei movimenti di resistenza dei paesi del Sud. Oggi, siamo entrati in una nuova fase della crisi sistemica capitalista. Quale è la natura di questa nuova crisi?

La crisi attuale non è una crisi finanziaria del capitalismo ma una crisi di sistema.

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noirestiamo

Tempesta perfetta. Dieci interviste per capire la crisi

di Noi restiamo

Prima prova editoriale della Campagna Noi Restiamo, pubblicata da Odradek, raccoglie le interviste di dieci economisti – Riccardo Bellofiore, Giorgio Gattei, Joseph Halevi, Simon Mohun, Marco Veronese Passarella, Jan Toporowski, Richard Walker, Luciano Vasapollo, Leonidas  Vatikiotis, Giovanna Vertova – sulla crisi

temp 860x280A distanza di otto anni dall’inizio dell’attuale crisi economica, sono ancora molte le spiegazioni che si guardano bene dal mettere in luce le contraddizioni insite nelle economie di mercato come quella dei Paesi membri dell’Unione Europea. La maggioranza delle analisi si concentra infatti sul ruolo del presunto interventismo da parte dello Stato in economia – rappresentato dall’elevato debito pubblico – e sulla scarsa competitività dei Paesi mediterranei – misurata in costi del lavoro troppo elevati, imposizione fiscale sui profitti asfissiante, alta rigidità del mercato del lavoro. Le ricette di politica economica scaturite da questo tipo di proposte si sono rivelate fallimentari a tal punto da aggravare la crisi stessa. L’esempio principe è la così detta “austerità espansiva”, dimostratasi fallimentare sul piano teorico ed empirico prima che su quello pratico. [1]

Le dieci interviste ad economisti non allineati raccolte in “Tempesta Perfetta”, edito da Odradek e curato dal collettivo Noi Restiamo, hanno come obiettivo quello di sfatare le analisi della vulgata. Il punto di vista così fornito è realmente critico e foriero di nuove prospettive, pur non mancando di una certa eterogeneità di pensiero e proposte. Ne sono un esempio le risposte alla prima domanda, con la quale si vogliono inquadrare le ragioni della crisi in due spiegazioni: quella sottoconsumistica, secondo la quale il deteriorarsi della quota salari ha comportato un calo generali dei consumi, seppur limitato dal credito esteso praticamente senza garanzie; e quella afferente al sotto-investimento, fenomeno che può essere ricondotto alla legge della caduta tendenziale del saggio di profitto elaborata da Karl Marx.

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blackblog

Il capitale portatore d'interesse, la bolla speculativa e la crisi della moneta

di Robert Kurz

Questo estratto è l'introduzione (pp. 321-328) fatta da Robert Kurz ad una serie di passaggi relativi al Marx esoterico del VII capitolo del libro "Lire Marx. Les textes les plus importants de Karl Marx pour le XXIe siècle. Choisis et commentés par Robert Kurz", La balustrade, 2002. Le numerose riflessioni, sulla società del lavoro, la crisi inerente ai fondamenti del capitalismo, la teoria del capitalismo come barbarie, la globalizzazione, ecc., rimandano a dei capitolo precedenti che si possono consultare sul sito "Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme"

bolla5Nella discussione sulla teoria di Marx, si dimentica spesso che il concetto di modo di produzione capitalista che egli sviluppa soprattutto nel primo libro del "Capitale" dapprima espone solo la logica elementare del capitale e le sue condizioni storiche e sociali. Di contro, le manifestazioni empiriche immediate per mezzo delle quali la società capitalista si presenta all'osservatore dall'esterno non coincidono del tutto con la logica dell'essenza del capitale, ma subiscono in qualche modo molteplici mutamenti. Se, come dice Hegel, è l'essenza ciò che appare, essa non appare esattamente in maniera diretta e in quanto tale, ma "trasmessa", modificata, "incorrettamente" rifranta dalle influenze per mezzo delle quali è emersa. Vale a dire che, da una parte, l'essenza, per il suo concetto e la sua logica, deve innanzitutto essere distillata dalla diversità delle sue manifestazioni, e che, dall'altra parte, a partire dal concetto di capitale e dalla logica della sua essenza ottenuta, bisogna successivamente discutere intorno al contesto concreto della sua trasmissione e spiegare come e perché tale essenza si presenta nel modo in cui appare attraverso determinate modificazioni. E infine, bisogna anche analizzare ed esporre lo sviluppo storico e il relativo stato empirico di queste forme e serie di trasmissioni, se si vuole conoscere la relazione del capitale come qualcosa di assolutamente concreto allo stato attuale della sua evoluzione.

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marxxxi

Una stagnazione costruita

di Anonimo Keynesiano

auto abbandonataDal 2013 un antico spettro è tornato a percorrere le stanze del Fondo Monetario Internazionale e delle principali istituzioni economiche occidentali: quello della stagnazione secolare. Il concetto, battezzato dall’economista keynesiano Alvin Hansen nel 1939, si riferisce alla possibilità che un rallentamento nella crescita della popolazione e/o nel progresso tecnologico e nella scoperta di nuovi territori fertili ed abitabili possa determinare una tendenza dell’economia alla stagnazione nel lungo periodo.

L’idea che vari fattori di carattere strutturale, al di là della crisi finanziaria scaturita nel 2007-2008, siano all’origine della bassa crescita della produttività registrata negli USA e nell’Eurozona, così come della scarsa crescita del PIL soprattutto in quest’ultima area, è stata recuperata proprio nel 2013 dall’economista Larry Summers, già Segretario al Tesoro degli Stati Uniti per l'ultimo anno e mezzo della presidenza Clinton. Nelle varie occasioni in cui Summers ha trattato il tema della stagnazione secolare, è interessante notare come un esponente di spicco di quel pensiero mainstream che ha contribuito a demonizzare la politica fiscale come possibile strumento di abbattimento della disoccupazione e lotta alle disuguaglianze veda ora in essa l’unica via d’uscita dal tunnel.

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palermograd

Brexit, uscita obbligatoria a destra?

di Giovanni Di Benedetto

Scena con cattura e punizione di servi fuggiaschiNessuna lettura unilaterale delle dinamiche modernizzatrici del capitalismo è oggi possibile. Viviamo un tempo nel quale sembrano riemergere, a condizionare e compromettere un’impossibile linearità dello svolgimento storico, ambiguità drammatiche e contraddizioni laceranti. Le convinzioni interiori dei singoli cittadini e la cultura politica dei singoli militanti non sono entità isolate ma forme ideologiche, espressione  del vivere collettivo, che si sedimentano dentro gli abissi del disordine capitalistico. Alienazione e sfruttamento delle soggettività, oppressione e manipolazione delle coscienze sono il frutto avvelenato di tendenze che, su livelli differenti, ci parlano del sovrapporsi di crimini neocoloniali, guerre di religione, divaricazione scandalosa delle ricchezze, imbarbarimento delle periferie, estinzione dello spazio pubblico, violenza razziale, impoverimento culturale e materiale generalizzato, e altro ancora. Senza il riferimento a questo scenario più generale, di carattere economico, politico e sociale, essenzialmente determinato dall’estensione del capitalismo fino a costituire un unico e pervasivo mercato mondiale e compromesso dalle conseguenti linee di faglia fra sfera dell’economico, con le sue assurde pretese di autoregolamentazione, e la sfera del politico, diventa complicato elaborare un pensiero, per così dire, sine ira et studio, capace di fornire una chiave di lettura dotata di senso su quanto è accaduto con il Brexit. Laddove per dotato di senso è da intendersi, va da sé, lo sforzo di collocare l’evento, unico e irripetibile nella sua natura contingente, entro un contesto storico più grande e complesso, la lunga durata dei processi storici citando Braudel, per l’appunto entro una più ampia cornice di senso. 

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resistenze1

Scusate, ma non c'è rimedio

Zoltan Zigedy

crisi economica italiaLawrence Summers è una superstar tra gli economisti borghesi. Ha ricoperto posizioni direttive alla Banca Mondiale, al Dipartimento del Tesoro USA e più di recente nell'amministrazione Obama. Oltre all'insegnamento ed agli incarichi amministrativi, ha svolto consulenze e collaborato con istituti finanziari. La sua consulenza è ricercata da governi e multinazionali. E non si è mai fatto intimidire dalle posizioni contrarie.

Fin dal crack del 2008, gli economisti mainstream hanno nascosto i loro peggiori timori per arrivare oggi a definire l'evento come un rallentamento insolitamente brusco del ciclo economico. Naturalmente gli economisti si dovevano arrampicare sui vetri per spiegare il collasso virtuale del settore finanziario, il panico e l'andare in fumo di migliaia di miliardi di dollari.

All'epoca, dominava una disperazione generalizzata, una sensazione diffusa di incombente tragedia. Ma, con una memoria corta, gli economisti hanno ricostruito l'evento come un severo, ma gestibile (e gestito) aggiustamento periodico del normale corso del capitalismo.

All'alba della crisi, i commentatori ammettevano una lenta "guarigione", ma tuttavia concordavano sul fatto che l'economia globale fosse rientrata in rotta.

Summers dissentiva da questa visione, come avrebbe dovuto.

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blackblog

Dalla "stagnazione secolare" all'agonia del capitale

Notti in cammino... 

di Clément Homs

ndt ed64d5Anche ad aver seguito gli avvenimenti solo da lontano, il 2015, nello spazio pubblico borghese francofono e in una parte della Triade, risulta essere stato l'anno di una grande offensiva della tesi della "stagnazione secolare" . Col passare degli anni, tutte le teorie della crisi ciclica e tutte le diverse sette economiche che per due secoli hanno predetto l'eterno ritorno del capitalismo hanno reso l'anima, lasciando il posto alla tesi della "stagnazione secolare" come nuova ristrutturazione e attuazione del pensiero borghese sempre prigioniero dei suoi stessi presupposti. Se quindi adesso la "stagnazione secolare" ha il vento in poppa, ciò avviene perché spiega quel che rimane inspiegabile per un economista. Alcuni segmenti del pensiero economico borghese cercano adesso di spiegare, sempre a partire dalle loro forme di coscienza feticizzata, ciò che rimane come l'impensato di tutto il pensiero economico: la nuova qualità di una crisi della valorizzazione che sembra loro non assomigliare a nessun'altra crisi.

Quasi dieci anni dopo l'inizio di un nuovo crollo di un'economia mondiale che ha visto il collasso della dinamica della produzione di capitale fittizio quanto meno nel settore privato, niente di quello che era stato "previsto" si è verificato: la ripresa a "V" e a "W", poi a "WW", "l'inversione della curva" oppure la "purga" di una crisi ciclica ed il ritorno al "business as usual", tutto questo non si è ancora visto.

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economiaepolitica

Politiche espansive e crescita debole. Siamo in una stagnazione secolare?

di Vittorio Daniele

King World News Richard Russell1. Una lunga convalescenza

Da qualche anno, le Banche centrali delle principali economie mondiali (Stati Uniti, Eurozona e Giappone) stanno attuando politiche fortemente espansive. La base monetaria, sotto forma di liquidità o di riserve detenute dalle banche commerciali, è aumentata enormemente: negli Stati Uniti, all’inizio del 2016, era quattro volte quella del 2008. La BCE ha adottato una serie di misure espansive, finanziando a basso costo il sistema bancario e attuando un programma di acquisto di attività (quantitative easing) di 80 miliardi di euro mensili per una durata prevista di due anni.

Si tratta di un’iniezione di liquidità senza precedenti, che ha fatto scendere i tassi d’interesse a breve e a lungo termine a valori prossimi allo zero (e, in alcuni casi, negativi, come in Giappone o in Europa). Ciò avrebbe dovuto stimolare gli investimenti e, dunque, i consumi e il reddito. I risultati sono, però, largamente inferiori alle attese. Nell’Eurozona, i dati sul Pil e sull’inflazione mostrano, infatti, come la ripresa sia molto debole. Anche negli Stati Uniti, dove la crescita è più elevata di quella europea, il Pil rimane al di sotto del potenziale (Fig. 1).

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ist onoratodamen

L’economia mondiale nel vortice della crisi

Lorenzo Procopio 

12298489 serie di bombe accesi con la valuta symbolsMentre il governo italiano sventola ai quattro venti gli ultimi dati Istat strombazzando che l’Italia è finalmente fuori dalla recessione, grazie al fatto che l’economia italiana è cresciuta nel 2015 di un misero 0,6%, dopo un quinquennio di contrazione del Pil, i mercati borsistici di tutto il mondo hanno fatto registrare il peggior inizio anno della storia finanziaria del moderno capitalismo. Il crollo degli indici azionari delle principali piazze borsistiche mondiali nelle prime sei settimane dell’anno in corso è stato nettamente il peggiore tra quelli finora registrati, ancor più negativi di quelli fatti registrare nel 1931 e nel 2009,  gli anni immediatamente successivi alle due grandi crisi finanziarie del 1929 e del 2008.

Tale crollo non è stato ovviamente un fulmine a ciel sereno, come qualche prezzolato commentatore vorrebbe far credere per nascondere le reali difficoltà del sistema capitalistico internazionale; infatti, i primi scricchiolii si erano già manifestati nell’estate scorsa quando la borsa di Shangai ha fatto registrare pesanti perdite anche a causa del rallentamento nella crescita della produzione cinese e dell’eccessiva crescita della bolla speculativa sui mercati finanziari della stessa Cina. L’attuale crisi finanziaria è globale e per la prima volta nella storia del capitalismo la propagazione degli effetti dello scoppio della bolla speculativa all’intero sistema internazionale è avvenuta con la velocità della luce. Ciò rappresenta un vero salto qualitativo che differenzia questa crisi di molto non solo da quella del 1929, quando gli effetti del crollo di Wall Street si propagarono sul piano internazionale soltanto nell’arco di qualche anno, ma anche rispetto a quella più recente del 2008 durante la quale i tempi di dilatazione globale degli effetti dello scoppio della bolla speculativa dei mutui sub-prime sono stati nell’ordine di alcune settimane o addirittura di mesi.

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lanatra di vaucan

Cosa vuol dire sinistra oggi?

Emancipazione sociale in tempi di crisi

di Norbert Trenkle

114214437 98e6ee7b 5ee6 4bb0 8b77 f5e2f6996f7bI. Quando più di 25 anni fa il cosiddetto socialismo reale colò a picco, il pubblico liberal-democratico si convinse che il «sistema sociale» basato sull’economia di mercato e sulla democrazia si fosse aggiudicato una storica vittoria nel «conflitto tra i sistemi». Francis Fukuyama decretò la sua celebre sentenza circa la «fine della storia», che fece rapidamente il giro del mondo, mentre alla sinistra tradizionale venne a mancare il terreno sotto i piedi.

In questo clima euforico furono ben poche le voci dissenzienti. Qualcuno suggerì spiritosamente che in realtà l’Occidente non aveva vinto, che sarebbe stato solo l’ultimo degli sconfitti. Lungi dal promuovere il benessere generale il capitalismo scatenato, senza più neppure l’opposizione di un sistema antagonista, dispiegò la sua forza distruttiva con una dinamica ancor più incontenibile. Dalla prospettiva della critica del valore, come era stata formulata nell’ambito del gruppo Krisis, la questione si poneva in termini assai differenti. Secondo la nostra analisi il crollo del socialismo di Stato non segnava affatto la fine di un sistema sociale antagonista, ma solo quella di un regime statalista dispotico della modernizzazione di recupero, ormai giunto ai suoi limiti storici, che a causa della sua struttura sclerotizzata e inerte non era più in grado di saltare sul treno della terza rivoluzione industriale, con i suoi nuovi standard produttivi. Allo stesso tempo interpretammo il collasso di quel regime come l’inizio di una crisi fondamentale del modo di produzione capitalistico complessivo, che avrebbe soffocato, in ultima analisi, l’iperproduttività da esso stesso scatenata (vedi Stahlmann 1990; Kurz 1991).

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sinistra

Capitalismo 2015: La Grande Depressione ed il dramma greco

di Antonio Carlo

global crisis1) L’economia mondiale nel 2015: PIL, disoccupazione, debito, fallimento delle politiche economiche.

A) Crescita asfittica del PIL.

Da anni seguo la dinamica dell’economia mondiale 1 ed ho la sensazione di essere spesso ripetitivo, ma questo avviene perché le situazioni si riproducono continuamente senza alcuna sostanziale soluzione: ogni anno il debito pubblico cresce, la disoccupazione rimane elevata (anche se le statistiche tendono a nasconderla), l’evasione fiscale si impenna, si fanno riunioni dei vari G (7, 8, 20) che non producono alcun risultato, i consumi delle famiglie cinesi non riescono a decollare, il Giappone oscilla tra recessione e ristagno, etc, etc. etc.

Questo ripetersi avviene anche per i giudizi sull’andamento del PIL almeno dopo il 2010, allora ci fu un rimbalzo abbastanza forte (dopo il calo del 2009) che fece dire a molti (non a me) che la ripresa aveva gambe, ma dal 2011 il quadro cambia pressocchè ininterrottamente: la ripresa c’è ma è modesta, fragile, moderata, inadeguata etc. ed il 2015 non fa eccezione. Così Jack Lew, Ministro del Tesoro USA, osserva che essa è deludente in termini di PIL ed occupazione 2 , Larry Summers, un tempo consigliere economico numero uno di Obama, parla addirittura di ristagno secolare alle porte 3 , Draghi sottolinea che i rischi di ribasso nella crescita non sono transitori etc. 4 . Di particolare rilievo è, a questo proposito, un’intervista della elegantissima signora Lagarde (numero uno della FMI) al noto economista venezuelano Moisés Naìm in cui, pur non accettando la tesi della stagnazione secolare, si osserva che la crescita soffre di una “nuova mediocrità”, che i posti di lavoro creati non sono sufficienti, che enormi quote di ricchezza si concentrano nelle mani della finanza e c’è il rischio che i costi della crisi ricadano sui poveri e le classi medie impoverite 5 .

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pierluigifagan

La decrescita infelice

di Pierluigi Fagan

cellulaririciclo.645.458L’ultimo numero di Foreign Affairs (Feb. ’16), la punta avanzata della riflessione strategica americana, ripropone il tema della “stagnazione secolare” una sorta de “il re e nudo” lanciato non molto tempo fa da Larry Summers[1]. Il re nudo di Summers si chiama strutturale e perdurante assenza di crescita, l’assenza di crescita potrebbe oscillare come crescita positiva o negativa ad esempio allo 0,2% (stagnazione) o potrebbe risultare addirittura decrescita. Occorre poi sempre dettagliare l’ambito di cui si sta parlando, se cioè parliamo dell’economia americana, di quella occidentale, di quella OECD (Ocse), di quella del mondo ed il quando, in quale prospettiva temporale accadrebbero i fatti. A sfavore della crescita americana, occidentale, OECD, è l’evidenza lampante che è più probabile che cresceranno i mai o poco cresciuti che i già cresciuti se si è in un trend generale di crescita difficile. Ma siamo in un trend strutturale di crescita difficile?

Beh, sembrerebbe proprio di sì. Gli indici e le previsioni son quelle, la sistematica revisione al ribasso di previsioni già non troppo ottimiste è ormai una consuetudine (OECD-2016). Il prezzo del petrolio e delle materie prime, dicono della flessione di domanda e soprattutto, grave allarme ha destato un altro re nudo, il fatto cioè che la capacità di stimolazione dell’economia, degli investimenti, della circolazione e dell’inflazione da parte delle torrentizie immissioni di moneta pompate dalle banche centrali, non ha sortito alcuno degli effetti sperati.

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univbergamo

La crisi capitalistica e le sue ricorrenze

Una lettura a partire da Marx

Riccardo Bellofiore

escher scaleIntroduzione

Nell’attuale dibattito sulla crisi due sono i filoni interpretativi principali che si richiamano a Marx e che proclamano una sua rinnovata attualità. Il primo, proposto da quegli autori che si vogliono marxisti “ortodossi”, è quello che legge la finanziarizzazione come conseguenza della caduta tendenziale del saggio del profitto, e in quest’ottica individua una lunga tendenza alla stagnazione che comincia negli anni Settanta del Novecento. L’altra interpretazione, prevalente per lo più in quei marxisti influenzati dal keynesismo e dal neoricardismo, fa riferimento alla tendenza alla crisi da realizzazione, ovvero da insufficienza da domanda. Questo secondo filone evidenzia come, dopo la controrivoluzione monetarista degli anni Ottanta del Novecento, siano avvenuti profondi mutamenti nella distribuzione del reddito con la caduta della quota dei salari, e sostiene che in un mondo di bassi salari la ragione di fondo della crisi sia l'insufficienza della domanda di consumi: una prospettiva più o meno dichiaratemente sottoconsumista. In entrambi i casi, la crisi attuale coverebbe da molto tempo, e sarebbe la crisi di un capitalismo che si può ben definire asfittico, sostanzialmente e (ormai) perennemente stagnazionistico.

Ritengo che un’interpretazione marxiana della crisi non possa essere sganciata dalla caduta tendenziale del saggio del profitto, ma che questa vada interpretata come una sorta di metateoria della crisi, che ingloba al suo interno le altre e diverse teorie della crisi che si possono trovare o derivare dal Capitale.

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contraddizione

La Crisi irrisolta

Quel che si cela dietro ai drammatici crolli di borsa

di Francesco Schettino

3da48b ac8cbcf13a1f450594939aead4e99fd0È un fatto tristemente noto, grazie anche alla pluralità di pellicole girate sul soggetto e, soprattutto per esperienza diretta di coloro che tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta erano almeno adolescenti, che l’eroina è una bestia feroce in grado di trasformare completamente qualsiasi essere umano sino a ridurne in fumo ogni traccia di razionalità. Questo concetto doveva essere ben chiaro anche alla classe dominante giacché, anche attraverso l’inondazione del mercato di questa immondizia, che si sostituiva alle cosiddette droghe leggere, o agli allucinogeni, ampiamente usati nella decade precedente, essa riuscì – in modo estremamente più efficace di qualsiasi altra manovra repressiva – ad infliggere un colpo mortale a quello che era restato del movimento della sinistra alternativa italiana erede della resistenza al fascismo e delle battaglie di classe di fine anni cinquanta ed inizio anni sessanta[1]. È altrettanto riconosciuto, anche grazie alla recente uscita di libri o testi sul tema, come la cocaina, droga di classe (dominante) per eccellenza, circoli abbondantemente negli ambienti della finanza ed in particolare a Wall Street, come ampiamente descritto e documentato da un recente film di Scorsese.

Dunque, droga, dipendenza e tossicomania sono elementi che, in un modo o in un altro sono connaturati al modo di produzione del capitale giacché, essendo esso stesso un meccanismo sociale che agisce alla stregua di un organismo biologico, non può esimersi dall’essere attratto da sostanze\elementi che possono generare dipendenza risollevando, nell’immediato, da fasi più o meno lunghe di crisi profonda.

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infoaut2

Iniziata la fase B?

di Raffaele Sciortino

sdacSVFSembra ufficiale: secondo Bloomberg la prosecuzione dei cali sulle borse mondiali - i più consistenti dalla crisi dei debiti sovrani del 2011 - segna inequivocabilmente il passaggio da toro a orso, da un mercato ascendente a uno in discesa di cui non si riesce a prevedere l’atterraggio. Controprove principali: corsa all’oro come bene rifugio (faccia nascosta della moneta creata con un click del computer); acquisti a valanga di titoli di stato Usa, tedeschi, inglesi come “porti sicuri” per il risparmio anche a costo di rendimenti negativi e del gonfiamento di una nuova bolla; assicurazioni sui rischi di default (cds) in netto rialzo.

C’è di più. Fin qui il crollo dei titoli, soprattutto bancari ed energetici, veniva messo in riferimento con il ribasso del prezzo del petrolio, lo scoppio delle bolle speculative e il rallentamento dell’economia cinesi, le difficoltà delle economie emergenti colpite da ingenti fughe di capitali e svalutazioni valutarie, nonché con il pur modesto aumento dei tassi statunitensi da parte della Federal Reserve (la banca centrale). Tutto vero. Ora però viene fuori che il problema di fondo sono i profitti in calo di buona parte della maggiori corporation mondiali - ma con epicentro proprio negli States! - con prospettive ancora più fosche dato il trend negativo di investimenti e ordinativi. Con l’aggravante di livelli di indebitamento -supportati in questi anni dalle politiche monetarie “facili” delle banche centrali- che ora diventano difficili da reggere sia per le imprese sia per le banche che devono cancellare dai bilanci sempre più crediti inesigibili. Il che porta a ulteriori vendite di titoli in un circolo vizioso che si autoalimenta.

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alfabeta

Slump

Franco Berardi Bifo

Babilonia AngersStanno suonando le trombe del giudizio? L’orizzonte economico che si presenta nel primo scorcio dell’anno 2016 suscita vivo sgomento negli osservatori. Mario Draghi ripete l’esorcismo estremo: «Whatever it takes». Ma il pericolo attuale non è più quello di un collasso finanziario come nel 2008. Il pericolo è quello di una crisi di sovrapproduzione globale, e di una stagnazione di lungo periodo. Il crollo delle borse non è che un segnale. Da sei anni le banche centrali prestano denaro a costo zero, e da un paio di anni il petrolio scende ininterrottamente. Cionostante la domanda cala, e la stagnazione persiste, si aggrava, tende a divenire recessione.

Il 10 gennaio il «New York Times» ha pubblicato un articolo di Clifford Kraus dedicato agli effetti che il calo della domanda cinese produce sull’economia globale:

«Per anni la Cina s’è ingozzata di ogni tipo di metalli e di energia perché la sua economia si espandeva rapidamente; le grandi aziende hanno ampliato aggressivamente le loro operazioni di estrazione e produzione, scommettendo sulla prospettiva che l’appetito cinese sarebbe continuato per sempre. Adesso tutto è cambiato. L’economia cinese si contrae. Le compagnie americane, che tentano disperatamente di pagare i loro debiti mentre aumentano i tassi di interesse, debbono continuare a produrre. Questo eccesso spinge i prezzi verso il basso, e colpisce le economie dipendenti dalla produzione di merci di consumo come il Brasile e il Venezuela, ma anche i paesi sviluppati come l’Australia e il Canada» (Clifford Kraus, «New York Times»: China s Hunger for Commodities Wanes, and Pain Spreads Among Producers).

Negli anni passati le grandi corporation hanno investito somme enormi nell’estrazione di petrolio, nella raffinazione dello shale gas, nelle tecnologie necessarie per il cracking, e così via. Il sistema bancario globale ha finanziato queste operazioni.

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doppiozero

Finanza globale e politiche monetarie

Un azzardo morale?

Mauro Magatti

mercato azionario di finanza globale 387670071. È oramai largamente condivisa l'idea secondo cui se dal 2008 ad oggi – negli USA prima e più di recente nella UE – le cose non sono andate troppo male è grazie alle politiche monetarie super-espansive – che ancora qualche anno fa venivano chiamate "non convenzionali". Politiche che hanno permesso di respirare a economie anemiche.

In effetti, l' obiettivo fondamentale di tale intervento è stato quello di ricostituire un livello minimo di fiducia al di sotto del quale le imprese non investono, i consumatori non spendono, le banche non prestano. Da questo punto di vista, quanto hanno fatto le autorità monetarie in questi ultimi anni è stato fondamentale, anche se non esente da rischi. Il problema è che, come i critici hanno sostenuto, la sovraesposizione finanziaria dell'economia globale dal 2008 ad oggi non solo non si è ridotta, ma è addirittura aumentata. Il che significa che quello che Keynes chiamava il "feticcio della liquidità" – e cioè la patologia dei mercati finanziari interessati solo ai rendimenti di breve periodo – è tutt'altro che debellato: in un sistema globale in cui fluttuano enormi quantità finanziarie, ritrovare un sentiero di crescita è molto difficile dato che vi sono contemporaneamente problemi di distribuzione del reddito, di disallocazione delle risorse e di instabilità cronica.

Quel che è chiaro è che la fiducia costruita solo sull'azione della Banche centrali non basta. Le politiche espansive adottate dalla FED (e più di recente della BCE) vanno intese solo come un modo per guadagnare tempo. Il tempo necessario alla politica e alla società per far ripartire l'economia reale e delineare un nuovo modello di crescita.

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sbilanciamoci

Cronache di un mondo indebitato

Vincenzo Comito

I. Il debito complessivo a livello mondiale ha raggiunto, a fine 2014, il livello di 200 trilioni di dollari

t2XFNL’esistenza di un rilevante livello e di una ulteriore e apparentemente inarrestabile crescita dell’indebitamento mondiale è un fenomeno molto evidente; ora, il suo collegamento, per diverse vie, alle difficoltà e al rallentamento dello sviluppo dell’economia, nei paesi sviluppati come in quelli emergenti, pone dei rilevanti problemi di analisi e suggerisce anche delle possibili linee di azione. Nelle tre puntate di questo articolo cercheremo di individuare la situazione e le prospettive di soluzione di una questione cruciale.

 

Alcuni dati di base

Già in uno scritto apparso in questo stesso sito qualche tempo fa (Comito, 2015) ricordavamo alcuni dati che danno un’idea del fenomeno; ad essi ne aggiungiamo ora degli altri, più analitici.

Nel testo citato ricordavamo, in particolare, un rapporto Mckinsey (Mckinsey, 2015) del febbraio di quest’anno, che forniva delle informazioni di base sulla situazione.

Il debito complessivo a livello mondiale aveva raggiunto alla fine del 2014 il livello di 200 trilioni di dollari, essendo aumentato di ben 57 trilioni soltanto nel periodo tra il 2007 e il 2014. La sua incidenza sul pil mondiale raggiungeva ormai alla stessa data il 286%, contro il 270% del 2007. Si ha la sensazione, peraltro ancora non ancora suffragata da dati aggiornati, che la tendenza all’aumento sia proseguita nel 2015.

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sinistra aniticap

Economia, le coordinate della crisi in arrivo*

di Michel Husson

7059433 10805259Mentre la zona euro abbozza una fase di ripresa molto moderata, si moltiplicano i pronostici allarmisti sulla traiettoria generale dell'economia mondiale: «La crescita cinese rallenta, l'economia mondiale soffre» è, ad esempio, il titolo di Le Monde del 20 ottobre 2015. Christine Lagarde 1 elenca «le ragioni per essere inquieti sul fronte economico», e Jacques Attali 2 annuncia che «il mondo si avvicina a una grande catastrofe economica».

Cominciamo con un breve panorama della congiuntura: la crescita mondiale rallenta, principalmente nei paesi emergenti tranne l'India. Tale tendenza si alimenta con la diminuzione del prezzo delle materie prime e si trasmette ai paesi avanzati. Anche il commercio internazionale rallenta, allo stesso ritmo del PIL mondiale, come se la mondializzazione produttiva avesse raggiunto un tetto. La zona euro registra una ripresa timidissima e disuguale. Gli Stati Uniti e il Regno Unito se la cavano meglio, ma la crescita tende a rallentare in un caso e appare artificiale nell'altro.

Dal lato della «sfera finanziaria», il quantitative easing (alleggerimento quantitativo) alimenta bolle di attivi [finanziari] più che l'investimento produttivo, che stagna. E la sola prospettiva - finora respinta - di un aumento dei tassi della Fed (la banca centrale degli Stati Uniti) grava come una spada di Damocle sufficiente per destabilizzare le monete e i mercati finanziari di molti paesi. In breve, «l'incertezza e forze complesse pesano sulla crescita mondiale», per riprendere la formula del FMI nelle sue ultime prospettive3.