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lantidiplomatico

"Una pace ingiusta e predatoria": il senso di Paolo Mieli per la guerra

“Carestia peste e carbonchio”: come a Bruxelles preparano la guerra contro la Russia

di Fabrizio Poggi*

ekrMFNL JUKSVBÒNGVIl raggiungimento di una prospettiva di pace che fermi il massacro in corso da almeno 11 anni in Donbass e da oltre tre nelle regioni sudorientali ucraine, dove va avanti il conflitto voluto dalla passata amministrazione yankee, insieme a UE e NATO, costituirebbe, per definizione, una «pace ingiusta... una pace predatoria, ostentatamente punitiva». Parola di qualcuno che, pur in età ormai matura, “continua” quella “lotta” iniziata in anni giovanili contro ogni percorso che partisse, a quei tempi, a est dell'Elba; una “lotta continua” rinnovata oggi, come sembra essere il caso del signor Paolo Mieli, contro ogni tragitto che inizi a est del Dnepr. Perché è un assioma: oltre quelle longitudini, socialismo o capitalismo che sia, non possono vivere che “aggressori”, i quali, nel caso odierno, non mirano ad altro che a imporre «un trattamento punitivo per l’Ucraina».

Anche se, a quanto è dato sapere, nel “complotto” russo-americano, non sembra si faccia cenno ad alcuna, doverosa, eliminazione della junta neonazista di Kiev, ma si tratti invece di portarla a un cessate il fuoco effettivo, ammesso che le elezioni chieste da Mosca, con la formazione di un governo temporaneo sotto egida ONU, possano determinare un vero mutamento del regime majdanista, con un qualsiasi “anti”-Zelenskij di facciata. Sono ancora nitide nella memoria le promesse elettorali del nazigolpista-capo, di metter fine alla guerra in Donbass, che gli avevano guadagnato la vittoria su Petro Porošenko.

E l'assioma di cui sopra, si estende oggi ai «prossimi colpi dei russi» che verranno, si dà per scontato, «contro l’insieme degli Stati europei»: cinquant'anni fa, si rideva al cinema con “Mamma li turchi”; oggi c'è ben poco da ridere, non foss'altro che per il tono “serioso” con cui si cerca di convincerci che, mutata la latitudine degli “aggressori”, il pericolo è altrettanto mortale, tanto da dover dotarsi del carosellistico “kit di sopravvivenza”, un bignami del Preparadeness Union Strategy per quei tre giorni che, ci si racconta, sarebbero sufficienti per difendersi dalle atomiche de “li nuovi turchi” iperborei.

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crs 

Prontezza e panico. L’Europa senza ombrello

di Stefano Lotti

Il ReArm Europe/Readiness 2030 nei fatti supporta un nazionalismo militare estremo ed evidenzia il ri-emergere delle forze centrifughe europee finora sopite dall'ombrello statunitense e dalla guerra fredda. Ora l’Europa si risveglia come un insieme di singole potenze, che potenze non sono più e la cui reputazione non è certo adamantina fuori dai propri confini

ombrello 2.jpgQual è la realtà della reazione “europea” al veloce cambiamento impresso dalla Casa Bianca alle relazioni internazionali?

Ciò che emerge principalmente è un’incoerenza generale tra le intenzioni dichiarate e la realtà delle posizioni e dei programmi. Questa sorta di dissonanza cognitiva riguarda tutte le opzioni politiche presenti in Europa. Un europeismo che supporta politiche nazionaliste contrasta un nazionalismo operativamente nemico della propria sovranità nazionale, mentre i pochi pacifisti espongono argomenti sparsi e poco pertinenti.

Gli Stati europei sembrano risvegliarsi, dopo ottant’anni di pace, in un mondo in cui sono poco rilevanti, senza rendersi conto di quanto effettivamente lo siano.

Consideriamo per ora soltanto l’aspetto economico. La quota del prodotto lordo europeo nel 2024 è scesa a un modesto 14% rispetto a quella mondiale. Il fatto che gli Stati Uniti discutano apertamente di limitare le proprie basi militari all’emisfero occidentale, ritirandosi quindi da Europa e Asia, non è una boutade dell’amministrazione Trump. Rappresenta un cambiamento degli equilibri di potenza. La stessa quota USA di prodotto lordo è oramai solo del 17% (Stephen Peter Rose, “A Better Way to Defend America”, Foreign Affairs, 14 marzo 2025).

Anche se la potenza economica è soltanto un aspetto della potenza degli Stati, queste derive strutturali cambiano i loro interessi, il loro peso relativo e la sostenibilità delle loro politiche di potenza. L’amministrazione Trump è oggi un riflesso di una deriva strutturale preesistente a cui aderisce in modo pericoloso e imprevedibile.

Stiamo vedendo gli effetti della fine del breve e disastroso “momento unipolare” seguito all’epoca della guerra fredda (John J. Mearsheimer, “Bound to Fail: The Rise and Fall of the Liberal International Order”, International Security, Spring 2019).

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volerelaluna

La guerra in Ucraina e le bugie dell’Europa

di Piero Bevilacqua

ANTONIU 1100x578.jpgÈ ormai chiaro come la luce del giorno. Gli attuali dirigenti europei sono sotto l’effetto di una duplice e devastante sconfitta. Hanno perso la guerra contro la Russia, sostenuta con il sangue ucraino e in appoggio subalterno agli USA. E ora si trovano umiliati da una nuova amministrazione americana, che ha cambiato strategia e li tiene lontani da ogni trattativa indirizzata alla pace.

Ma le élites del Vecchio Continente hanno preso atto di un’altra e certo più grave sconfitta: l’Unione Europea ha fallito nei sui compiti fondamentali. Il Rapporto Draghi del 2024 ne costituisce la piena certificazione: gli obiettivi di successo competitivo sul piano economico e tecnologico non sono stati raggiunti. USA e Cina ci distanziano di 10 anni. E il bilancio complessivo degli ultimi trent’anni è drammatico: le disuguaglianze sociali in Europa si sono ingigantite; è dilagato il lavoro precario; ampie fasce di ceto medio e popolari si sono impoverite; molte conquiste di welfare del dopoguerra sono state colpite; gli spazi di partecipazione democratica si sono ristretti; i partiti politici di massa sono degradati a cordate elettorali; le formazioni di destra ormai contrastano quasi alla pari (quando non sono già al governo) le forze politiche che avevano fondato l’Unione. La democrazia è minacciata in tutto il Continente.

Di fronte a tale scenario i ceti dirigenti UE cercano di sottrarsi alle loro responsabilità infilandosi in un altro e più devastante errore: il programma ReArm Europe. In verità il progetto persegue vari fini che per brevità qui non indico. Ma esso tenta di fondare la propria legittimità su due colossali menzogne: la Russia ha mosso guerra all’Ucraina per le sue mire imperiali; la Russia minaccia di invaderci. Dunque, documentare la falsità di questa narrazione illumina il progetto di riarmo in tutta la sua fallacia, quale tentativo di una élite colpevole, subalterna e inadeguata, di conservare il potere malgrado il proprio fallimento. Appare ormai evidente che l’Europa può avviarsi a un nuovo corso solo attraverso l’emarginazione del ceto politico che, dopo trent’anni perduti, vuole sfuggire alle proprie responsabilità trascinandoci in una strada di immiserimento sociale e d’imbarbarimento civile. Esponendoci al rischio di una guerra mondiale.

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fuoricollana

L’Europa ieri, oggi, domani

di Antonio Cantaro

eu military.jpgÈ tempo di un sano e impietoso esame dei tanti lati oscuri della storia dell’Unione, preludio indispensabile per una azione politica autonoma. Ogni riferimento alla Cina e al nascente universo dei Brics è voluto. Tutto il resto è noia, peggio complicità.

Ci sono due modi con cui usualmente si parla dell’integrazione europea, delle sue finalità, del suo presente, del suo futuro. Un primo modo è quello di demonizzare eventi e vicende che ne sono all’origine. Un secondo è quello di monumentalizzare quegli eventi e quelle vicende. Approcci entrambi sbagliati, forieri di scelte improvvide. Dovrò per forza di cose confrontarmi con entrambi questi due approcci ideologici, ma mi sforzerò di farne venire alla luce un terzo: storicizzare sempre il discorso, parlare dell’Europa reale, dei suoi lati oscuri non meno che dei suoi lati luminosi.

 

Grande è la confusione sotto il cielo

Oggi questo approccio non è di moda. Grande è la confusione sotto il cielo. E, con buona pace del compagno Mao, la situazione non è affatto eccellente. A noi tocca fare opera di pulizia nell’oceano di propaganda, di bugie e veleni che vengono quotidianamente sparsi. Ci tocca, se desideriamo realmente costruire un’Unione che i popoli europei possano sentire come loro.

Mettetevi comodi, siate pazienti. Alcuni resteranno delusi. Parlerò male della destra, ma sarò critico e sferzante anche con la sinistra. Con la sinistra che flirta con l’Europa retorica, con l’Europa delle anime belle al centro delle fintamente letterarie rappresentazioni di queste settimane. L’Europa da talk show, da cabaret. L’Europa che si pone la domanda sbagliata – perché non siamo stati invitati da Trump al tavolo delle trattative tra Russi e Ucraini? – invece di chiedersi perché non siamo stati noi a convocare quel tavolo il giorno dopo l’inizio della sciagurata operazione militare speciale di Vladimir Putin.

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puntocritico

Ventotene, mito e realtà

di Marco Veruggio

Cosa dice veramente un testo che governo e opposizione tirano ciascuno dalla sua parte e in molti difendono perlopiù, almeno a giudicare da quel che dicono, senza averlo letto né contestualizzato

ventot.jpgIn un’esilarante scena di “Brian di Nazareth” il protagonista del film, fintosi predicatore per sfuggire ai soldati romani che lo considerano un pericoloso militante antimperialista, messosi in salvo, cerca di seminare anche la piccola folla assiepatasi per seguire il suo strampalato sermone. Rincorrendolo questi suoi “adepti” trovano un sandalo perso per strada dal fuggitivo, si convincono che sia un segnale del “maestro” e proseguono in corteo agitando aste e bastoni, in cima ai quali hanno legato i propri sandali, improvvisamente assurti a simbolo di una nuova fede.

La polemica politica del giorno ricorda la scena dei Monty Python: la Meloni inciampa su una citazione ad capocchiam del Manifesto di Ventotene, che l’opposizione raccoglie e trasforma in simbolo delle virtù repubblicane e occasione di imbastire una polemica surreale buona ad allontanare l’attenzione delle cose importanti. A migliaia insorgono a difesa di un libello che, a giudicare da quel che dicono, perlopiù non hanno letto; il dibattito politico riscopre Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi e, dopo la manifestazione convocata da Serra con un post riservato agli abbonati di Repubblica, arriva pure il flash mob europeista su un’isoletta raggiungibile dalla terraferma con due corse di aliscafo al giorno o imbarcazione privata: dalla vocazione maggioritaria alla vocazione skipper.

Ciascun contendente, naturalmente, tira Spinelli e Rossi dalla sua parte sorvolando sui due punti fondamentali di quel testo che tutti citano: il modello sociale che vi è delineato e il contesto storico internazionale in cui nasce e si sviluppa il movimento federalista europeo. Perché, scriveva nel 1915 uno che la rivoluzione due anni dopo l’avrebbe fatta sul serio, “se la parola d’ordine degli Stati Uniti repubblicani d’Europa, collegata all’abbattimento rivoluzionario delle tre monarchie europee più reazionarie, con la monarchia russa alla testa, è assolutamente inattaccabile come parola d’ordine politica, resta sempre da risolvere la questione del suo contenuto e significato economico” (Lenin, “Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa”, 1915).

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comedonchisciotte.org

La falsa utopia di Ventotene: il manifesto Ue della nostra prigione

di Domenico Moro

La polemica recente sul Manifesto di Ventotene tra la Presidente del Consiglio Meloni e il Pd riporta quel documento al centro dell’attenzione. Sebbene molta parte della sinistra abbia sempre esaltato il Manifesto come espressione di una posizione progressiva e di sinistra, è invece importante chiarire come il Manifesto rappresenti una posizione regressiva e anti-democratica, che prefigura tutti i problemi da cui è afflitta la Ue odierna. Per questa ragione proponiamo la lettura di ampi estratti dei primi paragrafi del libro di Domenico Moro, “Eurosovranità o democrazia? Perché uscire dall’euro è necessario”, edito da Meltemi

2205542012Oggi, in tutti i paesi europei, le politiche economiche e sociali e gli stessi meccanismi della democrazia rappresentativa sono ingabbiati dai vincoli dei trattati europei e dall’euro. Dinanzi alla peggiore crisi economica dal 1929, i vincoli europei hanno drasticamente ridotto gli investimenti pubblici, impedendo di compensare il crollo degli investimenti privati, come si faceva nelle crisi precedenti.

Tuttavia, i dati statistici non ci restituiscono completamente il quadro europeo. Mai, prima d’ora, si era visto in Europa un tale distacco tra cittadini e sistema politico, con un astensionismo che arriva fino alla metà dell’elettorato. La tradizionale alternanza tra centro-destra e centro-sinistra è venuta meno, facendo saltare i meccanismi della democrazia rappresentativa. Partiti che hanno fatto la storia dei loro Paesi e dell’Europa, come i partiti socialisti francese, tedesco, spagnolo, olandese e greco, si sono ridotti ai minimi storici e in qualche caso sono scomparsi dalla scena politica. Alle ultime presidenziali francesi, per la prima volta dal dopoguerra, nessuno dei due tradizionali partiti principali, il socialista e il repubblicano, è riuscito ad accedere al ballottaggio. Invece, partiti critici verso l’Ue e l’euro, sono nati o, se già esistenti, sono cresciuti un po’ dappertutto, raccogliendo una quantità di consensi fino ad ora impensabile al di fuori dei classici centro-sinistra e centro-destra.

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lafionda

Psicopatologia politica dell’Unione Europea

di Geminello Preterossi

23247 1.jpgDi fronte al delirio bellicista in atto nell’Unione Europea, viene da chiedersi se non siamo ormai di fronte a un caso macroscopico di psicopatologia politica: sono in atto tutti i meccanismi difensivi descritti da Freud. Il primo è la negazione: del reale, del contesto, delle proprie pulsioni distruttive ecc., che ormai si è spinta a un punto tale, psicotico, da divenire denegazione, forclusione (cioè perdita del rapporto con la realtà, tipico della psicosi). Poi la proiezione, lo spostamento, la scissione, la rimozione, l’idealizzazione di sé. Del resto, proprio Freud in Il disagio della civiltà, ma anche nel suo epistolario-dialogo con Einstein, aveva tematizzato lo sfondo psicoanalitico della guerra. A tale sfondo si accompagna anche una robusta dose di infantilismo politico, che contribuisce ad alimentare una deriva fanatica e irrazionale che sacrifica i veri interessi dei popoli europei, e la loro stessa volontà, al mantenimento di un falso Sé europeista. Quindi c’è il cinismo, ci sono gli interessi (anche inconfessabili), ma è in gioco una questione esistenziale, identitaria dalle implicazioni profonde, che toccano il lato oscuro della costruzione europea.

C’è sicuramente un elemento di distruttività (introiettata), legato a una vera propria sindrome ossessivo-paranoide (castronerie antistoriche come il paragone Putin-Hitler, l’idea che siamo in pericolo perché l’Europa sta per essere invasa dalla Russia, ipotesi priva di qualsiasi fondamento politico, anche banalmente dal punto di vista pratico-militare). L’Europa è inconsciamente angosciata innanzitutto da se stessa. L’UE oggi custodisce l’ortodossia ideologica neoliberale e globalista. L’America di Trump è tecno-mercatista, ma anti-globalista. Su questa base accetta il pluriverso mondiale, puntando a un modus vivendi nelle relazioni internazionali, e cerca di guadagnare dei vantaggi strategici posizionandosi al meglio nella competizione globale. Inoltre ha messo in discussione i dogmi liberal e chiuso con il fanatismo woke. Rispetto alla decisiva questione ucraina, punta a una pace possibile, realistica. Mentre l’UE, umiliata innanzitutto da se stessa, dai propri madornali errori, dalla propria cecità, è preda dell’isteria.

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codicerosso

ReArm Europe: non piano organico ma pratica del caos

di nlp

ursula acid.jpgCominciamo da cosa non è ReArm Europe, il piano sul riarmo continentale proposto alla Ue dalla commissaria Ursula von der Leyen: NON è una strategia immediatamente funzionante di riarmo e NON è una proposta che ha la certezza di essere accolta dai mercati finanziari. Già su questi due piani piuttosto che di fronte alla produzione di ordine -militare, della creazione di valore – siamo di fronte alla immissione di disordine, e persino di caos entro un conflitto, quello russo-ucraino, che produce dinamiche caotiche proprio per il fatto di essere guerra. Per non parlare delle dinamiche di caos e conflitto immesse dentro la struttura della Ue, e nel rapporto tra stati membri, che emergono, paradossalmente, proprio dopo i richiami all’ordine europeo e militare della commissaria Ue.

La proposta di von der Leyen ha avuto un forte impatto sul piano della comunicazione mediale, impossibile altrimenti con i media europei militarmente occupati da anni. Si tratta però di un effetto annuncio che rivela anche che la Ue è attraversata, come già accaduto per il piano europeo per l’intelligenza artificiale, da una fase di decisionismo teatrale senza forza politica reale, tutto piegato sull’effetto annuncio che finisce per riflettere le criticità strutturali della governance multilivello chiamata Unione Europea. Il piano di riarmo tramite indebitamento dei singoli stati, proposto dalla commissaria Ue, 800 miliardi in 4 anni di cui 150 a sostegno europeo diretto con il resto raccolto sui mercati, appare confuso e frammentario. Questo perché già sul piano sul quale vorrebbe essere decisivo, quello militare,  le materie prime necessarie alla produzione di sistemi d’arma, indispensabili a ReArm Europe, sono in molti casi difficili da reperire sul mercato e la lievitazione dei costi industriali in atto può ridurre seriamente l’effetto boom economico atteso da queste misure. ReArmEurope presenta quindi diverse criticità strutturali qui sintetizzate in cinque questioni chiave.

La prima questione che von der Leyen non affronta, in contrasto con un effetto annuncio giocato sulla notizia della decisione, è quella delle competenze in materia di difesa che rischiano di rendere immediatamente inefficace la portata strategica di ReArmEurope.

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transform

ReArm Europe, Il Parlamento europeo e il Nemico esterno

di Paola Boffo

niente di nuovo 3.jpgLo scenario globale è cambiato precipitosamente e radicalmente con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Questo ha provocato una successione di incontri, riunioni, dichiarazioni, decisioni in Europa, in svariati formati interni, parziali o esterni all’Unione Europea, fino alla curiosa idea di farsi rappresentare verso gli USA dal premier UK Keir Starmer, in barba alla Brexit.

Nel contesto più istituzionale UE, in occasione del Consiglio straordinario del 6 marzo scorso dove i leader dell’UE hanno discusso dell’Ucraina e della difesa europea, anche su impulso delle discussioni nelle sedi più sopra menzionate, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha presentato una lettera sull’argomento della difesa europea.

Il Consiglio ha approvato la proposta della Commissione, come si legge nelle Conclusioni della sessione, e ha invitato la Commissione “a proporre fonti di finanziamento supplementari per la difesa a livello dell’UE, anche attraverso ulteriori possibilità e incentivi offerti a tutti gli Stati membri, sulla base dei principi di obiettività, non discriminazione e parità di trattamento degli Stati membri, nell’uso delle loro dotazioni attuali a titolo dei pertinenti programmi di finanziamento dell’UE, e a presentare rapidamente proposte in tal senso”.

Sulla proposta torneremo, sulla base dell’effettivo documento che sarà presentato al Consiglio, nel quale saranno chiariti gli obiettivi, i profili economici e l’effettiva capacità che l’UE potrebbe mettere in campo. Oggi restiamo sul piano politico e istituzionale, rendendo conto di quanto accade in queste ore al Parlamento Europeo. È stato scritto da più parti che il ricorso all’articolo 122, per l’approvazione di ReArm Europe è un grave nocumento alla democrazia, poiché esclude la discussione in Parlamento e il suo ruolo nel processo legislativo. Pare opportuno, in ogni caso, segnalare che l’attuale Parlamento è scarsamente rappresentativo, come ha ricordato Pasqualina Napoletano nell’incontro La nostra Europa promosso da Transform. Non è certo, insomma, che l’intervento del Parlamento avrebbe migliorato le cose, e infatti…

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analisidifesa

ReArm Europe: più debiti per gli stati, più potere alla nomenklatura Ue

di Gianandrea Gaiani

P065815 187142 755x491 1.jpg“L’Europa è pronta ad assumersi le proprie responsabilità Rearm Europe può mobilitare quasi 800 miliardi di euro per le spese per la difesa per un’Europa sicura e resiliente” ha dichiarato nei giorni scorsi il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen presentando un piano in cinque punti per il riarmo dell’Europa e il sostegno militare all’Ucraina esposto in una lettera inviata ai leader europei e poi approvata dal Consiglio d’Europa.

L’annuncio dell’ambizioso programma di riarmo della Ue, che si aggiunge al maxi fondo tedesco da 500 miliardi di euro che il leader della CDU tedesca (e probabile nuovo cancelliere) ha annunciato nei giorni scorsi, può essere abbinato all’annuncio giunto da Kiev che Volodymyr Zelensky non porgerà le scuse al presidente degli Stati Uniti Donald Trump dopo la rissa del 28 febbraio alla Casa Bianca. La ragione è che il presidente ucraino “ha avuto assolutamente ragione nella forma e nel contenuto” durante il colloquio, ha dichiarato il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak.

“Non si può fare nulla senza mettere sotto pressione la Russia. È impossibile ottenere risultati positivi aspettandosi che Mosca faccia deliberatamente delle concessioni… Ecco perché non ci scuseremo per un errore che non è mai esistito”, ha detto Podolyak, riaprendo le tensioni con Washington dopo che Zelensky aveva espresso “rammarico” per il pessimo esito del vertice alla Casa Bianca.

Le dichiarazioni di Podolyak lasciano intendere che Kiev stia puntando sull’Europa che annuncia un massiccio riarmo per ottenere forniture militari e garanzie di sicurezza dopo lo stop degli USA alle consegne di armi, munizioni, informazioni d’intelligence e supporto satellitare.

L’Ucraina ha chiesto chiarimenti al Pentagono circa lo stop agli aiuti militari e l’inviato statunitense per l’Ucraina, Keith Kellogg, parlando al Council on Foreign Relations di Washington ha difeso la decisione di Trump di sospendere gli aiuti e la condivisione di intelligence con Kiev, sottolineando che si tratta di “una pausa, non di uno stop definitivo. Il motivo per cui Zelensky è venuto alla Casa Bianca era per firmare un documento che stabilisse il percorso da seguire. Ma quel documento non è stato firmato“, ha detto Kellogg.

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fuoricollana

Il lungo inverno dell’economia tedesca (ed europea)

di Vincenzo Comito

Qui a Berlino per quasi una settimana le temperature sono scese sino a -12 gradi. Un meteo che simbolizza bene la situazione odierna del paese nel lungo inverno così come quella europea. Può, l’Ue, una fondazione americana, rifondarsi con le attuali classi dirigenti?

Economia tedesca 2025.pngIntanto, due eventi, svoltisi a Monaco, hanno molto turbato gli animi della campagna elettorale. Il primo. In televisione si sono visti dei politici, ma anche dei cittadini comuni, apparire del tutto sconvolti di fronte all’attacco brutale del Vice-Presidente Usa, all’UE e alla Germania e questo nel corso della annuale conferenza transatlantica tenutasi nella città bavarese. Non solo, Vance ha suggerito ai tedeschi di votare per il partito di estrema destra, la AfD, di cui ha incontrato la rappresentante, evitando invece di farsi ricevere da Scholz. Lo shock è stato enorme, dal momento che il paese considerava sino a ieri gli Stati Uniti come il grande protettore del suo rinnovamento democratico dopo la catastrofe nazista, nonché il facilitatore della sua ripresa economica e il sicuro protettore militare (Chassany, 2025, a). Un mito crollato in poche ore.

Il secondo evento negativo che ha scosso le coscienze è stato l’episodio del veicolo, guidato da un immigrato, che si è lanciato sulla folla sempre nella stessa città. A poco è valso lo stesso appello dei parenti delle due vittime a non sfruttare l’episodio a fini politici. I cristiano democratici e l’AfD si sono buttati a capofitto sulla vicenda.

 

La crisi delle esportazioni

E veniamo all’economia. Le ragioni delle odierne difficoltà della Germania sembrano del tutto chiare, come appaiono sostanzialmente chiare quelle dell’intera Unione Europea, mentre la due crisi hanno plausibilmente molto, anche se non tutto, in comune. Per quanto riguarda invece i possibili rimedi le proposte portate avanti dalle varie parti in commedia non coincidono tra di loro in nessuno dei due casi. Quello che si può comunque già dire per quelle avanzate dal futuro cancelliere Merz è che esse appaiono per la gran parte non pari alla gravità della situazione (e certo i recenti dibattiti televisivi tra i più importanti candidati, prima a due, poi a quattro, non hanno fatto gran che per rassicurare), mentre per lo meno oscure appaiono le idee di Bruxelles.

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lantidiplomatico

L’alba grigia dei popoli europei

di Marco Bonsanto

nilwufbvfskQuesta volta ci siamo. L’iniziativa di Trump ai colloqui di pace con la Russia di Putin ha decretato l’estinzione di fatto dell’Unione Europea come progetto politico, se mai lo è stato. L’autocelebrato colosso della civiltà liberale che con i suoi standard doveva servire da faro al resto del mondo, è divenuto improvvisamente un fantasma internazionale.

È bastata la poderosa squilla di un soave twitt (pardon! di un truth) per rompere l’incantesimo. Milioni di europei indotti a credere nel sogno di un’unione dei popoli nel segno della pace, della democrazia e del benessere, si svegliano ora bruscamente nell’incubo a occhi aperti di un diroccato maniero ossessionato dagli spettri ululanti dei politici europei. Ne fornisce un plastico esempio il grido in falsetto di Mario Draghi all’ultimo European Parlamentary Week di Bruxelles, rivolto a chi gli chiedeva cosa sia meglio fare per uscire dall’impasse in cui l’ha ficcata Trump: “Non ne ho idea, ma facciamo qualcosa!”. I competenti hanno parlato, questione chiusa.

Insomma l’UE è appesa a un filo – indecisa se usarlo per ritrovare l’uscita dal labirinto, oppure per impiccarsi. Non è escluso che le due soluzioni convergano, perché “What we call the beginning often is the end” (Eliot).

Dopo il fallimento delle sue politiche finanziarie, economiche, energetiche, sociali e ideologiche, divenuto ormai conclamato con la guerra alla Russia, l’UE non potrà far altro che riqualificare la sua azione nell’unico modo che ha sempre ritenuto necessario adottare in analoghe circostanze di crisi, cioè: radicalizzando le medesime politiche! Non abbiamo dubbi che lo farà, e a maggior ragione, anche questa volta, perché la casta degli euroburocrati che l’amministra per conto terzi semplicemente non ha scelta. Devono troppo a chi li ha nominati dalle segrete “cabine di regìa” al loro ruolo di serventi dorati. Il World Economic Forum non può cambiare il proprio programma di governo, ma al più rimodularlo intensificandolo. Esso segue da sempre un’unica agenda, fatta esclusivamente di continue emergenze tra loro collegate che la rendono in sé totalitaria e perciò inemendabile, pena la totale crisi di credibilità di chi la promuove.

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seminaredomande

Quale soluzione per squilibri economici che degenerano in guerra

Ritornare all’Unione Europea dei Pagamenti anni 50 riformando il TARGET2

di Francesco Cappello

coverdatalb.jpgL’Unione Europea è oggi ai ferri corti con Trump perché in surplus rispetto agli USA di più di 50 miliardi di euro, e anche nei confronti del resto del mondo, a causa delle sue politiche economiche mercantiliste ordoliberiste. Gli squilibri commerciali tra importazioni ed esportazioni esistono anche all’interno dell’eurozona.

Pur di mantenere questi surplus, i paesi dell’eurozona hanno attuato svalutazioni interne, mantenendo bassi i salari, riducendo lo stato sociale e gli investimenti pubblici anche a costo di danneggiare, come continua a succedere, la domanda interna. La deflazione salariale causata dall’euro ha, infatti, ulteriormente ridimensionato il mercato interno europeo. Questo ha generato una bilancia commerciale sbilanciata, favorendo i paesi in attivo e penalizzando quelli in difficoltà. La necessità di privilegiare le esportazioni è resa necessaria dal bisogno di valuta estera con la quale continuare a onorare il servizio al debito pubblico, obiettivo raggiunto grazie anche agli avanzi primari realizzati ormai da trent’anni a questa parte dal nostro Paese.

I surplus commerciali, in particolare quelli della Germania, hanno portato a spostamenti di capitali dai paesi in surplus a quelli in deficit, aggravando la povertà di nazioni come la Grecia, costretta a risarcire i suoi debiti svendendo i suoi asset. È necessario, finalmente, riconoscere i rischi legati a questi spostamenti di capitali e introdurre correttivi per affrontare la situazione.

 

L’Unione Europea dei Pagamenti. Un sistema fondato sulla compensazione

Dopo il secondo conflitto mondiale, a risollevare l’Europa Occidentale dalle macerie della guerra più che il piano Marshall fu l’Unione Europea dei Pagamenti (UEP), attiva dal 1950 al 1958, presieduta da Guido Carli. Essa fu mutuata dal sistema dei pagamenti proposto a Bretton Woods nel ’44 da J.L.M. Keynes [1].

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fuoricollana

L’Unione europea tra sovranismi e tecnocrazia

di Antonio Cantaro

Pubblichiamo la relazione tenuta da Antionio Cantaro a Reggio Emilia lo scorso 20 gennaio 2025 nell'ambito del corso dell'Università popolare su "Quale futuro per la democrazia occidentale"

eurofobie maronta 0217.jpgDa dove iniziare una storia dell’Unione europea tra sovranismi e tecnocrazia, come ci chiede la nostra iniziativa di questo pomeriggio?

Non era semplice, ci ho pensato a lungo. Alla fine – perdonerete l’azzardo – ho deciso di cominciare da oggi lunedì 20 gennaio 2025, il giorno in cui Donald Trump diventa ufficialmente il 47 esimo Presidente degli Stati Uniti, di cui peraltro è stato anche il 45 esimo. Magari un’altra volta metterò un punto a questo azzardo con un altro ben più memorabile giorno. Il 12 ottobre 1492, quando alcuni membri di una delle caravelle di Cristoforo Colombo, stremati da mesi viaggio transoceanico, gridarono con un senso di vittoria e di liberazione Terra Terra. Pensavano che fossero le Indie e invece era un Nuovo continente. Terra terra in un senso certamente molto diverso da quello in cui lo dice oggi Trump a proposito della Groenlandia e altri territori. Diverso, ma non troppo distante nel suo significato simbolico. Certamente a parti invertite. Oggi a gridare terra terra non sono l’europeo Colombo e la sua ciurma, i vecchi colonizzatori, bensì l’americano Trump e il naturalizzato americano Elon Trump quando si occupano di noi, dell’Europa.

Nel mio azzardo sono confortato dall’editoriale di una Rivista francese per me, in genere, abbagliata da troppo macronismo per essere affidabile. Una rivista troppo eurocentrica, troppo franco centrica, sin dal nome, Le Grand Continent. Ma che, in questa occasione, muove felicemente lo sguardo non da quanto accade nella provincia del mondo, nel Vecchio Continente, ma da quanto accade nel Nuovo Continente, nella sua capitale, Washington.

Per antica tradizione il giorno dell’insediamento di un nuovo Presidente è un momento repubblicano, un momento incentrato sul potere civile americano – l’essere costituzionalmente gli Usa una Repubblica – più che l’essere gli Usa, di fatto, anche un impero.

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crs

Crisi dell’auto: un problema europeo

di Alfonso Gianni

Le difficoltà di Stellantis si iscrivono in un quadro europeo dove le industrie automobilistiche perdono terreno commerciale a favore della Cina e rimangono indietro nello sviluppo tecnologico anche rispetto agli USA. È indispensabile maggiore lungimiranza circa i temi ambientali e il rapporto col Sud globale

auto 11 2048x1365.jpgChi si aspettava dall’incontro del 17 dicembre fra Stellantis e il Governo una vera svolta, la può trovare solo nei titoli di qualche giornale compiacente. Si può certamente dire che l’occasione sia servita per togliere qualche ruggine accumulatasi nelle relazioni tra il Ministero del Made in Italy (una denominazione quanto mai insincera) e i manager dell’industria automobilistica, approfittando anche della dipartita di Tavares, ma nulla più di questo. D’altro canto le tradizioni non si smentiscono. Gianni Agnelli, parlando del gruppo Fiat, diceva “Noi siamo governativi per definizione”1. La Fiat non c’è più, ma quello che resta si aggrappa a una postura che in qualche modo vuole riattivare. Non stupisce perciò l’entusiasmo del ministro Adolfo Urso, che si è permesso persino di nascondere sotto il tappeto il definanziamento di 4,6 miliardi dal Fondo automotive operato dalla manovra economica e di sbandierare l’inserimento nella medesima, tramite emendamento alla Camera, di soli 400 milioni come un atto di generosa riparazione. Urso ha parlato anche di 1,6 miliardi di euro disponibili per la filiera auto. Ma a tale cifra si arriva sommando diverse voci, che riguardano una pluralità di settori, quindi non tutte facenti riferimento all’automotive, fra cui, oltre ai già citati milioni di euro tra nuovi e residui del Fondo specifico, vi sarebbero quelli per i contratti di sviluppo (500 milioni) già esistenti, perché stanziati dal PNRR e destinati a più filiere strategiche, di cui l’auto è solo una di queste. Sommando queste cifre più altre frattaglie, il Governo promette di giungere alla poco mirabile quota di 1,6 miliardi nel triennio, subito giudicata del tutto insufficiente da Anfia (l’Associazione nazionale della filiera industria automobilistica).

Tutto ciò in cambio di che? Il nuovo numero uno di Stellantis in Europa, Jean Philippe Imparato, ha chiarito che il target di un milione di veicoli prodotti in Italia, vagheggiato solo un anno e mezzo fa, resta un sogno – per usare un eufemismo – dal momento che il volume del prodotto si è ridotto rispetto al 2023 d quasi il 30% e che si prevede che tra veicoli industriali leggeri e vetture auto il bilancio del 2024 raggiungerà a stento le 500.000 unità.