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lantidiplomatico

Genuflessa agli Usa e senza identità: l'Ue è un destino storicamente inevitabile?

di Fosco Giannini*


720x410c50mjhyrdIl progetto scientifico di mitizzazione dell'Unione europea, in Italia e negli altri Paesi Ue, si è avvalso sia di uno spazio temporale lunghissmo che di mezzi propagandistici e volti all'organizzazione del consenso di massa di inedita e spregiudicata potenza. Dalle liturgie parlamentari ed istituzionali ai testi scolastici, dalla letteratura al cinema, dalla pubblicità all'arte, dalla politica ai media, ogni cassa di risonanza con capacità di propagazione di massa è stata accesa e resa funzionale alla costruzione della mitologia dell'Europa unita, alla trasformazione di un progetto unitario tanto artificioso e avulso dalla dialettica storica quanto feroce e antioperaio nella concreta proposta sociale, un progetto uscito come un coniglio dal cilindro del grande capitale e venduto sul mercato politico come spinta storica destinale e irreversibile, una pulsione (positivista) inarginabile.

Per gli interessi del movimento operaio complessivo europeo vi è sempre stata l'estrema necessità di smontare il Moloch ideologico vetero capitalista e pan liberista dell'Ue. Ora che l'Ue è servilmente allineata con gli Usa e con la NATO nella guerra contro la Russia tale necessità si fa ancor più stringente ed importante.

Abbiamo un estremo bisogno di decodificare i moti, tanto artificiali quanto malsani, che sovraintendono la costruzione dell'Ue, sia nell'intento di consegnare una coscienza di classe alla vasta area sociale che "dubita" della bontà dell' "operazione Ue", che nell'intento di costruire una vasta resistenza di massa al titanico tentativo che porta avanti il potere capitalistico sovranazionale europeo diretto a "razionalizzare" la costruzione dell'Ue, rendendo tale processo un "dato di natura" immodificabile, al quale ci si possa genuflettere come i primi esemplari del genere Homo si genuflettevano al fuoco.

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lafionda

Sotto l’atlantismo niente. L’Europa messa a nudo della guerra ucraina

di Alessandro Somma

natoUeLa Nato come alleanza moribonda

Solo qualche mese fa il mondo si stava definitivamente congedando dal Novecento. Il varo di Aukus, l’alleanza militare fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, aveva certificato la centralità della confrontazione con la Cina, e con essa il disinteresse di Washington per l’area europea. Poco prima il Presidente francese Emmanuel Macron aveva stigmatizzato il disimpegno statunitense in Medio Oriente, iniziato con la Presidenza Obama e proseguito con il suo successore. Aveva anche messo in discussione il senso della Nato, liquidandola come alleanza in stato di morte celebrale. L’Alleanza atlantica costituiva del resto il prodotto della Guerra fredda, che l’implosione dell’Unione sovietica aveva consentito di archiviare, facendo così emergere differenze fondamentali nell’agenda politica di Stati Uniti ed Europa.

Eppure la fine della confrontazione tra blocco occidentale e blocco socialista non ha certo determinato una inattività della Nato. Al contrario questa si è allargata ai Paesi un tempo aderenti al Patto di Varsavia, così come a quelli sorti dalla dissoluzione dell’Unione sovietica: nel 1999 aderiscono all’Alleanza atlantica la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, mentre nel 2004 è il turno dell’Albania, della Bulgaria, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, della Romania e della Slovacchia. Una volta giunti a ridosso dei confini con la Russia, gli Stati Uniti hanno tuttavia pensato di potersi in qualche modo distrarre, o quantomeno di prendersi una pausa per concentrarsi sulla Cina.

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lantidiplomatico

"I dati sui profughi ucraini sono impossibili da un punto di vista logico"

Francesco Santoianni intervista Benedetta Piola Caselli

720x410c50njiu9fgUcraina: basta con il giornalismo di guerra ridotto a mera propaganda! È il sorprendente appello di dodici corrispondenti di guerra italiani (tutti provenienti da media mainstream) pure loro verosimilmente inorriditi dai reportages di tanti giornalisti italiani diventati meri cantori della narrativa atlantista. 

Tra i pochi che sono sfuggiti a questo destino, Benedetta Piola Caselli, avvocato di Roma che, con le credenziali di un quotidiano nazionale, si è recata due volte in Ucraina realizzando video-reportages tutti pubblicati sul suo profilo Facebook. Video da vedere assolutamente anche perché costituiscono uno dei rari esempi di giornalismo teso a capire, dietro la propaganda, cosa sta veramente succedendo. L’abbiamo intervistata.

"La situazione che ho trovato è stata totalmente diversa da quella che credevo di trovare, e che avevo immaginato guardando la televisione e leggendo i giornali. Innanzitutto, io avevo capito che gli ucraini fossero tutti impegnati in guerra. In realtà, anche se tutti gli uomini fra il 18 e i 60 anni non possono lasciare il paese, solo l’esercito professionale e i volontari stanno combattendo, mentre gli altri sono ancora coinvolti nella gestione normale del paese. 

Nessuna coscrizione obbligatoria è ancora in atto, perché la legge prevede quattro livelli di mobilitazione (esercito, riserva, carcerati, mobilitazione generale) e siamo ancora al livello 1.

Oltre a questo, salvo che sulle linee del fronte, la vita continua normalmente con le due eccezioni del coprifuoco e delle sirene antiaeree, che suonano continuamente.

I corrispondenti spesso confondono le sirene con i raid, ma sono cose molto diverse. Per esempio, a Leopoli dal 26 febbraio ad oggi gli allarmi antiaerei sono suonati 74 volte, ma i raid sono stati 3 e tutti su obiettivi militari.

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coniarerivolta

PNRR: una, nessuna o cinquecentoventotto condizioni

di coniare rivolta

pnrr3nmtAbbiamo provato a delineare quali sono alcune delle principali condizioni che l’Italia si è impegnata a soddisfare per avere accesso ai fondi del Recovery Fund. Ci eravamo però lasciati senza finire il discorso, che purtroppo ha ulteriori aspetti dirompenti e preoccupanti.

Per il profitto privato, il PNRR è anche un’occasione d’oro per consumare qualche vendetta, come quella sul referendum per l’acqua pubblica del 2011, quando 26 milioni di italiani sancirono la natura pubblica di questo bene di prima necessità e della sua gestione. Tra le condizioni da rispettare per il prossimo dicembre, infatti, si legge anche di una “Riforma del quadro giuridico per una migliore gestione e un uso sostenibile dell’acqua”, una misura “per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati”. Basta approfondire la documentazione del PNRR per scoprire che questo significa “rafforzare l’industrializzazione del settore favorendo la costituzione di operatori integrati, pubblici o privati e realizzando economie di scala per una gestione efficiente degli investimenti e delle operazioni”. Ecco che la prima tranche di Recovery Fund diventa un grimaldello per riformare la normativa sulla gestione dell’acqua favorendone la privatizzazione, affermando un modello di multiutility (da qui l’enfasi sulla natura integrata del servizio) che calpesta il diritto all’acqua per garantire l’accumulazione di profitti e rendite monopolistiche (da qui, invece, l’enfasi sulle economie di scala).

La foga liberalizzatrice e privatizzatrice del PNRR non si ferma, ovviamente, qui. Ci siamo, infatti, impegnati a riformare i dottorati “al fine di coinvolgere maggiormente le imprese e stimolare la ricerca applicata”, con lo scopo di “semplificare le procedure per il coinvolgimento di imprese e centri di ricerca e rafforzando le misure per la costruzione di percorsi di dottorato non finalizzati alla carriera accademica”.

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tazebao

Il Recovery Plan

Il capitale tra programma e propaganda

di Collettivo politico comunista

y6f“L’Unione Europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation Eu (Ngeu). È un programma di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale”. [1] È questa la retorica che lo stesso Mario Draghi pone a premessa del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), ovvero del Recovery Plan, approntato dal suo governo nell’aprile scorso e approvato dalla Commissione Europea nel giugno scorso. Attraverso tale Piano si dovrebbe definire la destinazione dei 191,5 miliardi di euro stanziati dall’Ue per il nostro paese nel cosiddetto Recovery Fund e cioè nell’ambito del programma Next Generation Eu, di cui 122,6 miliardi di prestiti e 68,9 di sovvenzioni, da spalmare tra il 2021 e 2026, secondo le previsioni di bilancio elaborate dagli organi europei. A fianco del Pnrr, viene attivato anche il Fondo React Eu, sempre parte del programma Next Generation Eu, ma attingente ai tradizionali fondi di politiche sociali e di coesione dell’Ue (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo, Fondo di aiuti europei agli indigenti).

Effettivamente, come afferma Draghi, si tratta di un passaggio inedito nella storia dell’aggregato imperialista europeo: un ulteriore meccanismo di centralizzazione finanziaria dell’Unione rispetto ai singoli Stati, basato sull’emissione, per la prima volta, di titoli di debito europei, i cosiddetti Eurobond, come avviene da inizio estate 2021.

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micromega

Come rendere utile l’orribile Mes

di Carlo Clericetti

Il “Fondo salva-Stati” resta un “prodotto senza acquirenti”. Nessuno vuole mettersi alla mercé di un istituto di diritto privato e con sede in un paradiso fiscale che per “tutelare l’interesse dei creditori” può imporre misure rovinose. Ma con un’Agenzia del debito, la politica europea potrebbe essere decisamente migliore

Schermata del 2022 02 28 12 59 00Un’azienda che si accorgesse che un suo prodotto non lo vuole nessuno, nonostante vari tentativi di promozione, deciderebbe di eliminarlo. Non così i politici e tecnocrati europei, che ben si possono paragonare a un management aziendale, vista la loro fede nelle virtù taumaturgiche del mercato.

Il “prodotto” è il Mes, il cosiddetto “Fondo salva-Stati”, che ogni tanto viene periodicamente riproposto nel tentativo di giustificare la sua esistenza e anche di trovare un impiego per il suo capitale di 80 miliardi versati dagli Stati che giacciono inutilizzati.

L’organismo è stato istituito in seguito alla crisi del 2008, e in questi anni ha cambiato nomi (ESF, ESFS) e regolamenti. L’ultima riforma, che lo rende se possibile ancora peggiore, è stata approvata dall’Eurogruppo nel novembre 2020 (e poi anche dal Parlamento italiano, in dicembre), ma manca ancora la ratifica definitiva del nostro governo: se i problemi solo burocratici di cui ha parlato il ministro Daniele Franco fossero invece un espediente per prendere altro tempo, sarebbe un ottimo segnale.

Il Mes deriva da un trattato intergovernativo, è un istituto di diritto privato lussemburghese ed è guidato da un “Consiglio dei governatori” di cui fanno parte i ministri delle Finanze dei Paesi membri. Il suo direttore generale, il tedesco Klaus Regling, ha ampi poteri. Il suo statuto prevede che debba fare gli interessi dei creditori, che abbia l’ultima parola sulla solvibilità di chi vi ricorre e che in base a questo giudizio possa imporre condizionalità che possono arrivare fino alla ristrutturazione del debito. Chi ne fa parte è esente da ogni responsabilità civile e penale.

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crs

La guerra globale in Europa. Possiamo ancora fermarla

di Alfonso Gianni

pexels pixabay 408202 1Lo scontro bellico più volte minacciato è quindi in atto. Quando, non molte ore fa, eravamo ancora sull’orlo del baratro di una nuova guerra ad alta intensità entro i confini geografici del continente europeo, ci ha raggiunto l’esternazione dell’uomo delle sentenze epocali e (solo per lui) definitive. Si parla di Francis Fukuyama che in una intervista di un’intera pagina su la Repubblica del 22 febbraio, dopo avere con disinvoltura riconosciuto che la storia non è finita perché Putin vorrebbe “estendere la zona di influenza sull’Europa orientale, tornando a controllare i Paesi entrati nella Nato dopo il 1991”, afferma perentoriamente: “Ho passato molto tempo in Ucraina negli ultimi sette anni, poiché abbiamo programmi per addestrare i giovani. Ogni volta ripeto che lo faccio perché Kiev è il fronte della lotta globale per la democrazia”. Un fronte alquanto inquinato e traballante visto il pessimo stato di salute delle istituzioni ucraine, la corruzione e il malaffare che ne corrodono le fondamenta, la presenza di consistenti forze fasciste e neonaziste capaci di interpretare e indirizzare nel modo più violento le diffuse pulsioni nazionalistiche. Ma è così che l’autore de La fine della storia e l’ultimo uomo intende riassumere la missione salvifica degli Usa e per estensione dell’Occidente.

Vista così, e Fukuyama è uomo ascoltato dalla amministrazione Biden, la crisi ucraina non lascerebbe davvero speranze. Saremmo di fronte a uno scontro di portata storica, oltre che globale, che sempre più rapidamente sposta in avanti, cioè verso est, la linea del fronte. Il patto Nord Atlantico al suo sorgere nel 1949 comprendeva 12 paesi. In seguito a otto allargamenti si è giunti a 30, con un’intensificazione delle adesioni negli ultimi 20 anni, a partire da quel fatidico 1999, quando venne demolita la Jugoslavia.

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politicaecon

Il triste anniversario di Maastricht

di Sergio Cesaratto

trattato maastrichtLa flessibilità dei mercati e lo scioglimento dei lacci e lacciuoli sono stati gli strumenti giusti per la crescita economica dei Paesi europei? Il bilancio di tre decenni del Trattato di Maastricht e dei suoi precetti liberisti non è commendevole. E dovrebbe far riflettere tutti, specie a sinistra.

Lascio agli storici ricostruire le vicende internazionali e italiane che condussero alla ratifica del Trattato di Maastricht (1992). Vediamone qui qualche aspetto economico per giudicare se tale trattato abbia avuto o meno qualche senso.

 

Prima di Maastricht

Di un’unione monetaria europea si era discusso già dagli anni cinquanta. L’analisi economica ne aveva però scoraggiata la creazione per il diverso grado di sviluppo e istituzioni dei Paesi europei. In particolare, la cosiddetta teoria delle aree valutarie ottimali aveva predetto una tendenza deflazionistica di tale unione. Infatti essa avrebbe con tutta probabilità condotto a squilibri commerciali fra i Paesi membri a vantaggio dei più competitivi. Robert Mundell, che di quella letteratura fu il fondatore, aveva in testa la Germania che già dal 1950 perseguiva con gusto surplus commerciali. Questa avrebbe certamente rifiutato di ridurre tali surplus espandendo la propria economia e accettando un’inflazione più alta al fine di importare di più dai partner. Il modello tedesco prevede infatti un’inflazione al di sotto di quella dei concorrenti e che siano questi ultimi a espandersi importando in tal modo di più e accrescendo la loro inflazione, ampliando così il loro gap competitivo con la Germania.

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cumpanis

Scacchiere europeo

Nuovi giochi e vecchie facce nello scacchiere europeo

di Spread It

Spread It, Collettivo di propaganda, informazione e discussione politica. Con questo articolo il Collettivo inizia la sua collaborazione a "Cumpanis"

IMMAGINE PRIMO PEZZO SEZIONE UE ASIA EURASIAIl giorno 25 i lettori della cronaca internazionale vengono investiti da una notizia, che, dati i toni usati da quasi tutta la stampa occidentale, sembra incredibile.

Un gruppo di imprenditori italiani, rappresentanti della Camera di Commercio Italia-Russia e del Comitato imprenditoriale italo-russo si incontra in video conferenza con Putin, ufficialmente per discutere dei rispettivi rapporti (1).

Notizia che spiazza il lettore medio, abituato a percepire tutto ciò che ha a che fare con l’occidente capitalista come baluardo del bene e della libertà, pronto, con la civiltà che esprime, a scagliarsi contro le autocrazie dispotiche dell’Est, contro i poteri personali che incrementano le distopie.

Notizia che spiazza gli ignari e defraudati lettori, ma che imbarazza anche il governo, guidato attualmente da uno dei campioni dell’atlantismo.

Un governo che si affretta ad avvisare gli Ad delle partecipate di cui fa parte, e che erano presenti all’incontro (ENI ecc.), di disertare il meeting e rientrare all’ovile.

Ma il meeting continua, nella mattinata del 26, segno che le cose da dirsi, insieme al presidente della Federazione Russa, hanno una certa importanza.

Questo appena riassunto, è un esempio di quanto le questioni aperte dall’espansionismo ad Est della NATO (in questa particolare contingenza) abbiano una complessità di fondo che non può essere ignorata.

Esistono due questioni, nell’attuale contingenza politica continentale, che sottendono alla situazione di stallo venutasi a creare tra gli Stati Uniti e la Federazione Russa.

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coniarerivolta

Un’altra Europa con Giavazzi

di coniarerivolta

dramacrNegli ultimi giorni del 2021, il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi e il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron hanno preso carta e penna e scritto una lettera al Financial Times, dall’altisonante titolo “Le regole fiscali dell’Unione Europea vanno riformate, se vogliamo mettere in sicurezza la ripresa”. Una lettura superficiale della missiva potrebbe far pensare a un attacco, garbato ma fermo, ai cosiddetti ‘falchi’ che, appena passata la tempesta della pandemia, vorrebbero un ripristino rapido dell’austerità imposta dal Patto di Stabilità e Crescita, sospeso negli ultimi due anni e che tornerà in vigore a partire dal 2023. Una sorta di manifesto politico della nuova Europa che verrà, forgiata nella solidarietà degli ultimi due anni e negli enormi, ci dicono Draghi e Macron, sforzi messi in campo per arginare le conseguenze economiche della pandemia.

La lettera è, in massima parte, deliberatamente vaga e generica, limitandosi ad una enunciazione di principi che ruota intorno alla constatazione che le regole fiscali europee, imperniate sul Patto di Stabilità e Crescita, vanno aggiornate e riformate, alla luce del nuovo scenario globale e delle molte sfide che ci aspettano.

Come dicevamo, la lettera è sì generica, ma è anche particolarmente esplicita nel delineare l’orientamento strategico di un pezzo di padronato europeo, in particolare su come usare l’architettura dell’UE per riprendere a macinare profitti: alle soglie del terzo anno di emergenza sanitaria, l’economia è rallentata in misura talmente violenta che si rende necessario un deciso intervento pubblico, per rimettere in moto la produzione e ridare vigore agli utili, messi a repentaglio dalla mazzata che la pandemia ha inferto al potere d’acquisto di milioni di persone.

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contropiano2

Venti anni di euro. Chi ci ha guadagnato?

di Dante Barontini - Guido Salerno Aletta*

venti euro guadagnatoA sentir parlare di debito pubblico, il lettore medio cattolico si fa la croce pensando al terrore che gli ispirano i Cottarelli e i Draghi di turno.

Quelli che si sentono “di sinistra” ma non fanno lo sforzo di concepire la società e le classi come un insieme organico, percorso da una feroce lotta di classe, si limitano a far spallucce considerandolo un falso problema oppure una “scusa” con cui i governanti di turno fottono i cittadini, i lavoratori, ecc.

Il che ha un suo fondo di verità, ma solo se si guarda alla superficie del problema.

Sentir parlare di moneta, di tassi di interesse, ecc, per di più in relazione al debito pubblico, provoca reazioni di fuga ancora più rapide. Eppure tutta la gestione politica dell’economia – nazionale o continentale che sia, visto che l’Unione Europea scrive ormai la parte essenziale della legislazione macroeconomica e fiscale dei singoli paesi – passa inevitabilmente per il debito pubblico e la moneta.

Il solo fatto di non averne più una propria, e condividere invece quella “comunitaria” (che è ben diverso da “comune”), ha prodotto una lunga seria di problemi che hanno un riflesso immediato sulla vita quotidiana di tutti noi. Soprattutto per quelli che di moneta in tasca ne hanno poca.

Su questi punti la destra italica, espressione fondamentalmente di una borghesia piccola e media – con scarsa o nulla proiezione internazionale e persino nazionale (a carattere locale, insomma) – ha battuto per anni. Facendo infine identificare la critica dell’euro come “causa” dei molti peggioramenti avvenuti nella condizione di quella classe smandrappata.

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paginauno

Il Consiglio europeo

di Perry Anderson

L’intervento che segue, a firma di Perry Anderson (storico accademico e saggista britannico), è stato pubblicato sulla London Review of Books, Volume 43, n. 1, gennaio 2021 (1) e affronta, da un punto di vista storico, le cinque istituzioni principali dell’Unione europea: la Corte di Giustizia, la Commissione, il Parlamento, la Bce e il Consiglio. Dopo aver pubblicato la parte relativa alla Corte di Giustizia (2), alla Commissione (3), al Parlamento e alla Bce (4), chiudiamo con il Consiglio europeo e le conclusioni su economia, euro, diritti, democrazia

39854reIl Consiglio europeo comprende capi di governo che godono di maggioranze in veri e propri parlamenti, frutto di elezioni significative. Come tale, è diventato la massima autorità dell’Unione. The Passage to Euro- pe di Van Middelaar è in gran parte la storia della sua ascesa a questa posizione, ed è giustificata la sua affermazione che il Consiglio è ora il principale motore dell’integrazione europea. Quello che non fa è guardare sotto il cofano. Che tipo di veicolo sta avanzando? È questo il soggetto della più fondamentale di tutte le opere sulla Ue dell’ultimo decennio, European Integration di Christopher Bickerton, il cui titolo anodino, condiviso da decine di altri libri, nasconde la sua distinzione, che si concretizza nel sottotitolo che fornisce la sua argomentazione: “Dagli Stati nazionali agli Stati membri”.

Tutti hanno un’idea di cosa sia uno Stato-nazione, e molti sanno che 27 Paesi (dopo l’uscita del Regno Unito) sono Stati-membri dell’Unione Europea. Qual è la differenza concettuale tra i due? La definizione di Bickerton è succinta. Il concetto di Stato-membro esprime un cambiamento fondamentale nella struttura politica dello Stato, con i legami orizzontali tra i dirigenti nazionali che hanno la precedenza sui legami verticali tra i governi e le loro società. Questo sviluppo lo ha colpito per la prima volta, spiega, al momento del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona.

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politicaecon

Quei sussidi italiani alla Germania

di Sergio Cesaratto

sussidi italia germaniaL’Italia ha pagato certe sciagurate politiche della BCE – influenzate da Berlino, potenza dominante in Europa – con decine di punti di debito/PIL in più e trovandosi ancor più povera, mentre la Germania simmetricamente ci guadagnava.

* * * *

Già nella prima edizione delle Sei lezioni di economia denunciavo l’enorme risparmio nella spesa per interessi che il governo tedesco lucrava dalla fuga di capitali dai titoli di stato italiani verso quelli tedeschi, considerati più sicuri.[1] Un istituto tedesco aveva all’epoca quantificato tale risparmio in 100 miliardi di euro. Nell’edizione inglese del 2020 citavo l’autorevole membro tedesco del consiglio esecutivo della BCE, Isabel Schnabel che quantificava nel febbraio 2020 i risparmi di spesa per Berlino in 400 miliardi di euro dal 2017. Questo non solo, naturalmente, in seguito alla fuga dai titoli italiani, che si era progressivamente calmata dal celebre intervento di Draghi del 2012, ma soprattutto per le misure di acquisto di titoli pubblici avviata dalla BCE dal marzo 2015. Questi acquisti erano soprattutto indirizzati a mettere in sicurezza i titoli ad alto debito, come quelli italiani. Ma poiché la BCE deve agire erga omnes, ad avvantaggiarsene furono, ancora una volta, anche i titoli tedeschi. Insomma, vantaggi dalle disgrazie altrui, magari non espressamente cercati, ma comunque evidenti. Disgrazie nei confronti delle quali non si è però innocenti, se è vero che Berlino è stata la principale ispiratrice delle disgraziate politiche fiscali e dell’inazione della BCE sino alla Presidenza Draghi nel 2011, ma nei fatti anche oltre continuando a frenare l’azione della banca centrale.

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micromega

Come cambiare le regole europee

di Carlo Clericetti

L’Ue ha aperto una consultazione pubblica sulla riforma, a cui tutti possono partecipare. La formulazione delle domande non depone a favore di un cambio di mentalità: eppure le ultime due crisi hanno mostrato che è proprio questo che serve. Alcune proposte per far tesoro delle lezioni del passato

hugeulL’Unione europea ha aperto una consultazione pubblica sulla riforma delle regole che si è data da Maastricht in poi. Con la pandemia sono state sospese e così resteranno anche nel 2022, ma nel 2023 si prevede di riattivarle. Non esattamente le stesse: anche se c’è ancora chi vorrebbe rispristinarle tali e quali – e questo la dice lunga sulla capacità di comprensione delle dinamiche economiche di una parte della cosiddetta “classe dirigente” – la maggioranza ha finalmente capito che quelle regole hanno funzionato male, per usare un gentile eufemismo. Se poi vogliamo dirla più chiaramente, alcune di esse sono demenziali e gli economisti che le hanno inventate – e magari ancora le sostengono – dovrebbero quantomeno ammettere pubblicamente l’errore, come qualcuno ha fatto.

Chiunque può partecipare alla consultazione, fino a fine anno, collegandosi a questo link. Una grande iniziativa di democrazia teorica. Per considerarla effettiva, bisognerebbe sapere chi leggerà quelle proposte (sempre che qualcuno le legga) e se sarà data la stessa attenzione a chi, tra le qualifiche tra cui scegliere, si definisce “cittadino europeo” o invece “banca centrale”.

Si deve rispondere a 11 punti, ognuno dei quali si conclude con una domanda. Ma la maggior parte potrebbe essere semplicemente accorpata al primo punto, la cui domanda finale esprime lo spirito con cui si affronta questa riforma e definisce l’orizzonte entro cui si muove chi ha preparato il questionario, che evidentemente nemmeno concepisce che si possa pensare a qualcosa di diverso. La domanda è: “Come si può migliorare il quadro di riferimento per garantire finanze pubbliche sostenibili in tutti gli Stati membri e per aiutare a eliminare gli squilibri macroeconomici esistenti ed evitare che ne insorgano di nuovi”?

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rete dei com

Hic Rhodus hic salta, il bivio dell’imperialismo europeo

di Mauro Casadio - Rete dei Comunisti

ursula esercitoIl Forum della RdC che si è tenuto a Bologna il 20 e 21 Novembre ha cercato di focalizzare l’evoluzione che sta avendo L’Unione Europea, da quello che abbiamo definito a suo tempo un “polo” imperialista, cioè una forma inedita di relazioni in Europa che si basava sostanzialmente su un’area economico finanziaria, che oggi sta mutando la propria funzione.

Abbiamo detto da “Polo a Superstato” proprio per delineare un percorso che non è definibile a priori e che, rispettando obiettivi e funzioni di un’effettiva area imperialistica moderna, sta dandosi una strutturazione storicamente originale in rapporto a quelli che sono gli Stati europei affermatisi tra l’800 ed il ‘900 in modo esplicitamente imperialista.

Il percorso e l’analisi a cui abbiamo fatto riferimento nelle nostre elaborazioni non è quello che si manifesta periodicamente in momenti di conflitto o di omogeneità tra gli Stati della UE, a causa delle loro differenze di storia, dimensione e di peso politico, ma le tappe che nell’andare del tempo si sono consolidate e che sono oggi alla base degli ulteriori possibili balzi in avanti che questa inedita costruzione istituzionale può fare.

L’accordo di Maastricht nel ‘92, la nascita dell’Euro ai primi anni del 2000, il superamento della crisi finanziaria del 2007/2008, l’uscita dell’Inghilterra come “longa manus” degli USA in Europa, il ruolo attivo della BCE di Draghi con i Quantitative Easing, l’attuale Recovery Fund come ristrutturazione industriale continentale sono i pilastri di una costruzione sui quali è difficile pensare che si possa tornare indietro nonostante le difficoltà, comunque sempre contingenti, data anche la nuova condizione nelle relazioni internazionali.