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L’Europa dopo Angela Merkel

di Alfonso Gianni

indexjkuo8y43Le elezioni tedesche del 26 settembre sono probabilmente destinate a cambiare le cose più in Europa che non in Germania. Un acuto osservatore della situazione internazionale, come Lucio Caracciolo, intervenendo in un webinar il giorno dopo, le ha persino definite come le più importanti elezioni italiane degli ultimi tempi.

Naturalmente questo non significa che nel grande paese tedesco tutto possa rimanere come prima. Sarebbe impossibile in ogni caso. Per quanto Olaf Scholz, il candidato socialdemocratico uscito vincitore dalla tenzone elettorale fosse da tempo “volato sul nido del cuculo”, ossia avesse moderato le proprie posizioni da non renderle così diverse dalla politica incarnata da Angela Merkel, con sempre maggiore evidenza man mano che si avvicinava le urne. Malgrado che sotto i suoi manifesti di propaganda affissi in tutto il paese vi fosse il singolare – ma fortunato – slogan “Sa fare la Cancelliera”. Malgrado che la sua postura, perfino la posizione delle mani durante i dibattiti televisivi fossero stati studiati appositamente per richiamare la figura della Merkel, fino a dar vita al neologismo “merkelare” riferito all’insieme delle sue parole e dei suoi comportamenti. Malgrado tutto ciò, i sedici anni nei quali Angela Merkel ha ricoperto il ruolo di Cancelliera sono per chiunque irripetibili e neppure imitabili se non nel tragitto di una pur lunga campagna elettorale. Che tale è stata se non si considerano i tempi formalmente e strettamente destinati ad essa, ma quelli del lungo addio all’alta carica da parte della Merkel.

Il suo cancellierato ha aperto e probabilmente concluso un’epoca. Nel 2005 la Germania era considerata dai mass media internazionali più autorevoli come il grande malato d’Europa, sia per i costi della riunificazione tedesca che, e soprattutto, per la recessione nel quale il paese entrò nel 2003.

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Patto di stabilità. Il trucco dei falchi per far cadere l’Italia in trappola

Lorenzo Torrisi intervista Sergio Cesaratto

Si continua a discutere, ma non in Italia, del futuro della governance europea. Il nostro Paese rischia di rimanere intrappolato in regole all’apparenza convenienti

dombrovskis gentiloni 1 lapresse1280 640x300Nella settimana che si è appena conclusa è tornato a galla il tema del futuro delle regole del Patto di stabilità e crescita al momento ancora sospese. Il quotidiano tedesco Handelsblatt ha pubblicato in esclusiva i contenuti di un documento messo a punto dagli economisti del Mes, nel quale si suggerisce una modifica del parametro debito/Pil per portarlo dal 60% al 100%, lasciando invariato quello relativo al deficit/Pil al 3%.

Per l’Italia si tratterebbe di una modifica positiva? Secondo Sergio Cesaratto, Professore di Politica monetaria e fiscale europea all’Università di Siena, che ha appena pubblicato “Sei lezioni sulla moneta – La politica monetaria com’è e come viene raccontata” (Diarkos), «una proposta del genere potrebbe essere ingannevole in quanto apparentemente più realistica. La riduzione in 20 anni del rapporto debito/Pil sino al 60% prevista dal Fiscal compact del lontano 2012 è rimasta misura inapplicata in quanto irreale.

Essa avrebbe comportato surplus di bilancio primari (surplus una volta pagati gli interessi sul debito) tali da far crollare la domanda interna e l’economia rendendo, peraltro, ancora più lontano quell’obiettivo. La natura surreale del provvedimento l’ha reso lettera morta. Rendendolo apparentemente più realistico lo si vorrebbe rendere operativo. Ma gli effetti drammatici sull’economia sarebbero i medesimi sia che si voglia arrivare al 60% che al 100%. Le regole non vanno ideate a tavolino».

* * * *

Il nostro debito pubblico andrà pur ridotto…

Ci si deve domandare se e quanto è possibile all’Italia ridurre il debito pur mantenendo una stance fiscale espansiva, chiedendosi non solo cosa deve fare il nostro Paese, ma quali politiche devono adottare gli altri Paesi e la Bce per agevolare una comunque lentissima riduzione.

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lafionda

Commissariare il parlamento

di Alessandro Somma

pnrrIl Piano nazionale di ripresa e resilienza e le sue condizionalità

Presentato come un segno della solidarietà e generosità dell’Europa unita, il Pnrr è in verità tutt’altro. In questa prima parte del contributo vedremo perché i soldi di cui si parla sono in realtà pochi e tutti da restituire, per poi illustrare le condizionalità cui sono collegati: innanzi tutto quelle che impongono una sana governance economica, ovvero l’austerità. Nella seconda parte ci dedicheremo alle condizionalità che riguardano la tutela della concorrenza e che comportano liberalizzazioni e privatizzazioni. Concluderemo riflettendo sulla finalità prima del Pnrr: impedire la partecipazione democratica in quanto ostacolo al definitivo consolidamento dell’ortodossia neoliberale.

 

Pochi soldi tutti da restituire

Tra gli strumenti predisposti dall’Unione europea per affrontare la crisi determinata dall’emergenza sanitaria, occupa un posto di rilievo il Next generation Eu: un pacchetto di sovvenzioni e prestiti per 806,9 miliardi di Euro ai prezzi correnti, erogati nell’ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-27 (il cui valore è di complessivi 2018 miliardi). La parte più consistente di questi denari verrà distribuita dal Fondo per la ripresa e la resilienza (Recovery and resilience facility), la cui dotazione ammonta a 723,8 miliardi[1], così suddivisi: 338 miliardi in sovvenzioni a fondo perduto e 385,8 miliardi in prestiti da restituire.

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lavoroesalute

Pnrr, chi l’ha visto?

Alba Vastano intervista Andrea Del Monaco*

Intervista ad Andrea Del Monaco, esperto in Fondi Europei. “Per avere i prestiti del Recovery Mario Draghi dovrà fare le “riforme”: non solo quelle buone, ma principalmente (mirando alla contrazione del deficit) il taglio delle pensioni, una nuova tassazione sulle case, nuove privatizzazioni (in primis sanità) e flessibilizzazione ulteriore del lavoro. La Commissione Europea potrà sospendere i pagamenti del Recovery Fund qualora uno Stato Membro non abbia corretto il disavanzo eccessivo o qualora non abbia adempiuto ad un programma di aggiustamento macroeconomico (un memorandum di austerità)”

banksy new brexit dover‘Sono in arrivo dall’Europa miliardi di euro e l’economia italiana ripartirà alla grande’. E’ la storiella che ci raccontano lorsignori, i nostri governanti, dai notiziari mainstream. C’è qualche dubbio che così non sarà. Non sta per scendere dalla slitta Babbo Natale con la gerla piena di doni. Per saperne di più su queste promesse di pioggia di euro e su quanto di vero vi sia nelle news filtrate dai media chiediamo lumi sulla questione ad Andrea Del Monaco, fra i maggiori esperti in fondi europei.

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Alba Vastano – Il Piano nazionale Ripresa e Resilienza sembra sia in fase di attuazione. Nell’attesa di saperne di più sarà opportuno fare un excursus che ricordi cos’è il Mes e come si è arrivati al Recovery Fund (Next generation Eu).

Andrea Del Monaco – Il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità è un trattato internazionale, sottoscritto nel 2012 (per l’Italia dal Governo Monti) e ratificato alla fine da tutti i 27 gli Stati Membri: non è un trattato europeo perché allora la Gran Bretagna non lo sottoscrisse. Il MES è il terzo degli strumenti creati nella crisi post 2008 e ha “aiutato” Cipro, Grecia e Spagna. De facto è un fondo salva-banche: formalmente ha salvato le banche greche e spagnole, debitrici delle banche francesi e tedesche; sostanzialmente i contribuenti europei, pagando il MES, hanno salvato le banche francesi e tedesche creditrici delle banche greche e spagnole. Il MES e gli altri due strumenti salva-banche sono costati all’Italia 60 miliardi di Euro.

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coniarerivolta

PNRR: una, nessuna o cinquecentoventotto condizioni

di coniarerivolta

528condizioniIl cosiddetto Recovery Fund, noto anche come Next Generation EU, attribuisce all’Italia 191 miliardi di euro che saranno trasferiti al Paese tra il 2021 e il 2026, suddivisi in 69 miliardi di euro a fondo perduto e 122 miliardi di euro di prestiti, da rimborsare alle istituzioni europee. Queste risorse vanno a finanziare gli interventi raccolti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

In un mondo dominato dal denaro si sente spesso dire che seguendo i soldi – focalizzando l’attenzione sui soli flussi finanziari – si possono svelare le dinamiche fondamentali della società. Seguire la traccia dei soldi porterebbe dritti al cuore delle meccaniche del sistema. Nel caso del PNRR questa massima perde buona parte della sua credibilità: i soldi del PNRR sono forse la parte meno rilevante del Piano, e proveremo a dimostrarlo concentrando la nostra attenzione sulle centinaia di condizioni a cui è stata subordinata l’erogazione dei fondi. I soldi, insomma, sono solo l’esca, mentre il contenuto politico del PNRR è racchiuso nelle clausole che vanno rispettate per ottenere quelle risorse.

Abbiamo già avuto modo di sottolineare l’assoluta inadeguatezza del finanziamento messo a disposizione dalla Commissione Europea: quei soldi, nonostante le apparenze, sono insufficienti a garantire qualsiasi ripresa. Nel dibattito pubblico, però, si è fatta strada un’idea di apparente buon senso: fossero anche pochi, sono comunque un contributo alla crescita del Paese, ed un contributo finalmente libero dalle condizioni capestro che, nel decennio passato, hanno messo in ginocchio la Grecia e tutti gli altri Paesi che si sono imbattuti nei fatidici “aiuti” europei. Insomma, si dice, il Recovery Fund fornisce finanziamenti incondizionati: niente austerità, solo soldi, perché avremmo dovuto rifiutarli?

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laboratorio

La riforma del Fiscal Compact è possibile e a chi gioverà?

di Domenico Moro

Fiscal compactNel recente incontro dell’Eurogruppo, l’organismo informale che riunisce i ministri delle finanze dell’area euro, è ripresa la discussione sulla possibile modifica delle regole europee che regolano la gestione del deficit e del debito pubblico, in particolare quelle del Patto di stabilità e del Fiscal compact. Si era cominciato ad affrontare il tema nel 2019, ma lo scoppio della pandemia ha interrotto la discussione, anche perché le regole di bilancio europee sono state sospese per permettere agli Stati nazionali e alla Ue di mettere in campo robuste misure di stimolo fiscale, cioè di spesa statale, per contrastare la crisi. La questione della ridefinizione del Patto di stabilità e soprattutto del Fiscal compact si pone anche perché alla fine del 2022 saranno reintrodotte le regole che impongono agli Stati di tenere sotto controllo il debito pubblico e c’è la preoccupazione che la reintroduzione dei vincoli possa minare la ripresa economica.

Il Fiscal compact fu introdotto nel 2012, all’epoca della crisi dei debiti sovrani, per rendere più stringenti le regole europee, che prevedono il mantenimento del rapporto tra deficit pubblico e Pil ad un livello non superiore al 3% e del rapporto tra debito pubblico e Pil a un livello non superiore al 60%. Questi vincoli non sono il frutto di precise analisi economiche, ma il risultato di calcoli politici. Il limite del 3% al deficit fu adottato sulla falsariga dell’esperienza della Francia, dove era stato frutto di semplice convenienza politica.

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e l

Le regole sbagliate di un mondo che non c’è più

di Carlo Clericetti

Le norme europee sono sospese, ma le ipotesi di modifica non promettono bene. Il testo del mio intervento al seminario “Dopo le crisi – Dialoghi sul futuro dell’Europa”, promosso da Alessandro Somma e Edmondo Mostacci, che è poi diventato un libro per Rogas edizioni

Earthlights 2002Un fattore importante per il futuro dell’Europa è quello delle regole europee, che a causa della pandemia sono state sospese, ma prima o poi torneranno in vigore. Queste regole hanno fortemente condizionato le politiche economiche, tanto al livello dell’Unione che a quello dei singoli paesi, e un giudizio a posteriori sugli effetti che hanno avuto non può lasciare dubbi: si tratta in gran parte di regole sbagliate, in alcuni casi platealmente sbagliate. A questa conclusione siamo arrivati ormai da molti anni: attenzione, non da molti mesi: da molti anni. Eppure si continua ad applicarle, pur se con qualche attenuazione – la famosa “flessibilità” – che però non è minimamente sufficiente a correggere quelli che sono veri e propri errori di impostazione.

Già prima della crisi del Covid si parlava di una riforma, ed erano state elaborate varie proposte. Questa interruzione dovrebbe servire per raggiungere un accordo, in modo che quando si dichiarerà che la sospensione è terminata entri in vigore un “pacchetto” rinnovato. Secondo le più recenti dichiarazioni la sospensione continuerà per tutto il 2022 e finirà – secondo una dichiarazione del vice presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis – nel 2023. La data precisa resta indefinita (sarebbe ovviamente diverso se la decisione fosse presa a gennaio o a dicembre di quell’anno) e dipenderà probabilmente da quando si raggiungerà l’accordo sulle modifiche.

Prima però di esaminare di quali proposte si sta parlando è bene ricordare la logica che ha condotto a stabilire le attuali regole.

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Europa: tra sovranismo e a-democrazia*

di Alfonso Gianni

europa distruzioneNon si può proprio dire che il cammino sulla strada che deve percorrere la Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe concludere il suo tragitto nella primavera del 2022, sia cominciato sotto una buona stella. L’esplosione della pandemia ne aveva ritardato gli inizi. Finalmente il 10 marzo scorso era stato dato il segnale di partenza sulla base di una dichiarazione comune dei presidenti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, rispettivamente David Sassoli e Antonio Costa, e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. I prodromi della Conferenza vanno ricercati nel tentativo di Valery Giscard d’Estaing, nella sua qualità di presidente della Convenzione europea (2002-2003), di elaborare un progetto di Costituzione europea, nella forma di un Trattato, che venne però affossato dal no nei referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi. In seguito si giunse alla firma del Trattato di Lisbona (2007) che distinguendo con puntualità le competenze fra Stati membri e la Ue, di fatto si frapponeva a una possibile direzione verso un’unione di tipo federale.

L’iniziativa della Conferenza ha in tempi più recenti ripreso le mosse sempre a partire dalla sponda francese. Emmanuel Macron si è molto attivato in questo senso anche perché la Conferenza dovrebbe concludersi proprio quando la presidenza della Ue verrà assunta dalla Francia. Le modalità di discussione presentano effettivamente delle novità.

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lafionda

Le lettere scarlatte della Bce

di Matteo Bortolon

Draghi TrichetDieci anni fa, il 5 agosto 2011 un paese europeo in difficoltà per la crisi del debito sovrano riceveva una Lettera da parte del governatore della BCE controfirmata dal vertice della sua Banca Centrale nazionale. Tale comunicazione rimase segreta per un po’ di tempo, ma i suoi contenuti segnarono l’evoluzione successiva della sua politica economica, in direzione di una decisa austerità gradita ai vertici delle istituzioni comunitarie.

Ma certo! L’Italia, la famosa lettera di Draghi-Trichet!

E invece no. Parliamo della Spagna di Zapatero.

Lo stesso giorno i governi di entrambi i paesi ricevettero una comunicazione assai simile; nel caso dell’Italia le voci di essa circolarono finché a fine settembre 2011 vennero confermate dal Corriere che pubblicò lo scoop sul suo sito. Il popolo spagnolo lo seppe solo quando l’oramai ex primo ministro la pubblicò in un suo libro, e venne infine desecretata dalla stessa BCE. Oggi la si legge comodamente sul sito istituzionale.

“La fonte di ogni diritto risiede originariamente e sostanzialmente nell’intero corpo del popolo”. Così scrivevano i soldati puritani inglesi, anticipando temi della Rivoluzione francese, nel 1647, dopo aver sconfitto il Re in nome del Parlamento. Tale idea sarebbe divenuta secoli più tardi il fondamento di ogni democrazia moderna, ma a quanto pare il dibattito in materia sta regredendo in modo così oltraggioso che la platea di sottobosco politico-giornalistico accetta supinamente – ventre a terra ai poteri dominanti: banche, Ue, grandi aziende – che una istituzione fuori da ogni legittimazione democratica possa determinare l’indirizzo politico di un paese.

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volerelaluna

Europa: tra oligarchia e sovranismo

di Alfonso Gianni

sovranismo wikimedia1.

Dopo una lunga attesa e l’ulteriore ritardo determinato dall’esplodere della pandemia, finalmente il 10 marzo scorso era stato dato il segnale di partenza per una Conferenza sull’Europa sulla base di una dichiarazione comune dei presidenti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, David Sassoli e Antonio Costa, e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. I prodromi della Conferenza vanno ricercati nel tentativo di Valery Giscard d’Estaing, nella sua qualità di presidente della Convenzione europea (2002-2003), di elaborare un progetto di Costituzione europea, nella forma di un Trattato, che venne però affossato dal no nei referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi. In seguito si giunse alla firma del Trattato di Lisbona (2007) che, distinguendo con puntualità le competenze fra Stati membri e la Ue, di fatto si frapponeva a una possibile direzione verso un’unione di tipo federale.

L’iniziativa della Conferenza ha, in tempi più recenti, ripreso le mosse sempre dalla sponda francese. Emmanuel Macron si è molto attivato in questo senso anche perché la Conferenza dovrebbe concludersi proprio quando la presidenza della Ue verrà assunta dalla Francia. Le modalità di discussione presentano effettivamente delle novità. Forse si è tratto insegnamento dal flop del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa – questa era la denominazione ufficiale del progetto costituzionale liquidato dai referendum prima ricordati – che era stato confezionato da esperti, senza alcun coinvolgimento né politico né emotivo da parte delle popolazioni europee.

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micromega

La BCE non cambia strategia. Così il debito rischia di soffocare l’eurozona

di Enrico Grazzini

Nella “Strategic Review” della Banca Centrale Europea nessun accenno alle svolte di politica monetaria necessarie per uscire dalla tremenda crisi dell’economia reale: helicopter money e cancellazione dei debiti degli stati

external content.duckducLa montagna non ha partorito neppure un topolino. La Banca Centrale Europea di Christine Lagarde ha concluso all’inizio di luglio la Strategic Review, la revisione strategica avviata nel gennaio 2020, con dei risultati che definire modesti sarebbe un eufemismo. Non è cambiato quasi nulla. Le novità non sono cattive ma non c’è assolutamente nessun cambiamento strategico, casomai qualche modifica tattica. La BCE continuerà a “navigare a vista” anche nell’epoca post-Covid e dei cambiamenti climatici ma continuerà anche a non avere gli strumenti sufficienti per affrontare le grandi sfide del presente e del futuro. Bisogna essere chiari a riguardo: la crisi economica e finanziaria provocata dal Covid è paragonabile a quella prodotta da una guerra. I debiti privati (soprattutto) e pubblici sono schizzati alle stelle. L’Italia per esempio a causa del Covid è passata dal 135 al 160% di debito pubblico su PIL, cioè un debito insostenibile. Il PIL è crollato del 9%. Finiti i sussidi, migliaia di aziende falliranno e centinaia di migliaia di lavoratori finiranno sul lastrico. La BCE è il maggiore creditore del debito pubblico italiano e finora ha assorbito quasi tutti i nuovi debiti legati alla crisi del Covid ma non è certamente detto che continuerà a farlo in futuro. Di fronte alla possibilità di una nuova crisi la BCE, nonostante la strategic review, potrebbe non avere nessun mezzo risolutivo. Anzi potrebbe essere costretta ad alzare i tassi di interesse, cioè il costo del debito.

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micromega

Quell’anti-Maastricht della BCE

di Sergio Cesaratto

Lo scorso 8 luglio 2021 Christine Lagarde ha presentato la revisione della strategia monetaria della BCE (ECB 2021a) in linea, peraltro, con quanto fatto anche dalla Federal Reserve americana. Commentiamo qui alcune novità salienti di tale revisione integrando alcuni estratti del volume Sei lezioni di moneta – La politica monetaria com’è e come viene raccontata, in uscita per Diarkos il prossimo settembre

Schermata del 2021 07 15 15 43 09L’inflazione si fa simmetrica (né troppa né troppo poca)

Gli obiettivi finali sono la parte più squisitamente “politica” della politica monetaria, e tipicamente includono la stabilità dei prezzi, la piena occupazione e la crescita; questi sono obiettivi decisi dai politici, in genere coprendosi le spalle con qualche teoria economica che giustifica il peso maggiore dato all’uno rispetto all’altro obiettivo. I politici, scrisse Keynes nella Teoria Generale, sono ispirati più o meno inconsapevolmente dalla teoria di qualche economista defunto parecchi anni prima. La BCE, come vi è forse già noto, ha come obiettivo primario quello della stabilità dei prezzi, avendo tuttavia facoltà di tradurre tale obiettivo generale in un target finale più preciso. Praticamente dalla nascita dell’euro la BCE ha tradotto il proprio obiettivo in quello di un tasso di inflazione annuo inferiore, ma vicino, al 2%. Solo in subordine la BCE ha libertà di sostenere gli obiettivi della crescita e dell’occupazione. Il mandato della Federal Reserve americana attribuisce invece uguale importanza alla bassa inflazione e all’alta occupazione. La Nuova Zelanda, per anni campionessa dell’inflation targeting, nel 2018 ha affiancato l’obiettivo della piena occupazione a quello della stabilità dei prezzi (Tooze 2021). Un po’ triste per l’Europa, nevvero? A consolarci, al principio del luglio 2021 la BCE ha presentato, in anticipo sulle previsioni, una revisione della propria strategia di politica monetaria in cui l’obiettivo del 2%, da realizzarsi nel “medio periodo”, diventa “simmetrico” (la nuova strategia è diventata operativa con la riunione del Comitato direttivo della banca centrale del 22 luglio 2021).

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effimera

La presunta svolta della politica economica europea ai tempi del Covid 19

Verso il G20 della finanza a Venezia

di Andrea Fumagalli

VeneziaLa crisi sanitaria ed economica che stiamo vivendo ha evidenziato cali del Pil mai registrati nella storia del capitalismo, di gran lunga superiori a quelli fatti registrare durante la crisi finanziaria globale del 2007-08.

Le stime per i prossimi anni ipotizzano che quasi la metà del calo del Pil potrebbe essere recuperato quest’anno (se non ci saranno peggioramenti nella situazione sanitaria) e si potrà arrivare ai livelli pre-crisi già a partire dal 2023.

Si tratterebbe di un andamento congiunturale a V, assai diverso da ciò che è successo dopo la crisi finanziaria del 2007: dopo la prima fase recessiva, soprattutto in Europa e nei paesi del Mediterraneo, si è registrato un ulteriore calo del Pil, creando una dinamica a W. Solo molti anni dopo si sono raggiunti i livelli pre-2007.

Come mai si potrebbe verificare una dinamica diversa? La principale ragione sta probabilmente nel perseguimento di politiche economiche, a prima vista, assai differenti.

All’indomani dello scoppio della bolla dei subprime, la commissione Europea, il Fmi e la Bm (la cosiddetta “troika”), di fronte al rischio di insolvenza del sistema creditizio, iniziano a perorare la causa dell’austerità nei bilanci pubblici, soprattutto di quei paesi con il debito più alto, gentilmente chiamati PIIGS. In tal modo, si cercava di compensare il crescente debito privato con una stretta sui debiti pubblici. Gli economisti mainstream la chiamavano con un ossimoro e in modo ideologico, “austerità espansiva”.

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tpi

Il falso mito del banchiere eroe

“Basta con la retorica sul whatever it takes: Draghi alla Bce strozzò la Grecia per salvare le banche tedesche”

Enrico Mingori intervista Emiliano Brancaccio

vampiriIntervista all'economista Emiliano Brancaccio: "La verità è che con il whatever it takes Draghi smentì se stesso e le teorie liberiste di cui era ed è portatore. Il premier è un tecnocrate di destra. Sul blocco dei licenziamenti deve essersi perso tutti gli studi empirici che dimostrano come la flessibilità ostacoli l'occupazione. Sul Fisco non farà mai quella riforma in senso progressivo che ha promesso e vi spiego anche perché. Il Recovery? Scordatevi i 209 miliardi, saranno al massimo 60. E saranno usati più per incentivi che per investimenti. Intanto in Europa si stanno già preparando al ritorno dell'austerity"

L’austerity? Chi la crede morta e sepolta si sbaglia. I falchi del rigore sono stati costretti dalla pandemia a prendersi una pausa, ma sono già pronti a tornare. L’avvertimento arriva dall’economista Emiliano Brancaccio, professore di Politica economica all’Università del Sannio, che in questa intervista a TPI boccia sonoramente le politiche economiche del “tecnocrate” Mario Draghi e smonta la retorica del “whatever it takes”: con quella frase, dice, “Draghi, in realtà, smentì se stesso”.

* * * *

Professore, durante un recente dibattito con il suo collega Daron Acemoglu del Mit di Boston, lei ha esibito una serie di ricerche empiriche secondo cui la flessibilità del lavoro non favorisce la crescita dell’occupazione ma al contrario la ostacola. Le chiedo: il blocco dei licenziamenti negli ultimi 15 mesi è servito a contenere l’emorragia di posti di lavoro oppure – come dicono Draghi, Confindustria e l’Ue – ha inquinato il mercato favorendo i garantiti a scapito dei precari?

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alternative

L’incerto futuro dell’Europa

di Alfonso Gianni

matrignaL’ormai celebre sofagate di Ankara non è stato solo un incidente diplomatico o uno strappo alle regole più comuni del galateo, ma ha assunto un significato ben più profondo. Ha rappresentato, con la plastica evidenza del posizionamento dei corpi - quelli di Ursula von der Leyen, che sta a capo della Commissione europea, e di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo - una domanda di per sé non nuova, ma aggravata dalla durezza dei tempi: che cosa è l’Unione europea? Semplicemente, come in effetti la intendono la maggior parte delle elite nazionali, un’organizzazione internazionale votata alla soddisfazione di obiettivi e interessi economici? O qualcosa di più, meglio di diverso, almeno in nuce, ovvero un soggetto politico e istituzionale capace di agire in modo unitario e riconoscibile a livello internazionale? E in ogni caso funziona o no il sistema di governance che lungo gli anni la Ue è andata costruendosi?

Sappiamo da tempo che l’idea della costruzione dell’Europa fondata su una convergenza economica, che poi avrebbe partorito strada facendo le sue strutture politiche ha avuto fin dai suoi primi passi la netta prevalenza sugli ideali di Ventotene, sia dal punto di vista teorico (si pensi alle elaborazioni e ai modelli funzionalisti di Jean Monnet o di David Mitrany) che pratico. Tuttavia il volgere del secolo ha messo in fibrillazione l’intero impianto che su quei principi era fondato.