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Maccartismo. Su un angosciante documento del Parlamento europeo
di Andrea Zhok
Mentre tutte le principali testate giornalistiche europee sono in caduta libera di lettori; mentre Tucker Carlson, dopo aver svolto l'intervista più virale della storia a Vladimir Putin, viene indiziato di "spionaggio" in Europa; il Parlamento Europeo produce un documento come il seguente, che riproduco integralmente qui sotto, dove si chiede la condanna di un'eurodeputata lettone.
Al di là del caso particolare, la batteria argomentativa di questo atto, con valore legale, è agghiacciante. Rubando le parole dell'amico Pino Cabras, stiamo assistendo a un ritorno del maccartismo in grande stile.
Mettiamoci in testa che la cornice di libertà di pensiero e parola in cui siamo cresciuti è morta e sepolta. Lo avevamo già capito durante la pandemia, ma ora stiamo assistendo ai primi atti giuridicamente vincolanti.
Da qui, a cascata, questi principi entreranno sistematicamente nelle nostre scuole e università, nei nostri media, nella nostra quotidianità.
C'è chi dirà: "E dov'è la differenza con quello che già accade?"
La differenza sta nel fatto che finora le eccezioni marginali venivano tollerate, mentre questo impianto culturale predispone la trasformazione in reato di ogni parola critica verso i capisaldi neoliberali UE-NATO.
Come l'asino che dà del cornuto al bue, questo documento è mirabile per la sua capacità di affermare una sequela incredibile di falsità o di schiette inversioni dei ruoli e poi di accusare la controparte di "disinformazione".
Documento molto lungo, molto angosciante, ma da leggere.
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L’arma segreta degli eurocrati. Nel suo 25° compleanno l’euro ha consegnato a loro la vittoria
di Thomas Fazi
Il fatto che la Germania sia caduta in disgrazia in questo processo, passando da egemone europeo incontrastato a vassallo americano in capo, è una delle grandi ironie dell’ultimo decennio
Il 1° gennaio, mentre l’Unione Europea inaugurava un altro anno di caos economico e di guerre non troppo lontane, nessuno era dell’umore giusto per festeggiare il 25° compleanno dell’euro. Nessuno, se non gli eurocrati.
Come sempre, i vertici dell’UE hanno sciorinato liriche sulla moneta unica, ma quest’anno le loro riflessioni sono sembrate più deliranti che mai. In un articolo pubblicato in tutta l’eurozona, i presidenti della Banca centrale europea, della Commissione, del Consiglio, dell’Eurogruppo e del Parlamento hanno elogiato l’euro per aver dato all’UE “stabilità”, “crescita”, “posti di lavoro”, “unità” e persino “maggiore sovranità”, e per essere stato un “successo” complessivo.
Questa autocelebrazione è comune tra gli eurocrati. Nel 2016, ad esempio, mentre l’Europa si stava ancora riprendendo dalle conseguenze disastrose della crisi dell’euro, Jean-Claude Juncker, allora Presidente della Commissione, affermò che l’euro porta “enormi” anche se “spesso invisibili benefici economici”. La dichiarazione di quest’anno, tuttavia, aveva un sapore particolarmente orwelliano. L’euro non ha portato nulla di tutto ciò all’Europa: oggi l’UE è più debole, più frammentata e meno “sovrana” di 25 anni fa.
Dal 2008, l’area dell’euro è essenzialmente stagnante e la sua crescita complessiva a lungo termine è stata negativa. Questo ha portato a una drammatica divergenza tra le sue fortune economiche e quelle degli Stati Uniti: depurata dalle differenze nel costo della vita, l’economia di questi ultimi era solo del 15% più grande di quella dell’area dell’euro nel 2008; oggi è del 31%.
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La Germania in crisi è il futuro dell’Europa
di Thomas Fazi
Le proteste degli agricoltori hanno messo in luce la debolezza di Berlino
Per gran parte dell’era Merkel, la Germania è stata un’isola di stabilità economica e politica in mezzo alle acque perennemente tempestose dell’Europa. Quei giorni, tuttavia, sembrano un lontano ricordo. L’Europa è ancora in crisi, ma ora la Germania ne è l’epicentro. È ancora una volta il malato d’Europa.
Le manifestazioni antigovernative sono rare in Germania. Così, quando a metà dicembre centinaia di agricoltori arrabbiati e i loro trattori sono scesi a Berlino per protestare contro il previsto taglio dei sussidi per il gasolio e delle agevolazioni fiscali per i veicoli agricoli nell’ambito di una nuova ondata di misure di austerità, è stato chiaro che c’era qualcosa in ballo. Il governo, evidentemente preoccupato, ha fatto immediatamente marcia indietro, annunciando che lo sconto sarebbe rimasto in vigore e che le sovvenzioni per il diesel sarebbero state eliminate gradualmente nell’arco di diversi anni, invece di essere abolite immediatamente. Gli agricoltori, tuttavia, hanno detto che non era abbastanza e hanno minacciato di intensificare le proteste a meno che il governo non si riservasse completamente i suoi piani.
E sono stati di parola: nelle settimane successive, migliaia di agricoltori hanno inscenato proteste di massa, non solo a Berlino ma in diverse città, bloccando persino le arterie autostradali e portando di fatto il Paese alla paralisi. Il governo, a sua volta, ha fatto ricorso a uno dei trucchi più vecchi ed efficaci del manuale politico: affermare che dietro le proteste c’era l’estrema destra, nel tentativo di delegittimare gli agricoltori e spaventare la gente. Ma questa volta non ha funzionato. Le proteste non solo sono continuate, ma sono cresciute e hanno attirato anche lavoratori di altri settori — pesca, logistica, ospitalità, trasporto su strada, supermercati — e comuni cittadini.
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Nuovo Patto di Stabilità: può piovere per sempre
di coniarerivolta
Il 2023 si è chiuso con un impeto di chiarezza e onestà intellettuale. Le istituzioni europee hanno, infatti, cercato di sgomberare definitivamente il campo da tutte le sciocchezze con cui anime candide e utili idioti ci ammorbavano dai mesi concitati della pandemia (l’Europa è cambiata! Mai più austerità, la priorità è il benessere delle popolazioni! La lezione è servita, l’Europa ha finalmente capito le virtù di una politica economica espansiva e coordinata!). Con la fine del 2023, infatti, è scaduta la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita che era stata decretata per contenere le conseguenze economiche del Covid-19. Una sospensione che, lungi dall’essere dettata da considerazioni di natura umanitaria sulla macelleria sociale che sarebbe derivata dall’applicazione pedissequa delle regole, ha avuto come principale obiettivo quello di salvaguardare i profitti. Ora che l’emergenza è finita e i profitti sono salvi, si torna alle regole.
Dopo mesi di negoziazioni, proposte della Commissione Europea e una ricerca di compromessi sempre più al ribasso, pochi giorni prima di Natale il Consiglio Europeo ha ‘finalmente’ trovato un accordo per la riforma della governance economica europea, riaffermando in maniera forte e chiara che l’austerità fiscale è Il principio cardine dell’integrazione europea.
Apparentemente, niente di nuovo sotto il sole, giusto? Purtroppo non è esattamente così. Per capire perché le nuove regoli fiscali rappresentino un salto di qualità e un ulteriore giro di vite, è necessario fare un passo indietro. Fino a prima della sua sospensione, sancita nei mesi più duri della pandemia, il cosiddetto Patto di Stabilità e Crescita era il meccanismo principe di disciplina delle finanze pubbliche dei Paesi membri dell’Unione Europea.
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Mes e patto di stabilità. Il problema è l’Unione Europea
di Ascanio Bernardeschi*
Dopo tanti contorcimenti l’Italia ha approvato la brutta riforma del patto di stabilità, ricacciandosi così nelle politiche di austerità prepandemiche. Una nuova eventuale recessione ci troverà privi di strumenti per affrontarla. Il vero problema è l’Unione Europea
Il Patto di Stabilità e Crescita, stipulato nel 1997, mirava al controllo delle politiche di bilancio pubbliche degli Stati membri dell’Unione Europea per impedire, secondo le affermazioni ufficiali, la lievitazione dei disavanzi e dei debiti pubblici e per ricondurli ai parametri stabiliti nel trattato di Maastrich: un deficit pubblico non superiore al 3% del Pil e un debito pubblico al di sotto del 60% del Pil. Per i Paesi aventi parametri al di sopra di quei limiti veniva stabilito un percorso di rientro fatto di “avvertimenti preventivi”, di “raccomandazioni” per abbattere il rapporto deficit/Pil (leggasi tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni) e sanzioni per chi non osserva tali raccomandazioni nella forma di deposito infruttifero che viene trasformato in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo. I Paesi che superavano la soglia del 60% del debito pubblico rispetto al Pil dovevano invece impegnarsi in un percorso di riduzione del debito, che prevedeva un taglio della parte eccedente il 60% nella misura del 5% all’anno, di modo che in 20 anni ogni Stato sarebbe rientrato nel parametro.
L’Italia ha attualmente un debito pubblico del 140%. L’applicazione della misura prevista dal patto avrebbe comportato tagli dell’ordine dei 75 miliardi l’anno per vent’anni, cioè un disastro sociale infinito, tanto che lo stesso Romano Prodi, non certo un antieuropeista, definì questa misura “patto di stupidità”. Infatti né il nostro Paese né altri sono riusciti a centrare l’obiettivo di quel taglio.
Nel 2020 e fino alla fine del 2023, a seguito delle difficoltà generate dalla pandemia, il patto venne sospeso. La sua riattivazione a partire da quest’anno peserà come un macigno anche se vengono proposte da parte della Commissione Europea (costituita da un membro indicato da ciascun governo) alcune modifiche volte ad attenuarne certe rigidità.
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La nuova governance economica europea
di Orizzonte48
Il ritorno dell'austerità espansiva tra triloghi e crescente de-costituzionalizzazione del processo legislativo nazionale
1. Dalla mail di EIR- Strategic Alert n.1/2024, del 4 gennaio 2024, riceviamo il sotto riportato commento alla nuova governance dell'Unione europea, a buon punto di adozione dopo il Consiglio del 20 dicembre 2023; lo riproduciamo ponendovi delle ulteriori note a illustrazione più approfondita del complesso insieme di fonti che compone tale riforma del Patto di Stabilità e Crescita.
Avvertiamo che, sulla scorta della premessa che andremo brevemente ora a svolgere (è breve rispetto alla portata dell'argomento sul piano giuridico-costituzionale), non entreremo nel merito della complicatissima serie di previsioni transitorie di cui tutt'ora si discute nei "triloghi".
2. Quello che ora interessa evidenziare è la sostanza "a regime" della nuova disciplina e come, ancora una volta, ci troviamo a subire, - senza alcuna possibilità concreta di influire sulla sua sostanza regolatoria, della massima importanza nelle nostre vite quotidiane e, in proiezione collettiva, della nostra esistenza democratica -, una disciplina inesorabile e distruttiva, sia dal punto di vista occupazionale, quantitativo e qualitativo, che della nostra capacità industriale, e delle connesse prospettive demografiche, SENZA AVERLA MAI CONCEPITA ALL'INTERNO DI UN DIBATTITO CONFORME AI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA NOSTRA COSTITUZIONE E A QUALSIASI ESPRESSIONE DELLA VOLONTA' POPOLARE RILEVABILE NELLE ELEZIONI POLITICHE.
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La montagna della UE e il topolino del nuovo patto di stabilità
di Domenico Moro
Con la pandemia di Covid-19 e la forte crisi economica a essa connessa, il Patto di stabilità, basato sui vincoli del 3% al deficit e del 60% al debito, era stato sospeso fino alla fine del 2023. In circa 20 anni in cui sono stati in vigore, i vincoli al debito e al deficit hanno dato una pessima prova di sé, contribuendo a determinare la stagnazione dell’economia della Ue. La crescita europea è stata talmente risicata da determinare la perdita di posizioni economiche a livello mondiale nei confronti dei Paesi emergenti, in particolare della Cina. Ad esempio, la Ue a 27 è scesa, tra 2003 e 2022, dal 19,1% al 13,8% delle esportazioni mondiali, mentre la Cina è salita dal 7,6% al 18,3%[i].
Consci di questa situazione di decadenza economica, dovuta non solamente ma certamente almeno in parte a come era stato congegnato il Patto di stabilità, la Commissione europea e molti paesi hanno colto al balzo l’occasione della sospensione del Patto di stabilità per chiederne una modifica sostanziale. Il fronte della riforma è composto dai Paesi con maggiori difficoltà debitorie pubbliche, specialmente quelli con debito superiore al 100%: Grecia (160,9%), Italia (139,8%), Francia (109,6%), Spagna (107,5%), Belgio (106,3%) e Portogallo (103,4%). Come si può facilmente osservare si tratta di una fetta molto ampia della popolazione della UE, che comprende la seconda, la terza e la quarta economia europea. Non proprio una bazzecola. A contrastare il fronte della riforma si è eretto il solito fronte dell’austerity e della severità di bilancio, che è rappresentato dalla Germania, unica tra le grandi economie, e dai suoi satelliti, i cosiddetti “frugali”, in particolare l’Olanda, la Danimarca, l’Austria e la Finlandia.
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Jacques Delors ha reso l’Europa unita un dispositivo neoliberale irriformabile
di Alessandro Somma
Piena occupazione vs stabilità dei prezzi
Secondo la ricostruzione che va per la maggiore, l’Europa unita è nata per assicurare al Vecchio continente un futuro di pace. Ha però visto la luce in un’epoca segnata dalla Guerra fredda, ed è stata pertanto concepita per rinsaldare il fronte dei Paesi capitalisti in lotta contro il blocco socialista. Ciò nonostante, non ha impedito agli Stati di promuovere una precondizione per il mantenimento della pace: una redistribuzione della ricchezza realizzata dai pubblici poteri fuori dal mercato tramite il welfare, e nel mercato con la tutela del lavoro e la piena occupazione.
L’Europa unita, nei suoi primi anni di vita, non era insomma del tutto ostile al compromesso keynesiano. Proprio la piena occupazione veniva del resto menzionata dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea tra gli obiettivi che il coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio nazionali doveva perseguire. Questi comprendevano però anche la stabilità dei prezzi e dunque la lotta all’inflazione, ovvero un obiettivo incentrato con la piena occupazione: per perseguirla, occorre sostenere la domanda attraverso l’incremento dei salari ed evitare quindi politiche monetarie destinate a contenere la disponibilità di denaro, richieste invece al fine di promuovere la stabilità dei prezzi.
In tutto questo si pensava che i Paesi partecipanti alla costruzione europea non dovevano limitati a coordinare le loro politiche fiscali e di bilancio, ovvero che le avrebbero prima o poi cedute a Bruxelles. Si pensava poi che questo passaggio avrebbe dovuto accompagnare, se non precedere, la creazione di una politica monetaria comune.
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Wolfgang Schäuble: il teorico dell’Europa asservita alla Germania
di Alessandro Somma
La morte di Wolfgang Schäuble, il fautore più ottuso dell’estremismo austeritario tedesco, ci consente di mettere in luce le ragioni intime di questo approccio alla costruzione europea: asservire l’Unione alla Germania. Tra i molti riscontri di questa strategia scegliamo di ricordarne uno forse meno analizzato, ma non per questo meno inquietante: le riflessioni dedicate all’Europa a più velocità di cui proprio Schäuble fu un tifoso particolarmente infervorato. Non tuttavia per assecondare i bisogni dei Paesi più deboli del punto di vista dei parametri di Maastricht, ma al contrario per costringerli alla disciplina di bilancio imposta da quei parametri e soddisfare così gli interessi tedeschi. È quanto si ricava da un documento predisposto assieme a Karl Lamers nel 1994, a tre anni dal Trattato di Amsterdam e durante il semestre di Presidenza europea della Germania, quando Schäuble era Presidente del Gruppo cristianodemocratico presso il Parlamento di Berlino[1].
Proprio l’identificazione degli interessi tedeschi occupa l’apertura del documento, che si sofferma sulla collocazione geopolitica particolarmente delicata della Germania: nel punto in cui si incontrano, e sovente si scontrano, la parte occidentale e la parte orientale del continente. Per molto tempo, ricordano Schäuble e Lamers, si sono voluti affrontare i problemi legati a questa collocazione rivendicando un’egemonia sull’area europea, ma tutti i tentativi in questo senso sono miseramente falliti: da ultimo quello che ebbe «come conseguenza la catastrofe militare e politica del 1945». Da ciò una convinzione divenuta «un vero e proprio principio della politica europea» condotta dalla Germania: che le sue forze non siano sufficienti ad accreditarsi come potenza egemonica, e che pertanto «la sicurezza possa essere conquistata solo attraverso una modifica sostanziale del sistema degli Stati europei»[2].
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L’Europa insiste con l’austerità
di Marco Bertorello e Danilo Corradi
Col nuovo Patto di stabilità l'Ue ribadisce che la spesa non può essere fuori controllo e che non c’è alcuna mutualizzazione del debito all’orizzonte
Quando si parla di modifiche al Patto di stabilità e crescita si parla di debito e quando si parla di debito la discussione spesso diventa surreale e schizofrenica. Nelle ultime settimane il ministro all’economia Giancarlo Giorgetti per frenare i desiderata dei cosiddetti paesi frugali (le formiche) si è proposto come capofila dei paesi maggiormente indebitati (le cicale, il riferimento alla fiaba è volutamente ironico), ricordando che in Europa c’è una guerra e che non si potevano assumere parametri che si sarebbero rivelati immediatamente impraticabili.
Sui parametri impraticabili torneremo più avanti, il problema è che Giorgetti confonde la causa con l’effetto. Paradossalmente nel 2022 il rapporto debito/Pil è sceso di qualche punto grazie alla crescente inflazione, cui aveva contribuito anche la guerra. Oggi la cronicizzazione del conflitto tra Russia e Ucraina non sembra la principale causa di quella mancata crescita che ristagna da tempo e che alimenta l’indebitamento. Se veramente si vuole parlare di parametri impraticabili si dovrebbe andare oltre il contingente e volgere lo sguardo verso ciò che sembra essere strutturale da, almeno, un paio di decadi.
Sovranismo immaginario
Partiamo dalle modifiche al Patto di stabilità e crescita approvate all’unanimità dal Consiglio dei ministri delle finanze dell’Unione europea (EcoFin) che ora dovranno esser ratificate dalla Commissione e dal Parlamento del Vecchio continente. Durante la pandemia il Patto era stato sospeso per consentire ai singoli paesi di fronteggiare le conseguenze del blocco economico e produttivo.
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Con il Mes comanda il capitale
di Ascanio Bernardeschi*
Il Mes è un tassello del disegno europeo di affermazione del dominio del capitale sulla politica. Il governo di destra abbandona le promesse sovraniste e cerca di negoziare qualche briciola. L’opposizione di “sinistra” evita di occupare lo spazio di una critica alle devastanti politiche sociali dell’Unione Europea perché è più realista del re. Spetta ai comunisti indicare una diversa strada
* * * *.
L’economista Emiliano Brancaccio ebbe a dichiarare che con il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) siamo di fronte a un disegno di rilancio del dominio del capitale sulla politica. Io più che di rilancio parlerei di accelerazione, perché dall’istituzione dell’Unione Europea (Ue) in poi, fin dal contenuto dei trattati istitutivi, il leitmotiv è stato proprio la sottomissione della politica ai voleri del capitale, fino a stravolgere la stessa democrazia liberale, figuriamoci il compromesso sociale contenuto nella nostra Costituzione.
Per motivare questa affermazione vediamo di che si tratta.
Il Mes, detto anche fondo salva-Stati, non è solo un meccanismo ma un vero e proprio soggetto istituito dall’Ue in sostituzione del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (Fesf) che venne varato nel 2010 per fare fronte ai dissesti finanziari conseguenti alla grande crisi mondiale del capitalismo del 2007-8 e che oggi è rimasto in piedi solo per portare a termine le operazioni già avviate nei confronti di alcuni Stati (Irlanda, Portogallo, Cipro e Grecia). Quindi non è l’Ue, per quanto anch’essa fondata su basi ademocratiche, a gestire il meccanismo ma una istituzione apposita che si regge su basi ancor meno rappresentative.
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L’Europa, la sinistra e la necessità di pensieri lunghi
di Alfonso Gianni
La discussione che la redazione di Volere la Luna assai opportunamente ci propone concerne la relazione fra l’Europa e la sinistra. Ovviamente questa è oltre modo necessaria, forse persino un po’ tardiva, se si tiene conto che tra il 6 e il 9 giugno 2024 si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo. Tuttavia sarebbe sbagliato e riduttivo prendere l’argomento dal lato elettorale, perché confinerebbe immediatamente la riflessione entro l’ambito angusto delle alleanze da combinare per cercare di scavalcare l’asticella del quorum. Per cui tralascio completamente, almeno per ora, questo aspetto del problema.
È invece indispensabile chiarire che cosa si intenda per sinistra. Non per postulare categorie definitive, ma almeno per capirsi tra noi. Quando penso alla sinistra, nel nostro paese come nel più ampio contesto dell’Unione europea, prendo in considerazione quelle forze politiche che, al di là delle loro denominazioni, si pongono sul terreno di un’alternativa al sistema capitalista o quantomeno mantengono tale prospettiva nel loro bagaglio teorico e programmatico, anche se con gradualità e qualche approssimazione di troppo. Ne consegue che escludo da questo quadro quei partiti o formazioni politiche che quella prospettiva l’hanno abbandonata da un pezzo, evidenziando la loro fuoriuscita da quell’orizzonte anche attraverso il cambiamento di denominazione. Riferirsi al Pd è d’obbligo, quale caso di specie, poiché il suo travagliato percorso, segnalato anche da mutamenti di nome, ha evidenziato certamente una crisi di identità tuttora irrisolta, ma soprattutto la fuoriuscita dalla storia politica del movimento operaio. La definizione di partito socialdemocratico non si presta a precisare la natura di questa forza mancandone molte delle condizioni che storicamente hanno contrassegnato la storia della socialdemocrazia europea, in primo luogo un consistente radicamento tra la classe operaia del rispettivo paese.
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European Digital Id Wallet
di Glauco Benigni
Per darci “sicurezza, fiducia e garanzie” la UE vuole in ostaggio il nostro “gemello digitale”
Da qualche anno, ma sempre con maggiore insistenza, in Europa si parla di un “Portafoglio digitale personale”. Cioè di una App tipo Green Pass, anzi una evoluzione della stessa tecnologia, che secondo molti può rappresentare una forma di controllo estrema e molto raffinata. Di che si tratta ?
Ce lo ho spiegò già nel settembre 2020 la Signora Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, con queste parole:
“Ogni volta che un’App o un sito web ci chiede di creare una nuova identità digitale o di accedere facilmente tramite una grande piattaforma, non abbiamo idea di cosa succede ai nostri dati in realtà. Per questo motivo la Commissione proporrà una sicura identità europea. Qualcosa di cui ci fidiamo e che ogni cittadino possa utilizzare ovunque in Europa per fare qualsiasi cosa, dal pagare le tasse all’affitto di una bicicletta. Una tecnologia in cui possiamo controllare noi stessi, quali dati vengono utilizzati e come.”
Da queste parole sembrerebbe di capire che la Commissione Europea si sia stancata del fatto che i satelliti dei “5 Eyes” (le Nazioni anglofone) e i Social network raccolgono dati, li inoltrino ai loro Servizi Segreti e li vendano anche alle Aziende multinazionali, tipo pubblicitari e farmaceutiche … e quindi si sia detta … “No, basta ! Visto che del GDPR (il Regolamento europeo per la protezione della privacy) se ne fregano, allora i dati li raccogliamo anche noi.”
Attualmente ogni Stato membro della UE può sviluppare sistemi di “identificazione elettronica”, ma tali sistemi non sono ancora interoperabili con gli altri Stati. La nuova proposta sanerà tale carenza e in dettaglio:
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L’Unione europea verso l’irrilevanza economica?
di Vincenzo Comito
L’UE dovrebbe indirizzare la propria azione al mondo multilaterale. Prevale la tendenza a rinchiudersi nel campo atlantista, come mostrano le vicende russo-ucraina e israelo-palestinese, usate per far prosperare l’industria delle armi.
Nel testo che segue cerchiamo di analizzare con qualche dettaglio la situazione e le prospettive economiche dei paesi facenti attualmente parte dell’Unione Europea, concentrandoci comunque soltanto su alcuni aspetti della questione. Il quadro appare, almeno a chi scrive, allarmante e senza grandi prospettive.
La competizione mondiale sulle tecnologie avanzate
Un’analisi svolta dall’Australian Strategic Policy Institute (Hurst, 2023), con il sostegno del Dipartimento di Stato statunitense, ha analizzato di recente la posizione competitiva dei vari paesi del mondo nel campo delle tecnologie avanzate. In 37 dei 44 settori analizzati nella ricerca la Cina è il paese guida, superando anche gli Usa, che mantengono il primato soltanto in 7 settori. Nessuno degli altri paesi, compresi quelli europei, ha una posizione di leadership in qualcuno di essi. Il paese asiatico tende a posizionarsi, secondo lo studio, come la superpotenza scientifica e tecnologica principale del mondo. La Cina genera da sola all’incirca il 50% del totale mondiale degli articoli scientifici ad alto impatto. Può darsi che lo studio, per alcuni aspetti, sovrastimi la dominazione cinese, ma in ogni caso esso fotografa una situazione corretta nelle grandi linee, in particolare in relazione al ruolo dei paesi europei.
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La governanza dell’Unione Europea
di Giuliana Commisso
L’incapacità rivelata
Nel discorso sullo Stato dell’Unione Ursula von der Leyen ha platealmente rivelato l’impotenza e l’incapacità politica sua e della Commissione europea di andare oltre i tentativi di gestione delle contingenze, chiedendo a Mario Draghi di disegnare un futuro “competitivo” per l’UE prescindendo dagli esiti della consultazione elettorale del 2024.
Qualche giorno prima dell’investitura a riformatore della governance sulle pagine dell’Economist Draghi rimarcava che “sarebbe deleterio tornare ai vecchi ‘paletti’ fiscali pre-pandemia”. Invocava la necessità di “nuove regole nell’Eurozona e di più sovranità condivisa” nonché “ingenti investimenti in tempi brevi, tra cui la difesa, la transizione verde e la digitalizzazione”[1]. Per farlo – rimarcava – occorre “superare quelle regole di bilancio e quelle norme sugli aiuti di Stato che limitano la capacità dei singoli Paesi di agire in maniera indipendente”. Durante la presidenza della BCE Draghi aveva coniato il termine “pilota automatico” per definire quell'insieme di strumenti di disciplina fiscale che avrebbero garantito la rigida applicazione dell’austerità e delle politiche neoliberiste in ciascun Paese membro dell’Unione Europea a prescindere dall'indirizzo politico del governo di turno. Ci sono buone ragioni per dubitare che possa rinunciare all'eredità ordoliberale nel disegnare ex novo una costituzione europea.
La vecchia dialettica tra Stato e mercato, fra statalismo socialista e mercato capitalista, e un loro compromesso social-democratico, non ha più ragione di essere da quando l’accumulazione capitalistica di valore si è definitivamente scollata dalle economie nazionali.
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