Nel giardino di Olos: pensiero critico e consumismo “spirituale”
di Paolo Bartolini
Il recente invito di Wu Ming 1 a fare “buon uso” dell’esoterismo è un’occasione preziosa per esercitare il pensiero critico intorno alla variegata galassia delle esperienze spirituali contemporanee, con particolare riferimento al mondo delle pratiche New Age ed “olistiche”.1 Se di pensiero critico vado parlando, non è certo per mettere all’opera il bisturi del razionalismo scientista, quindi per negare i bisogni profondi di molte persone che, in determinati percorsi di consapevolezza ampliata, cercano qualcosa che al tempo del tecno-capitalismo manca come l’aria. Piuttosto mi guida l’intento di non gettare il bambino della ragione filosofica con l’acqua sporca del disincanto moderno. Wu Ming 1 sottolinea opportunamente la necessità di “mostrare la sutura”, cioè di serbare intatta la bellezza di un’operazione culturale senza dover nascondere i trucchi del mestiere che producono stupore in coloro che assistono a una determinata performance (letteraria, teatrale, pittorica, illusionistica ecc.). La differenza tra manipolazione e incanto ricercato è tutta nell’aura di segretezza che legittima alcune figure carismatiche a esercitare una fascinazione insidiosa sugli altri, millantando poteri e connessioni con forze sovrumane. Lo scrittore, l’artista, il performer, il guaritore possono invece produrre i loro effetti di verità e di meraviglia senza dovere, per questo, abolire una quota di sano scetticismo,2 anzi giocandovi consapevolmente.
Questo discorso abita un presente drammatico, attraversato da un diffuso e trasversale senso di disagio, imputabile a un passaggio d’epoca che vede il progressivo declino delle egemonie maturate nella seconda metà del secolo scorso, l’incombere del disastro ecoclimatico e problematiche inerenti alle diseguaglianze sociali, ai flussi migratori forzati e a una crescente perdita di senso nelle nostre vite.
Il disorientamento produce risposte differenti, tra le quali qui mi interessano quelle sbocciate nei giardini del regno di Olos. A partire dagli anni Settanta, e dalla diffusione negli Stati Uniti di gruppi di ricerca, di cura e religiosi affascinati dalla contaminazione tra pratiche orientali e saperi occidentali di frontiera, abbiamo assistito all’espansione inarrestabile di un fenomeno che dalla controcultura è precipitato rapidamente dentro la gabbia di un “individualismo di capacità”3 funzionale alla fase neoliberista del capitalismo contemporaneo. Ecco dunque che i nuclei di verità che riposano al cuore della ricerca psicospirituale contemporanea, vengono facilmente catturati da personaggi discutibili che traghettano ogni spinta individuativa dentro il recinto della forma merce. Non sempre c’è malafede in questo sviamento attuato da operatori che si muovono in ambienti che non disdegnano incursioni nella sfera dell’occulto e dell’esoterismo; ciò che colpisce, piuttosto, è una scarsa consapevolezza del mondo in cui viviamo e dei vettori che ne orientano il divenire.
Le innumerevoli pratiche che si agitano nel contenitore elastico delle esperienze New Age e dell’olismo terapeutico (dove “olos”, in greco, rimanda all’intero, alla totalità priva di scissioni), sprigionano un’atmosfera peculiare che si tratta di riconoscere. Nonostante l’immensa varietà dei percorsi proposti, quasi tutti convergono su alcuni punti concettuali e linguistici che ne condensano le coordinate imprescindibili. In essi si respira una ventata di esotismo, il ragionamento critico è scoraggiato affinché i guru possano condividere i loro doni innati senza dibattiti superflui. E poi abbiamo un richiamo insistente a frequenze, vibrazioni, energie sottili. Tutto molto impalpabile – nonostante la centralità del corpo ribadita in ogni circostanza – e comunque presentato come certezza indiscutibile.
Chi non accoglie la parola del Maestro e la promessa di un cuore traboccante di pace e beatitudine, viene gradualmente allontanato dal gruppo degli adepti/corsisti o accusato di non aprire l’anima a sufficienza per lasciarsi riscaldare dall’insegnamento di colui – o colei – che ha collegamenti quotidiani ed esclusivi con un’entità suprema priva di ombre: Uno-Amore di sconfinata compassione, incline a partecipare con premura alle nostre vicende mondane. Lontano anni luce dall’impassibilità degli dèi epicurei, pensa a noi e ci vuole felici, resilienti e realizzati. Certo, per entrare in comunicazione con questa presenza invisibile e onnisciente, bisogna appropriarsi degli opportuni codici per decifrarne i messaggi. Ma, con pazienza e qualche corso a pagamento, tutti possono in linea di massima avvicinarsi al mistero e trarne conforto e beneficio. Capita allora che si torni, come se nulla fosse, a parlare di intelligenze angeliche e piani divini, entrambi al servizio della nostra fioritura umana. Insomma, qualcuno o qualcosa desidera appassionatamente che ciascuno di noi splenda lasciandosi alle spalle angosce, insicurezze e negatività. Tutto questo, va sottolineato, mentre la quotidianità continua imperterrita a ruotare intorno all’asse bifronte dell’economia del valore e della tecnica ipermoderna, vero ordinatore simbolico del nostro tempo. Del resto – ecco l’aggancio principale all’individualismo fomentato dal sistema delle merci e dalla retorica neoliberista – chi non vorrebbe sviluppare i propri talenti e raggiungere il successo o, quantomeno, una pace duratura intrisa di estasi? Un altro aspetto fondamentale, senza il quale non potremmo comprendere il fascino di una certa offerta formativa/spirituale ancora in voga, è la tendenza a semplificare la realtà complessa che abitiamo. Parte delle fantasie cospirazioniste si nutre di questo bisogno atavico della mente umana, in maniera simmetrica e complementare alla sicumera delle verità ufficiali mainstream, così lineari e riduzionistiche da risultare parimenti caricaturali.
Direi, quindi, che è urgente individuare gli elementi tossici che questa cultura della spiritualità fai-da-te e della fuga dal mondo secerne in buona parte delle sue manifestazioni. Senza un attento esame delle sue trappole, rischiamo di non distinguere più le azioni che sanno coltivare un modo diverso di essere insieme, dalla pletora di iniziative che si accontentano di effetti speciali per conquistare la fiducia dei nostri contemporanei e sfruttarla senza rispetto per il desiderio autentico di liberazione che muove i soggetti più sensibili. Di seguito elenco altre costanti che si rintracciano puntualmente nei luoghi dove autoproclamati Maestri/e si illudono di poter riattraversare all’indietro la soglia inaugurata dalla filosofia più di duemilacinquecento anni fa (la soglia in questione riguarda l’apertura della domanda filosofica che problematizza l’ovvio e non aderisce passivamente ad alcuna tradizione data: tale gesto implicò una radicale presa di distanza dalla verità che, nelle comunità sacrali, valeva esclusivamente in forza dell’autorità del sacerdote che la proferiva):
- lo stile “aziendale” dei guru/esperti che conducono i gruppi, da cui traggono sovente denaro, fama e potere (i tre inquinanti che la filosofia antica considerava massimo ostacolo al raggiungimento di una vita buona e saggia);
- il frequente invito a slacciare i legami sociali-familiari che limitano l’espressione di sé e l’autorealizzazione. Qui si ragiona in termini di personal branding e imprenditorialità del sé, senza promuovere affatto la ricostruzione di alleanze/legami ecosociali in controtendenza rispetto alle logiche capitalistiche;
- il fatto di proporre contenuti sostanzialmente astorici, dunque verità assolute impossibili da sottoporre a qualsiasi domanda guidata da un barlume di pensiero critico;
- la totale assenza di un paziente lavoro finalizzato a “mostrare la sutura” (quindi a esibire, in forma appropriata e riflessiva, il meccanismo che permette alle proprie pratiche e ai relativi discorsi di produrre dei risultati). I manager della felicità devono nascondere ascendenze, tragitti culturali, ambivalenze della narrazione, coerenze e contraddizioni del loro fare/dire/scrivere, perché la manipolazione degli altri passa per un incantamento ripetuto e a-riflessivo: le parole del guru sono indiscutibili e non sono tenute a tradursi in argomentazioni e ragioni che diano vita a un vero dibattito;
- la divulgazione di conoscenze e capacità “speciali” non è mirata, in questi ambienti, a superare l’esclusivismo esoterico degli iniziati, ma solo ad allargare democraticamente le fette di mercato e il numero dei consumatori. Per questo esistono laboratori esperienziali, week end outdoor, consulenze private, corsi brevi e lunghi, dvd, libri, meditazioni guidate e gadget che si rivolgono alle persone che cercano in questi itinerari (pseudo)esoterici una specie di mantica 2.0 o, più semplicemente, un benessere credibile che non separi corpo, mente e spirito.
Inevitabilmente, come si sarà capito, l’aspirazione a fuoriuscire dal labirinto dell’accumulazione quantitativa fine a se stessa e dallo stress cronico della competizione di tutti contro tutti, viene risucchiata nel buco nero della mercificazione. Tutte le parole con le iniziali maiuscole che costellano quest’area della ricerca e dell’ascesi contemporanea (il Divino, l’Uno, l’Energia, l’Universo, la Matrix, il Campo sottile che registra tutte le informazioni passate, presenti e future iscritte nel cosmo…) si rivelano prive di spessore, di corpo e di ricadute relazionali autentiche. Sono un esercizio superficiale di astrazione. Modi di dire che si credono arguti, ma sono semplicemente banali: rimangono sul generico, non intensificano né la vita né la conoscenza. Ma allora – chiediamoci – perché questi dispositivi rituali hanno presa su un pubblico non residuale e decisamente trasversale?
Basta forse rievocare la ben nota crisi delle religioni “ufficiali” o l’irresistibile richiamo di ciò che, apparentemente, si muove alla periferia del discorso tecnoscientifico? Una risposta possibile, non certo l’unica, la rintraccio in un criterio di efficacia delle pratiche a cui mi sto riferendo. Efficacia di corto respiro, perché riguarda strumenti di mero adattamento alla realtà corrente, che offrono al più innocue e temporanee evasioni dal seminato.
Sto parlando della coesistenza di due aspetti che diventano cruciali per comprendere come questi percorsi “non convenzionali” agiscano, in molti casi, come forme implicite di stabilizzazione del sistema. A queste latitudini non deve stupire il piglio liberista-populista che assumono i grandi iniziati di Olos, sempre inclini a sfoggiare un anticonformismo di facciata che non intacca minimamente la loro adesione alle condizioni strutturali dello sfruttamento ipermoderno. Ad essi, tuttavia, dobbiamo una vera “magia”: proporre senza imbarazzo, e con insuperabile superficialità, una mistura originale di rassicurazioni che coniuga determinismo e libertà individuale lenendo le ansie e, al contempo, incoraggiando un’etica prestazionale congruente con le aspettative dell’immaginario tecno-capitalista.
Da un lato troviamo spiegazioni bizzarre per qualunque avvenimento. La persona soffre di una certa malattia, ha rotto un legame d’amore, incappa in continue delusioni lavorative? Nelle stelle, nella catena dei rapporti tra le energie cosmiche, nelle proprie vite passate, è possibile rinvenire il motivo di qualsivoglia evento nefasto. La tragicità della vita sparisce, tutto è collegato a nessi causali immaginari, ma proprio per questo impossibili da disconfermare. Inoltre, se nei numeri della data di nascita o nel proprio segno zodiacale è leggibile – per l’iniziato! – la carta delle potenzialità individuali, allora la paura del futuro e del divenire sarà mitigata dalla credenza in un destino iscritto in noi indipendentemente dalle relazioni culturali, familiari, storiche ed ecologiche che ci mettono in forma.
Questo è il curioso determinismo che, assegnando a ciascuno un orientamento esistenziale che si tratterebbe solo di scoprire e dispiegare a pieno, tranquillizza momentaneamente coloro che – in balia di precarietà, incertezza e condizionamenti socioeconomici – sognano di essere speciali, liberi dalle aspettative altrui e finalmente protetti da una bolla di certezze inscalfibili. L’accento sull’unicità e irripetibile originalità del singolo, così peculiare della modernità e della sua “condizione autonomia”, può dunque conciliarsi con l’ipotetico progetto che l’Universo o Dio avrebbero per noi dalla notte dei tempi. Si tratta di scoprire il proprio scopo di vita, di conformarsi al piano divino che viene ostacolato e rallentato dagli attaccamenti troppo forti alle figure genitoriali, al contesto di crescita, ai limiti naturali e al mondo culturale nella sua vastità, insomma a quella provenienza “irrevocabile”4 senza la quale semplicemente non esisteremmo. Chi, secondo la retorica imprenditorial-sapienziale di questi guru, imparerà pazientemente a leggere i codici dell’anima e del cosmo, potrà allora realizzare pienamente sé stesso, senza vincoli, potenziando talenti e risorse, finalmente libera/o di esprimere quell’essenza pura che attendeva di venire alla luce.
Al posto di un divenire pluricentrico e complesso, l’esistenza viene ricondotta a un intelligent-design-New-Age che, mentre azzera la voglia di comprendere il contesto storico, culturale e politico in cui si vive, offre chiavi comportamentali per adattarsi alle logiche più intime del sistema di infelicità organizzato che ci circonda e compenetra. Questo determinismo a pagamento (che nulla sa dei processi di individuazione e del lavoro interiore necessario per coltivare un’autorealizzazione solidale) si salda con un individualismo di fatto, perfettamente in linea con le esigenze della società di mercato di stampo neoliberista.
Il “vero sé” a cui punta la parte maggioritaria di questa galassia molteplice e confusa – la stessa che, a volte, immagina di trapiantare senza alcun rigetto lo sciamanesimo o l’arte della lettura dei registri akashici sul terreno di una cosmovisione sorta da millenni di cammino religioso-filosofico-scientifico-tecnico – è sul piano etico, intellettuale e animico un compromesso scadente che offusca la molteplicità degli itinerari spirituali realmente percorribili per noi occidentali. Se ho dedicato del tempo a questo argomento è perché, nonostante la tossicità di un immaginario ipersemplificato e povero di pregnanza simbolica, sono certo che la cura del Sé-con-l’Altro rappresenti un campo di esplorazione decisivo per chi sogna una transizione giusta, equa e sostenibile al nuovo mondo multipolare che ci attende. Un desiderio di trasformazione, del resto, ancora respira sotto il peso delle macerie del presente. Ecco perché è importante non cedere ai diversivi culturali che, promettendo una riconsacrazione della vita che non sanno realizzare, trattengono troppe persone dentro il recinto della valorizzazione capitalistica e dell’illusione, dunque frenando la presa di consapevolezza dell’inevitabile tramonto dell’Occidente (dei suoi abiti di risposta prevalenti, potremmo dire in senso pragmatista) e della necessità di conservare ciò che ancora è capace di futuro, bellezza e giustizia. Questa selezione è oggi prioritaria e include l’urgenza di fare i conti con ciò che palpita all’incrocio tra vita collettiva, ricerca di senso e autentico benessere relazionale.
Comments
Se lo dici, certamente per te.
Il materialista non ha gli strumenti per lavorare al banco alchemico.