La parabola dell’economia politica – Parte XXVII
Critica dei postulati del teorema neoliberista
di Ascanio Bernardeschi
I postulati su cui poggiano le teorie economiche neoliberiste sono irrealistici se non addirittura frutto della fantasia, però le politiche conseguenti vengono ugualmente imposte in quanto utili al sostegno dei profitti e alla conservazione del primato del capitale sul lavoro
Nel precedente articolo avevo segnalato che la bocciatura delle politiche keynesiane da parte della scuola di Chicago anche nel breve periodo, discende dall'assunzione che gli investitori assumano le loro decisioni sulla base di “aspettative razionali” che inducono a prendere in considerazione la redditività di tali investimenti nel medio periodo. A questo proposito è bene discutere della razionalità di decisioni che si basano sui dogmi dell’economia ortodossa che vengono divulgati e diventano senso comune. Se il dogma divenuto senso comune ci dice che un dato titolo si apprezzerà, allora la massa degli speculatori scommetterà sul suo apprezzamento e quindi il mercato determinerà un aumento delle sue quotazioni in borsa, facendo sì che questa aspettativa si autorealizzi. Gli operatori sbaglierebbero ad agire secondo le loro intime e magari più ragionevoli convinzioni. Devono agire secondo quelle che ritengono siano le convinzioni del “mercato”, le sole che si autorealizzano, cioè quelle inculcate dagli economisti volgari, che indirizzano la condotta della generalità degli operatori. Così facendo saranno “razionali”, perché per un po’ le cose andranno proprio così, fino allo scoppio di qualche bolla che ripristinerà il primato della realtà sulla fantasia neoliberista.
Cose analoghe avvengono nell’economia “reale”: si consigliano comportamenti e decisioni di investimento valutando le scelte statali di politica economica in base alla loro conformità o meno alle prescrizioni degli economisti egemoni.



A metà del 1800, Marx ritenne che fossero maturi i tempi per sostituire la filosofia con la scienza, anche nella conoscenza del pensiero umano giungendo alla geniale formulazione del paradigma del materialismo storico. Al tempo stesso formulò il criterio per distinguere la filosofia da quella che d’ora in avanti sarebbe stata la scienza, e lo identificò con la capacità di cambiare consapevolmente la realtà.




Pubblichiamo la trascrizione riveduta dall’autore, Clark McAllister, della relazione tenuta in occasione della presentazione del suo volume Karl Marx’s Workers’ Inquiry. International History, Reception, and Responses, Notes from Below, London 2022 a Bologna (gennaio 2023). In questo testo, McAllister ricostruisce l’immediata ricezione dell’Enquête ouvrière pubblicata da Karl Marx nel 1880, sulla rivista «La Revue Socialiste». La maggioranza degli studiosi ritiene che il progetto politico dell’inchiesta operaia si fosse rivelato un completo fallimento derubricandolo, così, ad una semplice curiosità dell’ultimo Marx. McAllister, falsificando questa lettura tendenziosa, dimostra la fortuna della proposta politica dell’inchiesta all’indomani della sua pubblicazione. La presentazione del testo, organizzata dal centro di ricerca «Officine della formazione», ha interrogato l’inchiesta marxiana tentando di attualizzarne le prospettive. Il testo si può scaricare gratuitamente al seguente indirizzo:
Nell'articolo che pubblichiamo oggi, Andrea Fumagalli fa un ritratto di Suzanne de Brunhoff. Nel ricostruire l'importanza e l'originalità del suo pensiero, Andrea Fumagalli ripercorre il dibattito sulla moneta che l'economista francese ebbe con il gruppo di lavoro sulla moneta di Primo Maggio.
Il capitalismo segue delle leggi di tendenza? Esiste un paradigma teorico che, sulla base delle categorie d’analisi e della sua logica interna, permette di individuare teoricamente queste leggi? Rispondiamo a queste domande alla luce di Marx, attualizzato da Brancaccio e Fineschi


Brancaccio, Giammetti e Lucarelli nel loro recente testo La guerra capitalista “si sforzano di indicare nel movimento costante del Capitale verso la sua centralizzazione il motore di ogni guerra imperialista”. Così sintetizza Sandro Moiso su Carmilla nella sua recensione (
Prefazione


Argentino di Mendoza, filosofo ed esponente di punta della Teologia della Liberazione, il quasi novantenne Enrique Dussel insegna Etica alla UNAM di Città del Messico dopo avere vagabondato fra diverse università europee (Madrid, Parigi, Friburgo) e lavorato per due anni in un kibbutz israeliano. Una parte cospicua della sua monumentale produzione intellettuale è dedicata ad una meticolosa esegesi del testo marxiano che Dussel concepisce come una sorta di teologia occulta, intrecciata con, e nascosta dietro, le argomentazioni della critica dell'economia politica, in un impasto inestricabile di analisi scientifica e giudizio etico sui mali della civiltà capitalista. Fra i testi tradotti in italiano segnalo, fra gli altri, L'ultimo Marx (Manifestolibri, Roma 2009) e Le metafore teologiche di Marx (Shibboleth, Roma 2018). L'influenza della Teologia della Liberazione in generale (1) e di Dussel in particolare sui processi rivoluzionari latinoamericani degli ultimi decenni è innegabile, al punto che, senza conoscerne alcune idee fondamentali, è difficile afferrare il senso del processo politico che in America Latina va comunemente sotto il nome di socialismo del secolo XXI, così come è difficile capire le ragioni per cui i partiti marxisti tradizionali (siano essi stalinisti, trozkisti o maoisti) non sono stati alla guida dei processi in questione. Ecco perché ritengo utile integrare l'analisi che il mio ultimo libro (2) dedica alle rivoluzioni bolivariane con questo articolo sul pensiero di Dussel. Mi occuperò qui in particolare del libro Le metafore teologiche di Marx.
1. Introduzione

1. La critica radicale di Sraffa al marginalismo
È difficile negare che Karl Marx sia stato il principale critico rivoluzionario dell'umanesimo illuminista del XIX secolo. Nessun altro pensatore ha sviluppato una critica dell'Uomo astratto ed egoista dell'Illuminismo in così tanti ambiti – religione, filosofia, Stato, diritto, economia politica, storia, antropologia, natura/ecologia – né ha rivelato così a fondo la sua brutale ipocrisia.
Ci è capitato solo di recente di leggere l’Introduzione che Marco Santoro, noto studioso del sociologo francese Pierre Bourdieu, ebbe a scrivere qualche anno fa per la pubblicazione di Forme di capitale [1].
È nel Frammento del testo originario (Urtext, 1858) e nei Grundrisse, opere incompiute o abbozzi di Marx, che si trovano piú possibili, che il sistema è aperto.
In occasione del decennale della morte di Alessandro Mazzone, tra alcuni ex-studenti (i “mazzoniani” di un tempo) è nata l’idea di ricordarne la figura e l’importante contributo teorico. Con l’adesione delle figlie è stata fondata un’associazione culturale dal nome “Laboratorio critico” con sede a Siena, città in cui Mazzone ha insegnato per molti anni concludendovi la propria carriera accademica; essa ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione del suo lascito teorico e librario.
È una premessa fondamentale del marxismo quella per cui, quando cambiano le condizioni materiali, cambiano pure le nostre idee sul mondo in cui viviamo.

A quanto ci dicono i commentatori stiamo attraversando un’epoca di de-globalizzazione o di post-globalizzazione a base di tensioni internazionali, protezionismo, guerre commerciali, sanzioni economiche e spettri pandemici. Sugli schermi televisivi furoreggia un remake post-politico tanto desolante, quanto potenzialmente micidiale, del classico confronto tra le superpotenze nucleari, che avevamo liquidato un po’ troppo sbrigativamente come un relitto del passato, con le sue proxy-war e le sue figure emblematiche, oggi un tantino surreali. Nel frattempo le élite occidentali elogiano entusiasticamente la logica dei blocchi, auspicano con ansia la fine della dipendenza energetica, mettono in guardia sollecitamente contro il “pericolo giallo”, gli Stati-canaglia vecchi e nuovi e le torme dei falliti globali che si preparano ad assediare la “fortezza Occidente” (o il “giardino meraviglioso” nella poetica lezione di Josep Borrell).
Non c’è ragione di soccombere al conforto complesso della disperazione, un rifugio nel lugubre che ci consegna alla sconfitta. Ma sottolineare i ripetuti fallimenti della sinistra è un rimedio inevitabile, data la sua storia di esaltazioni e cazzate, ed evidenziare quanto siano spaventosi e terribili questi giorni, anche se vi possiamo anche scorgere una speranza. Adottare l’approccio liberale e vedere come deviazioni Boris Johnson, Jair Bolsonaro, Narendra Modi, Rodrigo Duterte, Donald Trump, Silvio Berlusconi e i loro epigoni, il violento e intricato «cospirazionismo», l’ascesa dell’alt right, la crescente volubilità del razzismo e del fascismo, significa estrapolarli dal sistema di cui sono espressione. Trump se n’è andato, ma il trumpismo è ancora forte.
Se la Ontologia dell'essere sociale fosse stata pubblicata nel 1971 (l'anno di morte dell'autore) avrebbe certamente influito sulla valutazione della grandezza di Lukács, elevandolo al ruolo di più importante filosofo marxista - e fra i maggiori filosofi in generale – del Novecento. Invece quest'opera monumentale, la cui stesura richiese un decennio di lavoro, tardò a vedere la luce perché l'autore continuava a rimaneggiare il testo dei Prolegomeni che, malgrado la loro funzione di sintesi introduttiva ai temi della Ontologia, furono scritti per ultimi (1); inoltre perché gli allievi che ebbero a disposizione il manoscritto dopo la sua morte ne ritardarono la diffusione (la traduzione italiana della seconda parte uscì nel 1981, mentre la versione originale apparve in tedesco dal 1984 al 1986), ma soprattutto alimentarono un pregiudizio negativo nei confronti dell'opera prima che fosse resa disponibile ai lettori (2). Questi motivi, unitamente al clima storico, ideologico e culturale antisocialista e antimarxista degli anni Ottanta generato dalla rivoluzione neoliberale, dalla svolta eurocomunista di quei partiti europei che interpretarono la crisi del socialismo come “crollo del marxismo”, nonché dalla svolta libertaria e individualista dei “nuovi movimenti” post sessantottini, ha fatto della Ontologia una delle opere più sottovalutate del Novecento. Al punto che il pensiero di Lukács, mentre è rimasto oggetto di culto per minoranze intellettuali non convertitesi al mainstream neoliberale, ha continuato ad essere identificato con opere precedenti come la Distruzione della ragione (3) , e ancor più con Storia e coscienza di classe (4), un libro che lo stesso autore considerava “giovanile” e superato.
1. La preistoria di Storia e coscienza di classe


































