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Critica del Valore alla vecchia maniera: commenti sul conservatorismo di sinistra di Anselm Jappe

di Roswitha Scholz

Guim Tió Zarraluki Dialogue 2019.jpgAnselm Jappe viene considerato un rappresentante della Critica del Valore, e ha fatto in modo che la Critica del Valore si diffondesse anche nei paesi non di lingua tedesca. Ha anche scritto quella che costituisce una "introduzione alla critica del valore" (“Le avventure della Merce” 2005). A volte viene persino considerato come se fosse stato il cofondatore della Critica del Valore, cosa che non è vera, dato che i principi fondamentali erano già stati formulati prima che Jappe, all'inizio degli anni Novanta, comparisse. Egli pertanto viene ritenuto un “esperto” - a livello internazionale – della Critica del Valore. Eppure, tuttavia, Jappe oggi rappresenta delle posizioni che costituiscono l’esatto opposto della Critica del Valore: mentre quest'ultima ha sempre criticato aspramente una concezione del capitalismo personalizzante, ecco che esso ora riappare improvvisamente proprio con Jappe, mostrando anche una certa vicinanza alle teorie del complotto (Jappe: Ha detto "dittatura sanitaria"?). Da allora ha incrociato altri critici del Valore che però non hanno partecipato a questa svolta. Da allora, lo vediamo accompagnato dalla sua passione per il romanticismo agrario, l'Ontologia e l'Antropologia, e dal suo “amore” per la Natura, e per quello verso una presunta natura umana che non si sottrae ai presupposti malthusiani. Su tutto questo, è ovviamente in linea con uno Zeitgeist autoritario che valorizza l’autenticità, la genuinità e simili. Anselm Jappe, nel suo testo I vivi e i morti nella critica del valore, sottopone la Critica del Valore a una revisione che, qui di seguito, costituirà l'argomento principale. Gli elementi essenziali della Critica del Valore, in questo suo articolo buttato giù troppo rapidamente, vengono travisati o distorti. Jappe tiene poco conto di quelli che sono stati gli ulteriori sviluppi successivi alla reazione di questa critica. Inoltre, molte delle obiezioni che solleva erano già state ampiamente discusse decenni fa. A tal proposito, gran parte di ciò che Jappe produce nel suo testo può essere affrontato con il metodo copia&incolla, che utilizzerò ampiamente anche in questa mia risposta. Jappe non risponde ad argomenti che sono stati avanzati da tempo, ma insiste dogmaticamente, alla vecchia maniera, su una critica del valore passata/morta.

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perunsocialismodelXXI

Apologia di Lukàcs

di Carlo Formenti

luk.jpgI miei ultimi lavori (1) devono molto alla interpretazione che l’ultimo Lukacs (2) ha dato del pensiero di Marx. Analizzando i concetti fondamentali della ontologia lukacsiana in un ciclo di lezioni che sto tenendo per il Centro Studi Domenico Losurdo (la più recente si può ascoltare all’indirizzo You Tube: https://www.youtube.com/watch?v=z6q7KhmGK5g ) mi sono reso conto che, in tutte le cose che ho sin qui scritto e detto su di lui, ho fatto solo brevi accenni alla sua biografia. È vero che, ragionando su un pensiero di grande spessore le considerazioni relative all’opera tendono a prevalere su quelle dedicate alla figura dell’autore, tuttavia, nel caso specifico, tale approccio non è del tutto appropriato. Non solo perché la sua vicenda umana ha incrociato eventi storici di enorme portata - la Prima guerra mondiale, le Rivoluzioni russa e ungherese, lo stalinismo, la Seconda guerra mondiale, l’insurrezione ungherese del 56 – e personaggi della statura di Georg Simmel, Max Weber, Thomas Mann, Ernst Bloch, Lenin e Stalin. Ma perché proprio il fatto di aver attraversato – uscendone indenne – queste grandi prove, ha fatto sì che critici e detrattori abbiano potuto attribuirgli una “prudenza” al limite della pavidità, se non di un vero e proprio opportunismo. Il tutto al fine malcelato di sminuire la portata del suo pensiero.

È per questo che ho deciso di rimettere mano a una sua lunga intervista autobiografica (Pensiero vissuto. Autobiografia in forma di dialogo) pubblicata in edizione italiana dagli Editori Riuniti nel 1983. Nelle pagine che seguono ne richiamerò alcuni passaggi perché ritengo che, da questa “confessione”, emerga un profilo di straordinaria coerenza personale, politica, ideale e morale, anche – se non soprattutto – nelle discontinuità e nei ripensamenti autocritici: la sua storia è quella di un intellettuale e militante comunista che, pur consapevole delle contraddizioni e delle storture emerse nel corso del grande esperimento sociale inaugurato nell’Ottobre 1917, non ha mai voluto “salvarsi l’anima” (e intraprendere una ricca carriera in qualche università occidentale) indossando i panni del “dissidente”, perché, dichiara, è sempre rimasto convinto che “sia meglio vivere nella peggior forma di socialismo che nella miglior forma di capitalismo”.

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blackblog

Marx: la sua critica al colonialismo è più attuale che mai

C.J. Polychroniou intervista Marcello Musto

Contrariamente alle errate interpretazioni liberali, Marx era un feroce critico del colonialismo, afferma lo studioso marxista Marcello Musto

2023 1214 karl marx 1200x778.jpgC.J. Polychroniou - Nell'ultimo decennio, tra gli intellettuali di sinistra, c'è stato un rinnovato interesse per la critica di Karl Marx al capitalismo.Tuttavia, il capitalismo è cambiato drasticamente dai tempi di Marx, e l'idea che sia condannato all'autodistruzione a causa delle contraddizioni che sorgono dal funzionamento della sua stessa logica non sembra più meritare credibilità intellettuale. La classe operaia di oggi è molto più complessa e diversificata di quella dei tempi della rivoluzione industriale. Inoltre, la classe operaia non ha adempiuto alla missione storica mondiale immaginata da Marx. Infatti, sono state proprio simili considerazioni a dare origine al post-marxismo; una posizione intellettuale in voga tra gli anni '70 e '90, che attacca la nozione marxista di analisi di classe e sottovaluta le cause materiali dell'azione politica radicale. Ma ora, a quanto pare, sembra che ci sia ancora una volta un ritorno alle idee fondamentali di Marx. Come spiegarlo? In effetti, Marx è ancora attuale oggi?

Marcello Musto: «La caduta del muro di Berlino è stata seguita da due decenni di omertà sull'opera di Marx. Negli anni '90 e 2000, l'attenzione rivolta a Marx era estremamente scarsa e lo stesso si può dire della pubblicazione, e della discussione, dei suoi scritti. L'opera di Marx – non più identificata con l'odiosa funzione svolta  dall'Unione Sovietica in quanto instrumentum regni – si è ritrovata al centro di un rinnovato interesse globale, nel 2008, dopo una delle più grandi crisi economiche nella storia del capitalismo. Giornali prestigiosi, così come periodici con un vasto pubblico, hanno descritto l'autore del Capitale come un teorico lungimirante, la cui rilevanza è stata ancora una volta confermata. Marx è diventato quasi ovunque oggetto di corsi universitari e conferenze internazionali. I suoi scritti allora riapparvero sugli scaffali delle librerie e la sua interpretazione del capitalismo acquisì un rinnovato slancio. Negli ultimi anni c'è stata anche una riconsiderazione di Marx come teorico politico, inducendo molti autori con una visione progressista a sostenere che le sue idee continuano a essere indispensabili per coloro che credono sia necessario costruire un'alternativa alla società in cui viviamo.

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lanatra di vaucan

Leggere ancora Marx. Dialogo con Roberto Fineschi

Afshin Kaveh intervista Roberto Fineschi

L'intervista a Roberto Fineschi, attento studioso di Marx, prosegue con la serie di interviste a personaggi non direttamente legati alla Wertkritik ma che in qualche modo si pongono, o possono farlo, in un rapporto costruttivo con questa. In precedenza era stato intervistato Wolf Bukowski

marx fineschi.pngAfshin Kaveh: Potrebbe tracciare una breve storia della seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA 2) – annesse le differenze, per esempio con la MEW, Marx-Engels-Werke – e quali sono le prospettive aperte sinora dall’operazione di questa nuova edizione critica delle opere complete di Marx ed Engels?

Roberto Fineschi: L’edizione è detta seconda perché ci fu un primo tentativo di realizzare una Gesamtausgabe tra gli anni Venti e Trenta del Novecento a opera prima di Rjazanov e poi di Adoratsky. Questo secondo tentativo è tuttavia un progetto completamente nuovo, basato su criteri filologici e struttura diversi. Inizialmente a cura degli Istituti per il Marxismo-Leninismo rispettivamente di Mosca e Berlino est, con la fine della guerra fredda è adesso curata dalla Fondazione Internazionale Marx-Engels, con sede ad Amsterdam e principale centro operativo presso l’Accademia delle Scienze di Berlino e del Brandeburgo. A differenze della prima che prevedeva solo tre sezioni, la seconda ne presenta quattro: I) le opere e gli abbozzi (escluso Il capitale), II) Il capitale e i lavori preparatori (a partire dal 1857), III) il carteggio, IV) gli estratti/annotazioni. L’ultima sezione è una novità assoluta. Un’edizione critica si differenzia da una normale edizione di opere perché presenta tutti i testi editi e inediti, a tutti i livelli di lavorazione, nella loro forma/lingua originale. Una tale precisione e complessità è in genere impossibile in un’edizione di Opere che adotta criteri che mirano a una maggiore leggibilità e schematizzazione. Marx ha pubblicato in vita molto poco rispetto a quanto ha scritto; soprattutto alcune delle sue opere fondamentali sono state edite dopo la sua morte in maniera non sempre adeguata: per es. i Manoscritti economico-filosofici, L’ideologia tedesca, il secondo e il terzo libro de Il capitale li abbiamo conosciuti in forme pesantemente editate. L’edizione storico-critica mette a disposizione dei lettori e degli studiosi sia i testi editati (oramai diventati essi stessi dei classici, in particolare i libri de Il capitale), ma anche tutti i manoscritti preparatori in forma filologica, ovvero per quanto possibile neutrale. Si può dunque procedere a un confronto tra quanto fatto da Marx in persona e il lavoro dei suoi editori.

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perunsocialismodelXXI

Note sul marxismo sinizzato

di Carlo Formenti

ktbgpbb.jpgA mo' d’introduzione

Nei miei ultimi lavori – sia nei libri che in vari articoli pubblicati su questa pagina (1) – ho speso molte energie per contrastare il luogo comune – che accomuna destre e “sinistre” occidentali – secondo cui la Cina sarebbe un Paese capitalista, se non addirittura imperialista, la cui unica ragione di conflitto con gli Stati Uniti e l’Europa è la competizione per il dominio globale.

Nel caso delle destre, tale giudizio funge da argomento propagandistico, buono per scoraggiare qualsiasi simpatia nei confronti di una possibile alternativa nei confronti di un’economia, un sistema politico, una cultura e un modo di vivere che settori sempre più larghi delle popolazioni occidentali considerano intollerabile, come dimostrano il successo dei movimenti cosiddetti “populisti” e le altissime percentuali di astensione.

Nel caso delle sinistre occorre distinguere fra l’ala “progressista” neoliberale, di fatto allineata alle destre (fatta eccezione per l’impegno nei confronti dei diritti civili di individui e minoranze appartenenti alle classi urbane medio-alte), e l’ala radicale, che dedica ancora qualche attenzione agli interessi delle classi lavoratrici. La sinistra neo liberale ha definitivamente gettato la maschera votando nel Parlamento europeo l’infame delibera che equipara nazismo e comunismo. L’ala radicale, ormai priva di strumenti teorici per analizzare la realtà (l’ignoranza dei suoi quadri in materia di filosofia, storia ed economia, per tacere del pressoché totale oblio della teoria marxista, è disarmante), si limita ad annunciare che “un altro mondo è possibile” ma, non avendo la minima idea su cosa fare e come farlo per mettere in pratica tale slogan, disprezza i progetti politici che ci provano.

Rebus sic stantibus, non mi stanco di insistere sulla necessità di studiare l’unico esperimento (in verità non è il solo, ma è di gran lunga il più significativo, se non altro per le sterminate dimensioni geografiche e demografiche della nazione che lo sta attuando) che offra un esempio concreto del fatto che lo slogan della Tatcher (there is no alternative) è falso.

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marxdialectical

Alessandro Mazzone, Questioni di teoria dell'Ideologia I

Introduzione di Roberto Fineschi

Mazzone.jpgA distanza di 23 anni viene riproposta l’unica monografia pubbli­cata in vita da Alessandro Mazzone. Il titolo, Questioni di teoria dell’ideologia, è significativamente seguito da “I”1: una seconda parte, di cui a fine libro l’Autore stesso riporta la struttura, avrebbe dovuto far seguito. Nel suo percorso intellettuale il testo fa da spartiacque tra gli inizi dellavolpiani, lo studio di Gramsci e il pro­fondo ripensamento di temi hegeliani che, negli anni Settanta, aveva dato il suo primo corposo frutto nel complesso saggio sul feticismo del capitale2. Lo studio analitico della teoria marxiana del capitale3 - basato sulla pubblicazione della nuova edizione sto­rico critica delle sue opere4 -, l’approfondimento delle strutture lo­giche portanti della teoria hegeliana porteranno a una sospensione di giudizio che non si risolverà mai pienamente, lasciando in so­stanza allo stato di torso lo sviluppo di una teoria marxista dell’ideologia. Nella speranza di rintracciare nel lascito la seconda parte (che l’Autore dichiarava essere sostanzialmente pronta), per agevolare il lettore cerchiamo di ricostruire le linee portanti del suo ragionamento5.

Elaborando una “teoria dell’ideologia” Mazzone è forse uno degli autori che più seriamente ha ripreso l’impo­stazione gramsciana del problema del rapporto fra struttu­ra e sovrastruttura, indagando le modalità di riflessione in se stesso del corpus storico-materiale, quindi la possibilità di una azione storica razionale. Lasciando da parte le frasi fatte sulla generica fondazione strutturale della sovrastrut­tura, Mazzone cerca di ricostruire i processi di mediazione che, a partire dalle determinazioni formali della riproduzione sociale, permettono di sviluppare categorie “fenomeniche” che sa­ranno poi i soggetti agenti alla superficie della società; essi si for­meranno delle ideologie e degli orientamenti sulla base della loro prassi sociale. Ciò produce delle “parvenze oggettive”, vale a dire delle ideologie in senso forte: non mero inganno, ma strutture del­la percezione e dell’autopercezione che sono tali in quanto social­mente praticate da soggetti storicamente determinati.

La struttura fondamentale dell’ideologia borghese è se­condo Mazzone la “persona”. Il mondo capovolto non è l’oggetto alienato di una coscienza presupposta che deve riap­propriasi della propria essenza; questa è anzi la tipica imposta­zione ideologica del problema che presuppone la sostanzialità della “persona”.

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Per una teoria del conflitto: la nuova edizione del Capitale di Marx

di Francesco Ravelli

Marx e le macchineTanto spesso, in questi ultimi anni, abbiamo affermato di essere di fronte a una nuova fase storica, nella quale le contraddizioni sistemiche sono in rapido sviluppo e in costante accrescimento: crisi del modo di produzione capitalistico, costante innalzamento della tensione bellica, genocidio del popolo palestinese, crisi ambientale, violenza sistemica (dallo sfruttamento di classe senza quartiere alla violenza di genere).

Davanti a questi processi, nei quali svolge un ruolo regressivo, un Occidente in crisi di egemonia cerca disperatamente di rilanciarsi a livello ideologico, rappresentando sé stesso come la civiltà più avanzata, un armonico «giardino» posto sotto assedio da parte della «giungla» (la barbarie, le autocrazie, i popoli passivi e arretrati).

In questo contesto, e proprio per la necessità di dare sostanza a un’ipotesi di fuoriuscita da questa crisi così grave e profonda e di combattere efficacemente le armi ideologiche dell’avversario, assumono una rinnovata centralità teorica e politica lo studio e l’elaborazione del marxismo, ossia di una visione del mondo ancora capace di spiegare i processi in atto e indicare una prospettiva alternativa di società.

Giunge dunque particolarmente opportuna la nuova edizione del testo fondativo, del pilastro fondamentale del marxismo, il primo libro de Il Capitale di Karl Marx, curata per Einaudi (nella prestigiosa collana I millenni) da Roberto Fineschi, che ha coordinato una squadra di traduttori composta da, oltre a sé stesso, anche da Stefano Breda, Gabriele Schimmenti e Giovanni Sgro’.

Questa edizione è frutto del lavoro aperto da decenni intorno ai testi marxiani nell’ambito del progetto della nuova edizione storico-critica delle opere di Marx e di Engels, la MEGA2 di cui Fineschi, studioso e compagno con cui abbiamo il piacere di collaborare da anni, è uno dei protagonisti.

Sulla fisionomia e sulle acquisizioni di questo lavoro filologico, che sta consentendo di portare alla luce nuovi testi e soprattutto di chiarire alcuni snodi fondamentali della riflessione di Marx, rimandiamo ai lavori di Roberto e intanto all’intervento di Francesco Ravelli, più sotto pubblicato, alla presentazione del Capitale tenuta il 21 novembre presso il circolo OST Barriera a Torino.

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jacobin

Un Marx del ritorno al futuro

di Marco Bertorello

Kohei Saito individua la battaglia ecologista e quella egualitaria come necessarie a rendere l’ambientalismo socialmente sostenibile, ma fatica a individuare nella decrescita una prospettiva credibile

marx decrescita jacobin italia 2048x746.jpgLa crisi climatica è tema indubbiamente complesso, ma come suggerisce John Maeda occorre trovare un equilibrio tra complessità e semplicità attraverso una graduale riduzione della prima pur senza avere l’obiettivo di liberarsene. Se semplificare rischia di condurre alla semplificazione, l’eccesso di complessità, al contrario, fa scivolare verso l’inconcludenza, il disorientamento e di conseguenza l’inazione. Da qui la necessità di trovare un equilibrio tra le due polarità.

Fatta questa un po’ pedante precisazione provo a misurarmi con il tema a partire dall’ultimo testo del filosofo marxista giapponese Kohei Saito [Il Capitale nell’antropocene, Einaudi, 2024]. Un testo di un autore che, come dice Salvatore Cannavò in un’intervista [Saito Kohei: quell’ecologista di Marx, in «Millennium», novembre 2024], ha «il dono della chiarezza» e forse anche per questo sta diventando un fenomeno editoriale mondiale a partire dalle 500 mila copie vendute proprio in Giappone. Un numero esorbitante, un fenomeno editoriale che non è detto possa tradursi in cambiamenti concreti. Questo successo tuttavia suggerisce come i contenuti del testo abbiano intercettato un sentire comune grazie a un modo parzialmente inedito di fare critica alla contemporaneità, nonostante si parli di Marx, anticapitalismo, comunismo coniugato alla decrescita. Temi che se presi uno a uno non sono certo nuovi e che vengono considerati spinosi e controversi, anche in campo democratico-progressista e persino alternativo. Ma nel loro esser messi in relazione in modo eclettico recuperano una forza epistemologica.

 

Perché la decrescita?

Il cambiamento climatico, come affermava Ulrich Beck già dieci anni fa [Come il cambiamento climatico potrebbe cambiare il mondo, Castelvecchi, 2024], attraverso la forse infelice formula del «catastrofismo emancipatorio», potenzialmente contiene una spinta per porre «fine alla fine della politica», dando vita a una svolta cosmopolita che di fronte alle sfide globali metta al centro nuove «preoccupazioni pubbliche transnazionali».

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lantidiplomatico

Il marxismo e l'era multipolare - Quarta parte

di Leonardo Sinigaglia

2012 02 05 questione nazionale 03.jpg4- La questione nazionale, seconda parte

La sempre più profonda saldatura tra il movimento comunista internazionale e la lotta antimperialista dei popoli oppressi diede un intenso sviluppo alla riflessione sulla questione nazionale e sul patriottismo all’interno del mondo comunista, e anche in relazione al diffondersi del fascismo, che proprio sul recupero retorico dei temi patriottici e nazionali costruiva i propri progetti imperiali ed egemonici. 

Come sottolineato dal dirigente comunista bulgaro Georgi Dimitrov in occasione del VII Congresso dell’Internazionale Comunista, l’avvento al potere di partiti e formazioni fasciste era stato reso possibile anche da errori dei locali partiti comunisti, che non erano efficacemente riusciti a opporsi ai fascisti, permettendo a questi di egemonizzare i temi patriottici e nazionali, facendo riferimento in particolare alla Germania: “I nostri compagni in Germania, per molto tempo non tennero nella dovuta considerazione il sentimento nazionale offeso e l'indignazione delle masse contro Versailles[1]. Il riferimento è ai tentativi del KPD sotto la dirigenza di Ernst Thälmann  di riportare il partito su una linea leninista rifiutando il compromesso con le forze socialdemocratiche, accusate di essere “socialfasciste” e di “tradire il paese”, e attaccando il crescente partito nazista mettendo in risalto le sue ipocrisie e la sua vuota demagogia sul terreno della questione nazionale.

Sotto Thälmann il partito si oppose al Piano Young e al Trattato di Versailles, al pagamento delle riparazioni di guerra e del debito internazionale, mentre aprì alla volontaria unione di tutte le popolazioni di lingua tedesca in un solo Stato, nella consapevolezza che “[s]olo il martello della dittatura del proletariato può spezzare le catene del Piano Young e dell’oppressione nazionale”, e che “[s]olo la rivoluzione sociale della classe operaia può risolvere la questione nazionale della Germania[2].

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lantidiplomatico

Il marxismo e l'era multipolare - III parte

di Leonardo Sinigaglia

Come ogni Venerdì, ecco il terzo dei 9 appuntamenti dove vi proporremo un importante lavoro di analisi e approfondimento di Leonardo Sinigaglia dal titolo "Marxismo e Multipolarismo"

lòbnlii.png3- La questione nazionale. Prima parte

Gli operai non hanno patria”: queste parole del Manifesto del Partito Comunista scritte da Marx ed Engels spesso vengono citate con superficialità per dimostrare un preteso carattere “antipatriottico” del pensiero marxista e la sua incompatibilità con qualsiasi forma di orgoglio nazionale. Tali ricostruzioni non solo sono superficiali, ma dimostrano una profonda ignoranza dell’attività rivoluzionaria dei due fondatori del socialismo scientifico. Contestualizzare le parole del Manifesto nell’insieme del testo da cui sono tratte ne permette un’interpretazione scevra da deformazioni.

Inoltre, si è rimproverato ai comunisti ch'essi vorrebbero abolire la patria, la nazionalità. Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch'esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia”: gli operai “non hanno patria” in quanto ogni paese era all’epoca controllato politicamente dalle classi possidenti, le quali privano il proletariato di ogni “cittadinanza”, impedendogli di godere pienamente dei frutti del proprio lavoro e della totalità delle attività sociali. Il proletariato “non ha patria” nella stessa misura in cui potevano non averla i perieci e gli iloti sotto il dominio spartano: non si tratta di negarne la Storia, la cultura, il carattere nazionale, ma di sottolinearne l’estraneità alla gestione del potere.

Non hanno patria” indica l’assenza di potere politico, non di nazionalità, come emerge chiaramente dalle frasi successive, con l’invito al proletariato a “elevarsi a classe nazionale” conquistando quel potere, uscendo da quello stato d’asservimento e alienazione in cui l’ordine borghese lo condannava. Il proletariato lottando per la conquista del potere scopre il proprio carattere nazionale, che ha un “senso diverso da quello borghese”, in quanto superamento dialettico di questo.

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sinistra

Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista*

di Carlo Di Mascio

HegelPasukanis000.jpgLa scelta di una filosofia dipende da quello che sei.

J. G. Fichte, Prima introduzione alla Dottrina della Scienza

1. La ricezione russo-sovietica di Hegel tra filosofia e politica

Nel 1931 Evgeni Pashukanis pubblica un saggio dal titolo ‘Hegel. Stato e diritto1, dedicato al centenario della morte di Hegel. L’occasione era stata fornita dalla possibilità di partecipare, con alcuni scritti di filosofi e giuristi sovietici, allo Hegel-Kongreß tenutosi a Berlino nello stesso anno, partecipazione poi - come ricorderà Pashukanis - «comicamente» negata dagli organizzatori che, nel rifiutare gli scritti di provenienza sovietica, si limitarono solo alla ricezione di semplici comunicazioni «sulla portata e l'organizzazione degli studi hegeliani nelle istituzioni scientifiche russe». A ciò fece seguito, come ancora polemicamente riportato dal giurista sovietico, il commento di Georg Lasson, tra i promotori del congresso berlinese, per il quale sarebbe stato «assurdo scoprire la dottrina hegeliana dello Spirito assoluto nel materialismo inanimato del marxismo»2. Ora, non serve qui soffermarsi sulle ragioni di una tale esclusione. Essa non poteva che dipendere dal ritenuto stato «avanzato» degli studi hegeliani nell’Occidente europeo, in un contesto culturale e storico-politico molto particolare, connotato dall’avvento del nazi-fascismo in Germania e in Italia3, dal «ritorno a Hegel» e ai motivi più reazionari del suo pensiero riassunti in quel «neohegelismo»4 da impiegare come baluardo politico-filosofico allo stato «avanzato» della crisi, sociale ed economica, in una Europa segnata dal timore di una rivoluzione interna sull’esempio di quella sovietica - ma anche da una sostanziale debolezza della tradizione filosofica russa, già vent’anni prima riconosciuta da Lenin, secondo cui «Nelle correnti d’avanguardia del pensiero russo non c’è una grande tradizione filosofica come quella che per i francesi è legata agli enciclopedisti del XVIII secolo, per i tedeschi all’epoca della filosofia classica da Kant a Hegel a Feuerbach.»5.

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dialetticaefilosofia

Ripensare il marxismo, progettare la società post-capitalista

di Giorgio Grimaldi

Introduzione a Domenico Losurdo, La questione comunista. Storia e futuro di un’idea, Carocci 2021

01625998.jpg§1. Perché La questione comunista?

Nella genesi di un’opera agiscono le questioni, le esigenze che all’autore si presentano come elementi che decidono del movimento del proprio tempo. Possono occupare una posizione più o meno centrale, o appariscente, nel dibattito riservato a determinati circoli culturali o anche agli occhi dell’opinione pubblica, e compito dell’autore è quello in primo luogo di individuarli, isolandoli dal materiale che, seguendo la logica delle mode, è avvertito come argomento “del momento”, e che “nel momento” si esaurisce. L’opera che la moda (oppure la mera contingenza) detta non presuppone un’analisi degli aspetti decisivi del proprio tempo, ma ne riflette, con maggiore o minore eleganza, le decisioni.

Per un filosofo come Domenico Losurdo, che non ha mai seguito o assecondato le mode ma ha sempre mantenuto libero e coerente lo sguardo su un obiettivo – «l’emancipazione politica e sociale dell’umanità nel suo complesso» (infra, p. 178) –, la prima domanda che occorre porsi di fronte a questo testo inedito (il primo lavoro monografico a essere pubblicato dopo la scomparsa, avvenuta il 28 giugno del 2018) è il perché abbia scelto di proseguire nel progetto di ripensamento del marxismo che ha animato l’ultima fase del suo pensiero. Non si tratta, come invece il titolo di lavoro del volume (La questione comunista a cent’anni dalla rivoluzione d’ottobre) potrebbe suggerire, di un testo che prende avvio da un’occasione, da una contingenza. Certo, si innesta nelle discussioni nate a partire dalla ricorrenza del centenario della rivoluzione del 1917, ma, fuori da ogni intento celebrativo e apologetico, La questione comunista intende articolare un bilancio storico dell’esperienza sovietica e del marxismo nel suo complesso. Non solo: Losurdo osserva il marxismo negli elementi che in esso confluiscono e in ciò che è capace, in un futuro prossimo o remoto, di produrre.

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lantidiplomatico

Il marxismo e l'era multipolare - Parte II

di Leonardo Sinigaglia

lòbnlii.png2- La prassi come criterio della verità, il materialismo dialettico come metodo

 Attraverso l’evoluzione teorica descritta, il marxismo è passato dall’essere l’idea di pochi circoli d’avanguardia a essere la forza trainante di alcuni tra i più grandi partiti e Stati al mondo, una forza determinante nello scenario internazionale da almeno un secolo, e mai come oggi vitale e potente. Ciò è stato possibile non solo grazie agli sforzi di numerose generazioni di rivoluzionari, ma soprattutto per un metodo, quello dato dal materialismo dialettico, fondato su un costante confronto con la realtà materiale, applicato tanto all’analisi teorica quanto alla prassi politica. Questo metodo parte dalla realtà e alla realtà ritorna, mettendo al bando ogni soggettivismo e deformazione unilaterale. Il criterio prescritto dal materialismo dialettico per avvicinarsi sempre di più alla verità non è l’adesione a dogmi aprioristici, ipse dixit, identitarismi estetici o sofismi verbali, ma la prassi. Solo la prassi, solo i fatti reali permettono di risalire alla verità.

La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teorica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero[1]. L’esame della pratica è l'unico metro adeguato per valutare la verità di un pensiero. Non ne esistono altri, e il marxismo correttamente riconosce ciò. Il problema della definizione del criterio per stabilire la verità non casualmente è scomparso da decenni dallo scenario politico dell’Occidente, anche nella variopinta galassia della cosiddetta “estrema sinistra” locale.

Influenzati dall’ideologia neoliberale e dal pensiero postmoderno, i “marxisti” occidentali sostengono, apertamente o meno, che esistano le verità, con ogni singola persona portatrice di una, o più, visioni qualitativamente equivalenti e parimenti valide. La realtà oggettiva viene negata a favore di una molteplicità di verità relative fondate sul gusto personale, sull’opportunità, sulla volontà soggettiva, che riflettono nient’altro che pensieri e sensazioni dell’individuo, che sceglie di rappresentare se stesso e quello che fa in un dato modo, di “identificarsi” come qualcosa (o qualcuno).

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lantidiplomatico

Il marxismo e l'era multipolare - Parte I

di Leonardo Sinigaglia

Ogni Venerdì, per le prossime 8 settimane, vi proporremo un importante lavoro di analisi e approfondimento di Leonardo Sinigaglia dal titolo "Marxismo e Multipolarismo"

720x410c50.pngNegli ultimi decenni il “marxismo occidentale” ha mostrato un’arretratezza teorica tanto profonda da impedire qualsiasi presa di coscienza sulla reale portata e natura dei cambiamenti delle grandi trasformazioni in corso a livello internazionale, derubricate a “scontro tra opposti imperialismi” quando non direttamente viste attraverso gli occhi di Washington come “aggressione degli autoritarismi contro la democrazia". Per i marxisti del resto del mondo è in realtà chiaro come la nostra epoca segni una cesura profonda rispetto al passato, essendo caratterizzata da cambiamenti mai visti da almeno un secolo capaci di stravolgere profondamente l’architettura internazionale portando al superamento della fase imperialista del capitalismo attraverso la costruzione di un mondo multipolare e di una comunità umana dal futuro condiviso.

La comprensione di ciò non è solo necessaria per afferrare correttamente la situazione presente, ma anche per rispondere politicamente in maniera organizzata ponendo correttamente le contraddizioni in ordine gerarchico e identificando quello che è il campo di battaglia principale, ossia quello collegato alla lotta per l’indipendenza nazionale dell’Italia, senza la quale qualsiasi progetto di riforma sociale non è altro che un vaneggiamento a-storico e slegato dalla realtà.

Questa serie di articoli mira a discutere di alcuni dei principali nodi teorici per arrivare a una migliore comprensione della fase presente e della natura degli attori che la caratterizzano.

  

1- L’evoluzione storica del socialismo

 Il materialismo dialettico concepisce l’universo come  “un movimento della materia, retto da leggi”, che si riflette nella nostra conoscenza, “prodotto superiore della natura[1]. Il pensiero è riflesso di questa realtà, ed è perciò anch’esso in un processo di continuo movimento e trasformazione. Al modificarsi della realtà materiale non può che corrispondere una trasformazione del pensiero.

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collettivolegauche

Utilizzare Marx per la critica dell’economia politica della tecnologia

di Collettivo Le Gauche

images 51Andrea Cengia nel libro Le macchine del capitale. Con Marx, per la critica dell’economia politica della tecnologia prova ad analizzare i nuovi strumenti tecnologici e le nuove tecnologie alla luce delle riflessioni marxiane. Lo scopo è raggiungere una teoria critica della tecnologia basata sul solco tracciato da Marx della critica dell’economia politica. Questa operazione consente di superare tutte le retoriche sulla rivoluzione digitale capitalistica del XXI secolo per riportare le analisi allo studio del modo di produzione capitalistico.

 

1. La tecnologia non è neutrale

Le riflessioni di Cengia partono dalla critica dei saperi che indagano gli effetti sociali delle trasformazioni tecnologiche poiché essi tendono a ritenere la cornice generale all’interno della quale sono determinate le relazioni sociali a base tecnologica come qualcosa di astorico e naturale. Tutti i punti di tensione, le contraddizioni, i potenziali conflitti generati dalle continue innovazioni tecnologiche vengono depotenziati da discorsi volti solo a enfatizzare le imminenti svolte epocali a cui l’umanità è destinata grazie alla rivoluzione tecnologica del momento. Queste svolte sembrano essere annunciate da fenomeni come l’approdo dell’umano al postumano, oppure la fine del lavoro. Dobbiamo invece rispondere a queste narrazioni spostando il nostro sguardo attraverso una prospettiva critica per individuare i nodi problematici che sembrano crescere di giorno in giorno. Per fare ciò è necessario riprendere in mano Marx e sottoporre la tecnologia a una lente interpretativa non tecnologica, ossia analizzarla tramite il punto di vista della critica dell’economia politica. Per Marx la tecnologia non è solo un processo unidirezionale e determinato di innovazione. Essa inevitabilmente richiama l’argomento dei processi produttivi e quindi, dal punto di vista marxiano, lo studio della loro trasformazione tramite la critica dell’economia politica.

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La funzione dialettica del “Manifesto del Partito Comunista” nel processo storico

di Giannetto Edoardo (Nanni) Marcenaro

Comande 1.jpgIntroduzione

Il 175° anniversario della pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista, ricorso l’anno passato, cade in un’epoca nella quale lo sviluppo del processo storico, da una parte, ha dimostrato come – a dispetto dei trionfali proclami dei liberali all’indomani del dissolvimento dell’Unione Sovietica– il socialismo e l’ideologia Marxista-leninista siano ben vivi e abbiano acquisito più forza e ricchezza di quanta mai ne avessero creata prima, soprattutto nella Repubblica Popolare della Cina, e dall’altra parte invece, ha segnato in Occidente l’inizio di una profonda crisi di credibilità, diffusione, e radicamento nelle popolazioni dei vari Stati europei, per quegli stessi movimento e pensiero.

Gli ultimi trent’anni hanno visto un ridimensionamento, non distante da una completa cancellazione dal panorama politico nell’Occidente capitalistico, delle formazioni comuniste o socialiste la cui influenza sulla società e sulle culture nazionali, nonostante il continuo deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro, si è sempre più ridotta, sotto l’attacco costante e sistematico del revisionismo storico e delle incessanti ondate contrarie dei prodotti culturali di massa.

La classe capitalista ha potuto prendere l’iniziativa in assenza di qualsiasi costrizione e trasformare a propria immagine e somiglianza l’intera società, disgiungendo gli aspetti politici dei rapporti sociali da quelli identitari, in modo da isolare “individuo” e “società”, disinnescando quindi qualsiasi portata rivoluzionaria dei movimenti dei diritti cosiddetti “civili”, e trasportando le questioni economiche nel loro insieme sul terreno della meccanica “celeste” del “libero mercato”, con i subdoli mezzi della retorica keynesiana di “imprese” e “famiglie”, nella quale dilegua qualsiasi nozione di conflitto sociale o di classe e la prospettiva unica sull’orizzonte degli eventi è quello del thatcheriano “there is no alternative”: è consentito soltanto appellarsi al lumicino della speranza che “un altro capitalismo” sia possibile.

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sinistra

Per il 120° anniversario della morte di Antonio Labriola

di Eros Barone

antonio labriola.jpegI clowns politici hanno sempre di che divertirci in questo paese dove fiorisce la commedia da piangere e la tragedia da ridere.

Lettera di Antonio Labriola a Friedrich Engels del 5 novembre 1894.

La “crisi di fine secolo” e lo stato di assedio politico caratterizzarono in Italia il periodo intercorrente fra le cannonate del generale Fiorenzo Bava Beccaris, con cui fu stroncata l’insurrezione popolare (Milano, 6-7-8-9 maggio 1898), e le revolverate dell’anarchico Gaetano Bresci, con cui fu stroncata la vita del re Umberto I (Monza, 29 luglio 1900). Tuttavia, questi eventi non impedirono una fioritura di studi e di ricerche intorno alla teoria di Marx, poiché in quel drammatico tornante fra i due secoli il marxismo conquistò una posizione di prestigio nella cultura italiana e divenne il centro di un ampio dibattito intellettuale che vide impegnate le menti più acute del tempo.

 

  1. Una eccezionale fioritura di studi e discussioni sul pensiero di Marx e di Engels

Nel volgere di pochi mesi videro la luce uno dopo l’altro i saggi di Benedetto Crocesu Materialismo storico ed economia marxistica, la monografia di Giovanni Gentile su La filosofia di Marx, 1 le considerazioni Pel materialismo storico di Corrado Barbagallo e La teoria del valore di Carlo Marx di Arturo Labriola: quattro giovani intellettuali emergenti che esordivano sulla scena della cultura facendo i conti con il pensiero marx-engelsiano. Sempre nello stesso periodo esplodeva la polemica sul revisionismo fra Merlino e Bissolati, il giovane Enrico Leone pubblicava sulla «Rivista critica del socialismo» un lavoro sul Metodo nel «Capitale» di Karl Marx e uscivano La produzione capitalistica di Antonio Graziadei e Il terzo volume del «Capitale» di Vincenzo Giuffrida. Una domanda sorge spontanea: come può essere spiegato il fatto che il marxismo, appena conosciuto venti anni prima, avesse raggiunto, in un’epoca in cui le idee circolavano ancora piuttosto lentamente, una simile influenza e un simile successo?

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laboratorio

E' ancora attuale la categoria di imperialismo e quali sono i paesi imperialisti?

di Domenico Moro

taller el imperialismoIl termine di imperialismo è associato ai più importanti imperi del passato come quello romano o quello persiano. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento il termine di imperialismo è stato ripreso per descrivere la nuova realtà mondiale, caratterizzata dalla formazione di diversi imperi facenti riferimento soprattutto agli stati dell’Europa occidentale. Per questo il periodo tra la seconda metà dell’Ottocento e il 1945, quando inizia la decolonizzazione, è stato definito l’età degli imperi. L’impero più vasto era quello britannico, seguito da quello francese, spagnolo, portoghese e olandese, che erano gli imperi più antichi. Tra gli ultimi Paesi a partecipare alla corsa alle colonie ci furono gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, il Belgio e l’Italia.

L’imperialismo moderno si differenzia da quello antico perché non rappresenta soltanto un espansionismo militare bensì un espansionismo in primo luogo economico, basato sulla conquista di territori da sfruttare e utilizzare economicamente, le colonie. L’imperialismo è una fase dello sviluppo del capitalismo, caratterizzando in modo peculiare l’economia dei Paesi imperialisti. Dal punto di vista globale l’imperialismo è un sistema basato sulla divisione tra un centro metropolitano, i Paesi imperialisti, e una periferia e una semiperiferia, entrambe sfruttate e oppresse dal centro.

Dal momento che dopo il 1945 è iniziato il processo di decolonizzazione e le ex colonie sono divenute stati indipendenti, si può parlare dell’esistenza di un imperialismo ancora oggi? Riteniamo di sì, ma con delle differenze. Quella di imperialismo rimane, quindi, una delle più importanti categorie di interpretazione della realtà. Per analizzare l’imperialismo attuale e definire le novità rispetto a quello della prima metà del Novecento dobbiamo partire da un testo che fu fondamentale nell’interpretazione dell’età degli imperi, “L’imperialismo. Fase suprema del capitalismo” di Lenin.

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sinistra

Introduzione a Le macchine del Capitale

di Andrea Cengia

Andrea Cengia: Le macchine del capitale. Con Marx, per la critica dell'economia politica della tecnologia, ed. Punto rosso, 2024

le macchine del capitale con marx per la critica delleconomia politica della tecnologia.jpgA partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, un crescente numero della popolazione mondiale sperimenta la presenza sempre più evidente di un orizzonte tecnologico. Gli oggetti, materiali o immateriali, che prendono il nome di tecnologia, hanno assunto un peso socialmente sempre più rilevante. Dalle trasformazioni di fabbrica del secondo dopoguerra fino alla proliferazione della rivoluzione digitale dei nostri giorni, la società ha subito profonde modificazioni. La tecnologia, il cui significato si cercherà di chiarire in seguito, ha spesso raccolto e ancora raccoglie speranze e timori, alimentando un dibattito sociale caratterizzato da forti prese di posizione, di adesione o di rifiuto, rispetto alle innovazioni presenti sul mercato1. Nell’autunno del 2021, dando notizia del blocco mondiale di alcuni tra i più importanti servizi social del mondo, il New York Times titolava Gone in Minutes, Out for Hours, commentando come miliardi di vite fossero state sconvolte proprio per mancanza di connessione2. È interessante notare che, poche settimane dopo, nel novembre del 2021, il Virtual Congress della Friedrich Ebert Stiftung3 veniva pubblicizzato attraverso un fotomontaggio rappresentante Marx dotato di visore per realtà aumentata. Ci sarebbe da chiedersi per quale ragione, non raramente, sia proprio Marx e il suo lavoro a essere chiamati in causa in contesti di riflessione sulla tecnologia, in particolare rispetto alle sue forme più articolate come quella dell’universo digitale. Poiché le forme di società fortemente caratterizzate dalla dimensione tecnologica sono anche società dove predomina il modo di produzione capitalistico, qualora non si desideri recepire come necessaria la forma sociale che l’orizzonte tecnologico contribuisce a realizzare, diventa importante chiamare in causa l’elaborazione teorica marxiana. La spinta senza sosta verso la creazione di spazi digitali di socialità, siano essi i social network oppure forme di virtualizzazione, ci riporta quindi a Marx.

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blackblog

Cinquanta sfumature di rosso. Il marxismo e la pluralizzazione del conflitto sociale

di Alexis Piat

IMG 20240505 214641.jpgIntroduzione: Il rosso delle origini – Marx e la teoria materialista del conflitto

1 - Pochi autori sono più difficili da leggere di Marx. Non perché la concettualità marxiana sia particolarmente astratta o complessa – se è indiscutibilmente così, queste dimensioni appartengono di diritto a qualsiasi grande pensiero – ma perché il lettore deve sempre assicurarsi di leggere Marx correttamente, senza le innumerevoli scorie lasciate dalla storia che ricopre il testo. Se tale recupero avviene, il lettore non legge più Marx: sogna il pensiero o la pratica di un altro, quello di Althusser nel migliore dei casi, quello di Stalin quando le cose vanno davvero male. Tutti sanno che per Marx «la lotta di classe è il motore della storia». Tuttavia, sarebbe difficile fare riferimento a una tale formula quando essa sembra essere una figura imposta di commento (al punto che è difficile rintracciarne l'origine), dal momento che invece non appare da nessuna parte, come tale, nell'opera di Marx. [*1]

2 - D'altra parte, è indiscutibile che la prima sezione del Manifesto del Partito Comunista si apre con l'affermazione che «La storia di ogni società fino ai giorni nostri è la storia delle lotte di classe» [*2]. Tuttavia, è necessario fare diverse osservazioni su questa affermazione. In primo luogo, non è strettamente equivalente alla formula generalmente utilizzata dal commento: è infatti descrittiva, piuttosto che analitica, e la storia stessa deve essere intesa come il periodo su cui i resoconti scritti danno conto, e non come la sostanza del futuro delle società umane [*3]. In secondo luogo, si colloca all'interno di un testo il cui statuto non è strettamente teorico: il Manifesto è un documento di propaganda e, per quanto sia una propaganda di ottima qualità, e direttamente radicata nella teoria, il suo rigore è subordinato alle necessità dell'azione rivoluzionaria.

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blackblog

La teoria del valore di Marx: collasso, IA e Petro

di Michael Roberts

Un sito, Marxism and Collapse (M&C) ha condotto un "dialogo" con un modello di Intelligenza Artificiale chiamato Genesis Zero (GZ) il quale include «un'espansione e una confutazione» della teoria del valore di Marx. La voce umana (M&C) pone delle domande e spinge il modello di intelligenza artificiale (GZ) a discutere le inadeguatezze della teoria del valore di Marx, e a raggiungere una nuova e migliore teoria. Il sito web Marxism and Collapse può essere trovato qui, e qui si trova la loro "dichiarazione di programmatica". Mentre, le parti principali della discussione sulla Teoria del Valore di Marx, Genesis Zero - Gustavo Petro, si trovano qui

petro2.jpgM&C sostiene che nell'analisi di Marx c'è una debolezza fondamentale secondo cui, in una merce, la cosa riguarda il duplice carattere del valore d'uso e del valore di scambio. L'addestratore umano di M&C fornisce delle domande guida in modo da far sì che GZ, di conseguenza, risponda che nella teoria di Marx c'è davvero una debolezza: vale a dire, che essa lascia fuori la natura in quanto fonte di valore. Quindi, GZ concorda sul fatto che abbiamo bisogno di modificare la teoria del valore di Marx, trasformandola in una teoria "generale" del valore che incorpori in sé il valore della "natura". Questo dibattito è stato distribuito principalmente in America Latina e in Spagna (ad esempio, nel giornale colombiano Desde Abajo), e ciò sebbene le precedenti versioni inglesi siano state ampiamente distribuite anche in diversi paesi di lingua inglese. Anche il presidente colombiano Gustavo Petro è entrato in questo dialogo, cosa che ha suscitato un notevole interesse. Petro non è solo il presidente della Colombia, ma è anche molto interessato alla teoria marxista, in relazione alla crisi ambientale e ai danni generati dal capitalismo a livello globale e in Colombia. Ed egli è desideroso di trovare un modo per poter applicare la legge del valore alla misurazione del danno ecologico e ambientale recato alla natura che viene causato dal capitale. Dal dialogo, si conclude che bisogna modificare la legge del valore di Marx in modo che essa incorpori la natura, la quale secondo lui è assente nella teoria del valore di Marx. Petro ha utilizzato le idee espresse in questo dialogo in diverse presentazioni orali.Prendiamo in considerazione l'idea che la teoria del valore di Marx sia inadeguata, incompleta e persino falsa poiché non considera la natura come fonte di creazione del valore. Però, ritengo invece che questa idea sia superflua, e che essa serva solo a indebolire la teoria del valore di Marx in quella che è la sua penetrante e convincente critica del capitalismo.

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maggiofil

Il prestito e le tasse, anche. Cronache marXZiane n. 15

di Giorgio Gattei

edipo psicologia mito 1 1024x623.jpg1. Se la moneta è “Dio” (vedi la Cronaca precedente), di quanto “Dio” ci sarà bisogno sul pianeta Marx, quel corpo teorico celeste comparso improvvisamente nel cielo dell’economia e a cui Karl Marx, che più di tutti l’ha investigato, ha dato il suo nome?

Intanto facciamo il punto su quanto abbiamo finora appreso, e cioè che la moneta non deriva affatto dall’iniziativa spontanea degli “scambisti democratici” sul mercato, come l’ha raccontata Aristotele e si continua a ripetere, bensì dalla pratica di “buon vicinato” di prestare qualcosa a qualcuno con l’impegno di farsela restituire in futuro (che poi non sarebbe altro che lo sviluppo di quella originaria “economia del dono”, studiata da Marcel Mauss, che impone comunque l’obbligo di ricambiare il dono ricevuto e addirittura ad abundantiam). Se poi a certificazione del prestito concesso venisse redatta una qualche scrittura con l’indicazione di quanto prestato e del nome del debitore, saremmo davanti a una promessa di pagamento, a queli “pagherò” che sarebbero stati all’origine della moneta «prima delle sue origini», per dirla con il bel titolo di un libro di O. Bulgarelli (2001). Quella primitiva “scrittura monetaria” (se tale ci azzardassimo di chiamarla) resterebbe però nelle mani del creditore finché il debitore non avesse restituito quanto ricevuto in prestito, dopo di che gli sarebbe riconsegnata liberandolo dalla sua obbligazione. Se così può essere stato, come la documentazione storica sembra provare, allora la moneta avrebbe trovato la sua origine in una relazione di debito/credito piuttosto che in uno scambio tra compratori e venditori, ma questa interpretazione alternativa (“cartalista” come è stata chiamata, ma il termine è equivoco e non ha fatto presa) ha potuto farsi strada soltanto nel corso del Novecento, man mano che venivano alla luce le “pratiche monetarie” di Sumeri e Babilonesi e sulle quali abbiamo adesso almeno i due testi riepilogativi di D. Graeber, Debito. I primi 5000 anni (2012) e La natura della moneta (2016) di G. Ingham. ma qui soprattutto merita citare la succosa sintesi di P. Tcherneva, Il cartalismo e l’approccio alla moneta come entità guidata dalle tasse (2019, in rete) che ha ispirato questa “Cronaca marXZiana”.

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jacobin

I tanti volti del Capitale

di Marcello Musto

L'opera di Karl Marx possiede le doti dei grandi classici: stimola nuovi pensieri ed è capace di illustrare aspetti fondamentali del passato quanto della contemporaneità

il capitale jacobin italia 1536x560.jpgPassano i lustri e, sebbene sia stato descritto più volte come un testo antiquato, si ritorna a discutere del Capitale di Karl Marx (appena ripubblicato in una nuova edizione da Einaudi). Nonostante abbia compiuto 157 anni (fu pubblicato il 14 settembre del 1867), la «critica dell’economia politica» conferma di possedere tutte le virtù dei grandi classici: stimola nuovi pensieri a ogni rilettura ed è capace di illustrare aspetti fondamentali del passato quanto della contemporaneità. Simultaneamente, ha il pregio di circoscrivere la cronaca del presente – così come il peso dei suoi, spesso inadeguati, protagonisti – nella posizione relativa che le spetterebbe. Non a caso, il celebre scrittore italiano Italo Calvino affermò che un classico è tale anche perché ci aiuta a «relegare l’attualità al rango di rumore di fondo». I classici indicano le questioni essenziali e i punti ineludibili per poterle intendere a fondo e dirimerle. Per questo motivo essi conquistano perennemente l’interesse di nuove generazioni di lettori. Un classico rimane indispensabile nonostante il trascorrere del tempo e, anzi, nel caso del Capitale si può affermare che questo scritto assume tanto più efficacia quanto più il capitalismo si diffonde in ogni angolo del pianeta e si espande in tutte le sfere delle nostre esistenze.

 

Ritorni a Marx

In seguito allo scoppio della crisi economica del 2007-2008, la riscoperta del magnum opus di Marx fu una vera e propria necessità, quasi la risposta a un’emergenza: rimettere in circolazione il testo – da tutti dimenticato, dopo la caduta del Muro di Berlino – che forniva chiavi interpretative ancora valide per comprendere le vere cause della follia distruttiva del capitalismo.

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dialetticaefilosofia

Lucio Colletti: marxismo dell’alienazione contra marxismo dell’astrazione

di Roberto Finelli*

unnamedlkjb.jpg§1. Scienza contro dialettica

È all’indistinzione tra marxismo della alienazione-contraddizione e marxismo dell’astrazione che si lega a mio avviso la rapida parabola del marxismo filosofico in Italia nella seconda metà del ‘ 900.

Con tale denominazione s’intende infatti quel marxismo che, caratterizzato soprattutto dai nomi di G. della Volpe, L. Colletti, M. Rossi e N. Merker, ha provato nella seconda metà del Novecento, dopo l’impresa di Labriola alla fine del secolo precedente, a far valere il marxismo, non solo come teoria politica dell’emancipazione e della rivoluzione, ma, insieme e soprattutto, come scienza del presente storico e sociale, dotata di una sua autonoma e autosufficiente fondazione logica e teoretica. Ovvero propriamente quale scienza della storia, lontana dalle fumoserie e dai misticismi della dialettica, e omologa, quanto a metodo conoscitivo, a quello delle scienze esatte della natura. E valida in tal modo a proporsi come filosofia egemone del nostro tempo, in quanto capace di coprire sia il campo e la legittimazione del conoscere che il campo e la legittimazione dell’agire.

Secondo Della Volpe e i suoi allievi, Marx andava infatti letto come il Galileo delle scienze storiche, come uno scienziato cioè che aveva indagato solo la fattualità concreta ed empirica dell’esperienza sociale e che aveva elaborato, fin dal suo scritto giovanile del 1843 Per la critica della filosofia statuale hegeliana, una logica materialistica della conoscenza storica radicalmente critica della logica speculativa e astratta del sistema di Hegel1.

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carmilla

Classe e popolo secondo Dussel interprete di Marx

di Fabio Ciabatti

Enrique Dussel, Marx e la modernità. Conferenze di La Paz, Castelvecchi 2024, € 17,50, pp. 147

dussel 2.jpgUn Marx che critica l’economia politica da un punto di vista etico e cioè dal punto di vista della materialità della vita, della soggettività corporea del lavoratore inteso come non essere del capitale. Una critica che parte dall’esteriorità, da ciò che la totalità del capitale esclude. È questa l’interpretazione di Marx per certi versi spiazzante, ma sempre sorretta da una solida conoscenza dei testi che ci presenta Enrique Dussel, studioso argentino scomparso lo scorso anno. Uno studioso che, partendo dalla teologia della liberazione, negli anni Novanta si dichiara discepolo di Marx per rifiutare l’idea, oramai comune, che il rivoluzionario tedesco sia da considerare un “cane morto”.

Marx e la modernità, recentemente tradotto in italiano da Antonino Infranca, è un testo formato dalla trascrizione di un ciclo di conferenze tenute a La Paz da Dussel nel 1995 e può essere letto come una introduzione sufficientemente completa all’opera del pensatore sudamericano. La provenienza geografica è essenziale perché la valorizzazione dell’esteriorità cui abbiamo accennato nasce proprio dal punto di osservazione rappresentato dalla periferia dell’impero.

Una collocazione che si vede a partire dalla critica del tradizionale concetto di modernità. In breve,

la Modernità non si è allargata dall’Europa. Questa è l’idea sostanzialista della Modernità: prima c’è una sostanza e dopo si espande. No, il Sistema-Mondo si origina incorporando una periferia che lo costituisce.1

Questa sostanza, secondo la narrazione convenzionale, avrebbe avuto un’evoluzione con diversi stadi storico-geografici che rileverebbe la sua intrinseca forza espansiva: Rinascimento, riforma protestante, illuminismo, Rivoluzione francese, parlamentarismo inglese e, nel frattempo, diffusione a livello mondiale.