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Tremonti e l'aspirina

Galapagos

Può lo stato intervenire direttamente nel sistema economico? La risposta a sinistra può apparire scontata, anche se l'ultima esperienza di governo ha dimostrato che tra teoria e prassi c'è una bella differenza. Ma altrettanto scontata non lo è a destra: lo conferma il nuovo scontro tra Tremonti e Bankitalia. Il contendere è un documento messo a punto dal Financial stability forum, una commissione presieduta da Mario Draghi. Per Giulio Tremonti le proposte formulate sono solo «un'aspirina».

La paura di un ulteriore peggioramento economico ha così accentuato l'arroccamento delle regioni più ricche e produttive del paese che sono la fonte della parte preponderante del gettito fiscale che si riversa nelle casse nazionali e che consente la redistribuzione delle risorse verso le regioni meridionali. Nella Lega Nord sono riposte grandi aspettative per la salvaguardia del tenore di vita delle popolazioni settentrionali, un tenore di vita che può essere difeso in primo luogo facendo sì che la ricchezza prodotta al nord rimanga nelle aree di origine.

Dunque il successo della Lega può essere visto come un effetto dell'evoluzione dell'economia internazionale dove l'aumento dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari, la crisi del credito e del settore immobiliare stanno determinando un consistente rallentamento della crescita.

Se questa interpretazione fosse verosimile, una recessione dell'economia farebbe aumentare la pressione politica della Lega sul governo nazionale per far rimanere una parte maggiore delle risorse nel settentrione. Di conseguenza, tra il partito del nord e il governo nazionale si aprirebbe un conflitto che potrebbe essere nefasto per la tenuta del governo stesso. In un tale scenario Berlusconi e Fini sarebbero indotti ad aprire un canale di collaborazione con i Democratici e con l'Udc, due partiti che non rappresentano interessi territoriali così radicati e che potrebbero permettere di realizzare una politica economica di respiro nazionale e di evitare il dissesto dei conti pubblici.

Nella politica economica del centrodestra si collocano i grandi progetti per rilanciare la crescita del paese, e cioè l'energia nucleare e il ponte di Messina. Si tratta di scelte costose, impraticabili, con tempi lunghi e dai ritorni incerti che non garantirebbero un effetto volano sull'economia ma che provocherebbero un'abnorme espansione della spesa pubblica nel breve periodo. D'altra parte, gli obiettivi europei sulla produzione di energia rinnovabile, sulle emissioni di anidride carbonica e sul risparmio energetico condizioneranno in modo rilevante la politica energetica e industriale del futuro governo.

Che dire a questo punto del vecchio centrosinistra ? Il Pd, che non si è voluto alleare con la sinistra, non ha sfondato al centro ed è rimasto su percentuali simili a quelle delle elezioni precedenti. La sinistra, dal canto suo, ha messo in piedi un progetto improvvisato senza aver effettuato delle consultazioni sul territorio ed avere elaborato una seria piattaforma programmatica. Tutto questo ha portato al disastro ed alla chiusura della parabola del grande Partito comunista democratico che aveva avuto un ruolo determinante nell'emancipazione delle fasce sociali più deboli sino alla prima metà degli anni '80.

Oggi l'errore che devono evitare i raggruppamenti della sinistra è quello di tornare a rinchiudersi nei vecchi recinti e quindi di disgregarsi ulteriormente in mille sigle e partitini che si richiamano al passato e sono scarsamente predisposti verso il futuro. Si tratta di confrontarsi con nuovi problemi e di concepire un nuovo modello di sviluppo in cui una politica di programmazione orienti l'iniziativa privata verso obiettivi che abbiano ricadute positive sull'intera collettività.

Perché è ormai evidente che le risorse naturali, come l'energia, le materie prime, l'acqua, il suolo coltivabile e i prodotti cerealicoli - grano, riso, mais - stanno diventando sempre più scarsi a fronte di una domanda in continua crescita. A ciò si aggiunge che l'impatto ambientale generato dalla produzione e dal consumo è sempre maggiore e sta influenzando sia l'evoluzione del clima del pianeta sia la sostenibilità a scala più locale. Quindi, il procedere della globalizzazione; la persistenza di enormi sacche di povertà nel continente africano e in vaste aree dell'Asia e dell'America Latina; l'inasprimento dei conflitti militari nelle aree di estrazione del petrolio; l'innalzamento del livello dei mari per effetto del riscaldamento del pianeta, stanno determinando lo sradicamento e la migrazione di grandi masse di persone verso i paesi ricchi. La coesione sociale e la convivenza civile vengono messe sempre più rischio anche dai processi di privatizzazione, dalla precarizzazione del lavoro e dall'inarrestabile processo di finanziarizzazione dell'economia. Si tratta di fenomeni che alimentano l'individualismo e la frantumazione dei rapporti sociali e che tendono ad accentuare le diseguaglianze sia nei paesi ricchi che in quelli ad elevato tasso di crescita.

Dunque, il processo di sviluppo oggi dominante rischia di divorare se stesso se non sarà elaborata una strategia per sostituire i combustibili fossili con altre forme di energia rinnovabile, per ridurre l'impatto ambientale della produzione e del consumo, per avere una più equa distribuzione della ricchezza sia tra paesi ricchi e paesi poveri sia all'interno degli stessi paesi ricchi e per porre un argine alla crescita quantitativa ed al consumismo «usa e getta». Compito di una nuova forza di sinistra sarà quello di concepire un progetto politico all'altezza, su cui raccogliere il consenso della maggioranza della popolazione a partire dagli strati sociali più deboli e dalle forze imprenditoriali più illuminate.

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