
Le tasse «bellissime» di Padoa Schioppa e i vestiti dell'imperatore
Fernando Vianello
Quando ho letto l'ormai famosa dichiarazione di Tommaso Padoa Schioppa secondo cui le tasse sono «bellissime», mi ha preso un incontenibile entusiasmo, e avrei voluto scriverne immediatamente. Ma è stato un bene che non l'abbia fatto, perché nel frattempo è scoppiato il caso Gordon Brown. Il primo ministro inglese, com'è noto, voleva approfittare dei sondaggi favorevoli per indire elezioni anticipate: in Inghilterra si usa così. Ma il leader conservatore David Cameron ha reagito con una mossa degna di Berlusconi: hanno promesso di innalzare la soglia oltre la quale si paga l'imposta di successione, portandola da 300.000 a un milione di sterline. Ed ecco i sondaggi rovesciarsi di colpo a favore dei conservatori e ha rinunciato all'idea delle elezioni anticipate.
Ma questo è il meno. Bisogna risalire la china. E allora il cancelliere dello Scacchiere in carica, Alistair Darling, rivela di avere anche lui nel cassetto un progetto di innalzamento della soglia di esenzione dall'imposta di successione, elaborato - dice - del tutto indipendentemente da quello dei conservatori. Il governo si copre di ridicolo e la sua popolarità precipita ulteriormente. La stampa si concede i fasti dell'ironia. «I vestiti nuovi dell'imperatore», titola l'Economist: oltre che ai vestiti inesistenti della favola di Andersen, il riferimento è ai vestiti altrui che Gordon Brown ha tentato di indossare. Tentare di indossare i vestiti altrui è quel che fa sistematicamente la sinistra, anche se non sempre in un modo così goffo come quello appena descritto. Ma procediamo con ordine.
Occorre chiedersi perché uno sgravio fiscale che favorisce una percentuale ridotta (seppure non ridottissima, stante l'enorme aumento del prezzo delle case) della popolazione goda di un consenso di massa.
L'Economist risponde osservando che, se è vero che «i milionari in Gran Bretagna sono effettivamente pochi», è anche vero che «sono molti quelli che vorrebbero esserlo», proprio come ci sono molti americani che votano a favore degli sgravi fiscali di Bush speranado «di trarne vantaggio se diventeranno ricchi».
Un cognitivista di Berkeley, George Lakoff (Non pensare all'elefante, Fusi orari editore), ci offre un'analisi più articolata. Nella precedente campagna elettorale Al Gore ripeteva ossessivamente che gli sgravi fiscali di Bush andavano a favore dell'uno per cento della popolazione, ma l'argomento non faceva presa. La ragione è, sostiene Lakoff, che quel che conta non sono i fatti, ma il frame (la «cornice» cognitiva) entro cui i fatti, per essere riconosciuti come tali, devono riuscire a collocarsi: «se non rientrano in un frame i fatti rimbalzano via e il frame rimane». I conservatori poveri non pensano solo di poter diventare ricchi, come suggerisce l'Economist. Pensano anche (da veri conservatori) che se qualcuno ha del denaro, vuol dire che se lo è meritato, ed è dunque giusto che se lo tenga. (Così anche gli ammiratori di Berlusconi.)
I democratici, osserva ancora Lakoff, tendono a basarsi sui sondaggi, che dicono loro che la gente non ama pagare le tasse. Pensano di recuperare consensi spostandosi a destra, inseguendo i conservatori sul loro terreno (come Gordon Brown). E così si condannano a una sicura sconfitta. Perché su quel terreno i conservatori saranno sempre più conseguenti e più credibili. I conservatori fanno riferimento a un frame consolidato, quello secondo cui le tasse sono un'afflizione. Se uno dice «tagliare le tasse», evoca quel frame, e la partita è perduta: chi si fa dettare l'impostazione del problema dagli avversari, si mette nelle loro mani.
Occorre invece costruire un frame alternativo, ed è questo che i democratici non riescono a fare. Il frame che Lakoff suggerisce è quello secondo cui «le tasse sono i soldi che paghiamo per vivere in un paese civile». Quello secondo cui è sciocco pensare agli ospedali solo quando tocca a noi esservi ricoverati. Quello secondo cui nessuno si è veramente «fatto da solo», ma tutti dobbiamo molto a chi ha creato (pagando le tasse) le condizioni che ci consentono di operare ed eventualmente di avere successo. «Io e mio figlio non abbiamo inventato internet», ha dichiarato Bill Gates, prendendo posizione a favore dell'imposta di successione. Avrà avuto i suoi motivi, ma la battuta è azzeccata.
Sarebbe ingeneroso non dare atto al governo Prodi, e personalmente a Vincenzo Visco, di aver posto fine alla stagione dei condoni, invertendo le aspettative e contenendo così l'evasione fiscale. Ma Padoa Schioppa ci invita a fare molto di più. Eccentrica e ingenua come può essere parsa a molti, la sua uscita ci indica l'unica strada non sicuramente votata alla sconfitta: quella di cercare di imporre agli avversari il nostro terreno, anziché farci trascinare sul loro. Questo naturalmente non significa disinteressarsi della giustificazione che inefficienze, sprechi, ruberie e privilegi di casta offrono a chi non vuole pagare le tasse. Significa, al contrario, rendersi conto che scegliendo la strada facile dello sgravio fiscale non si fa che «comprare» l'acquiescenza al perpetuarsi dello sfascio amministrativo, istituzionale e morale.
Prima che di sgravi fiscali le piccole imprese hanno bisogno di mille altre cose (lo ha spiegato benissimo Sebastiano Brusco (in Distretti industriali e sviluppo locale, il Mulino). E contrastare l'ormai avanzata, e crescente, pauperizzazione del mondo del lavoro dovrebbe rappresentare un obiettivo assunto orgogliosamente dal governo (e non essere presentato come un cedimento al «ricatto» della sinistra radicale); ed era un obiettivo più urgente che ridurre il cuneo fiscale (una scelta dissennata) o copiare Berlusconi sul taglio dell'Ici.
Se si vuole costruire un frame alternativo a quello della destra, bisogna essere coerenti. Come lamentava Ermanno Gorrieri (Parti uguali fra diseguali, il Mulino) commentando la fase post-prodiana del precedente centro sinistra, a farsi paladini dell'eguaglianza dei punti di partenza sono gli stessi uomini di governo che, contemporaneamente, riducono l'imposta di successione. C'è qualcosa che non quadra.
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