Tachipirina e vigile attesa? Solo un consiglio
di Alessandro Bartoloni
Prosegue il nostro dibattito sulla gestione sanitaria durante la pandemia da SARS-CoV-2, utile a riflettere sulla più generale situazione della sanità nel nostro paese. In questo terzo articolo, si evidenzia alla luce dei fatti l’inconsistenza e la contraddittorietà di alcune delle indicazioni terapeutiche “ufficiali”, molte delle quali si sono rivelate successivamente infondate.
L’occasione per tornare a parlare di un grande tormentone pandemico ce la fornisce proprio il presidente della FNOMCeO (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) Filippo Anelli che, accompagnato dal segretario generale Roberto Monaco, ha dichiarato alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria causata dal SARS-CoV-2 che, per quanto riguarda la gestione domiciliare dei pazienti, “la federazione non è mai intervenuta per limitare la libertà prescrittiva del medico. Anche perché, in quel periodo, il ministero più della Tachipirina poteva dire ben poco perché non c’erano linee guida, quindi non c’erano evidenze che potessero sostenere indicazioni di carattere diverso”. Per capire la portata orwelliana di tali affermazioni ripercorriamo quei tragici giorni.
Tutto comincia il 25 marzo 2020, quando il ministero della Salute emette la circolare n. 7865 nella quale si stabilisce che, “per individuare possibili opzioni terapeutiche efficaci nei confronti dell’infezione da COVID-19 è necessario condurre studi clinici in grado di dimostrare che i benefici superino i rischi. Per questa ragione, tenuto conto della straordinarietà della situazione, la Commissione tecnico scientifica dell’AIFA ha il compito di valutare tutti i possibili protocolli di studio con la massima rapidità (entro pochissimi giorni dal momento della sottomissione). La stessa tempestività è garantita per la successiva valutazione condotta dal Comitato Etico Unico a livello nazionale che ha sede presso l’INMI Lazzaro Spallanzani.
In questa fase emergenziale si raccomanda alle Regioni di focalizzare l’attenzione sui protocolli di studio a valenza unicamente nazionale e internazionale. Solo la condivisione dei protocolli clinici, che possono coinvolgere sia il livello ospedaliero sia quello territoriale e una valutazione centralizzata e coordinata garantisce qualità scientifica e rappresentatività, tali da fornire risposte chiare per i pazienti e per il SSN. Al contrario, la dispersione che si realizza attraverso la conduzione di micro-studi, perfino a livello di singolo ospedale, rischia inevitabilmente di ritardare l’acquisizione delle conoscenze indispensabili per la più rapida individuazione di trattamenti efficaci”.
Cure che evidentemente devono esser state rapidamente trovate se già il 3 giugno 2020 la Commissione Europea emanava la Direttiva (UE) 2020/739 [1] nella quale si classifica la Sindrome respiratoria acuta grave da Coronavirus 2 (SARS-CoV-2) nel gruppo di rischio 3. Ciò significa che il virus costituisce “un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori”. Tuttavia, sebbene tali agenti biologici possano propagarsi nella comunità, “di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche”; a differenza degli agenti catalogati nel gruppo 4, per i quali “non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche”.2
Eppure, in tutte e tre le circolari emesse che dispongono la gestione domiciliare dei pazienti COVID-19 ci si limita alla prescrizione di Tachipirina e vigile attesa sottolineando che “sull’efficacia di alcuni approcci terapeutici permangano tuttora larghi margini d’incertezza”; e con la “forte raccomandazione che soprattutto i malati che presentano la sintomatologia più grave (pazienti ospedalizzati) vengano inclusi in clinical trials la cui conduzione è mirata a definire in maniera conclusiva il ruolo delle diverse opzioni di trattamento“.3
Quindi, abbiamo una prima contraddizione: da un lato il governo che, di fronte ai lavoratori, dichiara che ci sono terapie e profilassi efficaci (in modo da non mettere troppo in difficoltà le aziende che li impiegano e che sono responsabili della loro salute e sicurezza) mentre di fronte ai pazienti lo nega, raccomandandogli due rimedi non inutili ma addirittura nocivi: la vigile attesa e il paracetamolo. E qui passiamo alla seconda contraddizione: l’invito a condurre studi i cui risultati vengono ignorati.
Che il paracetamolo fosse dannoso nella cura della COVID-19 era già noto da ottobre 2020, quindi prima dell’emanazione della prima circolare relativa alle cure domiciliari.4 Per quanto riguarda la vigile attesa, invece, non ci sarebbe stato bisogno di alcuno studio (bastava il buon senso). E infatti, in uno studio retrospettivo condotto su 158 pazienti italiani, divisi in due gruppi – il primo trattato entro tre giorni dall’insorgenza dei sintomi e il secondo gruppo dopo tre giorni – non poteva che dimostrare l’ovvio.5
E se i rimedi consigliati erano sbagliati, quelli sconsigliati erano giusti. Si prenda il caso dell’utilizzo delle vitamine C e D e la quercetina. La posizione ufficiale del governo, espressa nelle tre circolari sulle terapie domiciliari, era che “non esistono, a oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercetina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato”. Tuttavia, non pochi studi – da ultimo, per le vitamine C e D, quello di Salvatore Corrao, componente del Comitato tecnico scientifico della Regione Sicilia e direttore del reparto COVID dell’ospedale Civico di Palermo, pubblicato nell’aprile 2021;6 e per la quercetina lo studio internazionale pubblicato nel dicembre 2020 cui ha partecipato il CNR7 – ne dimostrano l’utilità, mentre chi ne dimostrerebbe l’inutilità non ha messo in luce particolari controindicazioni.
Ci sono poi dei farmaci, come i corticosteroidi, che il ministero accetta come utili in ambito ospedaliero mentre “l’utilizzo routinario delle eparine non è raccomandato nei soggetti non ospedalizzati e non allettati a causa dell’episodio infettivo”. Non la pensavano così molti medici e farmacisti, tra cui i quaranta che già il 24 aprile 2020 invitavano il molto poco onorevole ministro Speranza a raccomandare l’utilizzo tempestivo e precoce di cortisonici.8 E non la pensava così neanche la Giunta regionale delle Marche, le cui raccomandazioni per le cure domiciliari deliberate il 6 aprile 2021 non solo suggerisvano “la possibilità di terapia cortisonica al fine di contenere la fase infiammatoria successiva alla prima fase viremica”, ma anche l’utilizzo di “eparine a basso peso molecolare (EBPM) da consigliare a domicilio solo a dosaggio profilattico e per pazienti allettati e/o ad aumentato rischio tromboembolico”.9 Le linee guida delle Marche, poi, suggerivano l’utilizzo della vitamina D, dell’ossigenoterapia e consigliavano di prediligere i FANS (per esempio Aspirina ad alto dosaggio) rispetto al paracetamolo.
Per concludere questa sommaria carrellata non poteva mancare l’idrossiclorochina, sulla quale anche Anelli è tornato a buttare letame, dimenticandosi di ricordare che è stata boicottata sull’onda di uno studio internazionale pubblicato il 22 maggio 2020 su «The Lancet» ma tosto rivelatosi un falso clamoroso in quanto i dati erano stati inventati di sana pianta da una società non specializzata che impiegava, tra gli altri, una pornodiva e un attore di film di fantascienza.10 Sulla base di cotanta scienza, nella prima circolare riguardante le cure domiciliari, quella di novembre 2020, il ministero intimava di “non utilizzare idrossiclorochina la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici controllati fino ad ora condotti” (il che non è neanche del tutto corretto in quanto uno studio era stato effettuato già nell’aprile 2020).11 Non pago, nella successiva circolare di aprile 2021, il ministero rincarava la dose, dichiarando che “l’utilizzo di clorochina o idrossiclorochina non è raccomandato né allo scopo di prevenire né allo scopo di curare l’infezione. Gli studi clinici randomizzati a oggi pubblicati concludono per una sostanziale inefficacia del farmaco a fronte di un aumento degli eventi avversi, seppure non gravi. Ciò rende negativo il rapporto fra i benefici e i rischi dell’uso di questo farmaco”. Il che risulta in aperto contrasto con i risultati derivanti dalla comune pratica medica, come dimostrato, in Europa, tra gli altri, dal dott. Didier Raoult, e in Cina dalle linee guida che, al contrario di quelle italiane, ne raccomandano l’utilizzo già nell’ottobre del 2020.12
Comments
Vorrei portare l'attenzione su questo IMPORTANTE documento che credo abbiano letto in poche centinaia -forse- di persone:
https://www.simg.it/Coronavirus/La%20terapia%20domiciliare%20del%20COVID-19_27042021.pdf
È pubblicato il 27 aprile 2021 dalla Società di Medicina Generale, il 15 settembre ripreso anche dalla Fnomceo.
Attesta che l'ASPIRINA è TERAPIA (cura) di prima scelta spiegandone anche i motivi.
Peccato che non abbiano dato la necessaria visibilità.
Il 15 ottobre 2021 si applicava il green pass.
I primi studi sull'efficacia dell'aspirina risalgono alla primavera estate 2020, di JH Chow.
Aveva banalmente visto che tra i pazienti anziani nella prima ondata chi prendeva cardioaspirina moriva considerevolmente meno degli altri.
Cardioaspirina: principio attivo giornaliero:
80-100 mg
Dose per un adulto di aspirina tollerata die: 2000 mg.
Giusto per avere una proporzione del margine di cura potenziale dell'aspirina..
Grazie