La "nuova destra" in Italia
Note sulla governance della guerra senza limitii
di Alessandro Russo
Nel numero di Crisis & Critique su “Future of Europe” avevo sostenuto che l’attuale “governo dell’euro” è il risultato della crisi dei partiti del Novecento.ii Si può dire che la “Nuova destra” sia un fenomeno dello stesso ordine? In parte lo è, ma rispetto a quattro anni fa, quando già si poteva prevedere un futuro oscuro dell’Europa, la situazione è peggiorata.
Al momento della creazione dell’euro, i partiti parlamentari europei, quelli di sinistra in testa, si subordinarono unanimemente alla nuova autorità per ricevere in cambio una legittimazione che avevano perduto, cantando in coro “ce lo chiede l’Europa”. L’euro è stato per oltre trent’anni il vero governo dell’Europa. Oggi i resti di quei partiti si inginocchiano tutti davanti all’autorità di ciò che possiamo chiamare il “governo della guerra”, e lo fanno in nome di slogan ancora più vacui come “in difesa dell’Occidente”, o “democrazia contro autocrazia”. Negli ultimi due anni gli Stati europei sono stati trascinati nei prodromi di una nuova guerra mondiale, in cui emerge in modo ancora più nefasto la decomposizione del sistema dei partiti del Novecento. L’unificazione monetaria dell’Europa, che aveva rimpiazzato la perdita di autorità dei partiti parlamentari, è stata a sua volta rimpiazzata da un’unificazione militare in preparazione della prossima guerra mondiale.
Non si tratta però soltanto della subordinazione alla supremazia militare USA, che è l’aspetto più evidente della politica estera degli Stati europei. Ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi è un profondo mutamento della natura stessa della guerra. Non è più la “continuazione della politica con altri mezzi”, come nella formula classica di Clausewitz, e neppure dell’inversione foucaultiana della politica come continuazione della guerra. È iniziata l’epoca della guerra come continuazione della guerra stessa, o della “guerra senza limiti”, come la chiamano i teorici militari.iii
È in atto un cambiamento epocale della guerra, così come si è costituita dal Neolitico con le prime organizzazioni statali e con i primi apparati militari specializzati.
La nuova guerra non è più quella di tutti i millenni precedenti, non si pone l’obiettivo conclusivo di sottomettere un nemico, ma ha come orientamento strategico essenziale l’assenza di ogni conclusione delle ostilità. L’attuale guerra è una guerra senza fine.
A monte di questo mutamento epocale c’è la fine delle eccezioni comuniste, le quali avevano costituito il principale fattore di limitazione delle guerre del Novecento.iv La fine delle eccezioni comuniste è altresì a monte della crisi dei partiti del Novecento e della fine della differenza tra destra e sinistra nei sistemi parlamentari. Nell’epoca della guerra senza limiti, al governo non ci sono più i partiti, ma è la guerra stessa che governa il mondo.
La “Nuova destra” in Italia è il nome che possiamo dare alla decomposizione dei partiti del Novecento e, al tempo stesso, alla governance della guerra senza limiti.
Propongo qui una mappa provvisoria del problema.
La crisi dei sistemi parlamentari
Non è affatto casuale che l’ascesa della “Nuova destra” coincida con i prodromi della prossima guerra mondiale. In definitiva, una condizione decisiva della nuova guerra è la fine dei partiti. Questi incarnavano, sia pure nel modo più contorto, l’esistenza di un’apertura oltre il capitalismo. Ovviamente, destra e sinistra costituivano posizioni diverse, ma l’orizzonte era per entrambi l’esistenza di un aldilà del capitalismo. Dopo la chiusura dei Lunghi anni Sessanta, la fine delle precedenti prospettive di un aldilà del capitale, sanzionata dalla restaurazione del capitalismo in Cina e dal collasso dell’Unione Sovietica, conduce parallelamente alla fine della cosiddetta dialettica parlamentare di destra e sinistra, e al tempo stesso prepara un’epoca nuova della guerra.
Destra e sinistra – al di là delle origini, tutt’altro che trascurabili, nella Rivoluzione Francese – sono esistite nei sistemi parlamentari moderni nell’epoca del capitalismo “perturbato” dalle eccezioni comuniste. Ci sono state tre epoche del capitalismo, che potremmo chiamare rispettivamente: originario, perturbato, e restaurato. C’è stato un capitalismo delle origini, quello che Marx ed Engels dissezionarono con profondità analitica ineguagliata. C’è stata poi una lunga epoca di perturbazioni del capitalismo, prodotte dall’esistenza di teorie ed esperimenti politici che puntavano verso un aldilà del capitale, fin dal Manifesto del partito comunista. Il capitalismo è stato accerchiato per un secolo e mezzo da sperimentazioni comuniste. Con la fine di quelle sperimentazioni si è aperto, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Novanta, il trionfo del capitalismo pienamente restaurato.
All’epoca delle eccezioni comuniste, nei sistemi parlamentari la posta in gioco dell’esistenza di una sinistra e di una destra, nonché di un centro, era l’atteggiamento nei confronti delle possibilità di superare il capitalismo. La sinistra, almeno a parole e con vari distinguo, guardava positivamente a queste possibilità, la destra faceva di tutto per scongiurarle, e il centro si adoperava per far sì che quelle perturbazioni fossero compatibili con il capitalismo.
D’altronde la condizione originaria dei sistemi parlamentari del Novecento, coi partiti di massa che sostituirono i “partiti di notabili”, fu la legalizzazione dei partiti e i sindacati operai, cioè la “sinistra” che guardava al di là del capitalismo, con posizioni che andavano dal riformismo gradualista al superamento rivoluzionario. Alla fine dell’epoca del capitalismo “perturbato”, la crisi dei sistemi parlamentari è infatti iniziata con la decomposizione dei partiti di sinistra.
La situazione italiana illustra aspetti chiave del processo di restaurazione di un capitalismo “purificato” dalle alterazioni subite durante l’epoca precedente. Ciò parallelamente alla crisi del parlamentarismo, fino all’attuale “governance della guerra”. Benché quest’ultima sia incarnata dalla “Nuova destra”, il ruolo della sinistra nell’insieme di questo processo di restaurazione è stato decisivo.
In Italia si è manifestata molto presto la crisi del sistema dei partiti sorti dopo la Seconda guerra mondiale. Il Partito comunista comincia la sua autodissoluzione, letteralmente, il giorno dopo la caduta del muro di Berlino. Seguono a ruota il collasso della Democrazia cristiana e del Partito socialista, che porta nel 1994 al primo governo di estrema destra con all’interno ministri neofascisti. Da allora si sono susseguiti governi di destra e sinistra con un’alternanza di facciata, ma con una sostanziale continuità sia in politica estera sia in politica interna.
Può essere utile una breve rassegna dei principali “meriti” dei partiti e dei governi di sinistra negli scorsi decenni nel dissolvere ogni distinzione con la destra.
I “meriti” della sinistra in politica estera…
In politica estera, dagli anni Novanta, tutti i partiti parlamentari hanno manifestato il completo asservimento alla strategia interventista USA. I bombardamenti americani della Serbia sono avvenuti col sostegno diretto del governo D’Alema, capo dell’ex PCI. L’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, gli interventi in Siria e in Libia, hanno tutti avuto il convinto appoggio dei governi sia di destra sia di sinistra, compreso l’invio di truppe.
Un termine di paragone può essere quello della politica estera italiana sul Medioriente e in particolare sul conflitto tra Israele e i palestinesi. Fino agli anni Ottanta i governi italiani (allora egemonizzati da un partito centrista, la Democrazia Cristiana) tennero una posizione di relativa indipendenza dalla strategia interventista USA e perfino di sostegno diplomatico all’OLP. In un momento particolarmente drammatico, nell’ottobre 1985, il governo italiano arrivò perfino a rifiutare all’aviazione USA l’uso della base di Sigonella, in Sicilia, per operazioni militari in Medioriente. Nel gennaio scorso, di fronte all’accusa dell’IDF, rivelatasi poi falsa, del controllo dell’UNRWA da parte di Hamas, il governo italiano non ha aspettato un solo giorno per tagliare i finanziamenti all’organizzazione dell’ONU per i rifugiati, obbedendo senza fiatare alle decisioni di Israele e degli Stati Uniti.
Oggi in Italia c’è sì un governo di estrema destra, ma sulla guerra in Ucraina e su quella di Gaza la sinistra non ha detto e fatto mai nulla di diverso dalla destra. Ha approvato tutti i pacchetti di aiuti militari a Kiev e non ha fatto una singola proposta di negoziato di pace o di armistizio. Sui massacri di Gaza la sinistra è un capolavoro di ignavia. Il Partito Democratico ha impedito perfino che venissero portate bandiere palestinesi alle sue manifestazioni.
Sul terreno delle politiche militari e dell’industria degli armamenti la sinistra è pienamente organica alla destra. L’attuale ministro della difesa del governo di destra era prima il boss della Leonardo, massima impresa di fabbricazione di armi in Italia, con un enorme volume d’affari a livello internazionale. Il Partito Democratico è presente a pieno titolo nella Leonardo con esponenti di primo piano. A dirigere il traffico di armi verso il Medioriente c’è l’ex ministro dell’interno del partito democratico, Minniti. È lo stesso che guidò la guerra contro i migranti dall’Africa e fissò gli accordi con la Libia per il rafforzamento della guardia costiera, cioè delle motovedette a caccia dei barconi di migranti, e il potenziamento dei centri di detenzione nei quali vengono trattenuti e seviziati i migranti arrestati in mare o nel deserto. Altri nomi più o meno famosi del Partito Democratico fanno parte a pieno titolo degli organismi direttivi di Leonardo, che a sua volta è parte integrante della politica estera e militare del governo italiano.
… e in politica interna
In politica interna, lo smantellamento del Welfare State e la guerra contro i proletari nomadi sono stati condotti con altrettanta convinzione da tutti i governi degli ultimi tre decenni e oltre.
Oggi la sinistra all’opposizione a volte critica il declino della sanità pubblica, sul quale la destra è peraltro particolarmente attiva, ma questo declino comincia ben prima. Per citare solo un sintomo linguistico, è stata la sinistra che, per manifestare la sua “modernità ideologica”, ha ribattezzato gli ospedali pubblici “Aziende sanitarie locali”. Aziende, si intende, sottoposte a criteri di un calcolo dei profitti e delle perdite come ogni altra azienda. L’attuale privatizzazione della sanità pubblica porta un marchio di sinistra.
Lo stesso è avvenuto con la scuola e l’università. A dare il via furono le “riforme” di un ministro del PD, ex comunista “di sinistra”, il quale poi si felicitò che quelle del governo Berlusconi fossero in linea con le sue. Il risultato è oggi un’università e una scuola ispirate a criteri pedagogici disciplinari e meritocratici, una ricerca asservita alle esigenze del mercato capitalistico, una governance rigidamente verticistica, e l’uso indiscriminato di docenti precari.
Il terreno dove la sinistra ha dato il suo contributo più significativo al ristabilimento del comando capitalistico è stato lo smantellamento della precedente legislazione in difesa del lavoro. La serie di leggi che sanciscono nuove forme di lavoro precario è stata voluta e sostenuta con vigore dai governi di sinistra. Le inaugurò a metà anni Novanta il cosiddetto “pacchetto Treu”, in un governo di sinistra, e le portò a compimento il “Jobs Act” del governo PD guidato da Renzi.
Le vessazioni contro i proletari nomadi sono state un impegno costante tanto della sinistra quanto della destra. Le leggi che le inasprivano volute dalla sinistra (la legge Turco-Napolitano) sono state sostanzialmente confermate dai governi di destra (legge Bossi-Fini). La guerra contro i migranti che conduce oggi il governo Meloni è la stessa che faceva il ministro dell’interno Minniti del Partito Democratico.
Da oltre tre decenni, la sinistra, in pratica i prodotti del disfacimento del Partito Comunista Italiano, ha fatto il lavoro più essenziale per la restaurazione di un dominio capitalistico incontrastato. La destra oggi sta facendo le rifiniture a un lavoro già ben fatto.
L’ascesa della destra
L’ascesa della destra al potere oggi in Italia, oltre che modellarsi sul calco vuoto delle rovine della sinistra, è il risultato di condizioni storiche di lungo periodo, risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. Benché “Fratelli d’Italia” venga solitamente considerato “neofascista”, va precisato che il suo pedigree, ben più che di matrice mussoliniana, risale direttamente alla Repubblica Sociale Italiana, detta anche “Repubblica di Salò”, dal nome della cittadina sede del governo fantoccio installato dagli occupanti tedeschi nel Nord Italia tra il 1943 e il 1945.
All’origine di Fratelli d’Italia c’è il Movimento Sociale Italiano, che fin dal nome ricalcava quello di “Repubblica Sociale”, partito fondato nel dopoguerra da personaggi direttamente responsabili delle peggiori persecuzioni contro partigiani ed ebrei al servizio dell’occupante tedesco. La continuità è esplicitamente rivendicata dalla “fiamma tricolore” nel simbolo di Fratelli d’Italia, la stessa che troneggiava nelle insegne del Movimento Sociale. La fiamma simboleggia la resurrezione dello spirito combattente dalle ceneri della Repubblica di Salò. È come se nelle insegne del PD ci fosse ancora la “falce e martello”, che invece è stata opportunamente sostituita anche qui dal “tricolore”.
Paradossalmente, pur essendo il risultato della crisi conclamata dei partiti parlamentari, Fratelli d’Italia è il solo a rivendicare la filiazione da un partito dell’epoca precedente. Al che si aggiunga che dalla sua fondazione fino ai primi anni Novanta il Movimento Sociale Italiano era di fatto escluso da un pieno riconoscimento nel quadro parlamentare, non tanto per il suo passato filonazista, ma soprattutto perché non faceva parte dell’“arco costituzionale”, cioè dei partiti che avevano steso la nuova Costituzione repubblicana dopo la Seconda guerra mondiale.
Il pieno riconoscimento istituzionale degli eredi della Repubblica di Salò avviene dunque proprio nel momento in cui il sistema dei partiti parlamentari si disfa e perde ogni valore il perimetro dell’“arco costituzionale”. In questo passaggio si consuma anche la debolezza intrinseca della visione della guerra partigiana antifascista che il PCI aveva coltivato fin dal dopoguerra. La Resistenza, nella narrazione dei comunisti italiani, era stata essenzialmente il preludio del ristabilimento del sistema parlamentare che il fascismo mussoliniano aveva abolito. Questa visione della Resistenza oscurava due aspetti fondamentali.
Anzitutto, che la guerra partigiana era stata una mobilitazione di massa mirante a una profonda rigenerazione politica e morale dell’Italia che non si limitava affatto a una restaurazione del sistema dei partiti prefascisti. Per la narrativa standard del PCI ciò che della Resistenza non confluiva nell’alveo della ricostituzione del sistema parlamentare non era degno di attenzione politica. Erano stati al massimo ingenui utopisti incapaci di misurarsi con la realtà. Tra questi l’esempio più significativo fu il Partito d’Azione, una piccola formazione che aveva dato un contributo significativo alla guerra partigiana, ma che fu letteralmente schiacciato dal pieno ristabilimento del sistema parlamentare.
Inoltre, il sistema dei partiti dopo la Seconda guerra mondiale non è in alcun modo la resurrezione dei partiti degli anni Venti. La differenza fondamentale è che dalla metà degli anni Quaranta in Italia il parlamentarismo è stato strettamente modellato dalle condizioni della Guerra Fredda. I due principali partiti, il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana, rappresentavano gli interessi geopolitici dei “due blocchi”, dominati da URSS e USA. L’Italia era una sorta di “buffer zone” e gli accordi di Yalta prevedevano più o meno esplicitamente che nessuna delle due potenze egemoni vi avrebbe esercitato la supremazia. Questo non escludeva contrasti anche intensi, ma la coabitazione parlamentare si fondava in definitiva sugli equilibri della Guerra Fredda.
È appunto la fine della Guerra Fredda, e in particolare gli effetti sul PCI del collasso dell’URSS, ciò che porta allo smantellamento del sistema parlamentare e permette l’ingresso del partito neofascista nel quadro governativo. Viene meno il riferimento all’esistenza di un al di là del capitalismo che strutturava la dialettica parlamentare, sovrastata dalla Guerra Fredda. Al tempo stesso si svuota la retorica della Resistenza come preludio del rinnovato parlamentarismo, e cade quindi anche ogni ostacolo ideologico al pieno riconoscimento istituzionale dei discendenti dei collaborazionisti della Repubblica di Salò.
Il governo della guerra senza fine
L’ascesa di Fratelli d’Italia è stato il risultato di un processo lungo, di cui non vale la pena qui ricostruire le tappe. Bisogna dire però che l’arrivo al potere di Giorgia Meloni è stata anche molto tempestiva nell’odierna fase iniziale della nuova guerra mondiale, date le condizioni di vassallaggio dell’Italia rispetto alle strategie USA. L’Italia nel 2024 “ospita” ben 120 basi militari con presenza dell’esercito americano (dieci anni fa erano la metà) e ufficialmente oltre cento bombe nucleari di proprietà USA (quindi certamente molte di più). Questo dato conferma quanto bipartisan sia da molti anni la condiscendenza alle richieste della strategia interventista americana, e quanto lunghi siano stati i preparativi della guerra in corso in Europa.
Come mai a partire dalla guerra Russo-Ucraina è andato al potere in Italia un apparato esplicitamente di destra, mentre la sinistra, che pure dava tutte le garanzie di sostenere ogni decisione degli USA, come peraltro ha continuato a fare, è oggi all’ “opposizione”?
Nei rituali elettorali, che sono di fatto regolati da un marketing specializzato, la performance della “sinistra” è concentrata sul “rispetto delle differenze”, con particolare attenzione agli orientamenti del desiderio sessuale, oltre che su una ferma battaglia a favore del “suicidio assistito”. La sinistra promette libertà nel sesso e nella morte.
La performance della “destra” ha invece due punti forti. Anzitutto si presenta come estranea al “Palazzo”. È un trompe l’oeil, perché Fratelli d’Italia ha sempre avuto esponenti di punta nel sistema di potere, ma essendo stato all’opposizione parlamentare per tutta la precedente legislatura, può recitare il personaggio che fustiga il discredito del sistema dei partiti, quelli di sinistra in particolare. v
L’altro atout di Fratelli d’Italia è la bandiera dell’“identità italiana”. Il suo nome è il titolo dell’inno nazionale, che evoca lo spirito risorgimentale, oggi declinato nei termini della “sovranità”. Il Ministero dell’Agricoltura si chiama “Ministero della Sovranità alimentare”. Gioco effettivamente piuttosto facile perché gli italiani sono molto affezionati alla cucina nazionale.
Se dal palcoscenico elettorale si scende sul terreno delle decisioni operative, la destra incarna pienamente la pulsione della guerra illimitata. Per “sovranità nazionale” si intende in realtà il pieno rispetto delle decisioni degli USA. Quindi, appoggio incondizionato all’Ucraina con costante invio di armi, “fino alla riconquista della Crimea”. In Medio Oriente forniture militari e rigoroso sostegno diplomatico a Israele, ovviamente nei tempi e nei modi stabiliti a Washington. Missioni militari italiane nel Mar Rosso e perfino nel Mar Cinese meridionale a seguito di quelle americane. La vocazione collaborazionista di Fratelli d’Italia, ereditata dalla Repubblica di Salò, si manifesta nei confronti della potenza imperiale USA, di cui l’Italia è di fatto un protettorato.
La sinistra su questo terreno non ha alcuna possibilità di competere con la destra. Di fatto condivide totalmente la linea del governo Meloni, e appoggia in parlamento le sue decisioni militari e diplomatiche, ma è in una posizione subordinata perché attualmente non è in grado di assumere direttamente il comando di uno stato di guerra senza fine. È una via senza uscita che segnerà l’ulteriore declino della sinistra e asservimento dell’Italia alle decisioni USA.
Abbiamo dunque in Italia una “Nuova destra” che svolge oggi le funzioni di “proxy governance” della guerra per conto del governo americano. Dopo la decomposizione dei partiti parlamentari e la fine delle precedenti condizioni politiche che hanno limitato le guerre del Novecento, il potere di Stato è nelle mani della guerra stessa.
Come inventare nuove condizioni politiche per fermare una guerra come questa, di per sé interminabile? L’urgenza della domanda è grande, lo spazio di possibilità ristretto.
Note
i La versione inglese, “The ‘Nouveau Right’ in Italy: Notes on the Governance of Limitless Warfare”, è uscita su Crisis & Critique, vol 11: 1, 2024, “The Nouveau Right”
https://www.crisiscritique.org/storage/app/media/2024-07-16/alessandro-russo.pdf
ii Tr. it, “L’Europa dopo in partiti del Novecento”, in Claudia Pozzana e Alessandro Russo, La quarta guerra mondiale. E noi?, Verona, Ombre Corte, 2023, pp. 69-88.
iii Mi riferisco soprattutto alle illuminanti analisi di Fabio Mini, in dialogo con i due noti teorici militari cinesi Qiao Liang e Wang Xiaoshui. Vedi la sua postfazione a Qiao Liang, L’arco dell’Impero, Gorizia, Leg Edizioni, 2021.
Comments
Movimento 5 stelle, Ricostruzione in corso di un partito comunista , la Russia, la Cina, il post Macron e il post Scholtz, per adesso.
C'è ne è ancora uno al di là dell'atlantico che si chiama Trump , potrebbe sparigliare le carte , sempre che non gli sparino a breve e tutto continui come negli ultimi 30 anni.
Poi c'è l'imprevisto e l'imponderabile , come qundo ci si aspettava la rivoluzione proletaria in germania e avvenne invece in Russia, ma di geni rivoluzionari in giro per il mondo non ne vedo per ora.
L'ontologia del vivere mercificato , mercificandosi, dilaga ampiamente e tutto o quasi è sotto controllo. E' dentro al quel quasi che occorre lavorare , senza aspettarci chissà quale nuovo essere umano.
Anche la questione del sacro manca all'appello, troppo facilmente liquidata dallo scientismo, relativismo e laicismo del capitale.