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Tassazione e interesse (solo per astronomi esperti). Cronache marXZiane n. 16
di Giorgio Gattei
1. Dgiangoz, comincia tu!
Dgiangoz è il mio consulente in analisi logica marXZiana che, interpellato, così mi ha risposto:
– Sei tornato da me? Non ti fidi delle tue sole competenze? Ne prendo atto e ti vengo incontro. Rispetto ai miei interventi precedenti, adesso in quel dominio di Saggio Massimo del pianeta Marx in cui sei finito e dove, pur impiegando lavoro, non si pagano salari, le due sole merci prodotte (una “base” e una “non-base” secondo la nomenclatura introdotta da Piero Sraffa nel libro del 1960), invece di essere grano e tulipano sono diventate orzo e birra, ma questo cambia poco dato che l’orzo è una “merce-base” in quanto necessaria per produrle entrambe, mentre la birra è una “merce-non base” addirittura assoluta perché non serve nemmeno a produrre se stessa (che fai della birra se non berla?). Più interessante è invece la sostituzione, nella funzione d’intermediazione tra le due produzioni, del Palazzo al posto del Tempio, il che ti ha consentito di attribuirgli la doppia funzione di tassare il produttore d’orzo (d’ora in poi l’“orziere”) per poi prestare al produttore di birra (d’ora in poi il “birraio”) quel gettito fiscale così raccolto. Però hai strafatto nel supporre che il Palazzo prelevi l’intero profitto massimo dell’orziere per girarlo integralmente e gratuitamente al birraio. Certamente, così facendo, hai raggiunto d’assalto l’equilibrio di bilancio tra le entrate e le uscite del Palazzo:
R a11 Q1 = a12 Q2
dove a11 e a12 sono i coefficienti unitari delle due produzioni, Q1 e Q2 le quantità rispettivamente prodotte ed R è il Saggio Massimo del profitto, ma non ti parrebbe più plausibile che il Palazzo prelevi a titolo d’imposta soltanto una percentuale del profitto massimo dell’orziere secondo una aliquota fiscale (t < 1, mentre sul prestito al birraio si facesse pagare un interesse secondo un tasso i > 0? Però, così facendo, ne sarà modificato quell’equilibrio di bilancio del Palazzo da te dedotto che dovrà essere ripensato tenendo comunque conto che le tasse sono pagate soltanto dall’orziere produttore della merce-base, mentre l’interesse è pagato soltanto dal produttore della merce non-base, cioè dal birraio.
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Stato e rivoluzione. Problemi filosofico politici della trasformazione in un mondo al collasso
di Gianni Fresu (Università di Cagliari)
Introduzione
In termini di profondità e dirompenza, i drammatici avvenimenti internazionali che travolsero il mondo tra il 1914 e il 1918 esemplificano come poche altre epoche storiche cosa si intenda per «crisi organica». Ciò vale particolarmente per la Russia sconquassata dalle molteplici conseguenze di una guerra disastrosa che, acutizzando i problemi strutturali di questo immenso Paese, portò al clamoroso crollo dell’impero zarista nel febbraio 1917. Dobbiamo la conoscenza di quanto accadde nella caotica Russia post-rivoluzionaria soprattutto al talento di tre grandi scrittori che, come ha scritto Ronald W. Clark, del loro soggiorno russo non lasciarono soltanto freddi resoconti di cronaca giornalistica. Tre narratori di eccezione come M. Philips Price, Arthur Ransome e John Reed, infatti, descrissero con vividi affreschi le immagini decadenti di un vecchio mondo che moriva, volgendo al contempo la propria curiosa attenzione verso i primi vagiti di quello nuovo che tentava disperatamente di nascere. Anche grazie a loro è stato possibile ricostruire il ruolo politico di Lenin in uno scenario per molti versi grottesco, nel quale, a causa di una guerra sconsiderata, la stragrande maggioranza della popolazione viveva nella miseria più assoluta e pativa la fame, mentre per ristrette fasce di popolazione nulla era cambiato.
«A Pietrogrado, all’Hotel Europa, c’era ancora Jimmy, del Waldorf-Astoria di New York, che continuava a servire i suoi cocktail. La Karsavina danzava ancora Il lago dei cigni davanti a platee rapite e Šaljapin continuava a deliziare i suoi ascoltatori in immacolati abiti da sera. Benché le riserve di viveri si facessero sempre più scarse, la maggior parte dei ristoranti di lusso non solo era aperta, ma faceva affari d’oro. Lo stesso avveniva per i teatri e i cabaret, anche se alle loro porte si svolgevano dimostrazioni e controdimostrazioni che spesso degeneravano in tumulti»1.
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Ricerca Profonda. La rivincita dell’Open Source
di Francesco Cappello
DeepSeek è un modello di intelligenza artificiale cinese che sta sfidando con successo i colossi tecnologici americani e che rischia di bucare la bolla dell’HiTech statunitense gonfiata a dismisura dalle big three, i grandi fondi di investimento USA. Possibili vendite allo scoperto da parte di grandi player finanziari.
Il modello di IA cinese gratuito e Open Source ha raggiunto prestazioni elevate in tempi brevi e con un budget limitato, scuotendo il panorama dell’IA a livello globale
Tanto con poco
DeepSeek è stato sviluppato da un team cinese [1] con un investimento di soli 5 milioni di dollari, un importo notevolmente inferiore rispetto ai miliardi spesi da aziende come Open AI, Google e Meta. Nonostante ciò, DeepSeek ha superato modelli come GPT-4 di OpenAI e Claude 3.5 Sonnet di Antropic, specialmente in matematica e coding (in particolare, DeepSeek V3 ha raggiunto un’accuratezza del 51.6% in matematica e coding, rispetto al 23.6% di GPT-4o e il 20.3% di Claude 3.5).
Questo è stato possibile grazie a un’architettura chiamata mixture of experts – che riduce i costi computazionali – e ad altre tecniche innovative di addestramento, come il dual pipe and computation communication overlap (l’utilizzo di floating point 8 anziché 32 e la previsione di due token successivi invece di uno. Inoltre, DeepSeek è stato addestrato con sole 2000 schede video H800, mentre altri modelli hanno richiesto oltre 100.000 schede).
La rivincita dell’Open Source. Comunità cooperanti
Un aspetto fondamentale di DeepSeek è la sua natura open source (OS), che permette a chiunque di studiare, utilizzare e migliorare il modello. Questo approccio che è utile approfondire qui di seguito, si contrappone alla strategia delle grandi aziende tecnologiche che custodiscono gelosamente le loro tecnologie. La disponibilità del codice sorgente di DeepSeek sta abbassando le barriere all’innovazione e spostando il potere dai giganti dell’IA a una comunità globale di sviluppatori.
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Dizionario minimo anti-Trump, il nemico che ci voleva
di Alessio Mannino
1: dal tecno-cretinismo a Luigi Mangione
Occidente. Liberismo. Nazione. Atlantismo. Democrazia. Razzismo. Élite. Le categorie con cui abbiamo finora interpretato la realtà sono state travolte dalla valanga trumpiana. Sarebbe da riscrivere un intero vocabolario ermeneutico, dopo la conquista della Casa Bianca da parte di The Donald. I primi 100 decreti immediati – uno “tsunami”, li ha definiti il suo ex stratega Steve Bannon – danno un quadro già abbastanza chiaro dell’onda d’urto che si abbatterà non solo sugli Stati Uniti e sul mondo ma anche, più in profondità, sui nostri paradigmi.
Qui mi proverò nel tentativo di una guida minima, pubblicata in tre parti in rigoroso disordine alfabetico. Un abbozzo di critica del pregiudizio riguardante alcune verità ormai consunte. Una critica, in parte, che è anche salutare autocritica. Di seguito, la prima parte.
Democrazia (rappresentativa delle élites, fino a un certo punto)
Non è più vero, o non necessariamente, che il voto alle elezioni sia un passaggio residuale, poco incisivo e non dirimente, rispetto alle decisioni che piovono dall’alto, nelle cabine di regìa dove si fanno e si disfano i veri giochi. Il potere, beninteso, passa regolarmente di mano in mano entro ristrette cerchie che si spartiscono il controllo delle forze istituzionali, economiche, militari e culturali. La paretiana circolazione delle élites è sempre viva e prospera, in ossequio alla legge ferrea dell’oligarchia. Ma se il consenso delle urne esprime un vincitore netto, leader incontrastato della propria fazione che riflette su di sé un campo di egemonia largamente diffusa, allora il rito elettorale può fare la differenza.
È l’identikit di Trump, che tornato da trionfatore nello Studio Ovale con una legittimazione fortissima, è oggi nelle condizioni di parlare, come vedremo, da pari a pari perfino con l’uomo più ricco del pianeta, Elon Musk.
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Gli interessi economici dietro la caduta della Repubblica araba siriana
di Maurizio Brignoli*
Dietro alle vicende siriane, e non ci riferiamo solo alla recente e repentina caduta di Assad bensì alle origini della guerra nel 2011, vi sono importanti elementi strutturali che meritano di essere presi in considerazione.
Gasdotti e oleodotti
La Siria non occupa una posizione strategica solo per l’Asse della resistenza, che ha infatti subito un duro colpo dato che la caduta del (legittimo) governo siriano aumenta le difficoltà di Teheran nel rifornire di armi Hizballah, ma ha una rilevanza per i diversi progetti, prioritario su tutti quello dell’imperialismo statunitense (con collaborazione dell’imperialismo regionale israeliano) di ridisegnare il Medioriente, che hanno contribuito prima allo scoppio del conflitto nel 2011 e poi all’abbattimento della Repubblica araba siriana tredici anni dopo.
A cavallo fra il 2009 e il 2010 sono stati scoperti nel Mediterraneo orientale giacimenti di gas e petrolio in grado di garantire per 50 anni le riserve mondiali di energia fossile. La conseguente strategia delineata dall’imperialismo occidentale è stata quella di pensare a come sfruttare questi giacimenti in modo da eliminare la dipendenza energetica europea dai rifornimenti provenienti dalla Russia[1], mentre il capitale russo correva ai ripari stipulando una serie di accordi con i paesi rivieraschi (Siria, Libano, Israele, Gaza, Egitto, Turchia e Cipro) per costruire nuove infrastrutture con lo scopo di indirizzare il flusso energetico verso i mercati asiatici puntando al duplice obiettivo di conquistare nuovi clienti e mantenere la posizione egemonica nel rifornire l’Europa. Gli altri paesi interessati alla realizzazione di nuovi corridoi energetici non restavano con le mani in mano, nello specifico per quanto riguarda la Siria nel 2009 il Qatar (potendo anche contare sulla messa fuorigioco dei rifornimenti iraniani all’Europa grazie alle sanzioni) aveva progettato un gasdotto di 5.000 chilometri lungo la direttrice Qatar-Arabia Saudita-Giordania-Siria-Turchia-Ue che avrebbe permesso a Doha di raggiungere più economicamente e rapidamente il mercato europeo al posto del trasporto via nave evitando al contempo le pericolose strozzature dello stretto di Hormuz (facilmente bloccabile dagli iraniani in caso di conflitto), all’Ue di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia e alla Turchia di intascare le tasse di transito.
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L’alba di un nuovo equilibrio globale
di Alberto Bradanini
L'impero americano sarà l'ultimo della storia, ma Pechino non intende sostituirsi agli Usa quale dominus unipolare. La via cinese allo sviluppo – stabilità sociale, economia di mercato vigilata, controllo pubblico delle risorse – è un incubo per il capitalismo occidentale
I bolscevichi giungono alla vittoria persuasi di costituire il primo capitolo della rivoluzione proletaria universale, in un paese dove gli operai erano una sparuta minoranza rispetto ai contadini/schiavi dell’impero zarista.
La Cina tra Usa e Urss
Scomparso Lenin e dovendo sopravvivere come avamposto socialista sotto assedio, l’Unione Sovietica di J. Stalin accetta di convivere col mondo borghese in attesa di quella palingenesi proletaria che tuttavia si allontana sempre più. Il vanificarsi di tale speranza avrebbe portato alla russificazione del comunismo, che Mao Zedong, alla fine degli anni ’50, accuserà di esser divenuta l’avamposto dell’imperialismo russo mascherato da internazionalismo proletario.
In Cina, l’aspirazione alla palingenesi sociale si accompagna sin dagli esordi alla lotta contro colonialismo e imperialismo, prima britannico/occidentale, poi giapponese. Nel 1949, sconfitti il Kuomintang e gli americani, l’urgenza è quella di ricostruire un paese sterminato e arretrato, obiettivo che implica stabilità politica. In tali circostanze, il comunismo cinese non può certo impegnarsi in un’ipotetica rivoluzione proletaria universale. Mao era poi persuaso che entrambi, Stati Uniti e Unione Sovietica, puntassero a comprimere la sovranità della Cina, i primi per ragioni imperialistiche, la seconda per consolidare la leadership in seno alla galassia comunista. Lo strappo con l’Urss si consuma nel ‘59 con il rifiuto di Krusciov di fornire a Pechino la tecnologia per l’arma atomica, secondo Mosca perché questo avrebbe impedito la distensione con l’Occidente, in realtà perché ciò avrebbe reso la Cina ancor più svincolata dall’Unione Sovietica.
Nel 1969, con gli incidenti sull’Ussuri si giunge a un passo da un conflitto aperto. Il rischio d’isolamento e le tensioni con l’Urss, dunque, convincono Mao ad assecondare l’intento di Washington di giocare la carta cinese in funzione antisovietica, mentre a sua volta guarda all’ingresso della Cina alle N.U.[i] al posto di Taiwan (obiettivo poi raggiunto il 25 ottobre 1971).
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L'intelligenza artificiale sta diventando DeepSeek
di Michael Roberts
La maggior parte dei lettori ormai conoscerà la notizia. DeepSeek, un'azienda cinese di intelligenza artificiale, ha rilasciato un modello di intelligenza artificiale chiamato R1 che è paragonabile in termini di capacità ai migliori modelli di aziende come OpenAI, Anthropic e Meta, ma è stato preparato a un costo radicalmente inferiore e utilizzando chip GPU meno all'avanguardia. DeepSeek ha anche reso pubblici dettagli sufficienti del modello affinché altri possano eseguirlo sui propri computer senza costi.
DeepSeek è un siluro che ha colpito le magnifiche sette aziende hi-tech statunitensi sotto la linea di galleggiamento. DeepSeek non ha utilizzato i chip e il software Nvidia più recenti e migliori; non ha richiesto grandi spese per addestrare il suo modello di intelligenza artificiale a differenza dei suoi rivali americani; e offre altrettante applicazioni utili. DeepSeek ha costruito il suo R1 con i chip Nvidia più vecchi e lenti, che le sanzioni statunitensi avevano consentito di esportare in Cina. Il governo statunitense e i titani della tecnologia pensavano di avere il monopolio nello sviluppo dell'intelligenza artificiale a causa degli enormi costi coinvolti nella realizzazione di chip e modelli di intelligenza artificiale migliori. Ma ora R1 di DeepSeek suggerisce che le aziende con meno soldi possono presto gestire modelli di intelligenza artificiale competitivi. R1 può essere utilizzato con un budget limitato e con una potenza di calcolo molto inferiore. Inoltre, R1 è bravo quanto i rivali nell'inferenza, il gergo dell'intelligenza artificiale per quando gli utenti mettono in discussione il modello e ottengono risposte. E funziona su server per tutti i tipi di aziende in modo che non debbano "affittare" a prezzi enormi da aziende come OpenAI. La cosa più importante è che R1 di DeepSeek è "open source", ovvero i metodi di codifica e formazione sono aperti a tutti per essere copiati e sviluppati. Questo è un vero colpo ai segreti "proprietari" che OpenAI o Gemini di Google rinchiudono in una "scatola nera" per massimizzare i profitti. L'analogia qui è con i prodotti farmaceutici di marca e generici.
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E’ iniziato il cammino per l’unità dei comunisti e la costruzione del Partito
di Luigi Basile
Il resoconto della partecipata e riuscita assemblea che si è svolta nella Capitale
Il cantiere per la costruzione del Partito comunista si è ufficialmente aperto con l’assemblea nazionale tenuta a Roma, presso il Teatro Flavio.
L’iniziativa, che ha visto la luce dopo mesi di lavoro preparatorio, con l’allestimento di convegni tematici nelle diverse aree del Paese, ha determinato un primo visibile risultato, in controtendenza rispetto agli avvenimenti degli ultimi dieci, quindici anni e più: la convergenza nel progetto di Prospettiva Unitaria di quattro organizzazioni (Costituente Comunista, Movimento per la Rinascita Comunista, Patria Socialista, Resistenza Popolare), che meno di un anno addietro avevano avviato, attraverso un tavolo operativo, un percorso di condivisione dell’azione politica.
La sfida che adesso viene lanciata, dunque, è ancora più ambiziosa: dare forma, forza e contenuto a un partito comunista unitario, con il coinvolgimento – a partire dai territori, dove si concentreranno gli sforzi – di compagne e compagni, lavoratori, disoccupati, pensionati e studenti, il confronto con comitati, associazioni e movimenti di lotta sociale e la mobilitazione sul campo, ma anche con il contributo di altri gruppi e organizzazioni politiche che ritengono una priorità la riaggregazione delle forze comuniste.
Un nodo particolarmente avvertito dalle centinaia di militanti e simpatizzanti presenti all’appuntamento nella Capitale e dagli autorevoli ospiti che hanno deciso di portare il proprio saluto, manifestando apprezzamento per quanto si sta realizzando.
Significativi i messaggi inviati dai partititi comunisti di tutto il mondo, che seguono con attenzione l’evoluzione del percorso.
“Non cessano i tentativi delle forze dell’imperialismo – si legge nella nota del Presidium del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa – di dividere il movimento comunista mondiale, di disunire le sue fila e di distruggerlo come forza politica. Pertanto, oggi, nelle condizioni economiche e politiche più difficili, sono importanti come non mai l’unità e l’azione congiunta dei comunisti di tutti i Paesi nella lotta per il nostro futuro comune.
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La sopravvivenza strategica di Hamas fa impazzire Israele
di The Cradle
Sfruttando la sua forza istituzionale, l’adattabilità sul campo e le tattiche psicologiche, Hamas ha magistralmente trasformato la distruzione di Gaza in una dimostrazione di Resilienza, ottenendo avanzamenti sia simbolici che tattici e impedendo a Israele di rivendicare una qualsiasi vittoria politica
23 gennaio 2025. Il rilascio di tre donne prigioniere israeliane a Gaza da parte dell’ala militare di Hamas, le Brigate Qassam, in cambio di 90 detenuti palestinesi, ha innescato una frenesia mediatica nello Stato di Occupazione.
La “scena” drammatica, combattenti che spuntano tra le rovine della guerra, circondati da una folla esultante, ha minato le narrazioni ufficiali israeliane sulla guerra, i suoi obiettivi e il trattamento dei prigionieri israeliani. Ha sollevato una domanda che fa riflettere gli israeliani: cosa stavamo facendo a Gaza per 15 mesi?
Le Brigate Qassam hanno organizzato ogni dettaglio dell’evento per massimizzare l’impatto. Dalle borse regalo griffate alle uniformi lucide dei combattenti, l’esibizione trasudava una precisione calcolata. Si è persino tenuta una sfilata militare in Piazza Saraya, un’area fortemente assediata dalle Forze di Occupazione Israeliane. La scelta del sito è stata voluta, a dimostrazione della continua Resilienza in un luogo destinato a simboleggiare la sconfitta di Tel Aviv nella sua più lunga campagna militare di sempre.
Fonti di Hamas informano che la scelta della città di Gaza, posizionata a Nord della Valle di Gaza e del Corridoio Netzarim, un corridoio di separazione creata dall’esercito israeliano per dividere in due la Striscia, che presto si prevedeva sarebbe stato smantellato, è stata una decisione voluta e simbolica, scelta rispetto ad altre alternative per le sue implicazioni strategiche e politiche.
Naturalmente, Hamas aveva la possibilità di rilasciare le detenute in luoghi “più sicuri”, come il centro o il Sud di Gaza, ma ha scelto intenzionalmente la piazza.
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Quanto vale l’accordo di partnership strategica tra Russa e Iran?
di Roberto Iannuzzi
Le potenzialità di cooperazione fra Mosca e Teheran sono promettenti, se i due paesi riusciranno a escogitare sistemi comuni per sfuggire alle sanzioni. Resta l’incognita della stabilità regionale
Appena tre giorni prima dell’inaugurazione della presidenza Trump, lo scorso 17 gennaio, Russia e Iran hanno firmato dopo lunghe trattative un atteso “accordo di partenariato strategico globale”.
La coincidenza è stata rilevata soprattutto dai commentatori occidentali, i quali hanno ricordato l’aiuto fornito da Teheran a Mosca sul teatro di guerra ucraino (in particolare attraverso l’invio di droni di fabbricazione iraniana).
Essi hanno anche menzionato il fatto che il nuovo presidente americano ha preannunciato un atteggiamento duro nei confronti dell’Iran, ed ha invece promesso di porre fine al conflitto in Ucraina, sebbene non sia assolutamente certo in qual modo, e (a detta dello stesso Trump)non sia escluso un inasprimento delle sanzioni contro Mosca.
Dal canto suo, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha negato che vi fosse qualche relazione tra la firma dell’accordo e l’insediamento di Trump, ma l’evento ha segnato senza dubbio un ulteriore rafforzamento delle relazioni fra due paesi che sono entrambi oggetto di un duro embargo occidentale ed hanno rapporti conflittuali con l’Occidente.
La firma del trattato è avvenuta al Cremlino, in occasione della visita a Mosca del presidente iraniano Masoud Pezeshkian a capo di una nutrita delegazione.
Questo evento lungamente atteso si inserisce in una fase in cui soprattutto l’Iran si sente minacciato “dall’amministrazione Trump, da Israele, dal crollo del regime siriano, dal collasso di Hezbollah”, ha affermato Nikita Smagin, analista che ha lavorato per i media governativi russi a Teheran prima dello scoppio del conflitto ucraino.
Tra gli osservatori, vi è chi ha descritto l’intesa come una “svolta epocale” e chi l’ha sminuita definendola vaga e inferiore alle aspettative.
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Verso un nuovo (dis)ordine?
di Vincenzo Comito
Parafrasando Gramsci, il vecchio ordine è sempre più vacillante, mentre un nuovo ordine fatica a venire alla luce. Nell’intermezzo, si assiste a svariati fenomeni morbosi, tra cui la presidenza “Trusk”, che pur ispirata all’American First, potrebbe, invece, accelerare il tramonto dell’egemonia USA
Appare evidente che stiamo vivendo in questi anni nel mondo in un periodo di grande confusione, anzi, se vogliamo, di vero e proprio caos. Tra i segni più evidenti ci sono indubbiamente la guerra in Ucraina e quella israelo-palestinese, la confusione siriana, la lotta su tutti i fronti e con tutti i mezzi degli Stati Uniti per contrastare l’avanzata economica, tecnologica, politica cinese, la grande incertezza economica e politica in Europa, ma dalle prospettive comunque poco incoraggianti e ancora le lotte armate interne in diversi paesi africani e asiatici, a cominciare da quella, terribile, che si svolge da tempo in Sudan. Si aggiungono dopo quelle atomiche le minacce ecologiche e tecnologiche sempre più incombenti.
Il vecchio ordine internazionale vacilla
Al di là delle ragioni specifiche di ognuno di questi accadimenti essi sembrano collocarsi tutti sostanzialmente nel quadro di una situazione nella quale il vecchio ordine internazionale vacilla sempre di più. Non regge il potere degli Stati Uniti, e più in generale dell’Occidente, sul resto del mondo, con tutte le loro presunte regole sempre violate a piacimento e le sue istituzioni ormai cadenti, mentre il nuovo assetto globale che dovrebbe sostituirlo non si è ancora affermato; se ne intravede appena qualche segno iniziale
Tra l’altro, la Cina ha mostrato al mondo e in particolare ai paesi del Sud globale che il vecchio mito per cui la modernizzazione economica comporti necessariamente l’occidentalizzazione dei vari paesi non sta più in piedi e che l’Occidente non ha tutte le risposte da dare ai paesi in via di sviluppo.
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Sovranità vs imperialismo: ecco perché le élite demonizzano la libertà dei popoli
di OttolinaTV
Tutta la storia contemporanea, dalla rivoluzione francese in poi, può anche essere letta come storia del conflitto tra nazioni e imperi, tra comunità nazionali che hanno lottato e lottano per la propria sovranità e imperi aggressivi e coloniali che cercano di assoggettare altri popoli e nazioni per sottometterli e asservirli ai propri interessi, che si tratti interessi di egemonia e potere o meri interessi economici; in questo periodo di transizione a un nuovo ordine multipolare, in cui la sovranità e l’autodeterminazione nazionale diventeranno veramente il principio fondante del nuovo equilibrio mondiale, popoli coraggiosi hanno cominciato finalmente ad alzare la testa e le armi contro i propri aggressori e contro l’ordine mondiale costituito, un ordine dove il privilegio della vera sovranità e libertà era ed è riservato a pochissime nazioni del mondo che, per il loro atteggiamento, sarebbe più corretto chiamare veri e propri imperi, le quali, con la guerra armata o anche solo quella economica, non accettano che questo privilegio diventi diritto globale e condiviso. E anche per il nostro Paese e per il nostro continente, ormai da 80 anni militarmente occupato a causa di una guerra persa, la questione della sovranità e dell’indipendenza diventa sempre più una questione dirimente e non più rimandabile, una questione di vita o di morte perché lo spaventoso declino economico, demografico e culturale che stiamo subendo è in gran parte frutto del fatto che non abbiamo la possibilità di portare avanti un’agenda dettata dai nostri interessi e che le nostre classi dirigenti collaborazioniste, sia politiche che economiche e a Palazzo Chigi e come a Bruxelles, sono accuratamente selezionate a monte e supportate dai media dominanti sulla base della loro mediocrità e servilismo nei confronti dell’impero atlantico.
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Effetti culturali dell’economia neoliberista IV
di Luca Benedini
(quarta parte: riconoscere le radici storiche del neoliberismo e rispondere ad esso attraverso un’integrazione tra il “socialismo scientifico” marx-engelsiano – la cui centratezza la storia sta confermando – e le forme di esperienza, di pensiero e di movimenti alternativi più congrue, profonde e costruttive che si sono sviluppate nell’ultimo centinaio d’anni)*
Politiche keynesiane: una rilettura critica della loro ascesa ed eclissi, anche alla luce dell’opera di Michal Kalecki
1. Complessità storiche
Se si torna alle radici delle oscillazioni storiche che si sono verificate – dopo la tremenda “crisi del ’29” – tra gli orientamenti economici liberisti e la tendenza strutturale ad un ampio intervento pubblico nell’economia di mercato, si trova che un primo mutamento epocale avvenne progressivamente tra il 1930 e il 1950 e fu ispirato principalmente dall’economista britannico John Maynard Keynes e dai marcati successi economici che vennero ottenuti nel concreto dalle sue proposte estremamente innovative, contrassegnate anche da una spiccata sensibilità sia sociale che ambientale e culturale. Ma, quando si arrivò a quello che può essere definito il “periodo d’oro” dell’intervento pubblico in tale economia (in pratica, i 35 anni tra il 1945 e il 1980), ciò che avvenne fu che si trattò di un periodo solo superficialmente keynesiano: malgrado le frequenti celebrazioni pubbliche dei grandi talenti di Keynes, le sue idee complesse e sensibili vennero di fatto deformate ampiamente dalle élite politiche ed economiche dell’epoca e poi usate strumentalmente da queste in base ai propri specifici interessi materiali, scarsamente interessati in realtà tanto al piano sociale quanto a quello ambientale e a quello culturale [144]....
Nel complesso, i principali di questi interessi erano di due tipi: sul piano economico, ridurre la portata delle “crisi cicliche” dell’economia capitalistica (un intento condiviso da una parte notevole delle classi privilegiate, ma non dalla loro totalità, in quanto quelle crisi potevano sì trascinare in bancarotta grandi patrimoni, ma anche consentire grandi guadagni ai più abili e “fortunati” tra i finanzieri e gli speculatori...) e ampliare i profitti imprenditoriali trasformando i lavoratori anche in consumatori (così da poter moltiplicare le vendite complessive di prodotti da parte dell’insieme delle imprese); sul piano politico, che per molti in tali élite era ancor più significativo di quello economico, evitare il più possibile un forte “spostamento a sinistra” delle masse lavoratrici che le spingesse verso posizioni diffusamente anticapitalistiche come quelle che nella Russia del 1917 avevano portato alla “rivoluzione d’ottobre” (che parti consistenti delle classi popolari cercarono presto di emulare – ma senza successo – in altri paesi europei come specialmente Germania, Ungheria, Finlandia, Italia e Bulgaria).
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Il minaccioso imperialismo di Trump e del capitalismo della sorveglianza tecnologica e il compito dei comunisti
di Fosco Giannini*
La presa diretta del potere da parte del “quinto capitalismo” chiede ai comunisti di riappropriarsi pienamente dell’intera visione del mondo leninista e gramsciana.
Donald Trump, lo scorso 20 gennaio 2025, giorno del suo secondo insediamento alla Casa Bianca, svolge, di seguito, due discorsi: il primo alla Rotonda del Campidoglio, il secondo presso l’Emancipation Hall, di fronte ai militanti repubblicani, ai suoi sostenitori più fedeli e a tutta la schiera dei nuovi vip corsi sul carro del vincitore. Nel suo primo intervento il presidente Usa mantiene un profilo relativamente equilibrato e “istituzionale”, pur annunciandosi senza vergogna “salvato da Dio affinché l’America torni grande”, eroe della nuova era d’oro americana e pacificatore delle guerre del mondo. È nel secondo intervento, tuttavia, che il presidente fa riemergere il vero Trump che ha in sé, rilanciando con fulmini e tuoni il proprio disegno razzista di deportazione di massa degli immigrati e i propri progetti proto-imperialisti volti a cambiare il nome del Golfo del Messico in Golfo Americano, a “riconsegnare all’America” il Canale di Panama e a conquistare per gli Usa la Groenlandia. Proponendo, inoltre, con particolare iattanza reazionaria, una sorta di undicesimo comandamento per il quale dal 20 gennaio 2025 in poi vi saranno negli Usa solo due generi: maschile e femminile e tutto il resto del doloroso, sofferente, non “ordinato”, comunque non protocollare e diverso, e a volte anche persino felice, percorso sessuale umano (che tale è, non ordinato, non protocollare, dall’intera storia dell’umanità) sarà cancellato attraverso la stessa forza poliziesca della “legge” trumpiana (sarà interessante vedere come nelle università statunitensi, tra i giovani americani, nelle vaste aree socialmente e intellettualmente avanzate Trump potrà ratificare e far rispettare il “nuovo ordine” di genere controrivoluzionario, come potrà edificare su tutto il territorio nordamericano l’immensa Vandea della controrivoluzione sessuale).
Ma, sulla natura dei due discorsi di Trump nel giorno del suo secondo insediamento molto si è parlato. Ciò che, credo, sia stato poco rimarcato è un altro fatto, che nella sua essenza sembra a chi scrive di importanza strategica.
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Cina, Europa e il nuovo corso trumpiano
di Alessandro Volpi
Il 2025 potrebbe essere l’anno del grande compromesso o quello dello scontro decisivo tra Cina e Usa. La vittoria di Trump accentuerà la spinta verso un'Europa più dominata dalla finanza, meno sociale e più impegnata per la “rinascita” della manifattura bellica
Il successo elettorale di Trump e la composizione della sua squadra sembrano aprire un varco nello strapotere delle “Big Three” – BlackRock, Vanguard e State Street – e rendono assai più critica l’idea di un’Europa delle esportazioni verso gli Stati Uniti. In questa prospettiva, i vertici della finanza europea paiono intenzionati a reagire e dare corpo a un pezzo del “progetto Draghi”, non a caso immaginato come possibile presidente della Commissione europea in caso di eccessiva debolezza della Von der Leyen.
La vittoria di Trump potrebbe accelerare l’attuazione del piano Draghi
Prima l’allarme lanciato dalla Bce sulla possibile bolla, sul punto di esplodere, generata dall’eccessiva concentrazione del valore azionario delle Borse americane, poi l’insistenza, sempre a opera di Madame Lagarde, sull’urgenza di creare un mercato unico dei capitali europei, superando l’attuale frammentazione sono segnali che paiono muoversi in tale direzione. L’obiettivo di queste mosse infatti è possibile che sia quello di evitare la costante trasmigrazione dei 33 mila miliardi di euro di risparmio europeo verso i titoli degli Stati Uniti. Il messaggio di Lagarde è chiaro: i colossi del risparmio gestito Usa dovranno fare i conti, dopo anni, con un governo non troppo amico, e quindi saranno più deboli, meno in grado di garantire super dividendi, come del resto sta dimostrando il caso Nvidia, a cui sembra svanita la patina di imbattibilità. La società quotata con la maggiore capitalizzazione al mondo, infatti, ha presentato la terza trimestrale 2024 con risultati record; i profitti sono raddoppiati, arrivando a 19,3 miliardi di dollari e il giro d’affari è cresciuto del 94 per cento superando i 35 miliardi. Nonostante questo, il titolo Nvidia ha perso valore, segnando un chiaro rallentamento rispetto a una corsa che sembrava inarrestabile. Forse la guerra interna al capitalismo finanziario USA sta facendosi sentire e non bastano neppure gli ottimi risultati della società dell’Intelligenza artificiale a sostenerne il titolo.
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Moneta quantistica?
di Francesco Cappello
La moneta quantistica è una tecnologia, per ora soltanto teorica, che sfrutta le leggi della meccanica quantistica per creare denaro digitale che non si possa copiare, se ne possa verificare l’autenticità e che sia unico
Le caratteristiche di una moneta ideale, reale o virtuale che sia, sono sintetizzabili nel fatto che non dovrebbe essere falsificabile (*) né alterabile (per es. aumentandone il valore). Non dovrebbe essere spendibile più’ volte, dovrebbe garantire l’anonimato dello scambio.
Le monete quantistiche sono pensate per essere l’analogo digitale delle monete fisiche, tutte identiche e scambiabili senza tracciamento.
Le banconote quantistiche sono uniche e tracciabili grazie ai loro numeri di serie, mentre le monete sono tutte identiche e anonime.
Questa distinzione porta a differenti approcci per la loro verifica e la loro implementazione con le monete a chiave pubblica [1]. Quest’ultime presentano ulteriori sfide e non sono ancora state concretamente realizzate. In particolare, la moneta collision-free, che approfondiremo più avanti, è un tipo di banconota che sfrutta numeri di serie unici quale garanzia di sicurezza.
L’idea originale della moneta quantistica è stata proposta nel 1982 da Stephen Wiesner, un fisico teorico, in un articolo intitolato Conjugate Coding.
Immaginiamo una forma di moneta digitale completamente diversa da quella a cui siamo abituati. Invece di essere fatta di semplici bit (unità elementare di informazione classica) come quelli che usano i computer, che possono essere 0 o 1, (acceso o spento, vero o falso, ecc.) questa moneta è costruita con dei quantum bit, qubit [2] che sono basati sui principi, fuori dalla nostra comune esperienza, della meccanica quantistica la quale descrive il comportamento fisico della natura al livello atomico. Una sua particolarità è che un qubit può trovarsi in una specie di sovrapposizione, un po’ come una monetina che sta girando in aria che non è ancora né testa né croce, ma è un po’ entrambe le cose contemporaneamente. La monetina si trova in uno stato sospeso di possibilità, non ancora testa né croce…
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La guerra persa in Ucraina e il fallimento di Ursula von der Leyen
di Enrico Grazzini
E’ molto probabile che Ursula von der Leyen, la presidente tedesca della Commissione Europea, non verrà neppure invitata ai colloqui di pace che il presidente americano Donald Trump intende avviare sull’Ucraina con la Russia di Vladimir Putin. Se Trump riuscisse a mantenere le sue promesse di pace sull’Ucraina, come è possibile, molto difficilmente l’accordo con la Russia vedrà la partecipazione dell’Unione Europea. Ma se l’Europa non dovesse neppure partecipare alle trattative sull’Ucraina la von der Leyen dovrebbe per dignità dimettersi.
Con Trump al potere negli USA tutto cambia anche per l’Europa: per il neopresidente statunitense la UE è praticamente irrilevante, un competitor fragile, un consorzio commerciale da disgregare. La Russia e la Cina sono invee potenze da rispettare. Occorre prendere atto che con la sua elezione alla Casa Bianca l’Occidente è finito, si è rotto in mille pezzi. La UE forse non se ne è ancora accorta, ma l’America di Trump non è più l’alleato principale, è un duro avversario, e potrebbe diventare anche un nemico. Trump non è un isolazionista come lo erano i conservatori americani dei vecchi tempi: è invece un presidente imperiale che vuole rompere l’Unione Europea e trattare gli Stati europei come se fossero semicolonie del sud America!
Secondo Donald Trump i rapporti internazionali si basano solo sulla forza. I valori dell’Occidente liberale e democratico sono apertamente rinnegati dall’America di Trump: l’Occidente perde così la sua autorità morale e ideologica di fronte al resto del mondo. Un fatto è certo: i rapporti tra la UE e gli Stati Uniti diventeranno sempre più conflittuali, probabilmente ancora più conflittuali di quelli con la Cina. Anche considerando che Trump vuole che la Danimarca, stato membro della UE, ceda la Groenlandia. Ma la UE della von der Leyen non è mai stata debole come oggi.
Il bersaglio più facile di Trump è proprio la von der Leyen che ha finora stupidamente e irresponsabilmente perseguito la linea del vecchio presidente Joe Biden e della Nato[1] di escalation nella guerra con la Russia.
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La bomba cinese DeepSeek fa vacillare l’oneroso progetto da 500 miliardi di dollari di Trump per l’intelligenza artificiale
di Mike Whitney
Il futuro dell’umanità si sta decidendo mentre parliamo. E non si sta decidendo su un campo di battaglia nell’Europa dell’Est, in Medio Oriente o nello Stretto di Taiwan, ma nei centri dati e nelle strutture di ricerca dove gli esperti di tecnologia creano “l’infrastruttura fisica e virtuale per alimentare la prossima generazione di intelligenza artificiale”. Si tratta di un vero e proprio scontro a fuoco che ha già fatto diverse vittime, anche se non si direbbe leggendo i titoli dei giornali, che di solito ignorano i recenti sviluppi “catastrofici”. Ma, quando martedì il Presidente Trump ha annunciato il lancio di un progetto infrastrutturale per l’intelligenza artificiale da 500 miliardi di dollari (Stargate), poche ore dopo che la Cina aveva rilasciato il suo DeepSeek R1 – che “supera i suoi rivali nelle capacità avanzate di codifica, matematica e conoscenza generale” – è diventato dolorosamente ovvio che la battaglia per il futuro “è iniziata” in grande stile. E non è una battaglia che nessuna delle due parti può permettersi di perdere. Ecco come ha riassunto la cosa l’esperto di tecnologia Adam Button:
Immaginate di essere tornati nel 2017 e che l’iPhone X sia stato appena presentato al pubblico. Allora veniva venduto a 999 dollari e Apple, con le vendite alle stelle, stava costruendo un ampio fossato intorno al suo ecosistema.
Ora immaginate che, solo pochi giorni dopo, un’altra azienda avesse presentato un telefono e una piattaforma uguali in tutto e per tutto, se non migliore, al prezzo di soli 30 dollari.
Questo è ciò che si è verificato oggi nello spazio AI. La cinese DeepSeek ha rilasciato un modello opensource che funziona alla pari con gli ultimi modelli di OpenAI, ma che costa una frazione minima. Inoltre, è possibile scaricarlo ed eseguirlo gratuitamente (con l’unica spesa dell’energia elettrica).
Il prodotto rappresenta un enorme balzo in avanti in termini di scalabilità ed efficienza e potrebbe ribaltare le aspettative sulla quantità di potenza e di calcolo necessaria per gestire la rivoluzione dell’intelligenza artificiale.
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L’Unione europea tra sovranismi e tecnocrazia
di Antonio Cantaro
Pubblichiamo la relazione tenuta da Antionio Cantaro a Reggio Emilia lo scorso 20 gennaio 2025 nell'ambito del corso dell'Università popolare su "Quale futuro per la democrazia occidentale"
Da dove iniziare una storia dell’Unione europea tra sovranismi e tecnocrazia, come ci chiede la nostra iniziativa di questo pomeriggio?
Non era semplice, ci ho pensato a lungo. Alla fine – perdonerete l’azzardo – ho deciso di cominciare da oggi lunedì 20 gennaio 2025, il giorno in cui Donald Trump diventa ufficialmente il 47 esimo Presidente degli Stati Uniti, di cui peraltro è stato anche il 45 esimo. Magari un’altra volta metterò un punto a questo azzardo con un altro ben più memorabile giorno. Il 12 ottobre 1492, quando alcuni membri di una delle caravelle di Cristoforo Colombo, stremati da mesi viaggio transoceanico, gridarono con un senso di vittoria e di liberazione Terra Terra. Pensavano che fossero le Indie e invece era un Nuovo continente. Terra terra in un senso certamente molto diverso da quello in cui lo dice oggi Trump a proposito della Groenlandia e altri territori. Diverso, ma non troppo distante nel suo significato simbolico. Certamente a parti invertite. Oggi a gridare terra terra non sono l’europeo Colombo e la sua ciurma, i vecchi colonizzatori, bensì l’americano Trump e il naturalizzato americano Elon Trump quando si occupano di noi, dell’Europa.
Nel mio azzardo sono confortato dall’editoriale di una Rivista francese per me, in genere, abbagliata da troppo macronismo per essere affidabile. Una rivista troppo eurocentrica, troppo franco centrica, sin dal nome, Le Grand Continent. Ma che, in questa occasione, muove felicemente lo sguardo non da quanto accade nella provincia del mondo, nel Vecchio Continente, ma da quanto accade nel Nuovo Continente, nella sua capitale, Washington.
Per antica tradizione il giorno dell’insediamento di un nuovo Presidente è un momento repubblicano, un momento incentrato sul potere civile americano – l’essere costituzionalmente gli Usa una Repubblica – più che l’essere gli Usa, di fatto, anche un impero.
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We are not robots – Tecnoluddismo 2/2
di Gioacchino Toni
Se in Tecnoluddismo 1/2 ci si è occupati della prima parte del volume di Gavin Mueller, Tecnoluddismo. Perché odi il tuo lavoro (Nero, 2021), in cui vengono tratteggiate le ragioni delle conflittualità nei confronti delle tecnologie e dell’automazione introdotte nei processi produttivi espresse dai lavoratori nel corso dell’Ottocento e della prima metà del secolo successivo, in questo scritto si farà riferimento al “luddismo hi-tech” il cui avvio può essere fatto risalire alla comparsa sulla scena del computer.
Come ricorda Mueller, i movimenti studenteschi statunitensi degli anni Sessanta furono i primi a «politicizzare i computer»; se nella quotidianità le schede perforate rappresentavano ai loro occhi burocrazia, censimento e controllo, non mancarono di cogliere il ricorso dell’apparato militare agli elaboratori nella pianificazione delle operazioni nel teatro di guerra vietnamita.
«Il passaggio a strategie basate sulla raccolta di dati quantitativi e sull’analisi automatizzata rappresenta un cambiamento radicale nella cultura militare». A ribadire le analogie tra la logica militare e quella industriale è il fatto che entrambe faranno ricorso a metriche quantitative; non a caso, ricorda lo studioso, a guidare la riqualificazione militare fu chiamato il segretario della Difesa, Robert McNamara, che precedentemente aveva fatto ricorso all’analisi statistica nella ristrutturazione della Ford. «L’automazione della guerra, come l’automazione dell’industria, era uno strumento fondamentale per riaffermare il controllo sui soldati ribelli in Vietnam». Esattamente come avveniva nelle fabbriche, anche in Vietnam erano sempre più frequenti gli atti di insubordinazione e sabotaggio, tanto che si pensò di sostituire le resistenze della fanteria con il ricorso a bombardamenti aerei sempre più automatizzati così come nelle fabbriche si tentava di ovviare alle insorgenze operaie attraverso l’automazione della produzione.
Nel corso degli anni Settanta la posizione degli attivisti nei confronti del computer prende due diversi indirizzi; uno, minoritario, antitecnologico, e un secondo, decisamente maggioritario, propenso a vedere nel computer uno strumento che avrebbe potuto favorire, soprattutto a partire dalla commercializzazione delle apparecchiature, pratiche di liberazione personale su cui si sarebbe poi sviluppato l’internet-attivismo.
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Trump ci offre su un piatto d’argento l’occasione di mettere all’angolo gli USA, cancro del mondo
di OttolinaTV
Trump ha dichiarato apertamente guerra al vecchio ordine mondiale frutto di 40 anni di globalizzazione neoliberista (che, detta così, suona anche parecchio bene), se non fosse che il modello proposto assomiglia da vicino all’era dei conflitti inter-imperialistici che ci ha portato dritti a due guerre mondiali e che Trump inaugura con una valanga di regali senza precedenti alle multinazionali USA, che dovranno essere finanziati tassando in varie forme il resto del pianeta; e, quando le tasse coloniali non basteranno, annettendo direttamente le aree che più gli interessano. Con stupore di tutti – a essere onesti – nonostante la produzione da record di ordini esecutivi nelle prime 24 ore di mandato, sul fronte dei dazi e della guerra commerciale per ora Trump ha fatto solo annunci: il primo è stata la minaccia di dazi del 25% per i veicoli che arrivano da Messico e Canada, dove vengono prodotti il 40% dei veicoli venduti ogni anno negli USA, in parte non irrilevante da produttori europei – a partire da Stellantis che, ricordiamo, significa anche marchi come Chrysler, Jeep e Dodge; anche Volkswagen subirebbe una botta gigantesca, a partire dal suo mega-stabilimento di Puebla, che da solo produce oltre 450 mila veicoli l’anno, l’80% dei quali è destinato al mercato USA.
Come degli Zuckerberg qualsiasi, le case automobilistiche però, invece che incazzarsi, hanno sconigliato e sono corse da Re Donald per promettere che si adegueranno ai suoi diktat: John Elkann, dopo essere entrato nel CDA di Meta, come il capo Mark si è trasformato ormai in una sorta di militante MAGA; Volkswagen, invece, ha rafforzato il suo impegno per i 10 miliardi di investimento per lo stabilimento di Chattanooga e per la joint venture col marchio locale Rivian. Tutti soldi che, ovviamente, verranno tolti dagli investimenti in Europa, dove non c’è nessun Trump che prenda per le orecchie la casa automobilistica e la costringa a fare gli investimenti necessari per evitare la prima chiusura nella storia del gruppo di 3 stabilimenti in Germania.
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Il capitalismo è incapace di auto-espansione?
di Anwar Shaikh
Tratto da Anwar Shaikh, Introduzione alla storia delle teorie sulla crisi, in U.S. Capitalism in crisis, U.R.P.E New York, 1978, Traduzione 2012 a cura di Antiper
Sin dall’inizio, la visione del laissez-faire di un capitalismo armonioso e privo di crisi è stata tormentata da una altrettanto vecchia e persistente visione di un capitalismo strutturalmente incapace di accumulazione. [In questa visione] si assume che le forze interne del sistema possano al più riprodurlo in modo stazionario: ma, se stagnante, il capitalismo degenera rapidamente. La competizione mette gli uni contro gli altri, e non c’è crescita che qualcuno possa realizzare se non a discapito di qualcun altro. Capitale contro capitale, lavoratore contro lavoratore, classe contro classe. O l’antagonismo diventa troppo intenso e il sistema esplode oppure degenera in una società (come la Cina di una volta) nella quale una ristretta élite di potere grava su una condizione di povertà di massa e di miseria umana. In entrambi i casi, un capitalismo che non accumula non dura a lungo.
È interessante osservare come questo argomento a confutazione si basi sullo stesso assunto originario della teoria che attacca. La teoria ortodossa ha sempre sostenuto infatti che lo scopo finale di tutta la produzione capitalistica è quello di produrre per il consumo: ciò che non viene consumato viene ora reinvestito nella produzione allo scopo di garantire un consumo futuro. In tutti i casi è il consumo che detta legge. Nell’oscurità della teoria sotto-consumista, questa stessa nozione dovrebbe diventare un’arma per attaccare il capitalismo.
Attraverso la lunga e complessa storia di questo ramo di teoria della crisi, ricorre di continuo il seguente argomento: sì, il regolatore finale di tutta la produzione è nei fatti il consumo, attuale o futuro; d’altra parte, la produzione capitalistica non risponde ai bisogni, ma al potere di acquisto; non alla domanda, ma alla domanda “effettiva” (cioè a dire, la domanda solvibile). E tale è la natura contraddittoria della produzione capitalistica che, ove lasciata a sé stessa, è incapace di generare sufficiente domanda effettiva per supportare l’accumulazione. I meccanismi intrinseci del sistema, in altre parole, tendono a condurlo verso la stagnazione: esso necessita pertanto di fonti esterne di domanda effettiva – esterne ai suoi meccanismi fondamentali – al fine di continuare a crescere.
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Il masso erratico
di Piero Pagliani
Avevo espresso il sospetto che sotto sotto il Cremlino preferisse vedere alla Casa Bianca Kamala Harris piuttosto che Donald Trump. Successivamente Putin sembrò confermarlo al Forum economico di Vladivostock: «Prima avevamo Biden come favorito, ma è stato escluso dalla corsa. Lui ha raccomandato a tutti i suoi sostenitori di appoggiare Harris, quindi lo faremo anche noi… lei ha una risata così contagiosa, il che vuol dire che le cose le vanno bene».
In realtà stava facendo dell'ironia sull'ennesima accusa di “interferenza” nelle elezioni statunitensi e sul perenne riso della Harris sul quale già ironizzavano gli americani stessi.
Ciononostante, trapelavano informazioni sulla “preferenza” russa per un'amministrazione Dem, più prevedibile e uniforme, rispetto a un'amministrazione Trump erratica e contraddittoria. Per il Cremlino l'Operazione Militare Speciale in Ucraina stava andando come doveva andare. Idem per le sanzioni contro la Russia [1]. La continuità dell'azione statunitense avrebbe inintenzionalmente ma inevitabilmente garantito l'indebolimento di Kiev, degli Usa, della Nato e della UE secondo modalità ormai sperimentate che finora erano rimaste al di qua dell'irreparabile e permettevano a Mosca di esercitare la propria “escalation dominance”. Per contro con Trump l'unica cosa garantita era il proseguimento dell'atteggiamento ostile verso la Russia, così scontato che Dmitri Medvedev, forse la persona più importante in Russia dopo Putin, ha dichiarato che per ripristinare normali relazioni con gli Stati Uniti ci vorranno decenni, addirittura chiedendosi se è davvero necessario farlo [2].
D'altra parte, se era stato Obama a iniziare il conflitto in Ucraina col golpe nazista della Maidan curato dalla sua plenipotenziaria Victoria Nuland, durante il suo primo mandato Trump aveva preparato l'esercito di Kiev all'invasione del Donbass e se possibile della Crimea, armandolo fino ai denti e riorganizzandolo, approfittando slealmente degli accordi di Minsk, e aveva sommerso la Russia di sanzioni come mai prima [3].
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La "produttività" mafiosa
di Carla Filosa
Con la morte di Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss delle stragi, in Italia si è voltato pagina”. Questo l’incipit dell’ultimo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso intitolato “Una cosa sola. Come le mafie si sono integrate al potere”
L’altra settimana, il 14 di gennaio, sono stati arrestati 15 mafiosi a Messina, dediti allo smaltimento di rifiuti urbani, di rifiuti speciali e rottamazione di veicoli. L’attenzione investigativa alle condotte di queste persone è stata realizzata mediante intercettazioni che hanno rilevato l’impedimento di una rendicontazione aziendale mediante una denuncia sulla perdita di registri, cioè ostacolo alla verifica di utilizzo di un mercato nero in cui sarebbero avvenute vendite senza fatturazione. Abbandonando l’evento cronachistico non nuovo e soprattutto non ultimo in questo paese, e non solo, proviamo a riparlare di mafia chiedendoci come mai emerga solo in fase di arresti, merito di indagini e interventi di polizia, mentre a livello politico e culturale è silenziata ogni problematica o riflessione sull’esistenza, espansione e soprattutto attività mafiosa funzionale.
“Con la morte di Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss delle stragi, in Italia si è voltato pagina”. Questo l’incipit dell’ultimo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso intitolato “Una cosa sola. Come le mafie si sono integrate al potere”, Mondadori, 2024. Dato l’accattivante titolo, si è pensato di accedere alla loro analisi e condividere con altri ancora le riflessioni scaturite dai dati oggettivi riportati da questi autorevoli autori, tra i pochissimi che ancora parlano di mafia e soprattutto ne contrastano l’attività.
Continua il testo: “Sconfitta la violenta genìa di mafiosi che aveva osato sfidare lo Stato, tutto è stato messo a tacere. Le priorità ora sono altre, come l’abolizione dell’abuso d’ufficio, il ridimensionamento del traffico di influenze, la separazione delle carriere nella magistratura, l’impossibilità per i giornalisti di pubblicare il contenuto delle ordinanze di custodia cautelare, la stretta sulle intercettazioni e sull’uso dei trojan per i colletti bianchi. Fa meno notizia anche la stessa corruzione, se non fosse per qualche indagine che riesce ancora a far breccia nella promiscuità dei rapporti tra politici, mafiosi, faccendieri e boiardi di Stato”.
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Ancora sull'Africa. Walter Rodney
di Carlo Formenti
I tre articoli sul marxismo africano che ho recentemente pubblicato su queste pagine, dedicati rispettivamente ad Amilcar Cabral, Said Bouamama, e Kevin Okoth (di cui è appena uscito il libro Red Africa che ho tradotto per Meltemi), hanno suscitato una certa attenzione (non solo in Italia: gli amici della rivista El Viejo Topo li stanno traducendo in spagnolo). Mi ha scritto, fra gli altri, Andrea Ughetto segnalandomi i “Ritratti” (usciti su Machina) che ha destinato ad altre due grandi figure di leader rivoluzionari neri: Thomas Sankara e Walter Rodney. Mi ha così ricordato che Rodney è pluricitato nel libro di Okoth e che quei pur brevi estratti mi avevano interessato, per cui mi sono procurato e ho letto a stretto giro due suoi lavori: The Russian Revolution. A View from the Third World e Decolonial Marxism. Essays from the Pan-African Revolution. Prima di approfondire gli stimoli che ne ho ricavato, è il caso di ricordare che Rodney, originario della Guyana, è stato un vero e proprio nomade della rivoluzione nera. Divenuto un punto di riferimento dei movimenti radicali in Jamaica, ne venne espulso (e il suo allontanamento provocò una vera e propria insurrezione). Trasferitosi in Africa, insegnò all’università di Dar Es Salaam, dove studiò il progetto di transizione al socialismo della Tanzania di Nyerere. Rientrato infine in Guyana, si impegnò a organizzare le lotte dei lavoratori del suo Paese natale, finché fu fatto assassinare (aveva trentotto anni) dai servizi del governo fantoccio al servizio dell’imperialismo occidentale, andando ad aggiungersi al lungo elenco di leader neri uccisi in Africa, Stati Uniti e Centro America.
I. La rivoluzione Russa vista dall’Africa
Perché rivendicare uno sguardo africano sulla storia della Rivoluzione Russa? Per rispondere, Rodney parte dalle menzogne che gli intellettuali occidentali hanno sfornato nelle “analisi” storiche, antropologiche, economiche, politiche e sociali che hanno dedicato a tutte le fasi – pre-coloniale, coloniale e post coloniale – della storia africana.
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