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Tesi sulle radici del male
di Anselm Jappe
1. Il sistema capitalista è entrato in una grave crisi. Non si tratta di una crisi ciclica ma di una crisi terminale, non nel senso di un collasso istantaneo bensì come un processo che segna la fine di un sistema plurisecolare. Non si tratta di profetizzare un evento futuro, ma di constatare un processo che ha cominciato a rendersi visibile all'inizio degli anni 1970 e le cui radici risalgono all'origine stessa del capitalismo.
2. Non stiamo assistendo ad una transizione verso un altro regime di accumulazione (come avvenne con il fordismo) o a nuove tecnologie (come avvenne con l'automobile), né tanto meno allo spostamento del centro del sistema verso altre regioni del mondo, ma all'esaurimento di ciò che è la fonte stessa del capitalismo: la trasformazione del lavoro in valore.
3. Le categorie fondamentali del capitalismo, così come sono state analizzate da Karl Marx nella sua critica dell'economia politica, sono il lavoro astratto ed il valore, la merce ed il denaro, che si riassumono nel concetto di "feticismo della merce".
4. Una critica morale, basata sulla denuncia della "avidità" di alcuni individui o gruppi, perderebbe di vista ciò che è essenziale.
5. Non si tratta di definirsi marxisti o post-marxisti, né di interpretare l'opera di Marx o di completarla per mezzo di altri contributi teorici.
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Antonio Gramsci e la concezione del partito comunista
di Andrea Catone
Questo 95° anniversario della fondazione del Pcdi a Livorno cade in un momento particolare, in cui i comunisti in Italia si cimentano nuovamente con l’impresa “grande e terribile” di ricostruire in Italia un partito comunista “degno di questo nome”. Impresa grande e terribile perché i comunisti, che hanno contribuito in modo determinante a scrivere la storia d’Italia nel ‘900 – dalla Resistenza antifascista alla stesura della Carta costituzionale, alle lotte politiche e sociali del secondo dopoguerra condotte lungo il filo rosso della strategia della “democrazia progressiva” – sono oggi ridotti ai minimi termini, dispersi e frammentati in piccoli rivoli. Eredi di una storia gloriosa, ma anche di errori teorici e di pratiche politiche rovinose, dovuti in gran parte a subalternità ideologica e politica alle classi dominanti e ai loro partiti di riferimento, ci proponiamo di consegnare alle nuove generazioni uno strumento – il partito comunista – che riteniamo, oggi come ieri, indispensabile per resistere al capitalismo finanziario e all’imperialismo sempre più aggressivi, e accumulare forze per la trasformazione rivoluzionaria della società.
Impresa resa ancor più difficile dal fatto che oggi è abbastanza diffusa anche nella cultura di “sinistra” la messa in discussione del partito politico tout court, in quanto tale. Questo attacco alla “partitocrazia”, apparentemente anarchico e libertario, è funzionale allo stadio oggi raggiunto dal dominio del capitale finanziario, che privilegia una società “liquida”, il più possibile atomizzata e incapace di esprimere strutture e corpi organizzati, resistenti e duraturi, alla quale far pervenire messaggi dall’alto, senza il filtro e l’elaborazione di un organismo critico e strutturato.
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In nome del popolo lontano
di Luca Baiada
Una democrazia già fragile, uscita incrinata dalla guerra fredda e entrata fiacca nella globalizzazione, adesso rischia il peggio.
La legge elettorale truffaldina del 2005 – proprio uno dei suoi confezionatori la chiamò «porcata» – è stata spazzata via dalla Corte costituzionale, ma ecco che la maggioranza parlamentare eletta proprio con quelle norme, una maggioranza che a sua volta si regge su un voto minoritario, su una parte della magra fetta dell’elettorato che è andata a votare, vuole cambiare di nuovo proprio la legge elettorale, e senza seguire i principi dettati dalla stessa Corte costituzionale.
Un governo sostenuto dalla fiducia di pochi spinge una modifica della Costituzione che riduce la partecipazione democratica. Propongono un ibrido furbo, un esile guscio di rappresentanza popolare con una polpa oscura: due camere, ma solo una è elettiva, benché figlia di un voto distante dalla partecipazione della cittadinanza. L’altra si chiama ancora Senato, ma i componenti non sono più elettivi; vengono individuati dagli enti locali, sulla base di logiche che in questo momento non sono esplicitate, ma che fanno indovinare basse manovre e stretti interessi delle segreterie di partito, o delle segreterie senza neppure un partito.
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Crisi dell'Unione Europea: il «fronte italiano» è ormai aperto
di Leonardo Mazzei
A proposito della crisi bancaria, del conflitto Renzi-Juncker e del gigantesco scontro di interessi in atto. In coda un breve commento sulle dichiarazioni di Draghi
«Le banche vengano dunque salvate (evitando il bail-in e mandando a quel paese l'UE), ma nello stesso tempo nazionalizzate»
Rassicurare. L'ordine di giornata è questo, e non potrebbe essere altrimenti. Crollano i valori borsistici delle banche italiane? Per Renzi e Padoan il sistema bancario italiano è il più solido d'Europa. Il Monte dei Paschi di Siena (Mps) perde oltre il 50% della propria capitalizzazione dall'inizio dell'anno? La soluzione "arriverà dal mercato", dice il presidente del consiglio in una mega intervista (prima, seconda e terza pagina) sul Sole 24 Ore di stamane.
Rassicurano ovviamente i banchieri - e cos'altro dovrebbero fare! -, rassicurano gli speculatori professionali (uno su tutti: il "leopoldino" Davide Serra: “ci pensiamo noi”) e rassicura perfino la Bce: la lettera alle banche sulle sofferenze? Una comunicazione di routine di ben poca rilevanza... Strano era sembrato a tutti il contrario...
Ma mentre lorsignori "rassicurano", segno evidente che non hanno al momento idee chiare sul da farsi, sarà bene fare mente locale sui cosiddetti "fondamentali". Oggi, come prevedibile, le borse europee hanno realizzato il più classico dei rimbalzi, e naturalmente chi più aveva perso nei giorni scorsi (vedi Mps e Carige) più è “rimbalzato”, senza però recuperare le perdite precedenti. Ma le borse sono solo un sintomo di una malattia che ha ben altre cause. E che richiederebbe ben altre medicine, esattamente quelle che non si trovano nelle farmacie del sistema neoliberista.
Cerchiamo perciò di risalire ai "fondamentali" per tentare di capire, pur tra tante incertezze, come potrà svilupparsi la situazione. Per farlo bisognerà però tener conto che i "fondamentali" non sono soltanto quelli di natura economica, ma pure quelli di matrice politica.
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Lo sgombero della politica
di Militant
Il minacciato sgombero di Esc, a cui diamo comunque la nostra solidarietà, non può certo definirsi un fulmine a ciel sereno. È invece l’ennesimo tassello di una stagione segnata dal commissariamento della politica. Il problema non è la difesa di questo o quel centro sociale, sebbene ovviamente necessaria (come Esc, si trovano sotto sgombero il Corto Circuito, Casale Falchetti, l’Auro e Marco, mentre per la Casa della Pace e Degage già si è provveduto in estate; per non parlare delle decine di occupazioni abitative perennemente in bilico). Il problema è che non è possibile alcuna resistenza “militare” che non passi per un riequilibrio dei rapporti di forza politici. Oggi questi sono al punto zero. Se Prefetto o Commissario decidessero di sgomberare tutto, la resistenza che potremmo mettere in campo sarebbe, in tutta onestà, ininfluente. Per ripartire dovremmo allora capire perché oggi la nostra capacità d’influenza politica è azzerata. È questa la domanda che ci pone la minaccia di Tronca: non “come faremo a resistere”, ma: come siamo arrivati a questo punto?
Anche perché, alla prima domanda, non c’è risposta: in queste condizioni non si può resistere. Questo non vuol dire arrendersi, chiaramente, ma dovremmo operare un salto di sincerità almeno fra compagni: immaginare una nostra capacità di invertire la rotta confrontandoci militarmente con il potere, come se fosse l’uso della forza la discriminante capace di fermare la volontà di pacificazione, significherebbe raccontarci una favola che ha davvero fatto il suo tempo.
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Democrazia cercasi
di Carla Maria Fabiani
Stefano G. Azzarà, Dalla caduta del muro a Renzi: sconfitta e mutazione della sinistra, bonapartismo postmoderno e impotenza della filosofia in Italia, Imprimatur editore, Reggio Emilia 2014
Vogliamo presentare il testo di Azzarà sintetizzandolo con alcune parole chiave, che certo non esauriscono l'analisi assai accurata e al tempo stesso spietata che l'Autore restituisce in merito alla crisi culturale e politica che investe l'Italia ormai da tempo, almeno dagli anni Novanta, ancora oggi decisamente in corso. Una crisi che paradossalmente sprovincializza il nostro paese - per ragioni legate innanzitutto alle relazioni economiche e geopolitiche globalizzate che lo investono - rendendo l'Italia quasi un paradigma, soprattutto nelle sue manifestazioni patologiche. Il testo di Azzarà andrebbe letto nelle aule scolastiche (oltre che universitarie, s'intende) nell'ora di educazione civica, oggi derubricata a mezz'oretta di cittadinanza e costituzione strappata alle ore - assai ridotte anch'esse - di storia. Perché è un quadro completo di riferimenti culturali e politici della storia italiana più recente. Ma è anche un attacco frontale senza mezzi termini alle responsabilità oggettive che hanno coinvolto la sinistra, di opposizione e di governo, comunque la si voglia considerare, nell'aggravamento di una sconfitta che risulta adesso molto complicato recuperare. Impossibile da recuperare? Qui la prospettiva è radicalmente realistica, se non pessimistica.
Meritevole di segnalazione poi è la bibliografia: una mappa di interpretazioni, letture filosofiche e non solo, della più recente storia culturale italiana e internazionale. Per chi volesse approfondire il tema del postmoderno ad esempio, qui c'è pressoché tutto, spesso anche commentato in nota a piè di pagina nel testo. Una sorta di guida allo studio. Ma veniamo al contenuto tematico. In sintesi.
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L’identità della sinistra come patologia politica
Andrea Zhok
1. Anamnesi
Il tema della perduta, fragile, confusa e smarrita identità della sinistra italiana rappresenta da tempo un luogo comune, del pensiero politico non meno che della satira. L’afasia politica del funzionario del PCI Michele Apicella in Palombella Rossa (1989) è attuale oggi quanto un quarto di secolo fa.
Per ribadire tale condizione patologica, divenuta oramai seconda natura, possiamo ricordare la recente riunione, tenutasi quasi clandestinamente tra i quattro partiti/movimenti che oggi si muovono alla sinistra del PD (Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, i civatiani di Possibile e SEL). Questi gruppi, riunitisi il 14 dicembre scorso per ‘trovare una sintesi’ in vista delle prossime elezioni amministrative, nella migliore tradizione della sinistra italiana non sono giunti ad alcun accordo. E per apprezzare appieno lo spirito tragicomico di questo fallimento è utile ricordare che questi quattro gruppi non rappresentano neppure la totalità del panorama politico alla sinistra del PD: andrebbero infatti aggiunti diversi gruppi a tutt’oggi non disciolti, anche se dallo statuto ontologico incerto, come i Verdi, l’Italia dei Valori, l’Altra Europa con Tsipras, e gli arancioni (De Magistris).
Tutto ciò ha un aspetto ovviamente comico, ma ha anche un lato tragico ben visibile se si pensa a cosa ciò significhi in termini di domanda politica priva di riferimenti credibili.
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L’esercito europeo di riserva
di Agenor
Le grandi strategie sono sempre composte da una sequenza di piccole iniziative e il quadro finale diventa visibile solo quando tutti i singoli pezzi del puzzle sono stati inseriti al posto giusto. La divisione in singole iniziative permette di focalizzare le discussioni su aspetti minori, senza sottoporre la grande strategia al vaglio dell’opinione pubblica o del dibattito parlamentare. Le grandi strategie sovranazionali, poi, hanno anche il vantaggio di limitare il dibattito oltre che alle singole misure anche a specifiche questioni locali, interne ai singoli paesi. Il disegno strategico di fondo non può essere contestato perché non è reso esplicito, non è sottoposto a dibattito e supera i confini delle competenze nazionali. Esso rimane quindi perfettamente al riparo dal processo democratico.
Uno di questi grandi disegni strategici che si sta realizzando in questi anni è la trasformazione dello stato sociale e del mercato del lavoro in Europa. Il cambio di paradigma fu dichiarato vent’anni fa dall’OCSE: passare dall’attivismo dello stato in economia per promuovere la piena “occupazione” alle politiche liberiste e mercantiliste per promuovere la piena “occupabilità”. Destra e sinistra in tutti i paesi si sono egualmente spese senza grandi distinzioni, in Italia come in Europa, per applicare il nuovo paradigma. Come tutte le grandi strategie, anche questa è composta da una sequenza di misure specifiche e ha un preciso modello di riferimento.
Il primo punto è il contenimento dei salari. È fondamentale che livello dei salari sia basso per mantenere competitivo il sistema produttivo.
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Finanza globale e politiche monetarie
Un azzardo morale?
Mauro Magatti
1. È oramai largamente condivisa l'idea secondo cui se dal 2008 ad oggi – negli USA prima e più di recente nella UE – le cose non sono andate troppo male è grazie alle politiche monetarie super-espansive – che ancora qualche anno fa venivano chiamate "non convenzionali". Politiche che hanno permesso di respirare a economie anemiche.
In effetti, l' obiettivo fondamentale di tale intervento è stato quello di ricostituire un livello minimo di fiducia al di sotto del quale le imprese non investono, i consumatori non spendono, le banche non prestano. Da questo punto di vista, quanto hanno fatto le autorità monetarie in questi ultimi anni è stato fondamentale, anche se non esente da rischi. Il problema è che, come i critici hanno sostenuto, la sovraesposizione finanziaria dell'economia globale dal 2008 ad oggi non solo non si è ridotta, ma è addirittura aumentata. Il che significa che quello che Keynes chiamava il "feticcio della liquidità" – e cioè la patologia dei mercati finanziari interessati solo ai rendimenti di breve periodo – è tutt'altro che debellato: in un sistema globale in cui fluttuano enormi quantità finanziarie, ritrovare un sentiero di crescita è molto difficile dato che vi sono contemporaneamente problemi di distribuzione del reddito, di disallocazione delle risorse e di instabilità cronica.
Quel che è chiaro è che la fiducia costruita solo sull'azione della Banche centrali non basta. Le politiche espansive adottate dalla FED (e più di recente della BCE) vanno intese solo come un modo per guadagnare tempo. Il tempo necessario alla politica e alla società per far ripartire l'economia reale e delineare un nuovo modello di crescita.
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Narcisismo e feticismo della merce
Qualche osservazione a partire da Cartesio, Kant e Marx
di Anselm Jappe
Feticismo della merce e narcisismo: è intorno a questi due concetti, ed alle loro conseguenze, che si articola questo testo. Il suo retroterra teorico è dato dalla critica del valore, del lavoro astratto, del denaro e del feticismo della merce, così come è stata sviluppata soprattutto da Robert Kurz e dalle riviste Krisis ed Exit!, in Germania, e da Moishe Postone, negli Stati Uniti, dopo la fine degli anni 1980.
Feticismo della merce, è un concetto introdotto da Karl Marx nel primo capitolo del Capitale. Lo si è spesso voluto intendere come una forma di falsa coscienza, o di una semplice mistificazione. Tuttavia, un'analisi più approfondita [*1] dimostra che si tratta di una forma di esistenza sociale totale che si situa a monte di ogni separazione fra riproduzione materiale e fattori mentali: essa determina le forme stesse del pensiero e dell'agire. Il feticismo della merce condivide questi tratti con altre forme di feticismo, come la coscienza religiosa. Potrebbe così essere caratterizzato come una forma a priori.
Il concetto di forma a priori evoca evidentemente la filosofia di Immanuel Kant. Tuttavia, lo schema formale che precede ogni esperienza concreta e che a sua volta la modella, che è qui in questione, non è affatto ontologico, come lo è in Kant, ma storico e soggetto ad evoluzione.
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L'imperialismo oggi: che cos'è e dove va
Guglielmo Carchedi * | retedeicomunisti.org
I. Con la disfatta storica del movimento operaio, la parola "imperialismo" è scomparsa dal vocabolario della sinistra ed è stata rimpiazzata da "globalizzazione". Tuttavia, se la parola è scomparsa, la realtà persiste.
Vediamo prima di tutto cosa non è l'imperialismo. Prendiamo ad esempio la nozione di Impero di Toni Negri. Ho scritto una lunga critica di Impero in un mio libro recente (Behind the Crisis). Qui posso solo menzionare telegraficamente alcuni dei punti chiave di Impero senza aver la pretesa di dare una valutazione anche minimamente completa .
Nell'Impero di Negri, mentre l'imperialismo era un'estensione della sovranità degli stati europei oltre i loro confini nazionali, ora l'Impero è un network globale di potere e contro potere senza un centro (p. 39). Quindi gli Stati Uniti non formano, e nessuno stato può formare, il centro di un progetto imperialista (p.173). Gli Stati Uniti intervengono militarmente nel nome della pace e dell'ordine (p.181).
Ma è ovvio
(1) che il ruolo degli stati non stia scomparendo, anche se come vedremo, alcuni sono inglobati in blocchi imperialisti
(2) che la nozione di potere e contropotere ignora che il potere delle nazioni dominanti non è lo stesso potere delle nazioni dominate
(3) che l'imperialismo, lungi dallo scomparire si sta trasformando pur rimanendo essenzialmente lo stesso
(4) che poi gli USA intervengano militarmente per mantenere la pace, è un'affermazione che glorifica e giustifica quell'imperialismo di cui Negri nega l'esistenza.
Consideriamo allora una persona più seria, Lenin.
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Libia: la piazza chiede diplomazia, la Germania chiede le bombe
E l'Italia, chi ascolterà?
Patrick Boylan
Dopo le manifestazioni riuscite di sabato contro la guerra permanente, urge ora incalzare di continuo il governo, sollecitato da più parti a mandare l'Italia in una nuova e catastrofica avventura militare in Libia
Venticinque anni di guerra evidentemente non bastano a certi paesi della Nato, preoccupati per il caos che regna in Libia.
Venticinque anni di guerra sono invece fin troppi per le migliaia di italiani scesi nelle piazze di molte città italiane sabato scorso per esigere la fine di un susseguirsi ininterrotto di guerre nel mondo, iniziate il 16 gennaio del 1991 con l'operazione “ Tempesta nel deserto”. Quel giorno attaccarono l'esercito iracheno di Saddam Hussein le forze armate degli Stati Uniti affiancate da quelle di numerosi alleati, ivi compresa l'Italia – e ciò malgrado il divieto della sua Costituzione di partecipare alle guerre offensive. Purtroppo, dopo aver assaggiato quel primo frutto proibito, l'Italia si è data poi ad una scorpacciata durata un quarto di secolo: nel 1996, la guerra in Kosovo; nel 2001 (e fino ad oggi), la guerra in Afghanistan; nel 2003 (e fino ad oggi), la guerra in Iraq e, poi, nel 2011 la guerra in Libia e, indirettamente, la guerra in Siria.
E oggi l'Italia sta forse per partecipare ad una nuova guerra in Libia, voluta dai paesi della NATO, Germania in testa , per portare l'ordine nel caos libico con i missili e con le bombe: infatti, per la Ministra tedesca alla Difesa von der Leyen, è l'unico modo per dare alla Libia una speranza per il futuro e per salvarla da un oppressore. Ossia, la stessa argomentazione di quattro anni fa, con “unità nazionale” che rimpiazza “primavera araba” come speranza e “Isis” che rimpiazza “Gheddafi” come oppressore.
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Tempi complessi
P. Bartolini intervista Pierluigi Fagan
Il pensiero della complessità e l'interpretazione del mondo. Intervista a Pierluigi Fagan
Lei si occupa da anni di "complessità" declinando con rigore e ironia una critica duplice: al capitalismo globale, con la sua classe politica e imprenditoriale, e ai nemici del Sistema che continuano a ragionare adottando schemi logici vecchi almeno di due secoli. Quali sono, a suo avviso, gli errori principali di coloro che, un giorno sì e l'altro pure, vorrebbero capovolgere il capitalismo e puntualmente non vi riescono?
Appunto il fatto che un giorno e l'altro pure, tentano, non vi riescono ma non riescono neanche a cumulare qualche avanzamento sostanziale nell'opera e dopo un secolo e mezzo non si pongono la domanda su cosa non va di questo loro tentare e non riuscire. Il sistema anticapitalista ha il suo problema nella sua stessa definizione, che è negativa. L'esercizio del negativo ha ragioni logiche che rispondono a valori, ma l'ordinatore del nostro vivere associato risponde solo alla capacità che ha di fornire un qualche tipo di adattamento. Possiamo criticarlo in quantità e qualità a piacere ma fino a che non verrà progressivamente mosso, manipolato intenzionalmente, per diventare qualcos'altro che produca miglior adattamento (magari non solo materiale, ma neanche solo ideale), da una parte rimarranno idee in forma di parole, dall'altra permarranno fatti in forma di prassi.
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Walter Benjamin. A Critical Life
Roberto Gilodi
Di fronte alle 700 pagine di Walter Benjamin. Una biografia critica, recentemente uscito da Einaudi, di cui sono autori i curatori americani delle opere benjaminiane Howard Eiland e Michael W. Jennings, viene da chiedersi cosa alimenti questa inesausta curiosità biografica nei confronti del filosofo, critico e scrittore tedesco.
Da quando Adorno e Scholem iniziarono, dopo la fine della seconda guerra mondiale, a pubblicare presso l’editore Suhrkamp le sue opere, vide la luce quasi da subito una quantità impressionante di studi, variamente assortiti tra ricerca, testimonianza e ricostruzione esistenziale. Scritture di tutti i tipi: indagini micrologiche, virtuosismi filologici, ossessioni archivistiche e fantasiose ricostruzioni narrative[1]. Il perché di questo inesausto accanimento biografico sta forse in una singolare caratteristica che Benjamin condivideva con altri intellettuali degli anni di Weimar, ma che in lui ebbe una declinazione particolarmente accentuata: la capacità di praticare il ‘saggismo’ non solo come uno stile di scrittura e una forma di pensiero ma come uno stile di vita. L’icona ideale che corrisponde a questa sintesi di pensiero e modo di vivere è il flâneur, colui che si sottrae alla razionalità strumentale – quella delle azioni finalizzate, del camminare verso una meta – per lasciarsi sorprendere dalla verità che si cela nella banalità del dettaglio: la sua apparente passività è la condizione che gli permette di vedere ciò che la massa in movimento non vede e non può vedere perché impedita dagli automatismi percettivi imposti dall’ordine sociale al quale è sottomessa. Il flâneur, e Benjamin si è identificato con esso fin dagli anni giovanili, è infatti colui che si sottrae alla tirannia del funzionale per osservare il mondo con la gratuità dell’esegeta a cui interessa scoprire la verità anziché perseguire un beneficio immediato. Ma non solo. Il flâneur è anche chi scopre gli indizi che rivelano il senso di un’epoca e la direzione del tempo storico.
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Quarto, Juncker, Etruria, Sindona ed il Bail In
Cosa c’entrano uno con l’altro?
di Aldo Giannuli
Quarto è una ridente cittadina della provincia di Napoli, con 40.000 abitanti. Certo, non un centro piccolissimo, ma insomma, neanche una metropoli come New York o Shanghai e neppure Milano o Roma. Se ne parla ininterrottamente da dieci giorni. Per cosa poi?
Perché un consigliere del M5s avrebbe fatto pressioni sulla sindaca (parimenti del M5s) a proposito di alcune concessioni e/o appalti, e di un abuso edilizio per una mansarda, pressioni peraltro respinte dall’interessata. A questo sarebbero seguite imprecisate minacce e/o ricatti. Il ricatto riguarderebbe un abuso edilizio riguardante una mansarda di proprietà del marito della sindaca (mi adeguo alla vague femminista per cui bisogna declinare al femminile, ma è un orrore linguistico, sappiatelo) ora indagato. Non so a voi, a me non pare una notizia da prima pagina. D’accordo, la vicenda è tutta pasticciata, ma alla fine, stiamo parlando di pressioni per favori non ricevuti e di un abuso edilizio che è veramente piccola cosa. Certo: Quarto è un comune sciolto più volte per infiltrazioni camorristiche (come ce ne sono a centinaia) ed è giusto che ci sia un po’ più di attenzione, ma che tenga la prima pagina per dieci giorni, mi pare cosa un po’ sproporzionata: se vi prendete la briga di misurare in righe lo spazio dedicato, in questi 10 giorni, agli attentati di Istanbul, Dijakarta, Burkina Faso, alla crisi della borsa di Shanghai, allo scandalo Renault, a quello della Banca Etruria ed alla riforma costituzionale, noterete che si tratta più o meno dello stesso spazio e, tendenzialmente, un po’ meno.
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Gli spettri dell’innovazione
Benedetto Vecchi
Il capitalista di ventura, l’ingegnere e il pubblicitario. In tre saggi la descrizione di altrettante figure che operano per normalizzare la produzione di nuovi manufatti e idee. Wall Street è diventato il motore della ricerca scientifica di base e applicata. Parola dell’economista e capitalista finanziario William H. Janeway. Per il fisico Guru Madhavan, serve un pensiero sistemico modulare. È questo infatti il segreto per dare via libera alla creatività e produrre buoni manufatti. I cacciatori di idee devono infine conoscere bene «la cultura di strada» per vendere una merce sinonimo di uno stile di vita. Il saggio di Wally Olin per Einaudi
Il capitalista di ventura, l’ingegnere, il pubblicitario. Tre figure attorno alle quali è stata cesellata la retorica dell’innovazione, la parola magica per legittimare socialmente il capitalismo come la forma forse imperfetta ma migliore di tante altre nell’organizzare le relazioni umane.
Il capitalista di ventura è, recita la vulgata, colui che mette in rapporto il denaro con le idee. Ha cioè il compito di raccogliere gli iniziali finanziamenti per far decollare iniziative economiche tese alla produzione di prototipi, che in secondo momento possono diventare prodotti da mettere sul mercato. Definisce dunque lo spazio per l’incontro tra la finanza e la produzione.
Nell’immaginario collettivo è rappresentato come un personaggio eccentrico restio a mostrarsi in pubblico. Opera dietro le quinte, da dove svolge un’opera di paternage rispetto a uomini – le donne sono poco presenti – che possono avere idee brillanti ma sono incapaci di fare i conti con la realtà.
Nella ormai vasta pubblicistica sull’innovazione il venture capitalist è altresì qualificato come un avido ma pragmatico e lucido corsaro: il suo è il pragmatismo del giocatore d’azzardo. Tutto deve essere calcolato, pianificato, anche il rischio di fallimento.
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La sostanza del capitale
Prima parte: La qualità storico-sociale negativa dell'astrazione "lavoro"
di Robert Kurz
L'Assoluto [Absolutheit] e la relatività nella Storia. Per la critica della riduzione fenomenologica della teoria sociale
A ben vedere, quasi sempre si può constatare che esistono delle corrispondenze e delle correlazioni fra mutazioni storiche del tutto diverse, in aree del sapere o sfere della vita apparentemente separate fra di loro. Nel sistema produttore di merci della modernità, già nella sua costituzione primitiva, aree come la filosofia, la medicina, l'economia, le scienze naturali, la politica, il linguaggio, ecc., sebbene non si siano sviluppate secondo lo stesso ritmo, si sono pur sviluppate secondo una direzione comune, riferendosi sempre, oggettivamente, le une alle altre. Il motivo di questa concordanza o correlazione, a volte sorprendente, dev'essere evidentemente cercato nello sviluppo della relativa formazione sociale, la quale costituisce il legame comune intrinseco ai vari domini esistenziali, aree di conoscenze e competenze. Con ciò, tuttavia, si dice che non si può avere un sapere assoluto nel modus esistenziale della temporalità: tutto il sapere, anche quello che sembra puramente oggettivo, "rigido", atemporale, è storico e socialmente condizionato, ed è anche in un certo qual modo (non a caso) relativo.
Apparentemente, questa consapevolezza della relatività costituisce un progresso del sapere avvenuto nel XIX e nel XX secolo, che proviene dalla storiografia (a partire dallo storicismo) e passa dall'economia politica (dottrina del valore soggettiva o relativista), dalle scienze naturali (fisica quantistica), dalla linguistica (Saussure) e dalla filosofia (il "pensiero post-metafisico", la "svolta linguistica"), e sfocia nel generalizzato anti-essenzialismo, e relativismo, postmoderno.
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Il nuovo crollo delle borse in Cina: un’analisi critica
di Ferdinando Gueli
A distanza di sei mesi i mercati finanziari internazionali ripiombano nel panico a causa dei ripetuti crolli dei titoli sulle borse cinesi. Ma ad una più attenta analisi dei fattori reali in campo e del contesto generale, gli allarmismi largamente diffusi a livello mediatico appaiono non del tutto giustificati e “sospetti” di servire da strumento per giustificare altre dinamiche che caratterizzano questa fase fluida del capitalismo contemporaneo
La recente vicenda del crollo delle borse di Shanghai e Shenzhen in Cina ha aperto il nuovo anno tenendo banco sul “grande circo mediatico globale”, parimenti alle tensioni tra Arabia Saudita e Iran ed agli esperimenti nucleari in Nord Corea.
La vicenda, tuttavia, merita di essere analizzata con maggiore attenzione critica per scorporare i fattori effimeri e/o mediatici da quelli reali. È evidente infatti, come già accaduto con le analoghe crisi verificatesi nel mese di luglio 2015, che, per comprendere il reale impatto di questi eventi, non si può prescindere dal collocarli nel quadro più generale dell’attuale congiuntura politica ed economica cinese ed internazionale.
Già l’estate scorsa, su queste colonne, sia Alessandro Bartoloni che Ascanio Bernardeschi avevano evidenziato le caratteristiche tutte particolari dei mercati borsistici cinesi e le cause effettive di quei crolli che, in realtà, erano da imputare ad una serie di fattori endogeni ed esogeni ma molto specifici.
I fatti
I media mainstream internazionali hanno insistito sull’impatto negativo dell’andamento del mercato borsistico cinese a livello globale, anche se non viene data alcuna evidenza di quale sia l’effettiva interdipendenza tra i mercati dei capitali e valutari cinesi e quelli internazionali.
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«La nostalgia non basta, ma è un buon punto di inizio»
V. Montebello intervista Giorgio Agamben
Introduzione
In questa intervista, gentilmente concessa da Giorgio Agamben, si discutono alcuni dei temi più cari a Pier Paolo Pasolini, sia da un punto di vista teoretico che da un punto di vista personale. Agamben conosceva Pasolini e ha interpretato il ruolo di Filippo ne Il Vangelo secondo Matteo. La conversazione si concentra sull’anarchia del potere, la scomparsa delle lucciole e la potenza aristotelica, con l’intenzione di riportare in vita questi concetti, di evocare scenari. Dai ricordi di Agamben al presente, attraverso la strumentalizzazione del cibo, la decadenza delle città, fino al futuro, accennando ad un nuovo modo di abitare e ad una politica che possa esserne all’altezza.
***
Pasolini è stato un lucido analista di quel Potere che definiva «senza volto» e della sua congenita arbitrarietà. A proposito dell’origine anarchica che lo contraddistingue - anarchia che al fondo sarebbe anche il suo fine - e al tuo riferimento a Salò o le120 giornate di Sodoma in Nudità («La sola vera anarchia è quella del potere»), come s’inserisce l’ingovernabile, «ciò che è al di là del governo e perfino dell’anarchia»? Si può pensarlo come una forma di resistenza prima, di principio, invece che di reazione?
Il potere si costituisce catturando al suo interno l’anarchia, nella forma del caos e della guerra di tutti contro tutti. Per questo l’anarchia è qualcosa che diventa pensabile solo se si riesce prima ad esporre e destituire l’anarchia del potere. Klee, nelle sue lezioni, distingue il vero caos, principio genetico del mondo, dal caos come antitesi dell’ordine. Nello stesso senso penso che si debba distinguere la vera anarchia, principio genetico della politica, dall’anarchia come semplice antitesi dell’archè (nel suo duplice significato di ‘principio’ e ‘comando’). Ma in ogni caso essa è qualcosa che diventerà accessibile solo quando una potenza destituente avrà disattivato i dispositivi del potere e liberato l’anarchia che essi hanno catturato.
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Incertezza e instabilità: la Teoria Generale di Keynes 80 anni dopo
Federico Stoppa
Riprendere in mano un libro di teoria economica scritto ottant’anni fa; studiarlo a fondo, cercando chiavi interpretative per il capitalismo contemporaneo, e strumenti operativi in grado di emendarne i suoi peggiori difetti, che, allora come oggi, rimangono la disoccupazione di massa e la distribuzione iniqua e arbitraria di reddito e ricchezza. Scoprire l’attualità, la freschezza di un pensiero che il tempo non ha fiaccato. E contemporaneamente disfarsi di centinaia di articoli, papers, libri freschi di stampa ma già superati sul piano delle idee. Scopo delle righe che seguono sarà di riportare alla luce la lezione del più grande economista del Novecento, John Maynard Keynes: che l’economia capitalistica è intrinsecamente instabile e che la teoria economica dominante nell’accademia, nei centri studi e nelle cancellerie internazionali, quella neoclassica[1], basata sull’equilibrio economico generale e sulla neutralità della moneta[2], non è in grado di spiegare i fatti economici più rilevanti del mondo in cui viviamo.
Il ruolo dell'incertezza
L’innovazione profonda e radicale che John Maynard Keynes porta in dote alla teoria economica è di carattere metodologico; riguarda l’accento che egli pone sull’incertezza che caratterizza il contesto decisionale degli agenti economici . E che lo porta per questo a rifiutare l’approccio deterministico allo studio del sistema economico impiegato dalla teoria mainstream neoclassica.
L’incertezza è legata all’incapacità, da parte degli agenti economici, di fare previsioni attendibili su eventi futuri, per mancanza di conoscenza[3].
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Libertà e schiavitù
di Luciano Canfora
Trascrizione della prolusione di Luciano Canfora “Libertà e schiavitù”, tenutasi alla quarta edizione del convegno internazionale “Euro, mercati, democrazia: ripensare l’unione dell’Europa” il 14 novembre 2015 a Montesilvano (Pescara)
Grazie per questa occasione importante nella quale sono lieto di ritrovarmi, in un giorno non lieto, ma dolorosamente significativo.
Temo che l’argomento suggerito sia un po’ troppo accademico rispetto al carattere molto battagliero – giustamente battagliero – del convegno. Però forse una riflessione un po’ fredda sulla tematica anche lessicale, oltre che storica, di questo binomio libertà-schiavitù qualche rapporto con la vicenda della costruzione europea potrebbe averlo: e vediamo in quale delle due direzioni.
Partirei da una riflessione lessicale, vale a dire l’uso improprio di questo termine latino – libertà, libertas – che è stato assai largamente praticato.
Faccio alcuni esempi, molto noti: gli estremisti bianchi del Sudafrica avevano dato vita alla metà degli anni ’90 a un movimento politico che si chiamava Fronte della libertà.
E potremmo soggiungere che il movimento politico che contribuì fortemente ad abbattere il presidente Allende si chiamava Patria e libertà, un binomio tornato anche in altre formazioni politiche; quando la giunta dei generali traditori emise il primo comunicato alla radio – Allende si era appena suicidato – dichiarò che le forze armate e i carabineros erano uniti nella missione storica di lottare per la libertà.
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Sul crepuscolo di una subalternità
di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto
In vista della presentazione a Bologna (qui l’evento Facebook) di La fabbrica rovesciata. Comunità e classi nei circuiti dell’elettrodomestico di Graziano Merotto (Roma, DeriveApprodi, 2015), pubblichiamo il poscritto al volume di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto
Ci sono poscritti che si scrivono per dovere e altri che si scrivono per convenienza. Questo lo scriviamo per interesse: certamente non per lucrare qualche prebenda a beneficio dell’autore; e neppure per chiedere venia delle eventuali manchevolezze dell’opera, consapevoli come siamo delle coscienziose ricerche di Graziano Merotto in un reame industriale chiuso, che soltanto nel corso di un tempo da lui ben speso gli è stato possibile rischiarare. Il nostro è un interesse inteso a incoraggiare il dibattito sui rapporti industriali del presente e del futuro, al di fuori dei pregiudizi interessati alle armonie prestabilite.
Si tratta di un dibattito che si situa all’intersezione di alcune branche delle scienze sociali. Altre discipline appaiono parche di contributi per la ricostruzione di controversi processi sociali contemporanei. Sull’argomento studiato da Graziano Merotto le eccezioni sono rare. Lettrici e lettori potrebbero dubitare degli ostacoli che l’autore ha dovuto superare per portare a termine questo volume. In effetti, gli ostacoli non traspaiono nel testo, che anzi mostra un sereno distacco sine ira ac studio rispetto alle singole figure che impersonano il capitalista e il proprietario fondiario, rappresentanti di rapporti sociali di cui in realtà sono le creature.
Il libro è il frutto di una ricerca priva di sostegni pubblici e privati, svolta nei meandri di ambienti industriali di cui poco si conosceva, e portata a termine con notevole motivazione. In realtà, l’autore ha sviluppato una conricerca esemplare con i protagonisti delle molteplici iniziative operaie che hanno trasformato in soggetto politico la forza-lavoro del comparto dell’elettrodomestico nell’area studiata.
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Derivati, nel 2016 il Tesoro perderà altri 5 miliardi
di Luca Piana
Il ministro Padoan risponde a un'interrogazione dei 5 Stelle. E si scopre che le perdite dello Stato sui prodotti ad alto rischio crescono sempre più. Vanificando gli effetti positivi sui conti del "quantitative easing" della Bce
Come se non ci fosse Mario Draghi. Come se la Banca centrale europea (Bce) non avesse mai lanciato il “quantitative easing”, la massiccia manovra di sostegno all’economia dei Paesi dell’Eurozona. Come se i tassi d’interesse sul debito pubblico non fossero da tempo crollati in prossimità dello zero. È questo l’effetto paradossale che il Tesoro è costretto ad affrontare negli ultimi mesi a causa dei cosiddetti derivati sottoscritti negli anni passati con le banche internazionali, i cui contratti sono tenuti sotto stretto riserbo. In poche parole: mentre il debito pubblico costa allo Stato sempre meno in termini d’interessi, grazie agli interventi effettuati dalla Bce di Draghi, i derivati si stanno mangiando per intero o quasi i risparmi che ne dovrebbero venire, costringendo il Tesoro a un esborso crescente.
L’amara verità emerge dalla risposta che il ministero dell’Economia ha fornito il 22 dicembre a un’interrogazione presentata dal Movimento 5 Stelle. Nel documento gli uffici di Pier Carlo Padoan hanno messo per la prima volta nero su bianco alcune cifre destinate a far discutere. Hanno reso noto che nel 2015 i derivati sono costati al Tesoro un flusso negativo in termini di interessi di 3,6 miliardi. E hanno aggiunto che nel 2016 la spesa è prevista salire a 4,1 miliardi.
Quello appena iniziato, dunque, rischia di essere un anno durissimo su questo fronte della spesa pubblica. In una precedente interrogazione, Padoan aveva infatti rivelato che, su uno dei vari derivati, esistono clausole che entro il prossimo marzo daranno alla banca che l’ha sottoscritto la possibilità di chiuderlo, facendosi liquidare dal Tesoro una cifra stimabile oggi in 849 milioni.
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2016. La Nato che verrà…
Antonio Mazzeo
Aggressiva, dissuasiva e preventiva; onnicomprensiva, globale e multilaterale; cyber-nucleare, superarmata e iperdronizzata; antirussa, anticinese, antimigrante e anche un po’ islamofoba. Strateghi di morte e mister Stranamore vogliono così la NATO del XXI secolo: alleanza politico-economica-militare di chiara matrice neoliberista che sia allo stesso tempo flessibile e inossidabile, pronta ad intervenire rapidamente e simultaneamente ad Est come a Sud, ovunque e comunque.
La prova generale della NATO che verrà… si è svolta dal 3 ottobre al 6 novembre 2015 tra lʼItalia, la Spagna, il Portogallo e il Mediterraneo centrale. Denominata Trident Juncture 2015, è stata la più grande esercitazione NATO dalla fine della Guerra fredda ad oggi, con la partecipazione di oltre 36.000 militari, 400 tra cacciabombardieri, aerei-spia con e senza pilota, elicotteri, grandi velivoli cargo e per il rifornimento in volo e una settantina di unità navali di superficie e sottomarini. Presenti le forze armate di 30 paesi, sette dei quali extra-NATO o in procinto di fare ingresso formalmente nell’Alleanza (Australia, Austria, Bosnia Herzegovina, Finlandia, Macedonia, Svezia e Ucraina). In qualità di “osservatori”, inoltre, gli addetti militari di Afghanistan, Algeria, Azerbaijan, Bielorussia, Brasile, Colombia, Corea del Sud, El Salvador, Emirati Arabi Uniti, Giappone, Kyrgyzistan, Libia, Marocco, Mauritania, Messico, Montenegro, Russia, Serbia, Svizzera e Tunisia.
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Il mio Iraq. E quello degli altri
16/1/2016, 25 anni dall'inizio dell'olocausto
di Fulvio Grimaldi
“Quando racconto la verità, non è tanto per convincere coloro che non la conoscono, quanto per difendere quelli che la sanno”. (William Blake)
“E finchè facevano guerre, il loro potere veniva preservato, ma quando ottennero l’impero, caddero. Perché dell’arte della pace non sapevano niente e non si erano mai dedicati a nulla che fosse meglio della guerra”. (Aristotele. Gli Usa, dalla nascita, hanno fatto in media una guerra all’anno).
Una partita con tre campi da gioco
In tutte le guerre, rivoluzioni, aggressioni che ho vissuto e ho provato a raccontare, si configuravano sempre tre schieramenti. Il primo stava sul campo “Realtà” ed era costituito dal popolo sotto attacco e dai suoi amici in giro per il mondo; il secondo stava sul lato opposto, in un campo chiamato “Menzogna” ed erano le armate e le parole di soldati, politici, banchieri, industriali colonizzatori. In mezzo, con una gamba di qua e una di là, in un campetto di nome “Né-Né”, ciondolavano gli Astenuti. Ho sempre pensato che, per primi, dovevano essere tolti di mezzo questi qua. Confondevano sia la vista, sia i suoni dello scontro, che quelli della “Realtà” si sforzavano di percepire. Spargevano, anche all’occhio di chi guardava dalla finestra, una nebbiolina che offuscava i contorni. Per me combattere quelli del campo “Menzogna” significa far piazza puilita degli “Astenuti”. Dopo, si sarebbero potuti affrontare i nemici, meglio identificati grazie alla scomparsa dei mistificatori. Con gli Astenuti, va detto, gli irreali non se la sono mai presa.
Sono parecchi i luoghi dove ho visto questi soggetti manifestarsi, sempre nella formazione appena descritta: Palestina 1967, Irlanda 1969-1990, Jugoslavia 1999-2001, Iraq 1977-2003, Venezuela, Argentina, Bolivia, Ecuador 2002-2006, Cuba 1995-2005, Libano 1997-2006, Libia 2011, Siria dal 2012.
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Gli articoli più letti degli ultimi tre mesi
Carlo Di Mascio: Diritto penale, carcere e marxismo. Ventuno tesi provvisorie
Carlo Lucchesi: Avete capito dove ci stanno portando?
Carlo Rovelli: Una rapina chiamata libertà
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Domenico Moro: La prospettiva di default del debito USA e l'imperialismo valutario
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Il Pungolo Rosso: Una notevole dichiarazione delle Brigate Al-Qassam
comidad: Sono gli israeliani a spiegarci come manipolano Trump
Alessandro Volpi: Cosa non torna nella narrazione sulla forza dell’economia statunitense
Leo Essen: Provaci ancora, Stalin!
Alessio Mannino: Contro la “comunità gentile” di Serra: not war, but social war
Sonia Savioli: Cos’è rimasto di umano?
L'eterno "Drang nach Osten" europeo
Gianni Giovannelli: La NATO in guerra
BankTrack - PAX - Profundo: Obbligazioni di guerra a sostegno di Israele
Alessandro Volpi: Come i dazi di Trump mettono a rischio l’Unione europea
Marco Savelli: Padroni del mondo e servitù volontaria
Fulvio Grimaldi: Siria, gli avvoltoi si scannano sui bocconi
Mario Colonna: Il popolo ucraino batte un colpo. Migliaia in piazza contro Zelensky
Enrico Tomaselli: Sulla situazione in Medio Oriente
Gianandrea Gaiani: Il Piano Marshall si fa a guerra finita
Medea Benjamin: Fermiamo il distopico piano “migliorato” di Israele per i campi di concentramento
Gioacchino Toni: Dell’intelligenza artificiale generativa e del mondo in cui si vuole vivere
Fulvio Grimaldi: Ebrei, sionismo, Israele, antisemitismo… Caro Travaglio
Elena Basile: Maschere e simulacri: la politica al suo grado zero
Emiliano Brancaccio: Il neo imperialismo dell’Unione creditrice
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Carlo Di Mascio: Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista
Giovanna Melia: Stalin e le quattro leggi generali della dialettica
Emmanuel Todd: «Non sono filorusso, ma se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa»
Andrea Del Monaco: Landini contro le due destre descritte da Revelli
Riccardo Paccosi: La sconfitta dell'Occidente di Emmanuel Todd
Andrea Zhok: La violenza nella società contemporanea
Carlo Di Mascio: Il soggetto moderno tra Kant e Sacher-Masoch
Jeffrey D. Sachs: Come Stati Uniti e Israele hanno distrutto la Siria (e lo hanno chiamato "pace")
Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
Salvatore Bravo: "Sul compagno Stalin"
Andrea Zhok: "Amiamo la Guerra"
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
S.C.: Adulti nella stanza. Il vero volto dell’Europa
Yanis Varofakis: Il piano economico generale di Donald Trump
Andrea Zhok: "Io non so come fate a dormire..."
Fabrizio Marchi: Gaza. L’oscena ipocrisia del PD
Massimiliano Ay: Smascherare i sionisti che iniziano a sventolare le bandiere palestinesi!
Guido Salerno Aletta: Italia a marcia indietro
Elena Basile: Nuova lettera a Liliana Segre
Alessandro Mariani: Quorum referendario: e se….?
Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
Michelangelo Severgnini: La Libia e le narrazioni fiabesche della stampa italiana
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF
A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto