Von der Leyen bis, il vuoto della politica
di Andrea Guazzarotti
La candidata alla Presidenza della Commissione per il Partito popolare europeo, Ursula von der Leyen, è stata prima designata dal Consiglio europeo (capi di Stato o di governo), poi eletta dal Parlamento europeo (PE). La Presidente uscente, candidata del più grande gruppo politico al PE, è stata, dunque, riconfermata, dopo che il suo gruppo ha ottenuto una chiara maggioranza relativa, in crescita rispetto alle precedenti elezioni europee. Si tratta di una prova di stabilità nella continuità delle istituzioni europee, oppure di una vittoria figlia della cintura sanitaria europeista eretta nel Parlamento europeo, che poco ha a che spartire con la credibilità personale e istituzionale guadagnate sul campo dalla Presidente uscente (Cerretelli)? Una Presidente «che pochi amano ma molti hanno rieletto per evitare una crisi istituzionale devastante» (ibidem).
Far scegliere agli elettori la Presidenza della Commissione, o della truffa delle etichette
La continuità delle istituzioni europee, in realtà, è difficile da testare. Rispetto alla precedente elezione della “Von der Leyen I”, si è trattato di un apparente ritorno alla prassi – in passato ardentemente patrocinata dal Parlamento europeo – degli Spitzenkandidaten. Una prassi progettata dall’illusione dell’accademia di trasformare la struttura costituzionale dell’UE senza passare per la riforma dei Trattati e, soprattutto, per la (improbabile quanto dolorosa) costruzione di un’egemonia politica e di un demos europeo. Per avvicinare gli elettori alle istituzioni europee e politicizzare la formazione della Commissione, in modo da ridimensionare il ruolo di King-maker del Consiglio europeo (cioè dei governi nazionali), era stata valorizzata la novità normativa del Trattato di Lisbona (2009) che imponeva al Consiglio europeo di designare la Presidente della Commissione «tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo» (art. 17.7 TUE).