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L’invasione russa segna una svolta nell’ordine mondiale
di David Harvey
Non è vero che dal ’45 abbiamo vissuto in pace. Ma allora l’inclusione di Germania e Giappone nel consesso mondiale raffreddò i conflitti. Invece l’umiliazione di Russia e Cina, insieme a keynesismo militare, brutali ricette di austerity e una Nato aggressiva a est hanno aggravato il quadro
Lo scoppio della guerra vera e propria con l’invasione russa dell’Ucraina segna una profonda svolta nell’ordine mondiale. Come tale non può essere ignorata dai geografi che sono riuniti (ahimè su Zoom) nella nostra conferenza annuale, e offro alcuni commenti da non esperto come base per la discussione.
C’è il mito che il mondo sia stato in pace dal 1945 e che l’ordine mondiale costruito sotto l’egemonia degli Stati Uniti abbia funzionato per contenere le tendenze verso la guerra degli stati capitalistici in
competizione tra loro. Dopo il 1945, la competizione interstatale in Europa che ha prodotto due guerre mondiali è stata ampiamente contenuta, e la Germania occidentale e il Giappone sono stati pacificamente reincorporati nel sistema mondiale capitalista (in parte per combattere la minaccia del comunismo sovietico). In Europa sono state create nuove istituzioni per la cooperazione internazionale, come il Mercato comune, l’Unione Europea, la NATO, l’euro. Ma dopo il 1945 di guerre “calde” (sia civili che tra Stati) ce ne sono state in abbondanza, a partire dalle guerre in Corea e in Vietnam, seguite dalle guerre jugoslave con il bombardamento della Serbia da parte della NATO, dalle due guerre contro l’Iraq (una delle quali è stata giustificata da palesi bugie dagli Stati
Uniti sul possesso di armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq), dalle guerre in Yemen, Libia e Siria.
Fino al 1991, la Guerra fredda ha fatto da sfondo al funzionamento dell’ordine mondiale. È stata utilizzata per vantaggi economici dalle grandi imprese Usa che costituiscono quello che il presidente Eisenhower molto tempo fa definì “il complesso militare-industriale”.
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Sei parole per riportare subito la pace
di Patrick Boylan
In tutte le piazze, i pacifisti hanno gridato “Stop War”, “Stop Putin”, ma di rado le sei parole che potrebbero davvero riportare subito la pace, “Stop all’espansione NATO all’Est!”, causa del conflitto. Sono parole che la NATO non vuole sentire. Ma con questo suo rifiuto, ci sta portando in guerra.
Il popolo della pace ha dato una bella risposta sabato scorso (26.2.2022) all’editorialista de La Stampa che lo aveva dato per disperso. In tutte le piazze d’Italia e in tantissime città nel mondo, i pacifisti sono spuntati fuori in centinaia di migliaia per gridare la loro opposizione al conflitto in Ucraina.
Due slogan sono prevalsi su tutti: “Stop War”, “Stop Putin”. Raramente, purtroppo, i pacifisti in piazza hanno aggiunto le sei parole che potrebbero invece riportare davvero la pace, e subito: “Stop all’espansione NATO all’Est!”. Perché è stato proprio l’annuncio dell’espansione della NATO in Ucraina – nonché l’aumento dei bombardamenti ucraini contro i russofoni del Donbass – che ha provocato la sciagurata risposta di Putin, il quale vede la prospettiva di missili nucleari NATO sulla propria frontiera come un coltello alla gola.
Ma la NATO sembra determinata a non ascoltare quelle sei parole e i nostri mass media appaiono altrettanto determinati a non citarle nei reportage, quando vengono effettivamente pronunciate nelle manifestazioni, come quella in piazza San Marco a Roma lo scorso sabato. Si direbbe che sono parole tabù. Per quale motivo?
Jens Stoltenberg, Segretario generale della NATO, spiega perché: la libertà dell’Ucraina a far parte dell’alleanza e a lasciar installare i missili NATO a testata nucleare sulla sua frontiera con la Russia, sarebbe una libertà “inviolabile”. Perciò, non importano le preoccupazioni che l’esercizio di tale libertà può suscitare in certi suoi vicini.
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Guerra in Ucraina
Daniele Nalbone intervista Emiliano Brancaccio
"Un nuovo ‘whatever it takes’ per salvare la pace in Europa è possibile. Sancire la fine dell’espansionismo NATO e UE a est. Ma vedo troppi elmetti in testa e cervelli già spenti, tra putiniani senza ritegno e atlantisti senza memoria”
Micromega è tra le primissime testate ad aver fornito una cronaca diretta dell’attacco delle truppe russe all’Ucraina, con Valerio Nicolosi nostro inviato a Kiev. Ma oltre alla cronaca serve l’analisi. Per questo intervistiamo Emiliano Brancaccio, economista e oggi intellettuale di riferimento del pensiero critico in Italia, che di guerra – economica e non solo – ha ampiamente trattato nel suo ultimo libro: “Democrazia sotto assedio”. Brancaccio propone una linea alternativa di gestione della crisi internazionale.
* * * *
Professor Brancaccio, le forze politiche italiane sono schierate contro la Russia. Non mancano però i filo-russi che elogiano l’attacco di Putin come segno di spregiudicata realpolitik. Lei cosa pensa?
La Russia si è macchiata di un’infamia di cui noi occidentali siamo stati cattivi maestri per anni, dalla Jugoslavia all’Iraq: ossia, aggredire altri paesi per distruggere e controllare. Putin è anche ricorso alle tipiche ipocrisie che abbiamo usato noi nel recente passato per giustificare le peggiori nefandezze, quando ha definito l’assalto all’Ucraina una mera “operazione di polizia”. Elogiare l’invasore russo che imita il peggio del militarismo occidentale sarebbe dunque un atto inverecondo. Per le stesse ragioni, però, non si può dar credito a quei politici nostrani che in queste ore non riescono a far meglio che proporci linee d’azione più ispirate a Rambo che alla diplomazia. In un momento così cupo, il ceto politico italiano dovrebbe piuttosto interrogarsi sulle proprie responsabilità storiche.
Di quali responsabilità parla?
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Ucraina: guerra “locale” e crisi mondiale
di Osvaldo Coggiola*
Quella in corso è una guerra per riconfigurare la politica internazionale di un mondo capitalista in crisi e decadenza.
La guerra in Ucraina è l’espressione del trasferimento della crisi mondiale dal terreno economico e politico a quello bellico, e avrà ripercussioni nel mondo intero, anche militari, a cui nessun paese potrà sottrarsi, e da cui nessuna forza politica potrà lavarsene le mani, dichiarandosi neutrale o difendendo una posizione “equidistante”. Sebbene la Russia appaia come l’“aggressore”, il clima politico della guerra è stato accuratamente preparato dai principali media occidentali, premendo sui rispettivi governi, al punto in cui un ricercatore australiano ha concluso, alla vigilia del 24 febbraio, che “il progetto per un’invasione sembra essere già stato scritto, e non precisamente dalla penna del leader russo. I pezzi sono tutti al loro posto: l’ipotesi dell’invasione, la promessa attuazione delle sanzioni e limiti nell’ottenimento di finanziamenti, oltre a una decisa condanna”.
Poco o niente è stato detto da parte dei principali media occidentali sul fatto di come si è espansa l’alleanza sotto la sigla della NATO, dopo lo scioglimento e dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, espansione avvenuta ogni volta in modo più minaccioso per la Federazione Russa, quale principale stato succeduto all’ex federazione di nazioni che costituivano l’URSS.
Gli stessi Usa che puntano all’estensione della NATO fino agli stessi confini della Russia, mirando, dietro pressioni e ricatti militari, alla penetrazione dei propri capitali in tutto il territorio ex sovietico, hanno annunciato poco prima una forte ripresa della propria crescita economica simultaneamente al maggior bilancio militare della propria storia, due fatti che sono intimamente connessi.
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L’Ucraina e i Russi (per non parlare dei Rus’)
di Norberto Fragiacomo
Dello storico discorso pronunciato lunedì 21 febbraio dal Presidente Putin (storico perché infarcito di riferimenti alla Storia, ma anche perché il leader russo è, piaccia o non piaccia, uno dei rari statisti in una contemporaneità popolata da gnomi politici) mi hanno colpito in particolare le critiche mosse al “predecessore” Lenin, cui viene addebitata la colpa di aver creato dal nulla un’entità statale – l’Ucraina – prima mai esistita. Molti giornalisti nostrani hanno definito “surreali” toni e contenuti dell’arringa: a mio avviso perché l’occidente ha ormai rimosso il passato (persino quello prossimo), vive in un presente bidimensionale e non riesce neppure a concepire scelte e azioni di governanti che non trovino la loro esclusiva giustificazione in un gretto interesse immediato. Avvezzi a scrivere pagine di cronaca, i nostri opinionisti (e gli stessi governanti) blaterano di mission e vision, ma hanno smarrito qualsiasi attitudine ad elaborare una visione a medio-lungo termine, che può fondarsi solamente sull’analisi di ciò che è stato. Il dialogo a distanza con Vladimir Lenin, morto quasi cent’anni fa, risulta perciò incomprensibile, anche se può far sorridere il fatto che le stesse accuse mosse “da destra” dall’omonimo Putin riecheggino quelle all’epoca avanzate al grande rivoluzionario da settori del partito bolscevico (quasi) di liberalismo borghese per aver sostenuto il diritto all’autodeterminazione dei popoli soggetti all’influenza russa. Gli attacchi “da sinistra” di allora erano in realtà espressione di un certo sciovinismo grande russo che coerentemente Lenin avversava, reputando necessario alla costruzione del Socialismo l’instaurarsi di un clima di concordia e volontaria collaborazione fra genti diverse che non può nascere né da un’omologazione decisa a tavolino (auspicata oggidì da settori della sinistra c.d. radicale) né – a maggior ragione – dal predominio imposto da un proletariato nazionale sugli altri.
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Le grandezze economiche, le loro mutevoli definizioni e il gatto di Schrödinger che diventa marxiano
di Paolo Di Marco
1- Garbage in, garbage out
È un modo di dire informatico: se a un calcolatore dai in pasto spazzatura quello che otterrai sarà sempre spazzatura.
In economia questo significa che le nostre condizioni di partenza devono essere ineccepibili: le definizioni solide, non contradditorie, prive di presupposti nascosti, sufficienti a determinare tutti gli elementi successivi; le condizioni iniziali sensate e corrispondenti ad elementi empirici verificabili.
Iniziamo dai presupposti nascosti, e per chiarire cosa sono facciamo un esempio:
a) una storiella macabra: padre e figlio vanno in macchina, l’auto esce di strada; il padre muore, il figlio viene trasportato in ospedale. Portato in sala operatoria il chirurgo arriva, impallidisce e dice: non posso operarlo, è mio figlio. Come mai?
b) un problema geometrico: con 6 stecchini (o fiammiferi, o legnetti della stessa lunghezza) costruire 4 triangoli equilateri. Provate.
Questo e simili problemi sono stati posti a molte persone di tutti i livelli di cultura e intelligenza, e in tutti i casi hanno provocato notevoli turbamenti: qualcuno trovava la soluzione quasi immediatamente, per intuizione; qualcun altro si arrabbattava, cercava di cambiare i dati della questione per adattarli alla soluzione che aveva pensato; altri ancora dopo un poco ricorrevano alla forza bruta della logica:
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Oltre “la pandemia”. Congetture sul prossimo futuro
di Guido Cappelli*
Stanno per compiersi due anni da quando l’Oms dichiarò l’emergenza pandemica. E da qualche giorno girano, insistenti, voci di fine (quasi) imminente di pass e restrizioni varie. “È finita, abbiamo vinto, il piano è fallito!”, si ascolta sui social e nelle chat – e non si tratta solo di bufale messe in giro probabilmente ad arte (che pure ce ne sono e si vedono), ma di sinceri canti di vittoria, levati da un popolo del dissenso che incomincia a mostrare comprensibili segni di stanchezza e di confusione.
Per la verità, l’enigmatico ministro della Salute (enigmatico perché non si comprende razionalmente per quali meriti e titoli sia riuscito ad attraversare due governi e tutta la crisi senza praticamente un graffio), in un’intervista al quotidiano ufficioso del regime, La Repubblica, ha già espresso chiaramente la volontà governativa di prolungare le misure distopiche di limitazione delle libertà fondamentali anche al di là della fine eventuale dello stato di emergenza. Ma anche lui lascia intravvedere un sia pur fumoso e lontano “liberi tutti”.
Non è così. Non c’è e non ci sarà nessun “liberi tutti”. Mai, se da questa gente dipenderà. E non perché gli oligarchi mondialisti alla Gates ripetono un giorno sì e l’altro pure che ci saranno nuove pandemie, nuove catastrofi che giustificheranno nuovi stati d’eccezione. E nemmeno per l’ideologia di queste oligarchie feudali, palesemente intrisa di neo-gnosticismo antiumano ed eugenetismo dalla terrificante genealogia.
Ma perché l’ammorbidimento delle restrizioni – in Italia e fuori – è funzionale al prosieguo dell’instaurazione di quella nuova “razionalità politica” (per dirla con Fusaro) che dovrebbe risultare dal grande reset in corso.
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Come rendere utile l’orribile Mes
di Carlo Clericetti
Il “Fondo salva-Stati” resta un “prodotto senza acquirenti”. Nessuno vuole mettersi alla mercé di un istituto di diritto privato e con sede in un paradiso fiscale che per “tutelare l’interesse dei creditori” può imporre misure rovinose. Ma con un’Agenzia del debito, la politica europea potrebbe essere decisamente migliore
Un’azienda che si accorgesse che un suo prodotto non lo vuole nessuno, nonostante vari tentativi di promozione, deciderebbe di eliminarlo. Non così i politici e tecnocrati europei, che ben si possono paragonare a un management aziendale, vista la loro fede nelle virtù taumaturgiche del mercato.
Il “prodotto” è il Mes, il cosiddetto “Fondo salva-Stati”, che ogni tanto viene periodicamente riproposto nel tentativo di giustificare la sua esistenza e anche di trovare un impiego per il suo capitale di 80 miliardi versati dagli Stati che giacciono inutilizzati.
L’organismo è stato istituito in seguito alla crisi del 2008, e in questi anni ha cambiato nomi (ESF, ESFS) e regolamenti. L’ultima riforma, che lo rende se possibile ancora peggiore, è stata approvata dall’Eurogruppo nel novembre 2020 (e poi anche dal Parlamento italiano, in dicembre), ma manca ancora la ratifica definitiva del nostro governo: se i problemi solo burocratici di cui ha parlato il ministro Daniele Franco fossero invece un espediente per prendere altro tempo, sarebbe un ottimo segnale.
Il Mes deriva da un trattato intergovernativo, è un istituto di diritto privato lussemburghese ed è guidato da un “Consiglio dei governatori” di cui fanno parte i ministri delle Finanze dei Paesi membri. Il suo direttore generale, il tedesco Klaus Regling, ha ampi poteri. Il suo statuto prevede che debba fare gli interessi dei creditori, che abbia l’ultima parola sulla solvibilità di chi vi ricorre e che in base a questo giudizio possa imporre condizionalità che possono arrivare fino alla ristrutturazione del debito. Chi ne fa parte è esente da ogni responsabilità civile e penale.
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Occidente in frantumi. E’ ora di guardarsi allo specchio
di Fabio Massimo Parenti
Premessa - Per rimanere ai fatti degli ultimi decenni, partiamo da alcune constatazioni inconfutabili per contestualizzare in modo semplice la crisi Ucraina nei suoi rapporti con la Russia, o meglio nel bel mezzo della contesa geostrategica russo-statunitense, che suo malgrado coinvolge anche la Cina. Primo: la NATO è dominata dagli Usa e dai loro interessi strategici. Origine storica, peso finanziario-militare e controllo dei ruoli esecutivi chiave ne sono una conferma. Secondo: dall’implosione sovietica al 2020, la NATO si è allargata verso est inglobando altri 14 paesi tra Europa dell’est e Balcani occidentali. Terzo: la NATO ha preteso di divenire “globale”, come definito chiaramente nei nuovi concetti strategici dell’organizzazione (1991, 1999, 2010). Non deve sorprendere, pertanto, che contestualmente alla sua espansione, essa si sia impegnata in numerose guerre di invasione, dalla ex-Jugoslavia al Medioriente passando per il Nord Africa. Non più un’organizzazione multilaterale regionale e di difesa, dunque, ma globale e di offesa. Così facendo, agli occhi di molti paesi - tanto i nuovi emergenti in Eurasia (Russia, Iran e Cina soprattutto), quanto le vittime dirette delle sue aggressioni – la NATO è diventata sinonimo di “North Atlantic Threat”, ovvero “minaccia nord-atlantica, anziché “organizzazione del trattato nord-atlantico”. Quarto: il fallito stato ucraino, che gli Usa avrebbero voluto nella NATO come la Georgia, pur non essendo ufficialmente nella NATO, ha sviluppato negli ultimi venti anni vari meccanismi di dialogo e cooperazione con essa, come ad esempio la Partnership for Peace (1994). Insomma, la NATO è in Ucraina da molto tempo. Quinto: stiamo assistendo allo sgretolamento dell’Occidente e della fine dell’imperialismo occidentale. C’è un filo rosso che unisce queste prime constatazioni ed aiuta a comprendere come siamo arrivati a questo punto.
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Ucraina: e le ragioni di Mosca?
di Fabrizio Casari
La proposta di negoziato avrà un suo primo atto nelle prossime ore in Bielorussia. Zelensky negozierà con l’auricolare dal quale la Casa Bianca gli dirà persino come respirare. Mosca attende che vi siano le condizioni per la tregua richiesta da Zelensky, che chiede tutto e il contrario di tutto a distanza di due tweet. Una buona notizia comunque, ma lo step che conta è il prossimo con Biden. La fine della guerra non comporta necessariamente la fine delle ostilità, ma chiedere una tregua senza proporre contemporaneamente una riunione dove aprire il confronto è azione ipocrita e velleitaria. Se si vuole fermare l’azione militare ne serve una politica. Il resto è avanspettacolo.
Servirebbe un quadro veritiero della situazione a Kiev e non immagini dei bombardamenti in Siria o nella ex Jugoslavia spacciati per bombe russe in Ucraina. Tra i paradossi cialtroneschi spicca la manifestazione di israeliani nei territori occupati della Palestina che protestano contro l’occupazione russa dell’Ucraina!! Tra le migliaia di fake news brilla la storiella inventata degli eroi dell’isola dei serpenti che sarebbero morti insultando i russi: niente di più falso, gli 82 militari si sono arresi senza sparare un colpo e la Russia ha già diffuso il relativo video. Ma è rimarchevole anche la scena del padre che saluta il figlio che scappa dalle bombe: non erano di Kiev, era una famiglia del Donbass e scappava verso la Russia. E così diverse altre immondizie spacciate dai giornali, radio e tv affiliati alla NATO. Tutto già visto. La propaganda di Zelensky si copre di ridicolo. Sul ponte di comando delle fake news c’è il M-I6 inglese, come già fece per la Siria.
Le ovvie proteste occidentali circa l’inviolabilità di uno stato sovrano da parte di chi negli ultimi anni ha invaso quattro paesi ed ha causato circa 2 milioni di morti non sono serie. Ascoltare l’indignazione occidentale per l’invasione dell’Ucraina da chi ha occupato e distrutto Libia, Siria, Irak e Afghanistan appare ridicolo.
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L’ombrello della NATO e la responsabilità diretta dei governi nazionali europei
di Giuseppe Germinario
Come avete visto, abbiamo pubblicato il video, munito di traduzione in italiano, dell’intervento di Vladimir Putin del 21 febbraio scorso, seguito da numerosi interventi di commento e ricostruzione del contesto, per altro ancora in corso. Qui sotto, invece, pubblichiamo il testo integrale di un secondo intervento, diffuso il 24 febbraio e pubblicato meritoriamente da https://www.nicolaporro.it/cari-russi-e-questione-di-vita-o-di-morte-ecco-la-discorso-di-guerra-di-putin/?fbclid=IwAR2oNO8jfIJDCVCGnqpu1Lnfpcq7PHLAyzurl7Xno8Fmp16WVwt-QCAgFCM .
Da qui lo spunto per alcune ulteriori considerazioni che pongono con le spalle al muro nella quasi totalità il ceto politico e la classe dirigente europei, in particolar modo quello italiano, per meglio dire italico.
La NATO, come dovrebbe essere noto, si professa come una alleanza militare difensiva, prevede il ricorso all’unanimità nell’avviare azioni militari, vincola l’adesione di nuovi membri all’assenso di tutti gli stati e all’inesistenza di situazioni conflittuali all’interno di quel paese e con altri paesi, dispone di una clausola di mutuo soccorso (art. 5) in caso di aggressione ad uno degli stati membri. I redattori di questo blog, al netto comunque degli eventuali vantaggi e svantaggi derivati dall’adesione, sanno e sostengono che non è così. Tant’è che pochi sanno che la NATO è nata, scusate il gioco di parole, anni prima del Patto di Varsavia. A maggior ragione non lo è dal momento della caduta della ragione di esistere della NATO: la implosione dell’Unione Sovietica e lo scioglimento del Patto di Varsavia nel 1991.
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In Ucraina Putin si avvicina alla vittoria e controlla la catena di approvvigionamento della tecnologia occidentale. Di chi è il bluff?
di Ambrose Evans Pritchard
Ambrose Evans Pritchard pubblica sul Telegraph due articoli in stretta successione che offrono una visione approfondita e chiarificatrice sulla vicenda Ucraina e il contesto economico in cui si muovono le parti in causa.
Nel primo articolo, intitolato In Ucraina Putin è vicino alla vittoria, pubblicato il 15 febbraio, Pritchard mostra come la Russia in realtà non abbia motivo di temere le sanzioni occidentali. Nel secondo, pubblicato il 22 febbraio e intitolato Putin controlla la catena di approvvigionamento della tecnologia occidentale, quindi di chi è il bluff?, focalizza l'attenzione su un aspetto meno noto: la capacità della Russia di ostacolare gli approvvigionamenti di materie prime indispensabili alle industrie del mondo occidentale.
Partiamo dal primo, In Ucraina Putin è vicino alla vittoria.
Per cominciare Pritchard descrive l'economia russa come un sistema ordinato, dotata di un ingente ammontare di riserve valutarie, un debito estero tra i più bassi al mondo, un sistema bancario solido e una valuta dal cambio flessibile che consente all'economia di adattarsi bene alle vicende degli scambi internazionali, oltre ad una finanza pubblica in avanzo che non dipende dagli investitori stranieri per la copertura della spesa pubblica.
In contrasto con i sistemi economici dell'occidente, che si reggono sull' helicopter money delle banche centrali e sui grandi debiti pubblici, come afferma Christpher Granville, di TS Lombard, questo si può definire 'il paradosso del mandato di Vladimir Putin, che dirige uno dei regimi politici più ortodossi del pianeta, con un team macroeconomico, presso la banca centrale e il tesoro, decisamente esemplare'.
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Ucraina: Mosca inizia l’operazione di smilitarizzazione
Zjuganov: “imperativo è contenere l’aggressività della NATO”
di Nil Malyguine
Oggi 24 febbraio 2022, di prima mattina, le forze armate russe hanno iniziato un’offensiva su vasta scala contro l’esercito ucraino. È iniziata con massicci bombardamenti di obbiettivi militari su tutto il territorio dell’Ucraina. Successivamente le truppe russe hanno varcato il confine da diverse direzioni, e si stanno dirigendo verso i principali centri di potere del paese. È l’inizio dell’“invasione russa” tanto paventata dai media occidentali? Niente affatto: è l’inizio della liberazione dell’Ucraina dal regime fascista e filo atlantico che ha illegalmente conquistato il potere nel 2014. Come ha annunciato Putin, è iniziata la “denazificazione” dell’Ucraina.
Non chiamatela invasione: l’obiettivo è la demilitarizzazione
Perché i termini “invasione” e “occupazione” non sono applicabili alla situazione odierna? Perché essi sottintendono un obbiettivo espansionista, che però è estraneo alle intenzioni di Mosca. Putin, nel discorso infuocato con cui ha annunciato l’inizio dell’intervento, ne ha definito chiaramente gli obbiettivi: la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina. Non la conquista. In altre parole, gli obbiettivi che si prefigge il Cremlino sono:
1) Liquidare il governo golpista salito al potere a Kiev nel 2014, in seguito al colpo di Stato di piazza Maidan. Un governo-marionetta completamente succube della NATO, sponsor del golpe. Un governo che dal primo giorno del suo insediamento ha attuato una politica di assimilazione culturale (se non proprio pulizia etnica) nei confronti della popolazione russofona del paese (ma anche di minoranze come quella romena e quella ungherese). Un governo che ha conquistato il potere con le armi dei neonazisti, e che dei neonazisti è rimasto ostaggio, assecondandone ogni delirio sciovinista.
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La guerra globale in Europa. Possiamo ancora fermarla
di Alfonso Gianni
Lo scontro bellico più volte minacciato è quindi in atto. Quando, non molte ore fa, eravamo ancora sull’orlo del baratro di una nuova guerra ad alta intensità entro i confini geografici del continente europeo, ci ha raggiunto l’esternazione dell’uomo delle sentenze epocali e (solo per lui) definitive. Si parla di Francis Fukuyama che in una intervista di un’intera pagina su la Repubblica del 22 febbraio, dopo avere con disinvoltura riconosciuto che la storia non è finita perché Putin vorrebbe “estendere la zona di influenza sull’Europa orientale, tornando a controllare i Paesi entrati nella Nato dopo il 1991”, afferma perentoriamente: “Ho passato molto tempo in Ucraina negli ultimi sette anni, poiché abbiamo programmi per addestrare i giovani. Ogni volta ripeto che lo faccio perché Kiev è il fronte della lotta globale per la democrazia”. Un fronte alquanto inquinato e traballante visto il pessimo stato di salute delle istituzioni ucraine, la corruzione e il malaffare che ne corrodono le fondamenta, la presenza di consistenti forze fasciste e neonaziste capaci di interpretare e indirizzare nel modo più violento le diffuse pulsioni nazionalistiche. Ma è così che l’autore de La fine della storia e l’ultimo uomo intende riassumere la missione salvifica degli Usa e per estensione dell’Occidente.
Vista così, e Fukuyama è uomo ascoltato dalla amministrazione Biden, la crisi ucraina non lascerebbe davvero speranze. Saremmo di fronte a uno scontro di portata storica, oltre che globale, che sempre più rapidamente sposta in avanti, cioè verso est, la linea del fronte. Il patto Nord Atlantico al suo sorgere nel 1949 comprendeva 12 paesi. In seguito a otto allargamenti si è giunti a 30, con un’intensificazione delle adesioni negli ultimi 20 anni, a partire da quel fatidico 1999, quando venne demolita la Jugoslavia.
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Ma non è un'invasione
di Fosco Giannini
Pubblichiamo in anteprima questo editoriale di Fosco Giannini, direttore di Cumpanis e lo ringraziamo per l'opportunità
Scriviamo dopo che questo numero di “Cumpanis” era già stato chiuso e stava per essere messo on-line. Scriviamo mentre i mille “media” occidentali e italiani – disgustosamente, paurosamente, organicamente asserviti, genuflessi agli USA e alla NATO – parlano di “invasione della Russia in Ucraina”, di “Inizio della guerra di Putin”.
Torna prepotentemente in auge la storica russofobia occidentale che sempre ha visto, prima l'Unione Sovietica e ora la Russia di Putin, come il male assoluto. Un'inclinazione ideologica reazionaria, razzista, anticomunista che è stata alla base dell'attacco di Hitler all'URSS, alla costruzione della lunga e micidiale Guerra Fredda successiva alla Seconda Guerra Mondiale e alla costruzione dell'improvvido e maledetto Patto Atlantico, la NATO, (a cui, anni dopo, solo anni dopo, l'URSS e il campo socialista dovettero rispondere con il Patto di Varsavia) ed ora, di nuovo, del disegno imperialista USA e NATO volto distruggere la Russia di Putin. Distruggerla per avanzare ulteriormente, come blocco imperialista militarizzato USA-NATO-UE, verso la Cina.
L'arrivo di Biden alla presidenza degli USA ha accelerato i piani militari americani volti ad uscire dalla profondissima crisi dell'impero a stelle strisce attraverso la guerra. Guerra vera, non solo “fredda”.
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Con Putin, what so? La storia e l’antimperialismo richiedono di non essere equidistanti
di Fosco Giannini
Riceviamo e possiamo pubblicare in anteprima per la collaborazione sempre più stretta tra l'AntiDiplomatico e Cumpanis questo bellissimo editoriale del direttore Fosco Giannini
La sera del 21 febbraio ultimo scorso Putin – dopo una responsabile pazienza durata ben otto anni – ha rotto gli indugi e ha parlato. Lo ha fatto dalla televisione di Stato russa e il suo discorso ha trovato il consenso del popolo russo, ha scatenato la felicità del popolo del Donbass, ha scosso il fronte imperialista mondiale, ha provocato l’isteria degli USA e della NATO, facendo salire brividini di paura sulle schiene poco diritte delle anime belle della variegata “sinistra democratica e progressista” italiana.
È ormai dalla lunga campagna elettorale di Biden contro Trump che si è inferocita la linea bellica USA e NATO contro la Russia e la Cina. Una linea elettorale che ha subito preso, drammaticamente, corpo durante il summit del G7 in Cornovaglia, nel giugno 2021, con Biden già presidente degli USA, quando dal summit uscì un sanguinoso, febbricitante, delinquenziale progetto strategico – il Documento di Carbis Bay, sottoscritto da tutti i presenti, dagli USA al Canada, dall’intera Ue alla Gran Bretagna sino al Giappone – che chiedeva la costituzione di un vastissimo fronte mondiale (politico, economico, ma prioritariamente militare) contro la Russia e la Cina.
Da allora, quel già vasto fronte G7 con l’elmetto in testa, si è allargato e rafforzato con le nuove spinte alla guerra anti russa e anti cinese della Corea del Sud, dell’India ora reazionaria di Modi e dell’Alleanza Aukus – USA, Gran Bretagna, Australia – che subito dopo il summit in Cornovaglia ha deciso di dotare l’Australia di una flotta di sottomarini a propulsione nucleare da sguinzagliare come controllo e provocazione lungo tutti i mari del sud della Cina.
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Lo stato del capitale
di Stefano Valerio
Anche se spesso vengono descritti come poli opposti, nell’epoca del capitalismo maturo stato e mercato si configurano come terreni complementari di sostegno all’accumulazione di capitale, mettendo a rischio la democrazia liberale
Quando, lo scorso anno, Mario Draghi è stato nominato presidente del consiglio, anche i media mainstream hanno ricordato il suo rapporto intellettuale e formativo intrattenuto – ai tempi in cui era un promettente studente di Economia – con Federico Caffè, il famoso economista abruzzese scomparso in circostanze mai del tutto chiarite.
Gli osservatori più critici delle gesta del Draghi adulto non si sono giustamente lasciati sfuggire l’occasione di notare come, però, non debba essere rimasto molto della lezione e dell’ispirazione di Caffè nella carriera di Draghi, se è vero che l’ex Presidente della Bce è stato in prima fila in una serie di processi controversi, dalle massicce privatizzazioni italiane degli anni Novanta fino alla gestione austeritaria della crisi greca nel 2015, che difficilmente avrebbero incontrato il parere favorevole del maestro.
Sarebbe allora interessante sapere se Mario Draghi sia a conoscenza di un testo, originariamente pubblicato nel 1973, che in un’edizione italiana fu accompagnato proprio da una prefazione scritta da Federico Caffè. Si tratta del celebre La crisi fiscale dello stato di James O’Connor, che insieme a Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e Lavoro e capitale monopolistico di Braverman va a comporre un’ideale trilogia di analisi di alcune delle principali tendenze contraddittorie del cosiddetto capitalismo monopolistico.
La crisi fiscale dello stato
Come anticipato, il libro di O’Connor venne dato alle stampe nel 1973, in un contesto sicuramente diverso da quello attuale.
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L’alienazione felice: fra distopia e utopia
Aldous Huxley a confronto con Guy Debord
di Paolo Favilli
Aldous Huxley, Il Mondo nuovo (1932), Milano, Mondadori, 1971
Guy Debord, La società dello spettacolo, Firenze, Vallecchi, 1979 (IV ed. italiana)
La grande alienazione nella quale ci troviamo immersi è quella in cui l’uomo non è più in grado di percepirsi come alienato, perché «traduce la sua alienazione nell’apparato in identificazione con l’apparato»[1]. Un universo totalitario, dunque, dove auto-asservimento, auto-alienazione sono il contraltare concreto e reale delle promesse di auto-realizzazione.
Come orientarsi in questo universo totalitario tanto per comprenderne i meccanismi di funzionamento che per provare ad in individuarne gli spazi possibili ove saggiare ipotesi di disalienazione?
Si possono trovare alcune risposte in un libro di Italo Calvino, Le città invisibili, uno dei suoi libri di più raffinata ed insieme complessa struttura narrativa, improntato alla «poetica dell’esattezza», un libro di interrogativi che pongono altri interrogativi, un libro di sperimentazione linguistica e stilistica, un libro, dunque, che per la programmata continua «sottrazione di peso» sembra suggerire atmosfere rarefatte, concettualità del tutto astratte, senza rapporti con la realtà effettuale.
A chi interpretava il libro come presa di distanza dall’«impegno», da quella ascendenza illuministica che era stata sempre componente essenziale della letteratura calviniana, anche la più astratta e fantastica, egli risponde così: «Rifiuto nettamente questa interpretazione del mio libro. È un libro in cui ci si interroga sulla città (sulla società) con la coscienza della gravità della situazione, gravità che sarebbe criminale passare sottogamba, e con una continua ostinazione a veder chiaro, a non accontentarsi di nessuna immagine stabilita, a ricominciare il discorso da capo»[2].
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Ucraina: la guerra è iniziata. “Operazione Speciale” della Russia [DIRETTA]
L'esercito russo sta meticolosamente annientando tutte le forze militari ucraine, che non riescono a reagire
Avevamo appena pubblicato la notizia dell’annuncio da parte di Putin della decisione di intraprendere operazioni militari speciali in Donbass. Poco dopo le minacce sono passate ai fatti: l’attacco sembra essere stato molto più esteso, colpendo direttamente le città ucraine. Le bombe russe hanno colpito l’aeroporto di Kiev, e jet russi hanno sganciato bombe sulla città di Kharkov. Esplosioni anche a Dnepropetrovsk, dove sono state annientate le basi della 25esima e 93esima brigata dell’esercito ucraino. L’esercito russo sta annientando metodicamente tutte le basi militari ucraine, la contraerea e gli aeroporti.
La popolazione è in fuga dalla capitale, mentre le navi russe dopo aver bombardato pesantemente stanno attraccando a Mariupol. Tutta la flotta ucraina è stata annientata in un colpo. Il comando delle operazioni attaccato riferisce che gli obiettivi dei bombardamenti russi sono soprattutto aeroporti e quartier generali militari, il segretario Stoltenberg ha condannato le operazioni russe.
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Capitalismo vaccinale e dissenso sociale: l'iniziativa "Cultura Sospesa"
di Martina Marino*
Si chiama “Cultura Sospesa” ed è un’iniziativa di dissenso sociale promossa da un “connettivo” di docenti sospesi, studenti e artisti, vuole ricordare il concetto del caffè sospeso napoletano attraverso la convivialità di una colazione e di un pranzo sociale aperto, ma anche l’aspetto critico insito nella cultura anch’esso sospeso, allo stato attuale.
A Roma davanti l’università a La Sapienza, a mercoledì alterni in orario scolastico, viene allestito questo presidio culturale con l’obiettivo di ricominciare a riappropriarsi degli spazi che sono stati negati, partendo proprio dai luoghi simbolo come l’università romana. Il programma della mattinata è un concentrato di interventi, letture, momenti di dibattito, spettacoli e spaccati musicali. In parallelo a questi appuntamenti si stanno organizzando forme di mutuo-aiuto e casse di resistenza per sostenere i docenti in difficoltà.
Si riporta a seguire un intervento dello scorso appuntamento di mercoledì 9 febbraio (https://fb.watch/basWnJWo1h/) e vi diamo appuntamento per il prossimo mercoledì 23 febbraio dalle ore 9 in piazzale Aldo Moro a Roma.
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Capitalismo vaccinale
Quando il capitalismo e le politiche vaccinali sono diventati un’equazione
Non leggerete più la parola capitalismo o capitale in questo articolo, vi accorgerete alla fine probabilmente che ne avete visto una diretta applicazione.
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Rischi bellici in Ucraina? In Donbass la guerra c’è già da 8 anni nell’indifferenza generale dell’occidente!
di Enrico Vigna*
Da due mesi i “distrazionisti” professionali hanno concentrato luci e attenzioni mediatiche su una presunta e ipotetica invasione russa dell’Ucraina, sapendo bene che la Russia, non ha nessuna progettualità di guerra, semplicemente perché non è un suo interesse strategico, uno scontro militare con USA, NATO e Unione Europea. Salvo naturalmente qualche inaccettabile provocazione degli “ucro” neonazisti, pretoriani del governo golpista di Kiev e della NATO. Mentre la realtà tragica è la guerra che, da otto anni è in atto contro la popolazione del Donbass, di cui solo pochi organi informativi e realtà occidentali hanno finora documentato. Ora che c’è il rischio di un dispiegamento a domino di questo conflitto…fa notizia.
I media occidentali sono una forza che può favorire una guerra, sono un'arma potente, il loro lavoro è un segnale di azione che deve arrivare, che essi preparano in anticipo.
Gli ululati di guerra occidentali, da mesi hanno decretato che Putin intende invadere l'Ucraina. Ma per quale motivo dovrebbe farlo, nessuno sa dirlo. L'ex ufficiale dell'intelligence statunitense e membro di un'associazione di ex professionisti dell'intelligence e dell’utilizzazione dell'intelligence USA (VIP), Raymond Mcgovern, considera un'invasione russa dell'Ucraina, tanto probabile quanto l'arrivo tanto annunciato del sinistro "Godot" nell'opera teatrale di Beckett “Aspettando Godot ”.
In ogni caso…nella dichiarazione congiunta all'inaugurazione delle Olimpiadi invernali del 2022, i presidenti Xi Jin-ping e VladimirPutin hanno sottolineato che "Russia e Cina si opporranno a qualsiasi tentativo di forze esterne, di minare la sicurezza e la stabilità in regioni confinanti e "un ulteriore espansione della NATO “!
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Ogni luogo contiene il pianeta
di Renato Galeotti
Sul vocabolario Treccani leggiamo che il sostantivo “ambiente” deriva dal latino “ambiens ambientis” participio presente di “ambire”, che significa “andare intorno, circondare”. Insomma, l’ambiente è ciò che ci circonda. Ma quanto da vicino ci circonda? Cosa abbiamo in mente, quando parliamo di ambiente? Il globo terracqueo, oppure l’angolo di mondo su cui gettiamo il nostro sguardo ogni giorno? Non ce la possiamo cavare rispondendo: “tutti e due”. Troppo diverso è il rapporto che intratteniamo con il luogo e con il mondo intero per poterli assimilare. Gli spazi in cui viviamo hanno il colore delle foglie, l’odore della terra, il rumore del mare, il pianeta, invece, è un’entità sfuggente, un racconto, un’elaborazione dell’intelletto. Mentre il luogo entra in relazione con i nostri sensi, la Terra è troppo grande per essere abbracciata; per questo possiamo soltanto immaginarla. O per lo meno, così era fino a quando non abbiamo visto la Terra tutta intera, da lontano.
Il 7 dicembre 1972 l’equipaggio dell’Apollo 17 scatta “Blue Marble”, la Biglia Blu, la più nota tra le foto del nostro pianeta visto dallo spazio. Questa immagine rappresenta il simbolo di un passaggio epocale: da quel momento l’ambiente globale inizia ad imporsi come visione dominante; la Terra, che fino ad allora era percepita come la somma di una miriade di territori modellati dagli uomini, diventa il riferimento unificante per tutta l’umanità. Non sono più i luoghi a sommarsi per produrre l’intero, ma l’intero che contiene i luoghi. Si tratta di un passaggio che coinvolge anche il nostro esistere e la nostra maniera di costruire le relazioni con il circostante: la conoscenza cessa di passare attraverso i sensi e gli umani iniziano a vedere se stessi con occhi esterni. Il punto di vista corretto non è più quello di ognuno di noi ma un altro, esterno e lontano.
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Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet
di Paolo Selmi
Prima parte: dagli inizi alla NEP
In questa monografia affronteremo per sommi capi altri cambiamenti epocali, che meriterebbero ben altro spazio e approfondimento, riguardanti quella che divenne l’organizzazione non partitica di massa per eccellenza: il sindacato, o profsojùz. Il motivo è presto detto: come anche nel caso dell’emulazione socialista, o di altri argomenti precedentemente trattati, si tratta di concezioni e dati praticamente ignoti, ignorati o comunque non facenti più parte, da decenni, della coscienza collettiva attualmente operante nel nostro emisfero, persino di quella attraversata da una sempre più forte “nostalgia del futuro”. Senza tanti forse, molti di quei pochi “noi” rimasti, sono sin troppo ottimisti nel tracciare traiettorie verso il socialismo, perché normalmente non prendono minimamente in considerazione questi aspetti.
Eppure, nell’improvvisarsi “commissari tecnici” delle rivoluzioni, nell’abbozzare “ricette per le osterie dell’avvenire”, occorrerebbe entrare un attimo nel concreto e, nello specifico, nei meccanismi di quello che è storicamente stato: scopriremmo tanta “concretezza” che ci aiuterebbe, se non altro, per evitare di sbattere la testa due volte contro lo stesso muro. Inoltre, non tenere conto di questa dimensione storica della rivoluzione, equivarrebbe a ridurre tutto il lavoro che stiamo conducendo sulla pianificazione a una costruzione ideale, ipotetica: l’esatto opposto di ciò che fu l’esperimento sovietico, questo tentativo di assalto al cielo condotto da centinaia di milioni di donne e uomini lungo quei decenni. Per questo, bando alle ciance e iniziamo questo viaggio nel pianeta rosso e nei suoi sindacati, affrontando in questa prima parte il periodo dai primordi alla NEP.
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Mosca riconosce le Repubbliche popolari del Donbass
di Fabrizio Poggi
Nella tarda serata di lunedì 21 febbraio, Vladimir Putin ha firmato il decreto di riconoscimento delle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk quali stati «indipendenti, democratici, sociali e di diritto», da parte della Federazione Russa. Insieme ai leader delle due Repubbliche, Leonid Pasečnik e Denis Pušilin, Putin ha sottoscritto anche un accordo di amicizia, collaborazione e aiuto tra L-DNR e FR, come era stato chiesto dai due leader del Donbass.
La firma di Putin è arrivata pochissime ore dopo il termine della riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza russo (organo consultivo), svoltasi nel pomeriggio, nel corso della quale praticamente tutti gli intervenuti – Ministri della difesa e degli esteri Sergej Šojgu e Sergej Lavrov, Primo ministro Mikhail Mišustin, Segretario del Consiglio di sicurezza Nikolaj Patrušev, ex Primo ministro e attuale vice presidente del Consiglio di sicurezza Dmitrij Medvedev, ecc.) – si erano pronunciati per il riconoscimento delle Repubbliche popolari.
Di fatto, subito dopo la seduta del Consiglio di sicurezza, al telefono con Emmanuel Macron e Olaf Scholz, Putin aveva loro già annunciato che, a momenti, avrebbe messo la firma in calce al decreto. Ora la cosa è fatta.
In Donbass si esulta e si parla di data storica.
Dalle cancellerie europee, invece, come da copione, lamentazioni di «delusione» e annunci di sanzioni europeiste contro Mosca. «Condanna», anche questa scontata, da parte del Segretario generale NATO, Jens Stoltenberg e riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza ONU.
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La risata del filosofo. Foucault contro Marcuse, uno scontro sotterraneo
di Ludovico Cantisani
Herbert Marcuse, Michel Foucault: tanto vicini, quanto distanti, vicini per tematiche e risonanza culturale, distanti per metodo, impostazione, direzione.
Quello tra Marcuse e Foucault è un confronto tra metodi diversi, che si consuma anche attraverso differenti lessici. Civiltà vs. società: è tra queste due prospettive che, in partenza, si consuma il loro “scontro” e si misura la reciproca distanza. L’ideale, che diventa anche imperativo utopico, è il modo di procedere per Marcuse, di cui non si contano i richiami quasi platonici a concetti come Eros, Thanatos e a un mito freudiano quale era il principio di piacere. La messa in chiaro di strutture, di luoghi fisici che sono anche dispositivi sociali come la prigione o il manicomio è invece il metodo entro cui si esplica il procedimento a un tempo storico e filosofico adottato da Foucault, impegnato a definire le ambivalenze del rapporto tra sapere e potere.
“Là dove tutto è proibito, chi vuole in fondo può fare tutto, ha la possibilità reale di fare tutto; là dove invece è permesso qualcosa si può fare solo quel qualcosa”
Pier Paolo Pasolini, 1975
Il più sessantottino dei libri di Marcuse è Eros e Civiltà, un’esplicita reprise in chiave utopica e rivoluzionaria del Freud del Disagio della civiltà. Eros e Civiltà esce nel 1955, ma solo negli anni Sessanta raggiunge il grande pubblico. Il libro seppe infatti conquistare le schiere di hippies e manifestanti che affollavano le università americane al tempo della Contestazione e delle proteste contro la Guerra nel Vietnam.
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