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Quel che resta di Auschwitz
Una riflessione sul libro di Giorgio Agamben
di Isabella Adinolfi
Pubblichiamo questa riflessione di Isabella Adinolfi sul libro di Giorgio Agamben Quel che resta di Auschwitz. Il pezzo in questione è uscito originariamente sulla rivista di filosofia Diapsalmata pubblicata sul sito web di Orthotes Editrice, che vi invitiamo a visitare
Il libro di Giorgio Agamben è una stimolante riflessione sulla Shoah, su ciò che essa ha significato per l’etica e, più in generale, per la comprensione dell’uomo, un libro che mette in moto i pensieri, con cui si può essere d’accordo oppure no, ma che, comunque, non si può non considerare una riflessione originale e intelligente su questo tragico fatto storico e sulle sue implicazioni politiche, giuridiche e soprattutto morali. Rispetto all’etica Auschwitz ha rappresentato infatti la più radicale messa in discussione dei suoi valori fondamentali, delle sue regole, d’oro e d’argento che siano. Con un’immagine suggestiva, nell’Avvertenza che apre il suo studio, Agamben si augura che alcuni problemi sollevati dall’analisi del fenomeno Auschwitz, possano aiutare ad orientare futuri “cartografi” di una “nuova terra etica” (pp. 9-10). E qualche riga sopra la crisi dell’etica tradizionale viene annunciata con queste parole: “Come si vedrà, quasi nessuno dei princìpi etici che il nostro tempo ha creduto di poter riconoscere come validi ha retto alla prova decisiva, quella di una Ethica more Auschwitz demonstrata” (p. 9).
Auschwitz – osserva ancora lo studioso – rappresenta il luogo di un esperimento ancora impensato: tutti i metalli dell’etica tradizionale raggiungono il loro punto di fusione in quella che Levi ha designato come “zona grigia”, un’incessante alchimia dove l’oppresso diventa l’oppressore e il carnefice appare a sua volta come vittima (p. 19).
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Lavoro cognitivo
Intervista a Enzo Rullani
1. Se dovesse individuare delle qualità fondamentali per definire la trama del lavoro cognitivo oggi emergente, cosa indicherebbe?
Per identificare le qualità rilevanti del lavoro cognitivo, bisogna innanzitutto capire che cosa è e dove lo troviamo, nei processi produttivi di oggi. Bisogna innanzitutto distinguere il lavoro cognitivo con cui abbiamo a che fare ai nostri giorni (nel contesto della modernità) dal lavoro energetico-muscolare del passato (riferito ai modelli provenienti dall’epoca pre-moderna). In linea generale, possiamo chiamare lavoro cognitivo ogni forma di lavoro che – come output utile – produce conoscenza, usando questa conoscenza sia per generare significati o legami dotati di valore (per gli interlocutori a cui sono rivolti), sia, in altri casi, per governare e avviare trasformazioni materiali realizzate da macchine e da energia artificiale.
Il lavoro energetico invece è una forma di lavoro che usa la forza muscolare per trasformare i materiali, trasportare oggetti pesanti, arare la terra ecc., dando loro una forma utile.
La linea di demarcazione tra le due forme di lavoro, però, è meno ovvia di quello che sembra. Per due ragioni: prima di tutto, anche il lavoro cognitivo dello scienziato, dell’artista, del professore, del tecnico utilizza il corpo e le sue capacità fisiche per produrre/usare la conoscenza; d’altra parte, è altrettanto vero che il lavoro energetico non è soltanto energia allo stato “puro”, ma è sempre energia guidata dall’intelligenza “biologica” dell’uomo-lavoratore, necessaria per rendere efficiente il lavoro di trasformazione realizzato.
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E' arrivato l'asfaltatore, senza piume sul cappello
Giorgio Salerno
«La guerra è finita» titolava trionfalmente su nove colonne il Giornale di Alessandro Sallusti domenica 19 gennaio e gli occhielli sottolineavano «La svolta della sinistra. Renzi riceve Berlusconi e lo riconosce come primo e legittimo interlocutore».
Non ritornerò sulle considerazioni già svolte, e con molta più autorevolezza dello scrivente, da emeriti giuristi, eminenti politologi, opinionisti di fama sul senso politico dell'incontro tra Berlusconi e Renzi nella sede del PD e sul merito della legge elettorale su cui i due si sono accordati. Basti dire che essa, prontamente battezzata da Sartori come 'Bastardellum', non risolve i problemi di incostituzionalità segnalati dalla Corte Costituzionale sul Porcellum in merito all'entità del premio di maggioranza ed all'impossibilità per gli elettori di scegliere il proprio rappresentante. Inoltre il pastrocchio berlusconian-renziano, aggrava, volutamente, con le alte soglie di accesso al Parlamento, i limiti di rappresentatività delle Camere.
Il segretario democratico, a chi gli chiedeva di abbassare la soglia di sbarramento (5% per i partiti in coalizione, 8% per i partiti da soli e 12% per le coalizioni), ha risposto in modo sprezzante ed arrogante: «Si mette la soglia di sbarramento proprio per evitare il ricatto dei partitini. I partitini si arrabbiano? Si arrangino. Basta al potere di ricatto».
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Foto dalla Siria
di Francesco Santoianni
Anche “Caesar” per far fallire “Ginevra 2”
Di medici forensi abbindolati dai Signori della Guerra sono pieni gli annali. Forse, il caso più famoso è il massacro di “inermi civili”, a Racak, in Jugoslavia nel 1999, attestato in prima battuta da autorevoli medici forensi chiamati dall’ONU; poi, un team di medici meno allocchi attestò inequivocabilmente che, le anonime persone uccise (a bruciapelo) potevano pure essere dei “civili” (anche se la loro comune robusta corporatura lasciava spazio ad altre ipotesi) ma di certo non potevano dirsi “inermi” considerato che l’esame con il guanto di paraffina (assurdamente non effettuato dal primo team di medici) rivelava tracce di polvere da sparo sulle loro mani.
Ma, allora, almeno c’erano indagini sul campo, appassionanti dibattiti su controverse “prove” o su circostanze che potevano dimostrare una cosa o un’altra… Niente di tutto questo nel, davvero sbalorditivo, “Rapporto sulla credibilità di alcuni elementi di prova relativi a tortura ed esecuzione di persone incarcerate dal regime siriano” firmato, oltre che da tre “giuristi” (capitanati dall’ineffabile Sir Geoffrey Nice, ex Procuratore Capo del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia) da due, finora autorevoli, medici forensi inglesi: Stuart Hamilton e Susan Black.
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Geografie del valore
In margine al libro di un cervello felicemente in fuga
di Maurizio Ricciardi
È piaciuto al segretario del PD il libro di Enrico Moretti, La nuova geografia del lavoro (Milano, Mondadori, 2013), al punto da onorarlo di una citazione nel suo discorso d’insediamento. D’altra parte anche Forbes lo giudica il libro di economia più importante del 2013. Pur cedendo talvolta alle seduzioni dell’analogia, si tratta però di un libro specificamente dedicato all’economia statunitense delle città che negli ultimi decenni hanno ospitato o subito l’innovazione del processo produttivo basata sull’informatica e sul digitale. Il processo che negli USA ha collocato l’economia dell’innovazione all’interno di alcuni spazi urbani si è ormai consolidato, al punto che la crisi degli ultimi anni non l’ha messo sostanzialmente in discussione, configurandosi come una sua ridefinizione interna se non salutare comunque necessaria. Tutt’altro insomma di una catastrofe epocale. Negli Stati uniti la scienza è diventata un fattore produttivo in sé, non solamente come tecnologia applicata al prodotto. Il lavoro scientifico è considerato di conseguenza come lavoro generalmente produttivo, non come una rendita da tagliare o da celebrare come solitaria eccellenza che illustra la patria. Se la spazialità del capitale è diventata così importante è quanto meno problematico pensare di poter replicare quel modello in altri spazi, che non solo presentano condizioni di partenza completamente differenti, ma che oggi dovrebbero prima di tutto fare i conti con città e regioni che hanno nel frattempo consolidato la loro supremazia.
L’autore è un cervello felicemente in fuga che dalla Bocconi e approdato a Berkeley per insegnare economia del lavoro.
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L’Unione Bancaria da respingere
Il flop di regole inutili e dannose che non affrontano la crisi
di Enrico Grazzini
Mario Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea, avverte che molte banche dovranno chiudere con le nuove regole decise a dicembre dai governi europei per formare una Unione Bancaria. La BCE annuncia quindi un'altra crisi potenzialmente dirompente dopo quella drammatica dei debiti sovrani.
Ecco perché questa Unione Bancaria europea è da respingere: perché favorisce l'inasprimento della crisi europea, non risolve la deflazione in corso e indebolisce le banche del sud a favore delle banche dei paesi più ricchi, Germania in testa. Per essere chiari: quando, alla fine del 2014, le regole dell'unione bancaria cominceranno ad essere applicate, una banca in grande e seria difficoltà come in Italia MPS incontrerebbe dei problemi ancora maggiori e potrebbe rischiare veramente di chiudere se non fosse nazionalizzata o ceduta all'estero.
Ma chi dice che l'unione bancaria è un fallimento? I soliti marxisti catastrofisti e incompetenti? La sinistra radicale ed estremista? Il populista Beppe Grillo? No, lo riconosce prima di tutti Wolfgang Munchau, forse il maggiore esperto di economia europea e di euro: l'uomo che meglio conosce il sentimento dei mercati finanziari.
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Lista Tsipras: pensandoci su
Aldo Giannuli
Come si sa, un gruppo di intellettuali (Camilleri, Spinelli, Flores D’Arcais, Gallino, Revelli, Viale) ha proposto di dar vita ad una lista in appoggio alla candidatura di Alexis Tsipras alla Presidenza della Commissione Europea ed ispirata all’esperienza unitaria della sinistra greca espressa dalla lista di Siriza. L’appello propone un impegno per un’Europa diversa che, pur mantenendo la moneta unica, respinga le politiche di austerità ed il fiscal compact perché: “È nostra convinzione che l’Europa debba restare l’orizzonte, perché gli Stati da soli non sono in grado di esercitare sovranità, a meno di chiudere le frontiere, far finta che l’economia-mondo non esista, impoverirsi sempre più.”
Si propone un “piano Marshall dell’Unione, che crei posti di lavoro con comuni piani di investimento e (che) colmi il divario tra l’Europa che ce la fa e l’Europa che non ce la fa”. Inoltre si propone che l’Europa divenga unione politica dandosi una Costituzione scritta dal suo Parlamento in sede costituente. Si chiede cha la Bce abbia poteri simili a quelli della Fed (essenzialmente di emettere liquidità a discrezione e comperare titoli di debito dei paesi membri).
Per questo si auspica di “rimettere in questione due patti-capestro. Primo, il fiscal compact e il patto di complicità che lega il nostro sistema politico cleptocratico alle domande dei mercati”.
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Euro, ordo-liberismo e la modifica delle Costituzioni democratiche
A. Bianchi intervista Luciano Barra Caracciolo*
- Gli Stati sono oggi circa 200 e le Organizzazioni internazionali più del doppio. L'azione di quest'ultime è perlopiù esente da alcuna forma di controllo e responsabilità attraverso i consueti meccanismi democratici nazionali. Nel suo libro, inoltre, spiega molto bene la differenza che non viene colta dall'opinione pubblica tra quelle organizzazioni nate per lo sviluppo della pace e della cooperazione internazionale con quelle che, al contrario, hanno fini prettamente economici e che stanno portando ad una riformulazione del vecchio sistema di Westfalia. Come evolverà il rapporto tra Stati ed organizzazioni internazionali e quali sono i meccanismi di difesa rimasti ad i primi?
In un mondo che sostanzialmente vede la diffusione del modello capitalista (liberoscambista) a livello praticamente planetario, i rapporti di forza della comunità internazionale, che una volta erano legati alle cannoniere, sono oggi sul piano esclusivamente economico e legati sempre più alla capacità di penetrazione dei grandi gruppi finanziari internazionali. Non si tratta più di indagare la prevalenza degli stati in sé, ma il modo in cui gli stati collimino, nelle loro scelte, con la classe dirigente mondiale, la famosa oligarchia mondiale e non più con l’interesse nazionale in senso democratico. E su questo il professore coreano di Cambridge Chang nel suo libro “Bad samarhitans” credo offra il punto di vista più lucido.
Molte organizzazioni internazionali sono di fatto oggi dominate dai gruppi economici che utilizzano gli stati per la loro legittimazione formale.
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Ecco la fine della crescita
Ovvero: tecnocrazia stadio supremo del capitalismo?
Mauro Bonaiuti
Il fatto
Il 14 novembre scorso - davanti alla platea degli esperti del Fondo Monetario Internazionale, riunito per la sua 14 riunione annuale, – Larry Summers, uno dei più scaltri e influenti economisti americani, ex Segretario del Tesoro, ha pronunciato un discorso per molti versi eccezionale in cui, per la prima volta in contesto ufficiale, si è parlato esplicitamente di "stagnazione secolare" o come qualcuno l'ha ribattezzata di “Grande stagnazione": a cinque anni dalla Grande Recessione - dice Summers - nonostante il panico si sia dissolto e i mercati finanziari abbiano ripreso a salire, non c'è alcuna evidenza di una ripresa della crescita in Occidente.
Il discorso di Summers è stato ripreso da varie testate economiche (Financial Times, Forbs, e in Italia da Micromega e la Repubblica) oltre che dal premio Nobel Paul Krugman, che già da qualche tempo andava sostenendo tesi assai simili dal suo blog sul New York Times.
Nonostante il discorso di Summers e la conferma di Krugman abbiano ovviamente provocato molte reazioni, le loro affermazioni non hanno ricevuto sostanziali smentite, soprattutto da parte dei responsabili delle istituzioni economiche americane e occidentali. Insomma, la notizia è ufficiale: l'età della crescita potrebbe essere davvero finita e parlarne non è più eresia.
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A proposito di “critica del valore”
Una lettera ad Anselm Jappe
di J.-C.
Introduzione redazionale
Già da qualche tempo, anche in Italia, assistiamo ad un non trascurabile interesse per la cosiddetta “critica del valore” (in tedesco: Wertkritik), la quale costituisce ormai un corpus di tesi più o meno definito e identificabile. Questa corrente – sviluppatasi in Germania a partire dagli anni 1990, ma che ha trovato eco in Brasile, Portogallo, Francia etc. – propone un'interpretazione del testo marxiano che mette particolarmente in rilievo le nozioni di capitale come corso oggettivo (“soggetto automatico” reso autonomo rispetto agli individui singoli) e di lavoro astratto. Egualmente, essa tende a contrapporre – almeno in una parte dei suoi teorici di riferimento – un Marx definito “essoterico”, cioè buono per metalmeccanici babbei e per socialismi d'altri tempi, ad un Marx “esoterico” che si troverebbe soprattutto nei Grundrisse. Tra i principali testi di questa corrente, si possono leggere in traduzione italiana il Manifesto contro il lavoro del Gruppo Krisis (DeriveApprodi, Roma 2003), La fine della politica e l'apoteosi del denaro di Robert Kurz (Manifestolibri, Roma 1997) ed il recente pamphlet Contro il denaro di Anselm Jappe (Mimesis, Milano 2013)1.
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Elogio della "crescita delle forze produttive" o critica della "produzione per la produzione"?
Il doppio Marx di fronte alla crisi ecologica
di Anselm Jappe
Per fortuna, sono passati i tempi in cui, in un dibattito, si poteva aver la meglio su un avversario solo citanto un passo appropriato di Marx (o inventandoselo, come faceva Althusser, per sua propria ammissione). Per fortuna, sono passati anche i tempi in cui ci si doveva vergognare di citare un autore che la caduta del Muro di Berlino avrebbe smentito per sempre, secondo la vulgata neoliberista. Al giorno d'oggi, è difficile non utilizzare gli strumenti di Marx al fine di comprendere quello che ci succede e, allo stesso tempo, non siamo affatto obbligati a prendere alla lettera ogni sua frase.
Dire questo, non vuole essere un invito al saccheggio delle sue idee, ad un uso eclettico per cui ciascuno attribuisce a Marx quello che più gli piace. Né si tratta di caricare di "verità lapalissiana" ciò che c'è di buono e di meno buono in Marx, dal momento che la sua opera, come tutte le opere, è contraddittoria e che anche lui è stato figlio del suo proprio tempo, condividendone i limiti, soprattutto per quel che riguarda l'ammirazione eccessiva per il progresso. E' più proficuo distinguere fra un Marx "essoterico" ed un Marx "esoterico": in una parte della sua opera - la parte quantitativamente maggiore - Marx è un figlio dissidente dell'Illuminismo, della società del progresso e del lavoro, di cui sostiene un'organizzazione più giusta, da realizzare attraverso la lotta di classe.
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Augusto Graziani, un economista "inattuale"
di Riccardo Bellofiore
La scomparsa di Augusto Graziani non lascia eredi, ma un compito: quello di reagire a questa era di decadenza nel pensiero economico italiano
Con Augusto Graziani scompare una delle ultime voci di una stagione irripetibile del pensiero economico italiano: un intellettuale impegnato e a tutto tondo, che male si farebbe a ridurre a una qualche dimensione ‘profetica’. Graziani, con Napoleoni, Sylos Labini, Caffè, Garegnani, e pochi altri fa parte di una generazione che, mentre si apriva ai contributi del pensiero economico anglosassone, lo faceva in modo critico e aperto, senza alcuna subalternità, proponendo una riflessione originale. Una ‘tradizione’ di cui andare orgogliosi, dove la simbiosi tra la storia dell’economia politica e dell’economica, da un lato, e lo sviluppo di schemi teorici alternativi, dall’altro, andavano di pari passo con una visione dell’economia come parte di una scienza sociale critica. Il dibattito teorico veniva integrato e prolungato nell’intervento diretto sulle questioni di politica economica, senza che vi fosse iato alcuno e mai scivolando nell’astrattezza. Non si temevano i contrasti, anche aspri, ma la polemica si manteneva sempre ai massimi livelli, senza mai degenerare (come sovente oggi) a rissa da cortile. Non lascia eredi, piuttosto un compito: quello di reagire a questa era di decadenza nel pensiero economico italiano, sfuggendo alla tenaglia tra l’importazione di una teoria economica apologetica e il corto circuito cui si condannano i filoni marginalizzati.
Graziani nasce a Napoli nel 1933, e si laurea nel 1955 con Di Nardi. Svolge successivamente studi alla Lse di Londra con Lionel Robbins e ad Harvard, dove incontra Leontief e Rosenstein-Rodan.
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Il trattato transatlantico
Un uragano minaccia gli europei
di Lori Wallach*
Avviati nel 2008, i negoziati sull’accordo di libero scambio tra Canada e Unione europea sono terminati il 18 ottobre. Un buon segnale per il governo statunitense, che spera di concludere con il Vecchio continente una partnership di questo tipo. Negoziato in segreto, tale progetto fortemente sostenuto dalle multinazionali permetterebbe loro di citare in giudizio gli stati che non si piegano alle leggi del liberismo
Possiamo immaginare delle multinazionali trascinare in giudizio i governi i cui orientamenti politici avessero come effetto la diminuzione dei loro profitti? Si può concepire il fatto che queste possano reclamare – e ottenere! – una generosa compensazione per il mancato guadagno indotto da un diritto del lavoro troppo vincolante o da una legislazione ambientale troppo rigorosa? Per quanto inverosimile possa apparire, questo scenario non risale a ieri. Esso compariva già a chiare lettere nel progetto di accordo multilaterale sugli investimenti (Mai) negoziato segretamente tra il 1995 e il 1997 dai ventinove stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) (1).
Divulgato in extremis, in particolare da Le Monde diplomatique, il documento sollevò un’ondata di proteste senza precedenti, costringendo i suoi promotori ad accantonarlo. Quindici anni più tardi, essa fa il suo ritorno sotto nuove sembianze. L’accordo di partenariato transatlantico (Ttip) negoziato a partire dal luglio 2013 tra Stati uniti e Unione europea è una versione modificata del Mai. Esso prevede che le legislazioni in vigore sulle due coste dell’Atlantico si pieghino alle regole del libero scambio stabilite da e per le grandi aziende europee e statunitensi, sotto pena di sanzioni commerciali per il paese trasgressore, o di una riparazione di diversi milioni di euro a favore dei querelanti.
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Umiliati e offesi
I dolori del popolo antiberlusconiano
Sebastiano Isaia
1. Pregiudicato!
I manettari del Fascio Quotidiano e i “comunisti” del Manifesto hanno voluto dare voce al «grave disagio», allo smarrimento e alla vera e propria indignazione che in queste tragiche ore attraversano il Popolo di Sinistra. «Si può fare una riunione del consiglio scolastico con il professore pedofilo per discutere di programmi educativi dell’anno 2013/2014?», chiedeva retoricamente ieri Marco Politi dal quotidiano che rappresenta forse l’ultima trincea dell’antiberlusconismo duro e puro. La risposta non poteva essere che questa: «Non si può. Non c’è da spiegare molto. Non si può. In Italia sta accadendo di peggio. Tra poche ore saremo informati che un aspirante premier, leader del maggiore partito politico italiano, ha incontrato un pregiudicato per discutere di affari di stato: una legge elettorale, l’abolizione del Senato elettivo. Stiamo parlando di elementi cardine del sistema costituzionale». La parola chiave, qui, è pregiudicato. Notare anche l’accostamento, che la dice lunga sulla natura violenta e rancorosa dei manettari, tra il «professore pedofilo» e il «puttaniere» di Arcore – e nessuno si azzardi a paragonarlo al socialista Hollande!
Ora, e al di là delle tante considerazioni politiche – e psicoanalitiche – che si possono fare sulle opposte tifoserie di Miserabilandia, ditemi se uno che, come il sottoscritto, è da sempre un avversario irriducibile della legalità borghese (scusate l’arcaismo), e quindi del «sistema costituzionale» (scusate il sovversivismo delle classi subalterne), può “vivere” con disagio e insofferenza il “famigerato” incontro tra Renzi e Berlusconi. Renzi e Berlusconi hanno raggiunto un accordo? E chi se ne frega! Non lo hanno raggiunto? Idem!
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Gli asfaltori (della Costituzione)
Leonardo Mazzei
L'Italia ha scoperto, di recente, di avere una Corte Costituzionale. Una rivelazione non da poco, dato che la Consulta è sempre apparsa come un organismo in "sonno". Ora, però, c'è il rischio che la scoperta passi presto nel dimenticatoio.
Accade infatti che colui che doveva "asfaltare" Berlusconi abbia deciso invece di elevarlo al rango di legislatore, proprio per procedere di comune accordo ad incatramare la sentenza della Corte Costituzionale.
La proposta di modifica della legge elettorale Pd-Forza Italia non è ancora nota nei dettagli, ma quel che è trapelato basta ed avanza. Certo, siccome quella in corso è un'autentica guerra per bande, non sono impossibili cambiamenti anche sostanziali, se non addirittura rovesciamenti di fronte ad oggi impensabili. La convulsa stagione politica aperta dal terremoto elettorale del febbraio 2013 ci ha già regalato la grottesca vicenda che ha riportato Napolitano al Quirinale, le confuse gesta del governicchio Letta, la spaccatura del Pdl, la rinascita di Forza Italia, l'arrivo di Renzi alla guida del Pd.
Dunque, ne vedremo di certo ancora delle belle. Ma intanto concentriamoci su quello che (stando alla stampa) sarebbe l'accordo siglato ieri nella sede del Pd. A proposito, alcuni militanti di quel partito hanno considerato l'ospitalità data al noto truffatore una specie di profanazione del "Nazareno".
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“Ciao democrazia!”
Renzi e Berlusconi: una “profonda sintonia”
di Luca Michelini
1. La politica ha leggi proprie, anche se pensare di isolarle dal contesto socio-economico sarebbe errore gravissimo. Tra le leggi della politica vi è quella che impone di svolgere una lettura per quanto possibile realistica della situazione di fatto, delle forze in campo. Si valutano gli eserciti schierati, indipendentemente dal fatto che si parteggi per l’uno o per l’altro di essi.
2. Ebbene, per quanto il governo Letta si possa e si debba criticare (personalmente sono stato per “la soluzione Rodotà”, con tutte le conseguenze possibili sul piano del Governo), come si può e si deve criticare il governo Napolitano, ché siamo ormai in una Repubblica presidenziale, non si può negare che sul piano strettamente politico Napolitano-Letta abbiano ottenuto un risultato importante: hanno cioè spaccato il PDL, mandando Forza Italia all’opposizione e non hanno interferito con le decisioni della magistratura sul caso Berlusconi, che è dovuto uscire dal Parlamento. Di fatto sta nascendo, pur tra mille contraddizioni, una destra non dico liberale, ma comunque emancipata dal “partito-padrone”.
Naturalmente, in molti, Renzi compreso (lo ha detto in direzione PD) considerano l’avvenuta scissione del PDL come una mera farsa, finendo per considerare l’attuale dialettica parlamentare un vero e proprio teatro, dietro il quale si nasconde un unico interesse, facente capo al lungo dialogo avvenuto tra PD e PDL.
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Elezioni Europee. Che aria tira a sinistra?
Salvatore Romeo
Mentre l’attenzione delle forze politiche nostrane appare tutta concentrata su questioni interne (dalla legge elettorale alle presunte riforme del mercato del lavoro), la data delle elezioni europee (fissata per il 25 maggio) si avvicina. La limitatezza del dibattito su quell’appuntamento è sconcertante se si pensa a quanto incidano gli equilibri interni all’Unione Europea e le decisioni assunte dalle sue autorità sulla vita quotidiana di tutti gli Italiani. L’indifferenza dei partiti “maggiori” si associa alla superficialità che la discussione ha assunto nello spazio politico collocato alla sinistra del PD renziano. Qui il dibattito verte principalmente sul leader da sostenere come candidato alla Presidenza della Commissione – il socialdemocratico tedesco Martin Schulz (espressione delle forze della “sinistra riformista” raccolte nel Partito Socialista Europeo) o il greco Alexis Tsipras (sostenuto dal Partito della Sinistra Europea, il contenitore della “sinistra radicale”) – e sulla forma che un’eventuale lista unitaria dovrà assumere – “lista di cittadinanza” o coalizione di forze politiche e sociali. Ancora una volta si preferisce eludere questioni di merito, forse per non dover ammettere che i problemi sono molto più complessi di come appaiano – e richiederebbero dunque un lavoro ben più articolato di quello che si è disposti a fare.
La fondamentale questione che aleggia nel dibattito sull’Europa – come uno spettro che ci si guarda bene dal nominare – è riassumibile nella domanda “l’Unione Europea è riformabile?”.
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Il disegno schizoide della rottamazione*
di AOMAME
Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi”. John Maynard Keynes
“Se quel che è successo dal 2011 doveva impedire l’arrivo di Renzi, ebbene Renzi è arrivato. Bisogna vedere se non si eècapito nulla allora e se oggi ci si è dovuti arrendere”. Cesare Geronzi
Ci siamo. A due anni dai bombardamenti a colpi di spread che hanno fatto cadere Silvio Berlusconi e portato Mario Monti a Palazzo Chigi e a otto mesi dalla nascita di un secondo esecutivo non determinato dalle elezioni, ecco che con il 2014 entra nel vivo la lotta tra poteri del capitalismo italiano per superare la perdurante crisi, ricomporsi e salvarsi. Da una parte il premier Enrico Letta e il suo governo con Angelino Alfano: esecutivo con solide radici nell’esperienza dei predecessori tecnici, nato per la stabilità e vocato a quello scopo, come ripete fino all’ossessione il padre politico, Giorgio Napolitano. Dall’altra parte, Matteo Renzi, neo-segretario del Pd che arriva alla guida del partito nonché dell’opposizione politica (di fatto è così) al governo delle larghe intese carico di tutti gli agganci finanziari che è riuscito a raggranellare finora e delle promesse di chi arriverà alla sua corte: ce ne sono ogni giorno di più. E proprio per via della ‘novità Renzi’, in Italia, più che in altri paesi dell’Ue, è visibile – anche a occhio nudo – quella ‘guerra dei Roses’ attraverso la quale il sistema neoliberale tenta di riassestarsi, eliminando gli attori vecchi cui viene imputata la crisi e rimpiazzandoli con i nuovi. È la rottamazione tradotta in economia, ma i suoi meccanismi sono ben diversi da quella che in politica ha spedito al confino Massimo D’Alema. Perché in economia molto spesso si tratta di conquistare gli agganci finanziari altrui, piuttosto che rottamarli.
Da una parte Letta-Napolitano e la stabilità, sorretta anche dalle ricette della Bce di Mario Draghi che tanto fanno arrabbiare la Germania di Angela Merkel.
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Cui prodest?
di Sandro Moiso
“Confusion will be my epitaph” (Epitaph, King Crimson 1968)
Se i macroscopici errori contenuti nel recentissimo sceneggiato televisivo, trasmesso su Rai 1, dedicato al commissario Calabresi fossero soltanto da attribuire alla grossolanità della sceneggiatura e all’insipienza della regia non ci sarebbe di che stupirsi. Né, tanto meno, ci sarebbe argomento del contendere: da più di vent’anni ormai il cinema e gli sceneggiati televisivi italiani, a parte pochi e rarissimi casi, fanno cagare.
L’impressione che però si ha di fronte alle attuali produzioni televisive e cinematografiche (dalla serie “Gli anni spezzati”, che ruba il titolo ad un bellissimo film-antimilitarista ed anti-imperialista di Peter Weir, all’ancor recente “Il romanzo di una strage”) è che tale superficialità sia voluta. Una confusione di simboli, affermazioni e ricostruzioni raffazzonate che non dipende soltanto dalla mano degli autori, in alcuni casi, anche se non sempre, di destra. Ma che dipende, invece, da una ben precisa volontà di sovvertire l’ordine e il significato storico, politico e sociale degli avvenimenti rappresentati.
“Lotta di classe è brutto” potrebbe essere il titolo sotto cui raccogliere tali capolavori che, in tutte le loro varianti, tendono a rimuovere e negare la centralità della lotta di classe non solo nella storia d’Italia, ma nella storia della specie umana. Che torna ad essere determinata soltanto dai sentimenti, dalle passioni e dai drammi, tutti rigidamente ed esclusivamente “individuali”.
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Tutto quel che (non) ci ha insegnato la crisi
di Vincenzo Comito
Il ritorno delle cartolarizzazioni e l'ammorbidimento del Liikanen Report sulla separazione per le banche tra attività commerciali e speculative
La crisi scoppiata ufficialmente nel 2007-2008 ci ha insegnato molte cose.
Tra l’altro, essa ci ha svelato chiaramente la reale struttura del potere esistente nelle società occidentali, che è apparso molto concentrato in una ristretta oligarchia politico-industrial-finanziaria; ci ha mostrato anche, altrettanto chiaramente, le crescenti differenziazioni di reddito e di ricchezza che tale struttura genera nei vari paesi. Essa ci ha anche indicato i meccanismi finanziari attraverso i quali cresce e si riproduce in maniera allargata nel tempo.
Si poteva pensare, e molti lo hanno fatto, che la stessa crisi avrebbe spinto le classi dirigenti dei paesi ricchi ad apportare dei mutamenti rilevanti nei meccanismi di funzionamento della macchina finanziaria, che non apparivano chiaramente più adeguati ad una marcia ordinata delle cose; ma tali mutamenti, che pure non sono mancati, sono indubbiamente risultati, almeno sino ad oggi, pochi, tardivi e modesti. Sino a questo momento viene così smentita la indubbia capacità del sistema capitalistico, sempre manifestatasi in passato, di rispondere alle crisi e alle difficoltà con rinnovata energia e mettendo comunque in campo tutte le innovazioni necessarie ad innescare nuovi cicli di accumulazione.
E è forse anche per tale stato delle cose che, negli ultimi tempi, si è sviluppato un dibattito tra gli economisti occidentali, avviato da Larry Summers e sul quale abbiamo a suo tempo fornito qualche informazione su questo stesso sito, sul cosa fare davanti alla stagnazione di lungo periodo che sembra caratterizzare ormai le economie occidentali, al di là di qualche oscillazione congiunturale più o meno favorevole che si manifesta qua e là.
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Il mistero della sinistra scomparsa*
Guido Ortona
1. Il mistero. Nessuna componente del PD sta mettendo al centro del suo programma politico delle proposte per uscire dalla crisi. La cosa è tanto più strana, almeno a prima vista, perché nella cultura economica della sinistra queste proposte invece non solo esistono, ma sono ovvie; e non solo sono ovvie, ma sono ancorate molto solidamente alla teoria e alla storia economica. Questa clamorosa assenza deve essere spiegata. Non è sufficiente invocare la stupidità, la corruzione e l'ignoranza dei politici del PD, che sono peraltro sotto gli occhi di tutti. Perchè come vedremo essere ignoranti e stupidi può essere non tanto un caso quanto una scelta, come lo è ovviamente essere corrotti. Cominciamo però dalle ovvietà storiche ed economiche. Eccole:
1. Non credo si sia mai dato il caso di una economia capitalista non minuscola che si sia sviluppata puntando solo sull'efficienza dei mercati. È sempre (o forse quasi sempre) stato necessario un massiccio intervento dello stato. Questo vale, a fortiori sul piano teorico e con tutta evidenza su quello storico, per l'uscita da situazioni di gravi crisi[1].
2. L'intervento dello stato a fini espansivi richiede l'uso della politica monetaria (espandere l'offerta di moneta e/o operare sui tassi di cambio) oppure della politica fiscale (espandere il debito pubblico e/o trasferire redditi mediante politiche redistributive); oppure, naturalmente, di entrambe.
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Che cos'è il Front National di Marine Le Pen
(dedicato a quelli che la dicotomia destra-sinistra non c’è più)
di Moreno Pasquinelli
17 gennaio. I recenti successi elettorali del Front national di Marine Le Pen stanno seminando il panico nel fronte unico degli euristi, di destra e di sinistra. Questi sono terrorizzati all’idea che le prossime elezioni europee consegnino ad esso una clamorosa vittoria. Un simile esito sarebbe il segnale che l’asse carolingio o franco-tedesco, già in crisi, avrebbe imboccato la via del tramonto, con buona pace dell'euro.
Primo: sbarazzarsi dei tabù
Nella sinistra d’Oltralpe prevale, prevale, davanti alla valanga lepenista (ma questo vale anche per quella italiana), uno spavento irrazionale, basato a sua volta su di un doppio tabù: quello della sovranità nazionale e quello del fascismo.
In psicanalisi un tabù è un pensiero inammissibile, o un atto proibito; mentre per gli etnologi equivale ad un divieto sacrale di avere contatto con qualcosa o qualcuno.
Per la sinistra, mentre la sovranità nazionale è un pensiero proibito, col fascismo qualsiasi contatto è considerato peccato, quindi proibito anch'esso.
Andiamo dicendo da anni che se non ci liberà di questi tabù, nulla si capisce dei profondi processi sociali e ideologici in atto, e chi nulla comprende ha il destino segnato.
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Il Sud ferma il treno del Nord
Massimo Cacciari e altri luoghi comuni
Carmelo Petraglia*
L’interpretazione maggioritaria della questione meridionale fa leva, da anni, su tanti consolidati luoghi comuni. Più di recente, gli stereotipi sul Mezzogiorno hanno conquistato la scena del dibattito sul declino italiano. Acquisito lo status di verità indiscutibili, interpretazioni parziali quanto strumentali della natura dualistica del Paese, forniscono presupposti erronei perfino alle analisi di raffinati osservatori della società italiana, che diventano narratori – più o meno consapevoli – di un racconto lontano dai numeri e dalla realtà.
L’ultima vittima (inconsapevole?) del luogo comune è Massimo Cacciari. Lo dimostra l’intervista dal titolo Cacciari «L’evasione resta solo al Sud, ecco come si frena il treno del Nord» pubblicata giorni fa dal Corriere del Mezzogiorno[1].
Il Nord è la locomotiva del Paese frenata dalla zavorra Sud. L’evasione fiscale è una prerogativa meridionale. Il peso eccessivo che il Nord deve sostenere per i conti generali del Paese è un dato oggettivo. Cacciari muove da queste tre «constatazioni di fatto» per proporre una lettura a dir poco semplificata del dualismo italiano, indicando, perentorio, la strada della ripresa: «O si ricomincia dalla locomotiva o non c’è ripresa. Mica possono essere i vagoni a portare avanti il Paese». Peccato che i tre fatti siano solo luoghi comuni smentiti dai dati.
Primo luogo comune. Il Nord è una locomotiva frenata da vagoni troppo affollati da meridionali evasori e spreconi.
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Il cielo in disordine è caduto sulla terra
di Commonware
0. C’è differenza tra l’ideologia e un ordine del discorso. Proviamo a rendere questa astrazione storicamente determinata, cioè politicamente utilizzabile. La divisione tra “fannulloni e start-up” affacciatasi sui media dopo il #19o ha evidentemente delle componenti ideologiche, ma queste poggiano su una base materiale costituita dai processi di segmentazione dentro la composizione di classe.
In questo senso l’ordine del discorso organizza i lessici e le retoriche del potere rispetto a una situazione concreta, è un dispositivo che fa apparire come neutrali quelli che sono interessi di parte, irreversibile ciò che invece dipende dai rapporti di forza e dunque è trasformabile. Allora, non si tratta semplicemente di disvelare la verità, ma di produrla.
1. Un dato di fatto, tanto per cominciare: come è stato sottolineato nel nostro dibattito, in Italia la consistenza effettiva delle start-up è trascurabile, potremmo dire che si tratta di un fenomeno marginale. Ma in questo caso più che il significato conta il significante, ovvero quella riproposizione di un lessico meritocratico che nella sua forma originaria (quella che è stata un problema reale dentro l’Onda, per intenderci) non è più riproponibile.
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Oltre l'euro
La sinistra La crisi L'alternativa
Di seguito alcuni degli interventi del convegno di Chianciano dell'11-12 gennaio 2014
OLTRE L'EURO. La sinistra. La crisi. L'alternativa. 11-12 Gennaio 2014. Chianciano Terme
https://www.youtube.com/watch?v=2nFL9IAxdXg
Moreno Pasquinelli: Prolusione
https://www.youtube.com/watch?v=w1N_N7zNM7k
Warren Mosler, Il fondatore nonchè capo economista della Modern Monetary theory, è presente al convegno-conferenza di Chianciano, organizzato dai movimenti MPL e Bottega Partigiana, con una lunga e precisa prolusione, dalla moneta alla disoccupazione, dal mercato "tarocco" alla vera ricetta di uscita-crisi. Davvero interessante! il sito di Mosler: http://moslereconomics.com/about/
https://www.youtube.com/watch?v=NM-9vUGavG4
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