Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 3365
Giulio Regeni, dove volano gli avvoltoi
Fulvio Grimaldi
Due cose sono infinite. L’universo e la stupidità umana. E non sono sicuro dell’universo”. (Albert Einstein).
“Le azioni sono ritenute buone o cattive, non per il loro merito, ma secondo chi le fa.Non c’è quasi genere di nequizia– tortura, carcere senza processo, assassinio, bombardamento di civili – che non cambi il suo colore morale se commessa dalla ‘nostra’ parte. Lo sciovinista non solo non disapprova atrocità commesse dalla sua parte. Ha anche una notevole capacità di non accorgersene”. (George Orwell)
Un eroe? Calma e gesso
Sulla persona di Giulio Regeni, trovato morto con segni di tortura al Cairo, probabilmente fatto trovare morto con segni di tortura, non ho elementi e quindi diritto di pronunciarmi. Prendo atto della sua formazione accademica anglosassone, della sua vicinanza giornalistica al più discutibile e filoccidentale informatore sul Medioriente (Giuseppe Acconcia, “il manifesto”), del suo impegno per i "sindacati indipendenti". Leggo anche della notizia riferita dal “Giornale” secondo cui Regeni avrebbe lavorato per il servizio segreto AISE. Prendo quest’ultima notizia con le pinze, come con pinze lunghe cento metri prendo l’uragano di interpretazioni uniformi e apodittiche, nella solita chiave razzista eurocentrica, scatenate, sul solito pubblico basito e disarmato, in perfetta unanimità dai due giornali opposti di opposizione (“manifesto” e “Fatto Quotidiano”) e dalla gran maggioranza dei mainstream media di stampa e radiotelevisivi. In ogni caso, compiango la sua morte e il dolore dei suoi.
Non ho certezze, ma come per tutti gli avvenimenti che rivestono una portata strategica ed esercitano una fortissima pressione sull’opinione pubblica, potenziata dal concorso dei media citati, mi permetto di rilevare indizi e raggiungere un’ipotesi che, alla luce di quanto c’è di concreto e inoppugnabile, ha la stessa dignità e validità di quelle conclamate con sospetta sicumera da tutti gli altri che, a minuti dalla scoperta del cadavere, sanno già perfettamente su chi puntare il dito.
Regeni scriveva per il “manifesto” sotto pseudonimo. Per timore di rappresaglie, come dice la direttrice del suo giornale, dotata di certezze incrollabili fin dalle prime ore della notizia del ritrovamento, o perché sotto copertura?
- Details
- Hits: 2462
Il virus del lavoro è ricombinante
di Devi Sacchetto e Sandro Chignola
Riprendiamo da «Il Manifesto» del 3 febbraio 2016 il testo introduttivo del convegno «Globalizzazione e crisi. Lavoro, migrazioni, valore» che si è svolto presso l’Università di Padova il 4-5 febbraio 2016
Due fotografie, per cominciare. La prima mostra le lavoratrici marocchine in lotta a Monselice, nella bassa padovana, per difendere il proprio lavoro. La cooperativa per la quale operano la selezione della plastica nelle ecoballe di rifiuti a mani nude, con semplici guanti e mascherina, le ha licenziate per essersi sindacalizzate con l’Adl-Cobas. La seconda mostra i lavoratori migranti spagnoli che un’agenzia interinale tedesca ha selezionato per Amazon a Bad-Hersfeld, nell’Assia. Essi lavorano a salari molto più bassi di quelli che erano stati prospettati; non sono stati assunti a tempo indeterminato da Amazon come era stato loro promesso, ma solo per smaltire il carico di ordini di Natale e da una ditta subappaltatrice; vengono acquartierati in molti per camera in piccoli alberghi attorno ai magazzini di distribuzione controllati anche nel tempo libero o dedicato al riposo da una agenzia di security imbottita di neonazisti. Queste due fotografie evidenziano una serie di processi che marcano le condizioni del lavoro oggi e rendono problematiche le categorie con le quali l’Europa si autorappresenta. Migranti spagnoli in Germania per effetto del job on call; donne (marocchine) che lavorano tra i rifiuti a Monselice come se si trattasse di recuperadoras nelle discariche di qualche metropoli sudamericana.
- Details
- Hits: 2219
Per una prassi cosmopolita del patrimonio culturale
Alcuni appunti sulla visita di Rouhani
di Enrico Gullo
a Stefania
L’istituzione museale, nell’epoca della riproducibilità tecnica, non espone al suo interno nulla che non sia noto. È finalizzata alla conservazione e alla fruizione di una parte del patrimonio storico del territorio cui appartiene, ma quel patrimonio – almeno nei suoi elementi reputati fondamentali – è già riprodotto, divulgato, diffuso: le sue images percorrono lo spazio mediale e anticipano la fruizione materiale dell’opera. Gadget, merchandising, pubblicità: l’estetico diffuso – che trovi il suo punto di emissione nel Museo o in altri punti della rete di produzione estetica globalizzata – usa continuamente le immagini del passato (quante borse con la stampa della Gioconda abbiamo visto nella nostra vita? Quante volte abbiamo visto usata la Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer?); e se non è noto allo Straniero, all’Altro, è almeno noto – o gli è facilmente reperibile l’informazione – al cittadino occidentale, all’abitante del territorio; a maggior ragione se si tratta di una figura istituzionale o di rappresentanza.
Si spiega facilmente: il discorso mediale pubblico è completamente permeato dalle immagini del passato, cui in particolare l’Occidente dedica cure e sforzi nel tentativo di trovar loro una collocazione; in quella che si è pretesa essere l’era della fine delle grandi narrazioni (era che ormai volge al termine), l’Occidente continua a non poter fare a meno della Storia. Possiamo dire con serenità che era impossibile non essere a conoscenza della presenza di nudi che avrebbero potuto “offendere gli ospiti islamici”. I Musei Capitolini contengono la romanità antica per eccellenza. Si spiega però anche la goffa misura adottata come mediazione: era impensabile che figure di nudo – storicizzato e “artisticizzato” – potessero offendere qualcuno.
- Details
- Hits: 2617
La quarta guerra mondiale
di Spartaco A. Puttini
La crisi del Vicino oriente sembra divenire sempre più calda e complicata. Le sue ricadute, dirette e indirette, sull’Europa si fanno sempre più pesanti. Ma è l’intero clima internazionale a surriscaldarsi.
La dinamica è innescata dal tentativo statunitense si ottenere un dominio a pieno spettro che affermi Washington come l’unico vero centro decisionale del pianeta a scapito della libertà e della sovranità degli altri popoli e delle altre nazioni.
Con la prima guerra mondiale si è assistito all’urto tra gli imperialismi delle Grandi Potenze europee che fino a prima si erano spartiti il mondo all’interno di una logica che potremmo definire di “concerto competitivo”. Fino a che gli antagonismi non divennero tanto irriducibili da accendere il fuoco alle polveri e mettere in moto la macchina infernale degli ultimatum, delle alleanze, delle dichiarazione di guerra e delle mobilitazioni.
Con la seconda guerra mondiale si è assistito al fenomeno della guerra totale nel pieno senso del termine, con il coinvolgimento diretto dei civili nel conflitto (sia passivo che attivo) e con l’implosione definitiva dell’ordine eurocentrico delle relazioni internazionali. La guerra segnò, de facto, l’egemonia statunitense e la subordinazione a Washington degli altri paesi a capitalismo avanzato. Un fenomeno senza nessun precedente storico.
Durante la guerra fredda l’egemonia statunitense è stata frenata e contrastata dall’URSS e dal campo socialista. La guerra fredda in fondo è stata la terza guerra mondiale. O la prima guerra mondiale dell’era atomica. Il meccanismo della mutua distruzione assicurata ha impedito che il confronto bipolare degenerasse in uno scontro diretto tra giganti. La guerra ha così assunto una molteplicità di forme: corsa agli armamenti strategici, competizione economica, conflitto ideologico, gara d’influenza nel Terzo Mondo, guerre calde, per procura, a livello regionale, etc…
- Details
- Hits: 1976
Democrazia, potere e sovranità nell’Europa di oggi
Nick Buxton intervista Yanis Varoufakis
In un’estesa intervista l’ex ministro greco delle finanze Yanis Varoufakis, sostiene che lo stato-nazione è morto e che la democrazia nella UE è stata sostituita da una tossica depoliticizzazione algoritmica che, se non contrastata, condurrà alla depressione, alla disintegrazione e forse alla guerra in Europa. Egli sollecita il lancio di un movimento pan-europeo per democratizzare l’Europa, per salvarla prima che sia troppo tardi.
Questa intervista, tratta da ‘State of Power’ del Transnational Institute – gennaio 2016, è stata condotta a fine dicembre 2015 da Nick Buxton del TNI con l’ex ministro greco delle finanze.
* * *
Quali consideri le maggiori minacce alla democrazia oggi?
La minaccia alla democrazia è sempre stata il disprezzo che il sistema prova per essa. La democrazia, per sua stessa natura, è molto fragile e l’antipatia nei suoi confronti da parte del sistema è sempre estremamente pronunciata e il sistema ha sempre cercato di svuotarla.
- Details
- Hits: 4066
Capitalismo senza fine?
Intervista con Anselm Jappe
Nato e cresciuto in Germania Anselm Jappe ha studiato filosofia in Italia e in Francia. È autore di vari vari libri, tra cui: Guy Debord, Roma, Manifesto libri, 2013²; Les Aventures de la marchandise. Pour une nouvelle critique de la valeur, Éditions Denoël, 2003; Crédit à mort: la décomposition du capitalisme et ses critiques, Éditions Lignes, 2011; Contro il denaro, Milano, Mimesis, 2013; Uscire dall’economia. Un dialogo fra decrescita e critica del valore: letture della crisi e percorsi di liberazione, con Serge Latouche, Milano, Mimesis, 2014. Ha collaborato con le riviste tedesche “Krisis” e “Exi”t (fondate da Robert Kurz), che sviluppano la “Critica del valore”.
Il 17 dicembre del 2015, ospite delle comunità zapatiste del Chiapas, ha presentato la conferenza “En busca de las raíces del mal” al Cideci/Universidad de la Tierra Chiapas, visualizzabile → qui.
Nell’intervista rilasciata successivamente a Radio Zapatista, tradotta per TYSM (e → qui ascoltabile in versione originale), Jappe parla del modo in cui certi concetti marxisti – in particolare la critica del valore – risultino indispensabili alla comprensione della realtà attuale, soprattutto in relazione a quella che egli chiama la crisi terminale del capitalismo. Allo stesso modo, Jappe riflette sulle implicazioni che tutto questo ha rispetto agli attuali movimenti di emancipazione.
- Details
- Hits: 4872
Come difendere la nostra privacy dal "Grande Fratello"
Micah Lee intervista Edward Snowden
Avvertenza: nel seguito, quanto è in corsivo tra parentesi quadre, è di Micah Lee; quanto è in tondo corpo 8 tra parentesi quadre, è del traduttore.
Il mese scorso ho incontrato Edward Snowden* in un hotel nel centro di Mosca, a pochi isolati dalla Piazza Rossa. Era la prima volta che ci incontravamo di persona. Mi aveva scritto un paio di anni fa, poi avevamo creato un canale di comunicazione criptato per i giornalisti Laura Poitras e Glenn Greenwald, ai quali Snowden voleva rivelare la dilagante e frenetica sorveglianza di massa messa in atto dalla National Security Agency (NSA) e dal suo equivalente britannico GCHQ (Government Communications Headquarters).
Oramai Snowden non era più nascosto nell’anonimato. Tutti sapevano chi era, molte delle informazioni che aveva rivelato erano di dominio pubblico ed era noto che viveva in esilio a Mosca, dove era rimasto bloccato quando il Dipartimento di Stato USA gli aveva annullato il passaporto mentre stava recandosi in America Latina. La sua situazione adesso era più stabile e le minacce contro di lui un po’ più facili da prevedere. Quindi ho incontrato Snowden con meno paranoia di quella che era invece giustificata nel 2013, ma con più precauzioni per la nostra sicurezza personale, visto che questa volta le nostre comunicazioni non sarebbero state telematiche ma di persona.
- Details
- Hits: 5612
Le Confessioni pericolose
Intervista su “Storia di un comunista” di Toni Negri
Marco Ambra intervista Girolamo De Michele
In occasione dell’uscita dell’autobiografia di Toni Negri (Storia di un comunista, Ponte alle Grazie, Milano 2015), che tante polemiche ha sollevato, abbiamo intervistato il curatore del volume Girolamo De Michele
Marco Ambra: Lasciamo da parte l’acritica stroncatura di Simonetta Fiori su Repubblica, segno di un evidente fastidio provocato dalla lettura di questa autobiografia, alla quale peraltro lo stesso Negri ha replicato sine ira ac studio.
Partiamo invece dal testo. Scorrendo le seicento pagine della vita di Toni Negri il lettore ha l’impressione di avere a che fare con una confessione, nel senso dato a questa categoria dalla filosofa Marìa Zambrano: la confessione è un genere letterario che sorge laddove l’autore intenzionato a raccontare la propria vita individui un conflitto di questa con la verità (La confessione come genere letterario, ed. it. Bruno Mondadori, Milano 2004). L’effetto principale di questo conflitto sarebbe l’emergere, nell’autore, dell’uscita dal senso di isolamento attraverso la comunicazione di questo conflitto. Ma per farlo l’autore della confessione deve farsi carico di lavoro faticoso, della produzione di un linguaggio in grado di raccontare. Come dice lo stesso Negri «il linguaggio bisogna reinventarlo, attraverso segni e parole che corrispondono ad altro, che indicano altro rispetto a quello che nella mia infanzia ancora mi dicevano» (p. 15). In che modo l’io narrante della vita di Toni Negri è riuscito a parlare questo nuovo linguaggio? Quale relazione ha questa esigenza con il suo essere un filosofo? E con il suo essere un militante?
- Details
- Hits: 2378
Vecchi imperialismi e moderni Don Chiscotte. Un’ultima replica a Pagliarone
di Guglielmo Carchedi
Quanto segue è un una mia ultima risposta Pagliarone. Invece di scrivere un pezzo a se stante, mi sono limitato a fare commenti a piè di pagina al testo di Pagliarone. Il suo testo è in nero, i miei commenti in rosso.
***
... Carchedi definisce l’imperialismo come “appropriazione, anche con la forza ma non solo, di plusvalore internazionale”. Cosa significhi lo sa solo lui. Secondo gli esempi che fa (petrolio e bilancia commerciale in deficit) sembrerebbe che teorizzi l’imperialismo come appropriazione ossia l’aggressione (militare ed economica) per rapinare materie prime o chissà che altro). Innanzitutto vorrei ricordare a Carchedi che nell’opuscolo “Imperialismo fase suprema del capitalismo” Lenin riprende le tesi di Bucharin e di Hilferding per diffonderle alle masse. In esso si fa riferimento all’espansione del capitale nei paesi arretrati per la realizzazione di plusvalore grazie al lavoro e a materie prime a basso costo. Non si tratta di appropriazione pura e semplice ma di classici investimenti di capitale. [Ma io dico che alcuni elementi della teoria di Lenin sono ancora validi (per esempio l’appropriazione di petrolio) mentre altri sono nuovi (la bilancia commerciale USA perennemente in deficit)]. Naturalmente a quel tempo la guerra mondiale rappresentava lo strumento per poter realizzare l’obiettivo della conquista di aree di egemonia. Purtroppo l’epoca delle guerre mondiali preconizzata da Lenin si è rivelata erronea. Dopo il Secondo Conflitto mondiale (in realtà prosecuzione del Primo) non abbiamo mai più visto, e grazie al cielo non subiremo mai più, una devastazione del genere a meno che Carchedi non voglia paragonare le “guerre” che sono seguite al conflitto planetario terminato nel 1945 ad un conflitto imperialistico, allora saremmo veramente alla frutta.
- Details
- Hits: 2726
Karl Marx, il risveglio del giornalista
Fabrizio Denunzio
Una raccolta di articoli lucidi e appassionati composti dal filosofo di Treviri che tra il 1852 e il 1861 si trasferì a Londra e lavorò nella redazione della «New York Daily Tribune», dividendosi tra le ricerche per i «Grundrisse» e l’attività da reporter
Qualunque soggetto volesse tornare a mettere piede sul campo delicatissimo e strategicamente determinante dell’organizzazione politica delle masse, lo dovrebbe fare tenendo sempre presente le indicazioni fornite da Gramsci in quella nota del primo quaderno del carcere dedicata a Hegel e l’associazionismo. Ciò che si trova di operativo in queste annotazioni si riferisce non tanto a Hegel ma, naturalmente a Marx: «Marx non poteva avere esperienze storiche superiori a quelle di Hegel (almeno molto superiori), ma aveva il senso delle masse, per la sua attività giornalistica e agitatoria. Il concetto di Marx dell’organizzazione rimane impigliato tra questi elementi: organizzazione di mestiere, clubs giacobini, cospirazioni segrete di piccoli gruppi, organizzazione giornalistica».
Sebbene limitate dalle condizioni storiche del tempo, teoria e prassi dell’organizzazione di Marx vengono riportate da Gramsci al medium egemone dell’Ottocento: il giornale. Tradotta e operativizzata nel linguaggio di una qualunque media theory, questa geniale osservazione non vuol dire altro che Marx, lavorando come giornalista, faceva esperienza delle masse nella forma di quella del pubblico di lettori e che riversava, tra gli altri, il modello organizzativo dell’industria culturale giornalistica su quello dell’organizzazione operaia. Tornare a mettere piede sul terreno organizzativo significa, allora, riflettere sul modo in cui i media strutturano i pubblici e li fidelizzano e su come, debitamente riutilizzato, questo stesso modo può rilanciare le forme politiche dell’associazionismo collettivo.
- Details
- Hits: 2105
Il male della banalità
Un gruppo di studiosi ed esperti fa appello ad un'informazione corretta e approfondita sul Medio Oriente e il mondo arabo. A partire dai fatti di Colonia, una risposta forte - e unita - a Molinari, a La Stampa e ai media italiani in generale. La pubblichiamo di seguito (e aderiamo anche noi di OssIraq)
Siamo un gruppo di studiosi e docenti universitari di storia, letteratura e cultura dei paesi arabi, africani e islamici, e scriviamo dopo la pubblicazione di alcuni articoli sulla stampa italiana a seguito dei fatti di Colonia. Da essi è scaturito un dibattito pubblico superficiale, incentrato sulla paura dell’Islam, dell’immigrato, dell’arabo; focalizzato, in senso lato, sulla costruzione dell’arabo-musulmano come “altro” e, in quanto tale, “pericoloso”.
Si tratta di un discorso che, come insegna uno dei testi fondanti degli studi post-coloniali (Edward Said, Orientalismo), ha radici storiche profonde, riproponendosi con recrudescenza in ogni momento di crisi.
Riteniamo importante prendere posizione contro la stampa generalista che fa della banalizzazione e della schematizzazione, antitesi di ogni forma di analisi complessa e articolata, il mezzo di un progetto di disinformazione di massa quantomeno preterintenzionale.
In particolare ci ha colpito, il 10 Gennaio scorso, l’editoriale intitolato “Da dove viene il branco di Colonia” di Maurizio Molinari, già corrispondente da Gerusalemme per La Stampa e suo neo-direttore, oltre che autore del controverso instant book Il Califfato del Terrore. Varie critiche sono state subito mosse al testo, un vero e proprio pamphlet. Ad esempio, il collettivo di scrittori WuMing osserva come “nel generale squallore e servilismo”, sia tuttavia “importante segnalare passaggi di fase, salti di qualità, ulteriori salti in basso e spostamenti a destra”[1].
- Details
- Hits: 3666
Una doverosa replica ad una risposta
Alcune note critiche all’articolo di Guglielmo Carchedi L'imperialismo oggi: che cos'è e dove va
di Antonio Pagliarone
In calce a questo articolo un primo provvisorio commento di Pagliarone, seguito da una replica di Carchedi
Punto Primo
Carchedi definisce l’imperialismo come “appropriazione, anche con la forza ma non solo, di plusvalore internazionale”. Cosa significhi lo sa solo lui. Secondo gli esempi che fa (petrolio e bilancia commerciale in deficit) sembrerebbe che teorizzi l’imperialismo come appropriazione ossia l’aggressione (militare ed economica) per rapinare materie prime o chissà che altro). Innanzitutto vorrei ricordare a Carchedi che nell’opuscolo “Imperialismo fase suprema del capitalismo” Lenin riprende le tesi di Bucharin e di Hilferding per diffonderle alle masse. In esso si fa riferimento all’espansione del capitale nei paesi arretrati per la realizzazione di plusvalore grazie al lavoro e a materie prime a basso costo. Non si tratta di appropriazione pura e semplice ma di classici investimenti di capitale. Naturalmente a quel tempo la guerra mondiale rappresentava lo strumento per poter realizzare l’obiettivo della conquista di aree di egemonia. Purtroppo l’epoca delle guerre mondiali preconizzata da Lenin si è rivelata erronea. Dopo il Secondo Conflitto mondiale (in realtà prosecuzione del Primo) non abbiamo mai più visto, e grazie al cielo non subiremo mai più, una devastazione del genere a meno che Carchedi non voglia paragonare le “guerre” che sono seguite al conflitto planetario terminato nel 1945 ad un conflitto imperialistico, allora saremmo veramente alla frutta. Ma Carchedi ci fornisce una sua definizione: “Allora che cos'è l'imperialismo? Se ci limitiamo all'aspetto economico, che è poi quello determinante, l'imperialismo è la concorrenza capitalista portata a livello internazionale.
- Details
- Hits: 3902
Slump
Franco Berardi Bifo
Stanno suonando le trombe del giudizio? L’orizzonte economico che si presenta nel primo scorcio dell’anno 2016 suscita vivo sgomento negli osservatori. Mario Draghi ripete l’esorcismo estremo: «Whatever it takes». Ma il pericolo attuale non è più quello di un collasso finanziario come nel 2008. Il pericolo è quello di una crisi di sovrapproduzione globale, e di una stagnazione di lungo periodo. Il crollo delle borse non è che un segnale. Da sei anni le banche centrali prestano denaro a costo zero, e da un paio di anni il petrolio scende ininterrottamente. Cionostante la domanda cala, e la stagnazione persiste, si aggrava, tende a divenire recessione.
Il 10 gennaio il «New York Times» ha pubblicato un articolo di Clifford Kraus dedicato agli effetti che il calo della domanda cinese produce sull’economia globale:
«Per anni la Cina s’è ingozzata di ogni tipo di metalli e di energia perché la sua economia si espandeva rapidamente; le grandi aziende hanno ampliato aggressivamente le loro operazioni di estrazione e produzione, scommettendo sulla prospettiva che l’appetito cinese sarebbe continuato per sempre. Adesso tutto è cambiato. L’economia cinese si contrae. Le compagnie americane, che tentano disperatamente di pagare i loro debiti mentre aumentano i tassi di interesse, debbono continuare a produrre. Questo eccesso spinge i prezzi verso il basso, e colpisce le economie dipendenti dalla produzione di merci di consumo come il Brasile e il Venezuela, ma anche i paesi sviluppati come l’Australia e il Canada» (Clifford Kraus, «New York Times»: China ’s Hunger for Commodities Wanes, and Pain Spreads Among Producers).
Negli anni passati le grandi corporation hanno investito somme enormi nell’estrazione di petrolio, nella raffinazione dello shale gas, nelle tecnologie necessarie per il cracking, e così via. Il sistema bancario globale ha finanziato queste operazioni.
- Details
- Hits: 7282
L’economista in tuta da lavoro. Federico Caffè e il capitalismo in crisi
Postfazione ad Economia senza profeti
di Riccardo Bellofiore
Premessa
Sono passati ormai ventisei anni da quando Federico Caffè ha deciso di scomparire: riformista solitario e sempre combattivo, ma forse anche uomo per cui i dolori privati e l’infelicità pubblica avevano superato la soglia della sopportabilità. Non è facile parlarne in modo misurato. Come recita il titolo di un libro di qualche decennio fa, sopprimere la distanza uccide. Forte la tentazione di sovrapporre le proprie preferenze e i propri giudizi su una figura che ha sempre brillato per equilibrio dottrinale nella passione conoscitiva, per volontà determinata nella battaglia riformista, per approfondimento concettuale nella costante tensione all’intervento. Un economista che non ha mai voluto farsi profeta, e che ha però saputo essere un maestro.
Ha detto Mario Draghi, nella giornata in ricordo di Caffè svoltasi a Roma il 24 maggio 2012: «Ai suoi allievi ha insegnato a pensare con la propria testa, non ha trasmesso un credo vincolante. Ha aiutato i suoi studenti – scienziati dell’economia, pensatori, servitori dello Stato e delle Istituzioni, cittadini consapevoli – a scoprire se stessi». Le due raccolte di articoli per le edizioni Studium – questo Economia senza profeti: Contributi di bibliografia economica (1977; d’ora in poi ESP, tutti i riferimenti sono da considerarsi infra e riguardanti questa edizione) e L’economia contemporanea. I protagonisti e altri saggi (1981, d’ora in poi EC, citato nella nuova edizione curata da Stefano Zamagni e uscita in questa stessa collana nel 2013): due libri che vanno letti e valutati assieme, e che congiuntamente danno un accesso privilegiato a questo economista – possono aiutarci ad andare oltre la celebrazione, e consentirci di intavolare un dialogo con Caffè una generazione dopo.
- Details
- Hits: 2151
Richard Levins, una scienza per il popolo
scritto da ccw
Ogni cosa oggi sembra portare in sé la sua contraddizione. Macchine, dotate del meraviglioso potere di ridurre e potenziare il lavoro umano, fanno morire l'uomo di fame e lo ammazzano di lavoro. Un misterioso e fatale incantesimo trasforma le nuove sorgenti della ricchezza in fonti di miseria.
Le conquiste della tecnica sembrano ottenute a prezzo della loro stessa natura. Sembra che l'uomo nella misura in cui assoggetta la natura, si assoggetti ad altri uomini o alla propria abiezione. Perfino la pura luce della scienza sembra poter risplendere solo sullo sfondo tenebroso dell'ignoranza. Tutte le nostre scoperte e i nostri progressi sembrano infondere una vita spirituale alle forze materiali e al tempo stesso istupidire la vita umana, riducendola a una forza materiale.
Karl Marx
La settimana scorsa, il 19 Gennaio, è morto a 85 anni Richard Levins, contadino, rivoluzionario, biologo, matematico, filosofo della scienza. Negli Stati Uniti, dove è nato e ha vissuto la maggior parte della sua vita, la notizia circola grazie a qualche articolo e all’annuncio di morte sulla sua pagina web di Harvard, l’università dove ha insegnato nel dipartimento di Ecologia e Sanità Pubblica per quasi 50 anni. In Italia il suo nome lo può aver incontrato chi si sia imbattuto in un qualsiasi manuale di Ecologia, ma la sua scomparsa rischia di passare del tutto inosservata. E sarebbe un vero peccato.
Non tanto perché sia importante ricordare i notevoli risultati e la sua vita straordinaria da scienziato eccezionale e militante infaticabile, ma perché rischieremmo di perdere il suo prezioso insegnamento sulla sintesi dei due aspetti. Perché per Richard Levins era impossibile tenerli separati: per lui che veniva da un ambiente familiare proletario ma colto -di quel tipo cultura che è uno dei più bei frutti dell’impegno politico-, in cui “era scontato che il mondo fosse ricco, complesso, interconnesso e soprattutto pieno di cose interessanti”; un ambiente in cui “la realizzazione personale coincideva con il contributo che si dava per migliorarlo”; per lui, appunto, era facile, addirittura “inevitabile”, come sapeva già da ragazzino, crescere da “scienziato e comunista”.
- Details
- Hits: 2021
La lotta per la Costituzione
di Andrea Catone
Abbiamo già scritto circa due mesi fa su questo sito dello sviluppo di un movimento a difesa e rilancio della costituzione repubblicana in opposizione alle “riforme” costituzionali del governo Renzi e alla legge elettorale battezzata Italicum, peggiore del Porcellum, dichiarato incostituzionale dalla sentenza della Corte costituzionale del dicembre 2013. Il “combinato disposto” di legge elettorale, che potrebbe dare la maggioranza alla Camera dei deputati a un partito che ha nel paese il 20-25% di consensi di chi va a votare (cioè, stando alle ultime consultazioni, il 50-55% degli aventi diritto al voto) insieme con una “riforma” (più correttamente ribattezzata “deforma” dall’avvocato Besostri, animatore dei ricorsi in tribunale per incostituzionalità dell’Italicum), che svuota il Senato delle sue competenze legislative e i cui componenti, ridotti a 100, non sono più eletti dai cittadini, ma nominati tra i consiglieri regionali, ha fatto parlare eminenti costituzionalisti di “svolta autoritaria.
Nel merito e nel metodo questa “riforma” costituzionale rappresenta un nuovo passaggio, una marcia del gambero, dal governo parlamentare su cui era stata imperniata la Costituzione del 1948, a una forma di governo presidenziale, con ulteriore svuotamento del ruolo e delle funzioni delle assemblee elettive. Basti pensare che l’articolo 12 della “deforma” renziana prevede che sia il governo a dettare l’agenda dei lavori parlamentari. E che il disegno di legge costituzionale per questa “deforma” è di iniziativa governativa. È il trasferimento all’esecutivo di funzioni e ruolo spettanti al parlamento. L’approvazione definitiva della “deforma costituzionale” è prevista – ormai senza intoppi per la maggioranza renziana (ottenuta nelle ultime elezioni politiche del 2013 grazie allo scandaloso premio dichiarato incostituzionale dalla Consulta) – per la metà di aprile.
- Details
- Hits: 1969
Renzi-Merkel: conoscere i rapporti di forza e saper usare gli spazi negoziali
di Quarantotto
1. Che "Il Giornale" sia critico sugli esiti del "vertice" Merkel-Renzi, in un certo senso, è (quasi) logico:
"...per mettere un tappo al flusso di disperati che affolla le strade della Germania. «L'attuazione dell'accordo con la Turchia è urgente», dice Angela. Così quello che è un problema sociale e politico tedesco, lo pagheranno tutti i Paesi europei. Come avvenne per la riunificazione delle due Germanie. Renzi, al contrario, non ha ottenuto alcuna apertura in termini di flessibilità di bilancio: vero obbiettivo della missione del premier.
«Non mi immischio - ha detto Angela - in queste cose. É compito della Commissione decidere le interpretazioni» su tempi e livello di riduzione del debito pubblico. La Merkel, insomma, davanti a Renzi veste i panni di Ponzio Pilato: si lava le mani del problema italiano del mancato rispetto del fiscal compact.
Tocca a Juncker decidere, dice. E Juncker ha già fatto sapere come la pensa. I suoi uffici hanno già detto che la manovra di bilancio del governo Renzi non rispetta il fiscal compact per quanto riguarda la riduzione del debito (l'avanzo primario è un terzo di quello promesso) e non onora il Patto di Stabilità, in quanto non riduce il deficit strutturale dello 0,5% all'anno.
E tra breve, bisognerà aspettare all'incirca un mese, la Commissione europea dovrà fornire un parere completo sulla Legge di Stabilità, approvata sub judice da Bruxelles."
2. Ma la criticità del momento è talmente grave che criticare il premier per qualcosa che hanno fatto tutti, ma proprio tutti, i nostri capi di governo (cioè fare acquiescenza totale non appena la Germania si trincera dietro l'applicazione, da parte della Commissione, delle regole che noi abbiamo accettato, normalmente con entusiasmo, senza obiettare nulla al fatto che le stesse fossero poste nell'esclusivo interesse della stessa Germania), appare quasi ingeneroso.
- Details
- Hits: 1869
No NATO, un bel passo avanti
di Fulvio Grimaldi
Aver messo i piedi nel piatto nazionale (e internazionale) dell’indifferenza e della complice sudditanza nei confronti del North AtlanticTreaty Organization è merito del Comitato No Guerra No Nato che ha raccolto e cercato di dare espressione unitaria e istituzionale alle mobilitazioni che, non da ieri, sono state portate avanti da avanguardie e comunità in Sicilia (No Muos), Sardegna (No Nato), Vicenza (No Base Usa), Friuli (No Base Usa) e anche in Val di Susa (No Tav contro la militarizzazione del territorio e del mondo). Aver raccolto queste istanze, come espresse anche in una legge di iniziativa popolare depositata in Parlamento fin dal 2008, e averle interpretate in termini di messa in discussione del Trattato e della sua applicazione, se non dell’immediata uscita dell’Italia (e dell’Europa), quanto meno nell’esame dell’ipotesi e della fondamentale rivendicazione della neutralità del nostro paese, è una grande merito dei parlamentari Cinque Stelle. Tanto più che succede in coincidenza con uno Stoltenberg (forzando un po’: Montagna degli stolti, nomen omen), maggiordomo Nato con il logo SS tatuato sulle natiche, dalla Nato scovato in qualche manicomio criminale, che aveva appena finito di intimarci di spendere di più per agire e perire di guerre e di atomiche. Bella risposta, quella del 29 gennaio a Roma.
Il 29 gennaio, nella sala dei gruppi della Camera, si è svolto un convegno dal significativo titolo “Se non fosse NATO”, che già adombra, al di là delle puntualizzazioni di vario peso dei relatori e convenuti, un’Italia che non abbia subìto dal patto leonino con gli Usa l’affronto alla sua sovranità e alla sua Costituzione.
- Details
- Hits: 4159
Costituzione italiana contro i Trattati europei. Il conflitto inevitabile
Alba Vastano intervista Vladimiro Giacchè
“Nessuno ha il potere di modificare, se non in meglio (cioè se non ampliando i diritti), i primi dodici articoli della nostra Costituzione. Né la Corte, né il Parlamento, né il Governo. Nessuno.” Vladimiro Giacchè
L’ultimo saggio di Giacchè dimostra che i Trattati esprimono un’idea di società che confligge con la nostra Costituzione, violandone i diritti fondamentali, a partire dal diritto al lavoro. Come uscire dalla gabbia dei mercati e dai vincoli dell’euro?
Incontro Vladimiro Giacchè a “Casale Alba2”, uno dei cinque casolari immersi nella cornice naturale del parco Aguzzano di Roma. È un luogo dove si svolgono attività socio-culturali-didattiche e di ristoro L’occasione è la presentazione del suo ultimo libro “Costituzione italiana contro i Trattati europei”. Un saggio che l’autore, economista d’eccellenza, presenta con maestria.
Il tema è intricatissimo, intrigante (ndr: nell’accezione di affascinante, che incuriosisce, che cattura) ed è assolutamente attuale. Giacchè, ne argomenta i punti focali: l’attacco alla Costituzione italiana, come uscire dalla gabbia economica, in cui ci hanno rinchiuso i Trattati europei, riaffermando la validità dell’impianto della Costituzione e la sua priorità sugli stessi Trattati. Si sofferma a lungo l’economista sul nuovo art.81 che prevede l’obbligo del pareggio di bilancio, in conformità delle regole europee del Fiscal compact, e fa un’accurata analisi “dolens” sulla sua incostituzionalità. Offre spunti per riflettere su come l’inserimento in Costituzione dell’art.81 sia “un vero e proprio cuneo che scardina il sistema dei fondamentali diritti”. Nell’intervista a seguire, concessa da Giacchè in esclusiva per La Città futura, pillole di economia per i lettori.
***
Mi permetta una domanda iniziale che non vuole essere una critica al titolo del suo saggio. Ma, con l’occhio europeista, è la Costituzione italiana a essere contro i Trattati europei o viceversa? O c’è, come poi si afferma nel sottotitolo, un’incompatibilità che è diventata conflitto fra le due leggi-principe fondanti, ovvero la Costituzione e i trattati Ue?
- Details
- Hits: 2369
Corpo, mente, bisogni: autogestione e valore d’uso
di Cristina Morini
Da un punto di vista storico è corretto sostenere che la fame o più genericamente le sofferenze materiali non sono mai state levatrici di rivoluzioni, neppure di trasformazioni sostanziali o di mutamenti radicali. In assenza dei mezzi per provvedere al proprio sostentamento poca attenzione si finisce per prestare al contesto generale, a struttura e sovrastruttura, oppure alle condizioni in cui versano gli altri, intorno. Le sommosse per il pane dell’Ancien régime sono state certamente un potente indicatore di conflittualità sociale, tuttavia il significato politico di tali azioni è spesso subordinato a quello scenico, comunque condizionato dalla rivendicazione delle briciole, di un piccolo spazio di sopravvivenza, senza grandi orizzonti. Detto questo in termini molto stringati e banali, sarà anche necessario specificare che, pur nel grave e progressivo accrescersi delle diseguaglianze, non è possibile paragonare la nera miseria che ha attanagliato anche questo Paese fino al secondo Dopoguerra con l’odierna condizione della maggior parte della popolazione occidentale, ambito dal quale parliamo. Di tali cornici credo valga la pena di tenere conto, senza troppo farci condizionare da visioni eccessivamente miserevoli che sottostanno a logiche assistenziali che non ci appartengono.
È completamente vero che all’interno degli ambiti teorici e politici di movimento sembra crescere l’attenzione per quella che Antonio Alia, in un ottimo articolo pubblicato su Commonware, ha definito “politica del bisogno”: si intende con essa un insieme di “pratiche sociali che si pongono prima di tutto, se non esclusivamente, il problema del soddisfacimento di un bisogno (la salute, la liquidità, una buona alimentazione, ecc.) che il mercato o lo stato non riescono a garantire”.
- Details
- Hits: 1908
L’Unione Bancaria Europea, ovvero la ricetta per il disastro
di Thomas Fazi
Su Economonitor, Thomas Fazi denuncia le storture della cosiddetta “unione bancaria” europea. Paradossalmente, se con le nuove norme gli Stati non possono più aiutare le proprie banche in difficoltà, sono di fatto costretti a sostenere i maggiori oneri in caso di salvataggio bancario tramite i meccanismi “europei”, eventualmente sottoponendosi alle condizionalità della Troika. La cosiddetta “unione bancaria” è nei fatti il definitivo strumento di dominio in una lotta inter-capitalista tra centro e periferia (motivo per il quale ora anche i capitalisti di casa nostra hanno paura)
Il primo gennaio 2016 è entrata ufficialmente in vigore l’unione bancaria europea – un sistema di supervisione e risoluzione bancaria a livello europeo. La creazione dell’unione bancaria è stata, in termini di regolamentazione, l’esito più significativo della crisi – “un cambio di regime più che un rattoppo istituzionale“, lo ha definito Christos Hadjiemmanuil della London School of Economicsin un approfondito articolo sull’argomento – e c’è ampio accordo sul fatto che “anche nella sua attuale forma incompleta [l’unione bancaria] è il più grande successo politico dell’Unione Europea in termini strutturali da quando è iniziata la crisi finanziaria“. Uno sguardo più ravvicinato, però, mostra che l’unione bancaria – quantomeno nella sua forma attuale – è solamente l’ultima fase di un percorso europeo post-crisi guidato dai creditori sulla via dell’austerità e dell’aggiustamento asimmetrico. Una fase che potrebbe fissare l’ultimo chiodo sulla bara dell’euro.
Nelle sue intenzioni iniziali, l’unione bancaria doveva essere finalizzata a “spezzare il circolo vizioso tra le banche e gli stati sovrani“ mutualizzando i costi fiscali delle risoluzioni bancarie. Questo era il risultato del tardivo riconoscimento, da parte dei decisori politici europei dopo molti anni di crisi, della natura non-fiscale – e cioè bancaria e monetaria – della crisi dei debiti sovrani nell’eurozona.
- Details
- Hits: 3862
Tornare al vecchio Sistema Monetario Europeo?
Un commento a Lafontaine
di Emiliano Brancaccio
Marx 21 ha tradotto (da qui) l'importante intervento di Emiliano Brancaccio all'incontro di Parigi del 23-1-2016 per un Piano B per l'Europa, un piano da preparare nel caso i tentativi di riforma dell'Unione Europea non funzionassero. Un piano sempre più necessario, come mostra la vicenda greca. Le proposte di Emiliano Brancaccio hanno creato un vivace dibattito all'incontro di Parigi, in particolare per quanto riguarda l'imposizione sui controlli di capitale e sulle merci tra i paesi, come mostra questo video, dove Martin Höpner (Max Planck Institute, Germania) sostiene una riproposizione dello Sme con l'imposizione di rivalutazioni per i paesi in surplus
Oskar Lafontaine propone di tornare al vecchio Sistema Monetario Europeo (SME). Per rendere questa soluzione percorribile sarebbe necessario imporre sanzioni ai paesi che adottano politiche deflazioniste per accumulare surplus verso l’estero. Un'efficace sistema di sanzioni potrebbe basarsi su limiti alla indiscriminata mobilità dei capitali da e verso questi paesi. A riprova del suo realismo, tale soluzione potrebbe essere applicata immediatamente e indipendentemente da singoli paesi così come potrebbe essere estesa passo dopo passo a ulteriori accordi tra paesi.
1. Il Monito degli Economisti: il destino dell'Euro è segnato
Nel Settembre 2013 il Financial Times pubblicò il cosiddetto “Monito degli Economisti”, una lettera firmata da molti influenti membri della comunità accademica internazionale appartenenti a diverse scuole di pensiero: Dani Rodrik, James Galbraith, Wendy Carlin, Jan Kregel, Mauro Gallegati e altri. [1]
Le idee alla base del Monito erano le seguenti. La continuazione delle politiche di austerità e di deflazione nell'Unione Monetaria Europea aumenterà gli squilibri tra paesi creditori e debitori, con una conseguente centralizzazione dei capitali dal Sud al Nord Europa e ulteriori crisi bancarie. Come risultato di questo processo, il destino dell'Euro sarà segnato. L'Unione Monetaria Europea, almeno come l'abbiamo conosciuta, tenderà a deflagrare e i responsabili politici saranno lasciati di fronte a una scelta tra differenti vie di uscita dall'Euro, ciascuna con differenti effetti sulle diverse classi sociali.
- Details
- Hits: 2628
Banche, l'attacco tedesco all'Italia
di Leonardo Mazzei
Perché non finirà a tarallucci e vino
C'è o non c'è un attacco tedesco all'Italia? Certo non ci sono i carri armati al Brennero, ma c'è o non c'è una guerra economica neppure tanto nascosta? Chi rispondesse con sicumera di no avrebbe di diritto l'iscrizione garantita al concorso a premi per l'ipocrita dell'anno. La cosa è così palese che persino i grandi imbonitori del politicallycorrect (uno per tutti: Paolo Mieli) preferiscono assumere una diversa postura: non negano l'attacco, ma pensano che all'Italia convenga far finta di non vederlo. Che nella classe dirigente non manchino i vigliacchi è cosa nota. Costoro non fanno mai seri bilanci storici. La loro narrazione del «sogno europeo» sta andando a pezzi? Non importa, conta solo continuare ad esser servi, a dire signorsì ai padroni di turno che gli staccano l'assegno mentre loro scrivono articoli sempre più timorati del Dio Euro(pa).
Ci sono poi i quadratori del cerchio. Costoro vedono già meglio il problema, ma pensano di poterlo risolvere con qualche brillante trovata lessicale.
- Details
- Hits: 5010
La menzogna della preminenza finanziaria
di Gianfranco La Grassa
1. Oltre un secolo fa Hilferding scrisse il suo principale (e famoso) libro: Il capitale finanziario. Alcuni marxisti, presi da troppo facile entusiasmo, lo considerarono il nuovo Il Capitale o comunque la sua continuazione, una sorta di IV libro. Questo testo è nella sostanza invecchiato. Lenin lo criticò subito perché dava eccessiva importanza al capitale bancario. Tuttavia, va detto che Hilferding non fu così sciocco come gli economisti odierni; il suo capitale finanziario non è esclusivamente bancario, è un intreccio di questo con quello industriale. Indubbiamente però nell’intreccio tra i due, il bancario veniva trattato come quello decisivo.
Ciò indubbiamente fu dovuto al carattere assunto dallo sviluppo economico nei paesi della seconda ondata industriale, tenuto presente che la prima riguardò la sola Inghilterra. Quelli della seconda erano soprattutto Germania, Giappone; e indubbiamente gli Stati Uniti, paese che ebbe però caratteristiche particolari (non notate all’epoca), prese più volte da me in esame. La seconda ondata di industrializzazione vedeva in primo piano le società per azioni, un già avanzato processo di centralizzazione dei capitali (da non confondere con la concentrazione come sovente si fa) e la conseguente, iniziale, presa in considerazione di quella forma di mercato detta monopolio; anche se, più precisamente, si sarebbe dovuto parlare di oligopolio come più tardi infatti si fece.
Lenin, distanziandosi dall’impostazione di Hilferding, usò la felice espressione di simbiosi per indicare quell’unione di bancario e industriale che dà vita al capitale finanziario.
- Details
- Hits: 2225
Una nuova età assiale?
Storia e complessità
di Pierluigi Fagan
Nel 1949, il filosofo e psichiatra tedesco Karl Jaspers, pubblicava “Origine e senso della storia”, oggi riproposto dopo lunga assenza da Mimesis edizioni (2014, 28 euro). In esso vi era contenuto una osservazione divenuta poi patrimonio della riflessione dell’uomo sulla sua propria storia. La constatazione che tra l’800 ed il 200 a.e.v., si è registrata una sincronia di pensieri e di pensanti che fonda tutto quanto si è poi successivamente espresso nella formazione delle principali civiltà. Confucio, Laozi, Buddha ma anche la composizione delle Upaniṣad, Zarathustra, la composizione dell’Antico testamento, i Greci, filosofi, scienziati, storici, drammaturghi, politici ma anche mitografi come Esiodo ed Omero. Jaspers individuò questo periodo come una svolta, un tornante che s’inerpica intorno ad un asse, da cui l’uso del termine “assiale”.
Jaspers in base alle visioni e conoscenze dell’epoca, supponeva non vi fosse stata interrelazione di fatti sottostanti, queste espressioni culturali erano più o meno sincroniche nel tempo ma non furono dovute ad un contagio umano negli spazi dell’Eurasia. Quest’ultima assunzione, oggi che con l’ultima globalizzazione vediamo all’opera la più recente e potente espressione di quel fenomeno ricorsivo che è la tendenza del genere umano ad interconnettersi formando una più o meno fitta, unica, rete fatta di reti, è discussa. Un’intero comparto del’evoluzione dello sguardo storico, si sta muovendo da qualche decennio, ad assumere il mondo intero come oggetto di narrazione e riflessione, la World history. Questo tipo di storia che ha in oggetto il mondo, predilige la lettura proprio della relazioni, che si suppongono esser state vaste e profonde, sin dai tempi più antichi.
Uno dei suoi founding father è lo storico canadese, quasi centenario ma vivente, William H. McNeill che è quasi impubblicato in Italia.
Page 411 of 612