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Gaza. I tanti misteri sul fallimento del negoziato

di Davide Malacaria

Fallisce l’ennesimo negoziato per Gaza, una rottura che allarma più delle precedenti a motivo delle dichiarazioni dell’inviato di Trump Steve Witkoff, che ha addossato tutte le colpe ad Hamas aggiungendo che, a questo punto, “cercheremo soluzioni alternative per riportare a casa gli ostaggi e per creare un ambiente più stabile per la popolazione di Gaza”.

Al di là della tragica ironia della conclusione, che stride con l’allineamento Usa alle operazioni belliche israeliane a Gaza, compresa la nefasta gestione degli aiuti, l’accenno alle opzioni “alternative” inquieta, perché annuncia l’abbandono dei negoziati da parte degli States, così che saranno rimessi nelle mani dei duellanti nonostante sia risaputo che Netanyahu non abbia alcuna intenzione di trovare un accordo.

Peraltro, le accuse di Witkoff vanno a ribaltare quanto ormai assodato su quest’ultimo punto, aiutando Netanyahu a far fronte delle contestazioni esterne e interne sulla sua determinazione a proseguire nel genocidio.

Le dichiarazioni di Witkoff suscitano tante domande, con Hamas che si è detta “sorpresa” della sua reazione, aggettivo con cui ha voluto segnalare come l’accusa di non volere un accordo sia nuova, come peraltro dimostra il pregresso.

Peraltro, quando Hamas ha consegnato la risposta all’offerta di tregua israeliana (limata da Witkoff e i mediatori del Qatar), Bishara Bahbah, che lavora dietro le quinte per conto di Witkoff, ha scritto sui social: “Hamas stamattina ha risposto alla proposta israeliana in merito al ridispiegamento [dell’esercito israeliano] e allo scambio di prigionieri. La risposta è stata concreta e positiva.

Ora Israele deve avviare negoziati seri e rapidi per raggiungere un cessate il fuoco” (Timesofisrael). Di certo Bahbah non si sarebbe azzardato a fare una dichiarazione pubblica senza prima aver parlato con il suo capo, quindi il mistero sulle parole di Witkoff si infittisce.

Come un mistero circonda anche lo spostamento di sede dell’incontro tra Witkoff, il consigliere di Netanyahu Ron Dermer e il premier qatariota Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, i quali, se le cose fossero andate bene, si sarebbero recati a Doha, dove si trovavano le delegazioni operative, per chiudere l’intesa (dopo il fallimento, il team Usa e quello israeliano sono stati richiamati in patria).

L’incontro doveva tenersi a Roma, ma, a sorpresa, all’ultimo minuto è stato dirottato in Sardegna, luogo che “non vanta una storia particolarmente memorabile come sede di importanti eventi diplomatici” (Haaretz), su uno yacht ormeggiato in Costa Smeralda e “anticipato dall’ingresso nel canale di Sardegna di una portaerei Usa per ragioni di protezione e sicurezza (Unione Sarda).

È evidente che c’era un problema di sicurezza, come sembrava segnalare un surplus di sicurezza per le vie di Roma nei giorni precedenti, particolari che rendono l’idea delle pressioni esercitate per far fallire le trattative (e, forse, anche a questa criticità si può ascrivere l’attacco alla parrocchia di Gaza dei giorni scorsi).

Mistero anche sulle cause del fallimento, anche perché, almeno a stamani, non si hanno indiscrezioni credibili in proposito sui media occidentali o israeliani, mentre quelli arabi, almeno quelli importanti, risultano alquanto silenti.

Secondo Axios a causarlo sarebbe stata la richiesta di Hamas di liberare un maggior numero di prigionieri palestinesi in cambio della liberazione degli ostaggi, ma non sembra molto credibile che si sia trovato un accordo sugli altri punti, molto più cruciali, e tutto sia saltato per questo.

Prima del collasso dei negoziati, le divergenze reali riguardavano la natura del cessate il fuoco, se cioè la tregua temporale dovesse necessariamente preludere alla fine duratura delle ostilità e sulla natura della garanzia Usa sulla prosecuzione della tregua alla scadenza della stessa; la portata del ritiro delle forze israeliane da Gaza; infine sulla distribuzione degli aiuti, con Hamas che chiedeva la fine del monopolio della famigerata Gaza Humanitarian Foundation su tale attività.

Non sappiamo quale di questi nodi abbia causato il fallimento, possiamo però supporre che la questione degli aiuti sia rimasta irrisolta, come sembra segnalare il fatto che la GHF abbia chiesto alle agenzie umanitarie dell’Onu di cooperare nella loro distribuzione. Richiesta a oggi respinta perché la gestione evidentemente sarebbe rimasta alla GHF, coinvolgendo le agenzie Onu nel genocidio, al quale la GHF si sta prestando.

In attesa che si sappia di più, è evidente che Israele non aveva alcuna intenzione di porre fine alle ostilità, come dimostra l’invasione degli ultimi giorni del centro della Striscia, finora risparmiato perché vi si trovano gli ostaggi. Se avesse puntato su un accordo per liberarli, avrebbe aspettato la risposta di Hamas.

Ma la verità è che della sorte degli ostaggi al governo israeliano non importa granché, come denunciano i loro familiari. Netanyahu e soci vogliono rendere Gaza invivibile per i palestinesi e prenderne il controllo totale.

Lo hanno ribadito esplicitamente nelle ultime ore il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, il ministro dei trasporti Miri Regev e ancora più esplicitamente il ministro per il Patrimonio Amichai Eliyahu, che si è vantato per come il governo stia “procedendo velocemente per spazzare via Gaza”.

Ci stanno riuscendo alla grande, anche grazie alla fame dilagante indotta. Quanto alla grande questione, del perché Hamas non rilasci gli ostaggi in modo da porre fine alle ostilità, l’accademico israeliano Omer Bartov, interpellato sul tema da un cronista del New York Times, ha risposto così: questa semplificazione “dimostra solo il successo della propaganda israeliana. Se Hamas dovesse arrendersi e consegnare gli ostaggi, cosa pensi che farebbero Israele e le IDF sul campo? Toglierebbero semplicemente le tende, metterebbero in retromarcia i carri armati e lascerebbero Gaza? No. L’unica cosa che impedisce alle IDF di demolire completamente Gaza, o quel che ne resta, e di prenderla tutta sotto il suo controllo è la presenza degli ostaggi israeliani”.

“L’unico limite ai movimenti delle IDF per distruggere completamente Gaza è il fatto che lì ci siano ancora gli ostaggi. Lo ha detto lo stesso Netanyahu: il suo obiettivo è la vittoria assoluta. Certo, non ha specificato cosa intenda per vittoria assoluta, ma significa il controllo completo della Striscia di Gaza”. Se si sta alle dichiarazioni dei ministri del suo governo, e di tanti altri, non è isolato in questa determinazione.

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