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carmilla

La sfida di Gaia

di Alessandro Barile

Bruno Latour, La sfida di Gaia, Meltemi, 2020, pp- 420, € 24,00

ecopsicologia 770x470 1Il nuovo ultimo libro di Bruno Latour riprende una serie di conferenze tenute nel 2013 attorno al tema della “religione naturale”. Nonostante gli anni trascorsi, possiamo dire con una buona dose di certezza che i problemi rimangono attuali, e in via di peggioramento. L’azione dell’uomo sulla natura sta cambiando e l’uomo e la natura. Questo il dato assodato. Da qui, però, iniziano le incognite, per nulla confinabili entro il dibattito tra scienziati ecologisti e lobby industriali. Latour prova a ricostruire una sorta di orizzonte di senso dei fatti e della posta in gioco, attraverso l’uso della sua strumentazione dialettica fortemente visionaria, dai tratti profetici a volte utili, altre volte affaticanti. Sono d’altronde i rischi e le virtù delle narrazioni ibride, e questa si colloca volontariamente al confine tra l’antropologia, la filosofia e la sociologia. Il risultato può essere spiazzante, come onestamente segnala nella prefazione Luca Mercalli, stordito – pare – da un linguaggio e da ragionamenti a volte eterei, altre mistici. C’è un fatto che però sembra dar ragione a Latour in questo suo tentativo forse naif: scienza e cultura sono andate separandosi nel corso del secondo Novecento, ma risultano oggi talmente intrecciate tra loro che senza il lavorio epistemologico delle scienze umane non è possibile cogliere l’essenza della nostra società: divisi a forza i loro destini, la scienza si è mutata rapidamente in tecnica (peggio, in tecnologia produttiva), la cultura in una sorta di sociologia dell’inessenziale. Occorre riavvicinare i due capi della scienza, ed è il condivisibile proposito di Latour.

La vicenda del Covid, d’altronde, lo ha dimostrato: ogni discorso anti-scientifico è destinato clamorosamente a contraddirsi; viceversa, ogni aristocrazia, sia essa fondata sulla ricchezza o sulla sapienza scientifica, confligge con la democrazia e con la logica dello sviluppo umano.

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effimera

Capitalismo, razzismo, guerra, e devastazione dell’ambiente

di Angelo Baracca

173908317 de1833c3 3d4a 4d8e 9a5d 5ea12444d8e1 800x528Il bell’articolo di Bruno Gullì, «Le radici della rivolta attuale: la triplice pandemia di razzismo, Covid-19 e capitalismo dei disastri»[1], discute in termini molto efficaci “il disastroso presente, la vulnerabilità, il futuro soffocato” negli Stati Uniti di oggi, soffocati appunto dalla triplice pandemia di razzismo, Covid-19 e capitalismo dei disastri.

Apprezzo molto, fra le altre cose, la caratterizzazione della figura e del ruolo di Obama rispetto all’amministrazione Bush che lo aveva preceduto, “la continuazione di una storia di disprezzo per la vita”: la cosa che immediatamente mi torna alla mente è dopo la pretestuosa ed efferata guerra all’Iraq del 2003, quando a fronte di mezzo milione di bambini morti (e circa tre volte vittime totali) il suo Segretario di Stato, Madeleine Albright, per la prima volta una donna, interrogata se riteneva che ne fosse valsa la pena rispose con un cinismo rivoltante “we think the price is worth it”.

Proprio questo mi da l’occasione, nel mio giudizio positivo dell’articolo, per fare un appunto critico ma costruttivo, a mio avviso non di poco conto. Le “tre pandemie” discusse da Gullì costituiscono, con le conclusioni che trae, una buona base per inquadrare la situazione interna degli Stati Uniti: ma il paese si caratterizza in modo peculiare come la maggiore potenza militare del pianeta, e da qui trae la sua forza e la sua fisionomia, anche per molti aspetti della sua struttura interna, politica, sociale ed economica. I Democratici, come del resto Gullì argomenta, non hanno mai messo in discussione la politica imperiale di Washington: per le elezioni di novembre i candidati democratici che avrebbero potuto, pur tiepidamente, contrastare questa politica militare sono ormai fuori gioco, ma anche i più radicali non mettevano in discussione il ricorso alla guerra alla base della politica di dominio imperiale degli Stati Uniti.

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agendadigitale

Il neoliberismo sta uccidendo la Terra: cambiamo l’economia o perdiamo tutto

di Lelio Demichelis

La pandemia doveva essere occasione per comprendere l’importanza di una “riconversione ecologica e sociale” del sistema tecnico ed economico. Ma il mondo spinge per ripartire come prima. Senza una riflessione profonda sulle inefficienze e le irrazionalità strutturali dell’attuale capitalismo

garden wall 1080x720.jpgStiamo forse perdendo la nostra ultima grande occasione per uscire non solo dalla pandemia, ma dalla ben più grave e drammatica crisi ambientale (che stiamo dimenticando, ma che è sempre lì, attorno e davanti a noi)? Davvero possiamo dire che la pandemia è stata un “inciampo della storia”, facendo come Benedetto Croce che diceva: “Heri dicebamus“, così salutando la fine del fascismo?

“Ieri dicevamo” voleva significare, per il filosofo, che il discorso collettivo, politico e sociale andava ripreso esattamente dal punto dove lo aveva interrotto la “parentesi” mussoliniana, dimenticando che il fascismo non era stata una “parentesi”, ma qualcosa di assai più profondo (Piero Gobetti aveva scritto, vent’anni prima, che era “l’autobiografia della nazione”; oggi possiamo anche dire che è l’autobiografia non solo dell’Italia). Davvero oggi possiamo riprendere il discorso dell’economia e della tecnica esattamente dal punto dove lo ha interrotto il coronavirus?

Invece di una continuità, ci servirebbe una discontinuità con il passato. La pandemia – lo abbiamo scritto più volte anche su queste “pagine” – poteva (anzi: doveva) essere l’occasione per ripensare profondamente e radicalmente il nostro sistema produttivo e consumistico che dura ormai da tre secoli, che sembra sempre diverso ma che è sempre uguale a se stesso, che è capace di trasformarsi incessantemente trasformando incessantemente uomini e società (purché non lo si metta in discussione), ma che è incapace di uscire dalle proprie contraddizioni. Che non risolveremo certo con un “heri dicebamus”.

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sinistra

Capitalocene

di Salvatore Bravo

Sunrise Dam open pit 1L’epoca del Capitalocene è il regno della produttività e delle scissioni. Il Capitalocene con la conseguente crisi ecologica è la manifestazione più evidente di un processo che ha il suo centro nella trasformazione della natura e degli esseri umani in risorse per la valorizzazione. La natura, ma si potrebbe aggiungere anche la comunità umana, dal capitalismo regnante è giudicata “esogena” e pertanto sostanza altra, scissa dalla totalità, la cui unica finalità è di essere trasformata in valore di scambio. La scissione diviene “visione del mondo” (Weltanschauung) al punto che il soggetto si autopercepisce come abitato da due sostanze in relazione gerarchica tra di loro: res cogitans e res extensa. Il Capitalocene è il pungolo nella carne che disfa le unità per strutturare relazioni di dominio. L’esternalizzazione della natura, e dunque la separazione tra il “soggetto occidentale” e la “natura” è radicata nella relazione tra mente e corpo, la prima ridotta a solo cervello, da controllare e capire attraverso schemi anatomici applicati, il secondo a semplice corpo meccanico da modellare ed ostentare al fine di fondare relazioni di dominio e visibilità. Lo sfruttamento, in tal modo, è sistemico, niente e nessuno sfugge dalla valorizzazione. La rete della matematizzazione diviene il modello unico a cui ogni ente deve sottostare. Il dominatore in tale contesto è anche dominato, poiché si autopercepisce e si decodifica unicamente secondo parametri di ordine efficientistico e produttivo. Ogni linguaggio e visione altra è cancellata in nome della produttività. Il Capitalocene assimila energia, include per omologare. In tale processo il modello unico assimila le altre culture e visioni, mediante il fascino acritico del calcolo, della produzione, dell’eccedenza: il valore d’uso è sostituito dal valore di scambio.

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voxpopuli

Le radici dell’ecologia

di Controtempi

redongreen radici ecologia«La crisi non avviene semplicemente per il confronto diretto esterno fra società e natura: essa si traduce in formazione di contraddizioni che acutizzano e fanno esplodere antagonismi interni alla società»
M. Nobile, Merce-natura ed ecosocialismo, Massari editore, Roma 1993

1. FFF e il sentimento ecologista

Il 15 marzo 2019 decine di milioni di persone, soprattutto giovani, sono scese in piazza in tutto il mondo per manifestare contro il cambiamento climatico. Il successo di queste manifestazioni è stato replicato e addirittura superato il 24 maggio e il 27 settembre. A suo modo, il movimento nato in questi mesi è un fatto inedito nella storia contemporanea. Una mobilitazione che spontaneamente si sviluppa a livello mondiale, in modo tanto ampio e tanto trasversale, non si era avuta nemmeno in occasione delle guerre in Afghanistan e in Iraq, o, guardando a un passato più lontano, negli anni ‘60 e ‘70. È un movimento che sembra sorto dal nulla: un movimento senza un passato e venuto alla luce così, come un fungo, senza preavviso, grazie alle azioni di Greta Thunberg. Eppure l’ampiezza e il successo delle manifestazioni in tutto il mondo mostrano come un certo sentimento ecologista sia già penetrato, in sordina, in strati importanti della popolazione nel corso degli ultimi anni, e non aspettasse che un segnale per manifestarsi. Si tratta di un bagaglio di idee positivo, che però non può rimanere allo stadio di senso comune, di coscienza irriflessa, ma che al contrario è bene analizzare, sviluppare, e chiedersi quali problemi apra e quali conseguenze nasconda al proprio interno.

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resistenzealnanomondo

I loro virus, le nostre morti

di Pièces et main-d’œuvre

3 ESCHER Giorno e Notte«La speranza, al contrario di ciò che si crede,
equivale alla rassegnazione.
E vivere quello non è rassegnarsi»
Albert Camus, Noces

Le idee, lo diciamo da lustri, sono epidemiche. Circolano di testa in testa più veloci dell’elettricità. Un’idea che si appropria delle teste diventa una forza materiale, come l’acqua che mette in moto la ruota del mulino. È urgente per noi, Scimpanzé del futuro, ecologisti, cioè anti-industriali e nemici della macchinazione, rinforzare la carica virale di alcune idee messe in circolazione in questi due ultimi decenni. Per servire a ciò che potrà.

 

1) Le “malattie emergenti” sono le malattie della società industriale e della sua guerra al vivente

La società industriale, distruggendo le nostre naturali condizioni di vita, ha prodotto ciò che i medici chiamano non a caso «le malattie della civilizzazione». Cancro, obesità, diabete, malattie cardio-vascolari e neuro-degenerative, in buona sostanza. Gli umani dell’era industriale muoiono di sedentarietà, di malnutrizione e di inquinamento, quando i loro antenati contadini ed artigiani soccombevano per le malattie infettive.

Eppure è un virus che nella primavera del 2020 confina a casa propria un abitante terrestre su sette, come per un riflesso ereditato dalle ore più buie della peste e del colera.

Oltre ai più vecchi fra di noi, il virus uccide soprattutto le vittime delle «malattie della civilizzazione». Non solo l’industria produce nuovi flagelli, ma indebolisce la nostra resistenza a quelli passati. Si parla di «comorbidità», come di «coworking» e di «covettura», queste fecondazioni incrociate di cui l’industria detiene il segreto (1).

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danieladanna

Il modo di produzione informatico

di Daniela Danna

bandaLe parole di Marx a proposito dei cambiamenti del modo di produzione colpiscono oggi, agli inizi di aprile 2020, come una sassata: “A un determinato stadio del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, ovvero – ciò che ne è semplicemente l’espressione giuridica – con i rapporti di proprietà nel quadro dei quali fino ad allora si erano mosse. Da forme di sviluppo delle forze produttive, questi rapporti si convertono in loro catene. Arriva così un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica, l’intera immensa sovrastruttura si trascina più o meno rapidamente nel cambiamento”1.

Oggi per accomodare le nuove forze produttive è necessaria la fine della sfera della privatezza, della privacy in inglese, l’espressione con cui si intende la capacità dei singoli di sottrarsi allo sguardo degli altri, e nuove enclosures nell’ambito delle trasmissioni elettromagnetiche.

Le forze di produzione si sono infatti sviluppate (o “evolute”, come in altre traduzioni) rendendo possibile il controllo a distanza dei lavoratori. “Evolute” lo si può dire naturalmente nel senso di rendere possibili profitti maggiori, questo è in un sistema capitalistico l’unico senso del loro “sviluppo”, cioè della direzione che economia e società stanno prendendo, direzione voluta e guidata dalla classe dominante.

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resistenzealnanomondo

Primavera silenziosa

di Resistenze al nanomondo

5 1È ragionevole descrivere
una sorta di imprigionamento per mezzo di un altro
quanto descrivere qualsiasi cosa
che esiste
realmente
per mezzo di un’altra che non esiste affatto

Daniel Defoe

Perché dovremmo sopportare una dieta di veleni non del tutto nocivi, una casa in sobborghi non del tutto squallidi, una cerchia di conoscenze non del tutto ostili, il frastuono di motori non così eccessivo da renderci pazzi?
Chi dunque vorrebbe vivere in un mondo non del tutto mortale?

Rachel Carson, Primavera silenziosa

Negli anni ’60 Rachel Carson, biologa e ambientalista americana simbolo del movimento ambientalista internazionale, con il libro Primavera silenziosa lanciava una forte denuncia e un grido di allarme nei confronti dell’avvelenamento del pianeta causato dall’uso dei pesticidi e in particolare del DDT, al tempo prodotto e usato su vasta scala.

Una nocività di larghissimo uso come il DDT, usato ancora oggi anche se in forme più subdole, aveva portato a silenziare le campagne dai canti primaverili degli uccelli. Oggi, in tempi di Coronavirus, le nocività, oltre ovviamente i pesticidi, non solo sono aumentate, ma si sono trasformate in un intero sistema malato che quotidianamente quando non mette a rischio la sopravvivenza degli organismi viventi li condanna a vivere in un’esistenza tossica e sempre più sterile di biodiversità. La verità è molto semplice: noi stiamo soltanto cominciando a subire massicciamente l’effetto ritardato dell’avvelenamento chimico-nucleare-biologico-elettromagnetico cumulativo del pianeta, avvelenamento che accresce qualitativamente e quantitativamente ogni anno.

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poliscritture

«Spillover»: il libro del momento

di Donato Salzarulo

 Spillover di David Quammen Adelphi dettaglio copertina1. Ecco un libro che forse non avrei mai letto se il coronavirus non fosse venuto a turbare e a rendere infausti i nostri giorni. La curiosità mi è sorta leggendo l’articolo di Paolo Giordano sulla “matematica del contagio che ci aiuta a ragionare” (Corriere della Sera del 26 febbraio), articolo – non mi stancherò di ripeterlo – benedetto, di cristallina chiarezza, che merita di essere diffuso dappertutto, in primo luogo nelle scuole; merita di essere diffuso perché di questo virus non ci libereremo facilmente e, comunque, altri virus sconosciuti sono o potrebbero essere in agguato per la nostra specie. Quindi, è decisivo far crescere la nostra consapevolezza razionale.

Lo scrittore (e fisico, non dimentichiamolo), dopo aver accennato alla nostra fatica di accettare qualcosa di radicalmente nuovo e complesso – fatica che conosco; a scuola suggerivo spesso agli insegnanti il libro «Attesi imprevisti» per interpretare il processo d’apprendimento, che è tale soltanto se è nuovo – ricorda che quanto ci sta succedendo in questi giorni non è davvero inedito. Il letterato, che un po’ è in me, avrebbe ovviamente subito pensato a Camus, Garcia Marquez, Saramago, Manzoni, Boccaccio, Tucidide…Giordano, che pure ha vinto il premio Strega con «La solitudine dei numeri primi», riporta un brano di David Quammen (chi è costui?…) in cui racconta come nel 2003 fu domata a Singapore l’epidemia della Sars. Poi scrive:

«Spillover, il libro di Quammen, meriterebbe un articolo a sé. Basti dire, qui, che è il modo migliore per comprendere le varie sfaccettature, la complessità per l’appunto, di questa epidemia. Per non viverla come una strana eccezione o un flagello divino. Per metterla in relazione ad altri disastri ecologici del nostro tempo, come la deforestazione, la cancellazione degli ecosistemi, la globalizzazione e il cambiamento climatico stesso. E per entrare, addirittura, nella mente del virus, decifrarne le strategie, intuire perché la specie umana sia diventata così golosa per ogni patogeno in circolazione.

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scienzainrete

Aids, Hendra, Nipah, Ebola, Lyme, Sars, Mers, Covid…

di Laura Scillitani

Deforestazione e cambiamenti climatici stanno trasformando profondamente gli ecosistemi e creano un'interfaccia innaturale tra essere umano e animali. Ma la salute dell'ambiente è legata a doppio filo a quella della nostra specie. Laura Scillitani ripercorre i meccanismi per i quali la pressione antropica - e i cambiamenti climatici - favoriscono l'insorgenza di alcune malattie e altera le dinamiche della trasmissione di patogeni

deforestation 351474 1280 1“Quando l’epidemia sarà finita torneremo alla vita di prima”, ci ripetiamo come un mantra in questi giorni di reclusione forzata in casa, mentre osserviamo la primavera avanzare oltre le nostre finestre. In realtà, se volessimo trarre un beneficio dalle avversità, dovremmo inquadrare ciò che è accaduto in una cornice più ampia. Covid-19 è l’ennesima dimostrazione di quanto la nostra sopravvivenza sia strettamente legata alla tutela della natura e alla integrità della biosfera.

L’Organizzazione mondiale della sanità stima che nel mondo muoiano 4,2 milioni di persone all’anno a causa dell’inquinamento atmosferico, e considera i cambiamenti climatici come una delle maggiori minacce, stimando che dal 2030 si potrebbero verificare almeno 250 mila morti all'anno. L’attuale tasso di crescita della popolazione è esponenziale (7,7 miliardi di persone secondo l’ultima stima), e di conseguenza aumenta in proporzione la domanda di beni e servizi. Gli ecosistemi sono sottoposti a una trasformazione profonda, tale che il periodo attuale è stato considerato una nuova era geologica, l’Antropocene. Un ambiente alterato non garantisce più i servizi ecosistemici (ad esempio aria respirabile, acqua potabile, suolo fertile), e può compromettere la salute umana anche facilitando la trasmissione di agenti patogeni nuovi per l’uomo, e il diffondersi di epidemie come quella che stiamo vivendo.

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ilpungolorosso

Capitalismo “verde” senza veli

Sul costo ecologico e umano dei metalli rari

di Pungolo Rosso

molycorpChi si sta interrogando sulle cause della crisi globale del Covid-19 troverà molto interessante il libro di G. Pitron, La guerra dei metalli rari. Il lato oscuro della transizione energetica e digitale (Luiss, 2019). Non perché il libro parli di questo tema in modo esplicito e diretto, ma perché fornisce un’ampia documentazione sullo sventramento dei territori che si sta attuando in Cina e in molte altre aree del Sud del mondo per la ricerca frenetica dei metalli rari e delle terre rare – gli ingredienti essenziali al cosiddetto “Green New Deal”. Tale sventramento ha infatti molto a che vedere con quell’attacco ai “substrati micro-biologici della vita sulla terra” alla base, tra l’altro, dell’attuale epidemia Covid-19, di cui parlano i redattori di Chuang in Contagio sociale (per approfondire riguardo al nesso tra devastazione ambientale da un lato, sia a livello macro che nella dimensione micro-biologica, e dall’altro lato diffusione di agenti virali e in genere insorgere di nuove malattie, rinviamo anche a Alle origini del Covid-19: Agrindustria ed epidemie, Intervista a R. Wallace, e all’articolo di taglio prettamente scientifico di Laura Scillitani, Aids, Hendra, Nipah, Ebola, Lyme, Sars, Mers, Covid…,comparso sul portale Scienza in rete).

* * * *

Il libro ha due facce. Una ideologico-politica, l’altra analitica. La prima mostra un feroce sentimento anti-cinese, e ci interessa meno anche se dà utili notizie. L’altra, particolarmente interessante e perfino illuminante, mette in luce gli enormi costi umani ed ecologici della transizione energetica appena avviata che va sotto il nome di “green revolution” o “capitalismo verde”.

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marx xxi

La questione ambientale

di Ascanio Bernardeschi

Pubblichiamo la relazione introduttiva di Ascanio Bernardeschi al seminario promosso dell’Associazione la Rossa

inquinamento industrieL’impegno, e l’auspicio di riuscirci, è che questo sia un primo seminario promosso dell’Associazione la Rossa per poter discutere, con maggiore possibilità di approfondimento di quanto possa avvenire nei pur interessanti, tradizionali dibattiti nelle feste rosse, di questioni della massima rilevanza.

E la questione dell’ambiente e del clima ha la massima importanza, se si pensa che il doomsday clock, la lancetta virtuale che simboleggia la distanzia dalla catastrofe del pianeta, la quale nel 1947 indicava 7 minuti alla fine del mondo, oggi indica 100 secondi. Abbiamo cioè consumato abbondantemente ¾ del tempo a disposizione. Il motivo di tale pericoloso avvicinamento è dato sia dal rischio di un conflitto disastroso, sia dai rapidi cambiamenti climatici in atto. Le due cause hanno fra di loro una forte correlazione.

A noi non interessa interloquire con i negazionisti ma con chi, anche da posizioni diverse dalle nostre, prende atto del problema e si pone l’obiettivo di risolverlo.

Però, se va crescendo la consapevolezza della concretezza del problema, non è così per le cause e i rimedi, anche a causa di tesi massicciamente divulgate quanto fuorvianti, talvolta per insufficienza analitica, altre per deliberata scelta.

A fine gennaio, per esempio, mi sono imbattuto nel Manifesto di Assisi per un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica, un documento che ha raccolto ben 2 mila adesioni fra istituzioni, mondo economico, politico, religioso ecc. Fra i promotori, oltre al solito “ambientalista” embedded (nel senso di arruolato al sistema), Ermete Relacci, ed esponenti della Chiesa cattolica, vi figurano i presidenti di Coldiretti e Confindustria e gli amministratori delegati di Enel e Novamont. La compagnia è già di per sé eloquente.

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marxismoggi

Capitale e natura

di Carla Filosa

472b18dda03a655c3836cbc487cb35f3Unità di natura e modo di produzione

In questo scritto ci si propone di considerare i cambiamenti climatici determinati dalle attività umane separati da quelli naturali. Ci si concentrerà su questi ultimi non da un punto di vista tecnico, demandato agli esperti del settore, ma da un punto di vista sociale e storico. Si assumerà il problema del riscaldamento climatico (Global Warming), e non solo, secondo le analisi effettuate sin dagli anni ’50 dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), quale massimo consesso mondiale di esperti sul clima.

Non si ritengono attendibili, al contrario, le tesi relative all’“allarmismo climatico” perché volte a negare o minimizzare le rilevazioni scientifiche che potrebbero compromettere la regolare continuità delle incidenze umane. Queste sono infatti considerate altamente probabili – la cui possibilità è data al 95-100% - su un riscaldamento dell’atmosfera terrestre e degli oceani, che comporterebbe disastri quali scioglimento di nevi e ghiacci con conseguente innalzamento dei mari, pericolo per gli insediamenti umani sulle coste delle terre emerse, concentrazione di gas serra tra cui soprattutto CO2, ecc. Siccome si riscontra una scarsa comprensione delle relazioni specifiche che intercorrono tra sistemi economico-sociali e la variabilità naturale del clima nel corso della storia, si cercherà di portarle all’attenzione come un fattore complesso e non subalterno all’ideologia della semplificazione ad ogni costo. Si è certi che senza l’analisi congiunta di entrambi gli aspetti, quello naturale modificato e continuamente modificabile da quello storico determinato, non può darsi consapevolezza concreta dei problemi e, con questa, la capacità – auspicabilmente efficace – di intervenire per la loro possibile risoluzione in positivo.

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carlobertani

Quando l’Europa suicidò il Pianeta, e si continua

di Carlo Bertani

Pacific Trash VortexIl 3 Agosto del 1914 l’Europa decise di suicidarsi: in un anelito di gloria e di fulgore bellico – che tutto annebbiò, compresi i rischi che ne derivarono – l’Europa decise di farla finita. Con un pessimo trattato di pace, nel 1919, gettò le basi per il secondo tempo, come oramai tutti gli storici sono concordi nel definire Prima e Seconda guerra mondiale un unico evento, frammentato in due episodi.

Dal 3 Agosto del 1914 al 15 Agosto del 1945, in soli 31 anni, la follia degli ultimi re ed imperatori, spalleggiati dai presuntuosi francesi e poi da qualche dittatore, ridussero un intero continente alla fame. Nel Novembre del 1918, appena giunta la pace, i giornali di Vienna salutarono come degli angeli una colonna di mezzi militari italiani che giunse a Vienna, con rifornimenti per la popolazione che moriva letteralmente di fame, giacché la mancanza di uomini nei campi aveva impedito quasi del tutto le semine primaverili.

I rifornimenti, ovviamente, non potevano essere italiani (alla fame come gli austriaci!) ma erano giunti dagli Stati Uniti via nave a Venezia: si tornava a mangiare! Peccato, però, che nel 1917 in Kansas fosse comparso un piccolissimo virus denominato, poi, spagnola perché i primi giornali a fornire notizie furono quelli spagnoli, mentre nel resto d’Europa la stampa era sotto censura militare e certe notizie venivano cancellate con un tratto di penna dai solerti generali-censori.

La Spagnola non si conosce nemmeno quanti morti causò: si narra dai 50 ai 100 milioni di vittime, dovute ad una variante del solito virus H1N1, quello della comune influenza, soltanto che il virus s’abbatté su popolazioni stremate dalla fame, dal freddo e dalle privazioni: in Italia, le vittime furono 600.000, tante quante ne causò la guerra.

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contropiano2

I comunisti e la questione ecologica

L’elaborazione della RdC

di Italo Nobile*

Federico RuxoNell’introdurre il seminario di Andrea Genovese sull’economia circolare è necessario fare un piccolo accenno a come la Rete dei comunisti (o le strutture e le esperienze che poi nella RdC sono confluite) nel corso di questi anni abbia affrontato la questione ecologica. Ovviamente tale ricostruzione è per forza di cose lacunosa perché in più di vent’anni di riflessione e di iniziativa politica molto del materiale è disperso in molti articoli distribuiti in diversi periodici. Tuttavia è possibile ricostruire un atteggiamento complessivo.

La prima cosa da dire è che la nostra organizzazione ha riconosciuto sempre l’emergenza ambientale ma ha anche evidenziato come la comunicazione deviante che caratterizza quest’ultima fase del capitalismo abbia utilizzato questo allarme per gli interessi materiali che essa serve, per distogliere l’attenzione da altre questioni più scottanti a breve e per alimentare nuove speculazioni in previsione di un aumento del business in questo comparto[1].

Perciò la battaglia delle idee su tale questione è stata qualificata da un lato dal riportare la contraddizione capitale-natura all’interno del conflitto capitale-lavoro[2] e, d’altro canto, nella critica continua e feroce a tutti i tentativi di far rientrare la politica ecologica all’interno del modo di produzione capitalistico ed in particolare nella critica alla Green-Economy[3] .

I due momenti sono compementari e tale stretto legame è significativo di un approccio globale e al tempo stesso storico alle questioni, senza nessuna concessione alla nostalgia di una natura che è invece sempre stata mediata socialmente e senza nessuna concessione ad un naturalismo dietro il quale spesso si nasconde una perpetuazione di rapporti di produzione che vanno tolti nel corso del tempo[4].