Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 1607
Il costo ecologico dell’economia di piattaforma
Ovvero, l’inquinamento connesso alle nuove tecnologie
di Giorgio Pirina
Il periodo storico in cui viviamo è stato definito con due accezioni, fortemente collegate tra loro: società post-industriale e società dell’informazione. Queste definizioni indicano un fenomeno preciso, ovvero il maggior rilievo assunto nei paesi a economia avanzata dal settore terziario (servizi e informazione) rispetto al settore secondario. Parimenti, questa fase è stata accompagnata dalla retorica dell’immaterialità della produzione e del consumo (e dunque dell’impatto ambientale) posizionandosi gioco forza in una prospettiva eurocentrica. Al contrario, se analizziamo il sistema socio-economico come un’unità organica, ci accorgiamo che la supposta dematerializzazione nel Nord globale (contraddetta a sua volta dalla persistenza di forme di lavoro vivo profondamente degradate), si poggia sulla produzione e sul consumo delle risorse umane e ambientali del Sud globale. Il caso dei cosiddetti ‘minerali insanguinati’ è illuminante da questo punto di vista: essi indicano l’insieme di quelle risorse naturali provenienti da zone di guerra o nelle quali si fa ricorso al lavoro forzato. Tra questi i più conosciuti fino agli albori del XXI secolo erano l’oro e i diamanti, le cui filiere sono state regolamentate dal Protocollo di Kimberley. Tuttavia, con le innovazioni tecnologiche nel campo dell’informatica, della cibernetica, dell’elettronica e dell’automobile, altri minerali sono diventati risorse cruciali per le industrie di riferimento; per esempio il coltan (una combinazione di niobio e tantalio), il cobalto e, ancor più recentemente, il litio. Queste risorse sono centrali, in quanto base da cui realizzare le infrastrutture socio-materiali dell’attuale modello di accumulazione del capitale.
- Details
- Hits: 1434
Possiamo salvare il pianeta prima di cena, ma non lo faremo
di Paolo Costa
L’ultimo libro di Jonathan Safran Foer – Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi – poggia su un’intuizione tanto interessante, quanto filosoficamente problematica. In breve, la sua tesi è che noi umani sappiamo di essere sull’orlo di una catastrofe senza precedenti, ma non riusciamo a credere veramente a questa verità semplice.[1] E non ci riusciamo perché si tratta di una verità letteralmente incredibile in quanto crederci fino in fondo metterebbe a soqquadro il nostro modo ordinario di incorniciare l’esperienza. Per citare le sue stesse parole, non lo crediamo perché «credere dovrebbe immancabilmente far sorgere in noi l’urgente imperativo etico che ne consegue, smuovere la nostra coscienza collettiva e renderci pronti a compiere piccoli sacrifici nel presente per evitare sacrifici epocali in futuro».[2] Di fatto, però, siamo abulici e questo dimostra empiricamente che non ci crediamo con tutto noi stessi, che questo sapere, insomma, non lo «sentiamo» nostro.
L’analogia a cui ricorre Foer per chiarire che cosa sia una verità nota ma non credibile (perché inverosimile) è scontata per chi conosce anche solo superficialmente i suoi precedenti scritti. Le prime notizie che giunsero in Europa e poi in America sullo sterminio sistematico degli ebrei nei territori conquistati da Hitler – il genocidio che da qualche anno abbiamo imparato a chiamare rispettosamente «Shoah» – sembrarono a molti troppo assurde per essere vere e i pochi testimoni oculari vennero ritenuti non attendibili. Perché mai qualcuno sano di mente avrebbe dovuto spendere soldi ed energie per fabbricare migliaia di cadaveri di un popolo inerme dopo essersi imbarcato in una guerra rischiosissima contro mezza Europa? Quale odio irrazionale poteva giustificare una strategia così palesemente autolesionista?
- Details
- Hits: 1552
Cambiare materiali, filosofie di progetto o modello?
di Carlo Bertani
Con l’Autunno, è arrivata la solita sequenza di disgrazie meteorologiche: in fin dei conti, è piovuto quattro giorni di seguito, e quattro giorni di pioggia sono bastati per mettere in crisi il sistema di trasporto italiano.
Una parte di responsabilità l’hanno, ovviamente, i mutamenti climatici in atto, basti pensare che, nel 2018, la temperatura massima del Mar Tirreno giunse a 26°, mentre nel 2019 è giunta a 29°, l’Adriatico a 30°.
Come se non bastasse, s’approfondisce lo strato di acqua che si riscalda – separata dal cosiddetto “termoclino”, che le divide dalle acque di fondo, che rimangono sempre alla massima densità di 4° – il problema è che mentre, prima, il termoclino s’assestava intorno ai dieci metri di profondità, oggi arriva a venti, il doppio.
La quantità di energia che le acque marine contengono, al termine della stagione estiva, è incommensurabile: sono quantità paragonabili a circa 50 volte il consumo elettrico annuo nazionale!
Si dà il caso che questa energia sia destinata a giungere in atmosfera con la fase di omotermia invernale, e allora osserviamo – come nel 2018 – i cicloni oppure, come nel 2019, le piogge “monsoniche”, che devastano il territorio.
In altre parole, l’energia può avventarsi col vento ed aumentarne la velocità, oppure sorreggere i fronti ciclonici e sommergerci con le acque.
In un modo o nell’altro, e qualunque sia la ragione, dobbiamo farci i conti.
L’altro problema, riguarda la specificità del territorio italiano.
- Details
- Hits: 3874
Il cosiddetto problema ambientale
di Carla Filosa
Trattare le questioni ambientali separatamente dal processo storico che le ha determinate impedisce l’individuazione delle azioni positive o contromisure da intraprendere
Nella misura in cui l’interessamento generale ai problemi ambientali è diventato di moda, non si può fare a meno di affrontare l’argomento mentre si è stupiti, eufemisticamente, per le variegate forme ideologiche in cui questo viene isolato da ogni altro condizionamento storico, sociale, politico, economico, ecc.
Per privilegiare gli aspetti di fondo del cambiamento climatico, e cosa si deve intendere per ambiente, si è costretti a dare per scontato, almeno parzialmente, l’innumerevole elenco delle modalità e degli effetti registrati ormai da tempo da questi scienziati di tutto il mondo. Non solo loro, infatti, in antitesi agli interessi dei negazionisti alla Trump o alla Bolsonaro, si preoccupano per l’equilibrio del pianeta a causa del riscaldamento climatico e lanciano un allarme ai paesi e alle classi più povere del pianeta, da sempre più esposti a disastri ambientali di ogni tipo (innalzamento dei mari, uragani, tsunami, ecc.).
In questo breve excursus si dà credito quindi alle numerose analisi e relazioni degli scienziati del clima e dell’ambiente in generale, non tralasciando denunce di autorevoli politici o magistrati sui danni localizzati determinati da interessi oggettivamente criminali, mentre nel contempo si verifica che l’analisi scientifica marxiana è ancora la sola in grado di individuare le cause reali e complesse del degrado crescente degli assetti sociali e territoriali, estesi ormai a livello globale. La mistificante “autonomia” delle devastazioni presenti e future relative all’“ambiente”, da parte di un dominio economico che al contrario ne determina un progressivo accadimento in forme per lo più irreversibili, dev’essere pienamente smentita unitamente a tutte le legittimazioni e palliativi ideologici, escogitati per far fronte agli effetti senza intaccarne le cause, libere così di continuare a distruggere risorse naturali e esseri umani, inquinare aria, acqua e terreni.
- Details
- Hits: 11529
Contro natura! Il valore e la distruzione ambientale
Una prima proposta per un’ecologia politica critica e radicale
di Riccardo Frola e Dario Padovan
Questo testo è apparso per la prima volta come postfazione al libro “Le avventure della merce”, di Anselm Jappe, ed.Aracne, 2019
Le Avventure della merce, il libro che viene qui presentato modestamente dall’autore come un tentativo di «riassumere l’essenziale della critica del valore», è in realtà molto più. Circolato anche in Italia, nella sua versione francese acquistata più o meno avventurosamente in Francia dai lettori più attenti, il libro è stato effettivamente per anni (ed è ancora) l’unico riferimento per chi volesse avere un quadro completo della più radicale delle teorie critiche. Ma proprio questo “quadro completo” è in realtà la rappresentazione di qualcosa che, nella sua fisionomia integrale, non esisteva prima del libro. È un contributo originale e inedito dell’autore. Jappe ammette che, prima delle Avventure, nessun testo presentasse «la critica del valore nella sua integrità». Noi aggiungiamo che questa integrità, basata su un metodo che parte «dall’analisi più semplice […] per arrivare in seguito, andando per gradi dall’astratto al concreto, fino all’attualità e alle tematiche storiche, letterarie o antropologiche», è in buona parte il frutto di quell’«eccellente livello teorico di pensiero» che già Guy Debord (Debord, 2008) aveva riconosciuto precocemente all’autore delle Avventure.
Ma il libro non è soltanto la premessa necessaria ad ogni studio serio della critica del valore. Anselm Jappe (Jappe, 2019, p. 20), infatti, invita il lettore ad «entrare nella stanza in cui sono custoditi i segreti più importanti della vita sociale», soprattutto per mettere la critica del valore di fronte alla prova della contemporaneità e ai suoi problemi più urgenti. Il messaggio più importante del libro è forse proprio quello racchiuso nella convinzione che questi problemi, anche quello più legato alla quotidianità, non possono essere risolti senza attraversare il “deserto” (Jappe, 2019, p. 16) della teoria, in tutti i suoi aspetti, anche quelli apparentemente più aridi.
- Details
- Hits: 2332
Militarismo e cambiamenti climatici
The Elephant in the Living Room
di Rossana De Simone
“E’ stato stimato che Il 20% di tutto il degrado ambientale nel mondo è dovuto agli eserciti e alle relative attività militari”
“The Elephant in the Living Room” è un'espressione tipica della lingua inglese che sta a indicare una verità ovvia e appariscente ma che si vuole ignorata o minimizzata. Nella conferenza "Salva la terra, abolisci la guerra" che si è tenuta a giugno nel centro di Londra, l’organizzazione Movement for the Abolition of War (MAW), l’ha riformulata in "The elephant in the kitchen when it comes to Climate Change is clearly the world's military” per dire che l'elefante nella stanza, quando si tratta di cambiamenti climatici, è chiaramente l'esercito mondiale. Il mondo spende qualcosa come 2 trilioni di dollari all'anno per i suoi militari. Almeno la metà di quella gigantesca somma va alla produzione militare con una enorme produzione di CO2. http://www.abolishwar.org.uk/day-conference-2019.html
La conferenza ha esaminato il tema del militarismo e dell'ambiente, come le attività militari contribuiscono ai cambiamenti climatici e in che modo questi cambiamenti causano conflitti. In particolare il dr. Stuart Parkinson, direttore esecutivo dell’organizzazione SGR (Scientists for Global Responsibility) affiliata alla rete International Network of Engineers and Scientists for Global Responsibility , ha illustrato i dati più recenti riguardanti le emissioni di carbonio prodotte dalle attività militari (spesso omessi nei documenti nazionali) esaminati e raccolti in “The carbon boot-print of the military”, che sta per impronta climatica degli scarponi militari, ovvero l’impatto sul clima causato dagli energivori sistemi d’arma, basi e apparti, aerei, navi, carri armati, eserciti e interventi bellici. Nelle “slides” sono elencati i principali risultati sulle emissioni militari di carbonio, i confronti tra le risorse utilizzate per le attività militari e quelle utilizzate per affrontare i cambiamenti climatici, e infine, i legami tra cambiamento climatico e conflitti https://www.sgr.org.uk/sites/default/files/2019-07/SGR_Military-carbon-bootprint_London19.pdf
- Details
- Hits: 1746
Negazionismo, scetticismo o resistenze: dove va l’ecologia politica?
di Turi Palidda
Questo documento, a cura di Salvatore Palidda, è condiviso con alcuni ricercatori del progetto CREMED – Collective Resilience Experiences facing risks of sanitary, environmental and economic disasters in the MEDiterranean
È indiscutibile che la posta in gioco maggiore del XXI secolo riguardi la previsione o la negazione dei rischi per il futuro dell’umanità e del pianeta, rischi certamente percepiti come ben più seri della fine del mondo profetizzata da diversi ciarlatani del passato. Nel corso di questi ultimi anni la maggioranza dell’opinione pubblica mondiale sembra seguire i diversi punti di vista riguardanti tali rischi. Ma i popoli del mondo sono consapevoli di tali rischi o al contrario sono piuttosto dalla parte dei negazionisti e ancor di più degli scettici?
Per cercare di capire la portata della posta in gioco è utile passare in rassegna i diversi punti di vista o prospettive interpretative o riflessioni critiche nel campo dell’ecologia politica così come si sono espressi dagli anni Settanta e soprattutto dal 2010. A questi punti di vista corrispondono diverse pratiche che sono determinanti se non decisive rispetto al futuro.
Proveremo quindi a mostrare che le reazioni dei dominanti e dei dominati di fronte all’allarme sul destino dell’umanità e del pianeta Terra si configurino come IL fatto politico totale[1] per eccellenza. Che lo si neghi o che si pretenda controllarlo o trovarvi rimedio o che si dica che «non c’è nulla da fare», intellettuali, esperti, autorità internazionali e nazionali, lobby e buona parte della popolazione mondiale, tutti sono costretti a confrontarvisi, ancor di più di quanto avvenne rispetto alle due guerre mondiali del XX s. e rispetto al rischio di guerra nucleare (che di fatto si pensava poco probabile ma assai utile alla competizione tra le due superpotenze dopo il 1945). Fatto politico totale perché vi si intrecciano aspetti riguardanti tutti e tutto: i mondi animale, vegetale, minerale e l’atmosfera, quindi gli aspetti economici, sociali, culturali e politici (secondo alcuni in particolare religiosi). Ne consegue che le reazioni a tale fatto siano disparate e rivelatrici dell’attuale geografia politica, e dunque del rapporto tra dominanti e dominati, tra le loro culture e i loro comportamenti.
- Details
- Hits: 3685
Il Clima e la via dei soldi
di F. William Engdahl*
Clima. Ora cosa dovremmo pensare? Le mega-multinazionali e i megamiliardari dietro la globalizzazione dell'economia mondiale negli ultimi decenni, la cui ricerca del valore azionario e della riduzione dei costi ha arrecato così tanti danni al nostro ambiente sia nel mondo industriale che nelle economie sottosviluppate dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, sono i principali sostenitori della movimento di decarbonizzazione dalla Svezia alla Germania agli Stati Uniti e oltre. È una crisi di coscienza, o potrebbe essere un'agenda più nascosta per la finanziarizzazione dell'aria che respiriamo e oltre?
Qualunque cosa si possa credere circa i pericoli della CO2 e circa i rischi di riscaldamento globale che sta creando una catastrofe globale con un aumento della temperatura media da 1,5 a 2 gradi Celsius nei prossimi 12 anni, vale comunque la pena di verificare chi sta promuovendo l'attuale ondata di propaganda e attivismo climatico. La finanza cosiddetta "green".
La finanza "green"
Diversi anni fa, quando Al Gore e altri hanno deciso di utilizzare una giovane studentessa svedese come bambina-immagine testimonial di un'azione di urgenza a favore del clima, o in Usa, per l'appello di Alexandria Ocasio Cortez volto ad una completa riorganizzazione dell'economia intorno a un New Deal verde, i giganti della finanza hanno iniziato a concepire schemi per guidare centinaia di miliardi di fondi futuri verso investimenti in aziende climate-fiendly prive di valore.
- Details
- Hits: 1740
Il Green New Deal e l’ecologismo di Stato
La trappola della sostenibilità
di Costantino Ragusa*
Negli ultimi anni abbiamo visto un cambiamento e una trasformazione radicale all’interno dei sistemi economici più avanzati, non solo al Nord, ma anche in tanti paesi del “Sud del mondo”. Questo cambiamento non è stato solo nel loro modo di procedere ma piuttosto in un continuo livellamento e aggiustamento della loro propaganda per giustificare lo sfruttamento e la depredazione continua del pianeta.
Da una parte l’industria, anche quella tra le più inquinanti al mondo, si è rifatta un’immagine sostenibile con politiche verdi. Un esempio tra i più significativi è stato il proporre di contrastare il cambiamento climatico con lo scambio e la compravendita di emissioni di CO2. Dall’altra parte proliferano nuovi ambientalismi impegnati a cogestire con i poteri dello stato il mantenimento degli stessi livelli di sfruttamento della natura: siano questi di natura chimica, genetica o altro.
Più recentemente si sta diffondendo un ambientalismo internazionale, come quello ispirato alla giovane svedese Greta Thunberg con il nome di Friday for Future accolto e cullato favorevolmente in ogni dove: dalle piazze al Vaticano, per arrivare fino a Davos. Un ambientalismo senza contenuto e soprattutto senza più nessuna conflittualità, senza una controparte con delle responsabilità precise: soltanto la denuncia di gravi problemi ambientali che si trasformano in emozioni collettive, come se bastasse prendere coscienza di un qualcosa per far sì che questo cambi.
Se fino a qualche anno fa la propaganda in difesa della natura portata avanti dal sistema industriale era quasi solo una retorica traballante, in tempi recenti siamo di fronte alla nascita di una vera e propria impresa: tutte le industrie, soprattutto quelle più inquinanti e nocive, hanno al proprio interno dipartimenti specifici su tematiche ambientali.
- Details
- Hits: 2823
I cavalli di Troia dello 0,01%
di Fulvio Grimaldi
Da Gesù, passando per T.I.N.A, a Greta: segui i soldi e trovi Goldman Sachs
“Noi non dovremmo mai accettare il linguaggio dei nostri nemici” (P.P.Pasolini “Petrolio”)
Giovanni Falcone: “Segui i soldi e troverai la mafia”.
Qui, seguendo i soldi che sostengono, propagano e pubblicizzano l’ondata ecogretista, troveremo Soros, NED, Amnesty, Goldman Sachs & Co. Ma di questo dopo, al capitolo “Segui Greta e trovi Paperone”.
Torno in pista dopo quasi un mese di assenza impostami dalla rottura del hard disk del mio computer con relativa perdita di tutti i dati. Rimedio alla bell’e meglio perché il recupero dati per ora non è ancora riuscito. Comunque, ben trovati!
Giuramento ecologista
Metto subito le mani avanti rispetto a chi, e sono turbe smisurate, mi salterebbe addosso non appena mettessi in dubbio – e lo farò, ah, se lo farò! – il verbo del culto di Greta e dei suoi seguaci. Follower, come dicono gli aggiornati (che non distinguono il singolare inglese dal plurale), che si contano a milioni e sono tutti belli, forti, fichi, biondi, con gli occhi azzurri e popolano quartieri perbene, parlamenti, governi, consigli d’amministrazione e redazioni affiliate. E ricordo a tutti che da decenni mi occupo di ambiente, nel senso che combatto chi lo invade, disturba, sconvolge, sporca, avvelena e ne massacra gli abitanti (allora, secolo scorso, si poteva). Tanto che, tra l’altro, per tre lustri, prima al TG1 e poi al TG3, ero il riferimento mediatico delle migliori associazioni ambientaliste italiane e perfino del, dai devastatori oggi tolto di mezzo, Corpo Nazionale della Guardia Forestale. E anche da inviato di guerra mi sono premurato – cosa del tutto anomala per i colleghi del settore – di evidenziare come bruciare petrolio e spargere chimica bombarola per distruggere popoli e paesi costituisca un’impronta ecologica più disastrosa di quella di ciminiere, marmitte, caldaie e allevamenti. Ma di questo né Greta, né i suoi infervorati chierici parlano.
- Details
- Hits: 2188
Una nuova economia a emissioni zero
di Andrea Roventini
Vietare le attività inquinanti, incentivare politiche pubbliche ambientali, predisporre strumenti finanziari per l'innovazione ecologica. Tre passi per cambiare paradigma
Quest’estate le conseguenze del riscaldamento climatico hanno spesso occupato le prime pagine dei giornali e le discussioni sui social network. Non solo per gli incendi che hanno piagato la foresta Amazzonica, ma anche per quelli che hanno bruciato la Siberia, le eccezionali ondate di caldo che si sono registrate in città come Parigi, con punte vicine ai 45° C, o in Australia e India con temperature sopra i 50° C, e per finire l’uragano Dorian che ha portato distruzioni nei Caraibi e negli Stati uniti sudorientali.
Tuttavia, l’impatto del cambiamento climatico non porta solo a un aumento delle temperature e a un’intensificazione degli eventi estremi (ondate di calore, tropicalizzazione dei temporali), ma aumenta anche la variabilità climatica. L’instabilità climatica implica, come nel Trono di Spade, che l’inverno può arrivare inaspettatamente, con conseguenze devastanti per la produzione agricola. Di fronte a questi fenomeni, è farsesco che certi giornalisti o politici minimizzino i rischi del cambiamento climatico per le temperature rigide che si registrano in alcuni giorno dell’inverno in Italia o negli Stati uniti. Le proiezioni all’anno 2100 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente indicano che se non combatteremo efficacemente il riscaldamento climatico, tutta l’Europa sperimenterà forti aumenti delle temperature, ma l’area mediterranea sarà colpita da periodi estremi di siccità, mentre le precipitazioni si intensificheranno nelle regioni centrali e orientali.
Purtroppo, in mancanza di interventi tempestivi, il peggio deve ancora avvenire. Lo scorso anno, un articolo pubblicato su Pnas, uno tra i più influenti giornali scientifici insieme a Science e Nature, ha avuto un forte impatto mediatico avvertendo che siamo vicini a un punto di non ritorno per il nostro Pianeta.
- Details
- Hits: 2179
Il clima sta cambiando, i rapporti di sfruttamento no
di Enzo Pellegrin
Se mai ce ne fosse bisogno, le manifestazioni "istituzionali" di venerdì scorso hanno confermato un dato ambientale, sul quale gran parte del mainstream mediatico investe risorse di controllo dell'opinione da almeno venti anni. Il clima della Terra sta cambiando.
Lo confermano, in ordine di importanza: i governi più potenti del mondo, le organizzazioni governative, le cosiddette organizzazioni non governative, i governi allineati ai governi più potenti del mondo. Nel mazzo entra pure il governo italiano, il quale ha "istituzionalizzato" le manifestazioni per il clima con una circolare del Ministero della Pubblica Istruzione, la quale invitava i docenti ad accettare la giustificazione di assenza per la partecipazione al "Friday for Future". Ultime ma non meno importanti, le organizzazioni dei partiti governativi e filogovernativi, le quali hanno tentato di dirigere, attraverso le loro organizzazioni giovanili, le manifestazioni di venerdì.
Che il clima, ma non solo il clima, stia andando incontro a mutamenti derivanti dall'inquinamento dei metodi di produzione e di sviluppo economico, lo avevano in precedenza detto sia la comunità scientifica internazionale, sia una serie di personaggi che alle nazioni Unite avevano più volte parlato, senza che il mainstream mediatico avesse mai dato loro la dovuta eco.
Fidel Castro Ruz, nel 2007, nella piena esplosione di quello pseudoecologismo peloso che lodava la ricerca di carburanti alternativi al petrolio derivati da vegetali e mais, ricordava che
"L'energia è concepita come qualsiasi merce…La terra e i suoi prodotti, i fiumi, le montagne, le foreste ed i boschi sono vittime di una incontenibile rapina. I beni alimentari, ovvia - mente, non sono sfuggiti a questa infernale dinamica.
- Details
- Hits: 4635
Due o tre cose sul clima e i Fridays for Future
di Piero Pagliani
«Your ancestors did not end slavery by declaring an emergency … I vostri antenati non hanno posto fine alla schiavitù dichiarando un'emergenza e sognando soglie artificiali per il numero “tollerabile” di schiavi. Ma l'hanno chiamata per quello che era: un'industria incredibilmente profittevole, la base di buona parte della prosperità dell'epoca, fondata su una fondamentale ingiustizia. E' tempo di fare la stessa cosa per il cambiamento climatico.»
(Myles Allen: Why protesters should be wary of ‘12 years to climate breakdown’ rhetoric. Myles Allen è docente di Scienze Geosistemiche, Leader dell'ECI Climate Research Programme, Università di Oxford, autore del capitolo riguardante le previsioni sul cambiamento climatico globale dell'IPCC Fourth Assessment Report e coautore dello Special Report on Global Warming of 1.5ºC dello stesso IPCC)
Nutro non solo sospetti, ma ho una reale paura dei movimenti suscitati dall'alto. Perché in alto ci sono le élite e spesso, come ci ricordava con chiarezza Antonio Gramsci, queste élite sono abilissime a mimare le forme di mobilitazione popolari (“del proletariato”), e lo fanno esclusivamente per i propri interessi e, in subordine, dei ceti sociali ad esse afferenti.
Ho quindi paura del “fenomeno Greta Thunberg” (non della giovane Greta), proprio perché per me il fenomeno Greta Thunberg, cioè il bandwagon che si è costruito in tempi record sulla base delle sue primitive - e io penso genuine - intenzioni e azioni, è un prodotto progettato e impacchettato a freddo (si veda di Cory Morningstar, giornalista investigativa e ambientalista, The Manufacturing of Greta); un prodotto immediatamente utilizzato da alcuni settori delle élite che infatti sin da subito hanno richiesto e ottenuto che la giovane Pasionaria del clima fosse accolta laddove si celebrano alcuni dei loro riti più appariscenti: i media mainstream, parlamenti e capi di stato vari, il World Economic Forum di Davos, il papa, l'Onu.
- Details
- Hits: 1741
Territori estrattivi e politica dei morti viventi
Lo sviluppo capitalista nell'era della crisi ecologica
di Maura Benegiamo
[Anche in Italia, come nel resto d’Europa e del mondo, gli ultimi mesi hanno visto centinaia di migliaia di persone scendere in piazza contro il cambiamento climatico. Importanti sono state le piazze oceaniche di Fridays For Future il 15 marzo e quella dei comitati a Roma, il 23 dello stesso mese. Dopo il secondo Climate Strike del 24 maggio, oggi va in scena il terzo atto. Per comprendere le sfide che attendono il movimento globale per la giustizia climatica proponiamo il seguente testo di Maura Benegiamo, che parte da una riflessione presentata al convegno Ambientalismo Operaio e Giustizia Climatica tenutosi presso il Centro Studi Movimenti di Parma il 14 giugno 2019. (el)]
1. L’astrazione è sempre estrazione
La connessione tra crisi ambientale e crisi economica che ha caratterizzato il panorama globale negli ultimi anni si è tradotta in un’intensificazione dei processi di mercificazione e sfruttamento applicati al mondo naturale. L’epoca post-fordista è stata caratterizzata da intense trasformazioni del lavoro e dei processi di sussunzione. Le logiche che hanno sotteso tali trasformazioni si sono estese al di là della produzione umana, implicando anche una trasformazione delle relazioni tra capitale e natura. In particolare, il crescente trasferimento sull’ambiente dei costi e delle funzioni della riproduzione sociale ha reso le funzioni riproduttive dell’universo non-umano – e la conseguente codificazione dei processi biologici – un elemento centrale nello sviluppo del capitalismo. In questo modo, le più recenti forme di captazione del valore, incentrate sulle dimensioni apparentemente più immateriali o cognitive della produzione ed attente a processi di cattura e monetarizzazione dei flussi di informazioni e di conoscenza, sono state applicate all’ampliamento delle dinamiche di estrazione e sfruttamento della natura (e dei corpi). Le stesse enclosures e la mercificazione della natura sono venute così ad articolarsi con i nuovi processi di accumulazione.
In questo contesto, le derive ecologiche che hanno contribuito alla crisi del modello fordista possono essere riviste alla luce dei nuovi saperi ambientali e del progresso tecno-scientifico, che però a loro volta sono serviti a costituire una specifica grammatica ad uso della governance neoliberista. Tutti questi processi si accompagnano infatti a politiche di sfruttamento intensivo dei territori ed estrazione delle risorse che sostengono traiettorie differenziali di inclusione ed esclusione.
- Details
- Hits: 2757
Where’s the Revolution? Who’s making your decisions?
di Francesco Cappello
Il rituale del venerdì e dello “sciopero globale” va riempito di tutti quei contenuti che risultano, non a caso, generalmente rimossi. Tutto è connesso a tutto
Bisogna aiutare i nostri figli/studenti a vedere ciò che è loro sistematicamente celato.
Non hanno gli strumenti per farlo autonomamente. Materie essenziali allo scopo sono state rimosse dai loro piani di studio. La didattica per “competenze“ tenta ormai di sostituirsi a quella per contenuti.
Nella scuola che frequentano anche il linguaggio convoglia l’ideologia aziendalistica. Non si danno più voti ma “debiti” e “crediti” mentre le micro e piccole imprese reali vengono lasciate al loro destino soffocate da un’enorme imposizione fiscale.
Vi si pretende di dare valutazioni e giudizi indiscutibili (digitali) che deresponsabilizzano i docenti. Anche una macchina può “correggere” una verifica nel formato “quiz invalsi“ e dare una valutazione scaturente dalla applicazione di insindacabili criteri, codificati in una “griglia“ (algoritmo valutativo) preventivamente predisposta. Allo studente è chiesto di mettere una crocetta (la stessa con cui si firmano gli analfabeti) nella casella giusta. La tendenza è quella di rendere maggioritarie questo genere di verifiche a discapito delle prove orali e di quelle scritte tradizionali.
Le prove invalsi ci “suggeriranno” quali argomenti trattare, con quali modalità e quali trascurare. Le interrogazioni orali e scritte saranno sempre più sostituite da idiote quanto mortificanti gare a quiz già candidate all’utilizzo per l’ammissione a esami di Stato, peraltro continuamente cangianti anche nel corso dell’anno scolastico, come accadde l’anno scorso.
Non più il/la preside ma un dirigente (d’azienda), scolastico amministratore delegato con sempre più responsabilità, all’interno di una organizzazione in cui sono in pochi (il Consiglio di Istituto) ad avere l’ultima parola. Il Collegio Docenti, per molti aspetti importanti, ha ormai solo potere propositivo; d’altronde, la propaganda propone che anche il Parlamento nazionale sia da considerare uno “strumento desueto».
Page 9 of 18