Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

quadernidaltritempi

Benvenuti nel reale antropocene: fase due

di Roberto Paura

mappe antropocene 11Il fondatore del transumanesimo, Max More, pubblicò online, nel 1999, una celebre Lettera a Madre Natura. Con un tono più ironico e senza dubbio più diretto di quello usato da Giacomo Leopardi nel rivolgersi alla stessa interlocutrice un paio di secoli prima, More osserva che, pur avendoci la Natura fornito una serie di doni importanti (“il massimo controllo del pianeta”, “un’aspettativa di vita fra le più lunghe del regno animale”, “un cervello complesso”), al tempo stesso essa si è dimostrata avara su numerosi aspetti:

“Ci hai creati vulnerabili alle malattie e alle ferite. Ci hai obbligati a invecchiare e a morire – proprio quando cominciamo a diventare saggi. Sei stata un po’ avara nel darci consapevolezza dei nostri processi somatici, cognitivi ed emotivi. Sei stata poco generosa con noi, donando sensi più raffinati ad altri animali. Possiamo funzionare solo in certe specifiche condizioni ambientali. Ci hai dato una memoria limitata e scarso controllo sui nostri istinti tribali e xenofobici” (More, 1999).

Le accuse di More sono senz’altro giuste, ma d’altronde, a pensarci bene, cosa potrebbero dire gli altri animali, se potessero esprimere qualche critica a Madre Natura? Di sicuro, tra tutti, siamo stati i più fortunati, gli unici a essersi evoluti fino a raggiungere un’autocoscienza complessa e una capacità di modificare noi stessi e il resto della natura. Pensatori come Thomas Ligotti, così come numerosi filosofi del passato, hanno messo in dubbio il fatto che la nostra intelligenza sia un beneficio, dato che comporta, come effetto collaterale, una dose di preoccupazioni non indifferenti. Non è nemmeno da escludersi che molti animali possano considerare i nostri presunti “benefici” come “maledizioni”, qualora potessero spingersi a un simile livello di consapevolezza. Ma, secondo la visione del transumanesimo, che è poi la filosofia alla base dell’accelerazione tecnologica dei nostri tempi, il nostro compito dovrebbe essere quello di potenziare l’essere umano per affrancarlo dal suo determinismo biologico, attraverso la tecnologia.

Print Friendly, PDF & Email

contropiano2

Osare dichiarare la morte del capitalismo, prima che ci trascini tutti con sé

di Francesco Piccioni

ecologia collassoQuesto fulminante articolo di George Monbiot, apparso sul Guardian qualche giorno fa, pone il problema del superamento del capitalismo in termini ultimativi. E’ apparentemente paradossale che sia un pensatore liberal a porre la questione in termini tanto drammatici, ma a noi sembra invece assolutamente normale.

Se “è l’essere sociale a determinare la coscienza, non viceversa”, allora si può arrivare a conclusioni identiche pur partendo da premesse totalmente differenti. Naturalmente bisogna pensare con coerenza ed onestà intellettuale, senza cercare “soluzioni ad hoc” che riducano la difficoltà di far coincidere andamento oggettivo del mondo e desideri individuali o collettivi. Il “princìpio speranza”, insomma, è l’anticamera della disperazione.

Monbiot parte dall’ambiente, mentre noi comunisti siamo storicamente sempre partiti dallo sfruttamento del lavoro. Entrambi i termini – lavoro umano e natura – si pongono allo stesso tempo come risorse e limiti del capitale. Il capitalismo usa questi fattori per crescere, ma arrivaoggettivamente al punto in cui un ulteriore salto di qualità nello sfruttamento di queste risorse diventa fisicamente impossibile e quindi si apre la crisi del sistema di produzione capitalistico.

Sul piano dello sfruttamento del lavoro umano – unica fonte da cui è possibile estrarre plusvalore– il limite viene approssimato proprio in questi anni con lo sviluppo dell’automazione. Un robot fa le stesse cose di un operaio o di un impiegato, lo fa in modo più veloce e preciso, non sciopera e non protesta mai (basta fare la manutenzione…), non va retribuito. Peccato che non compri nulla. Il massimo di capacità produttiva coincide dunque con la tendenziale distruzione dei consumatori.

Salta qui una delle contrapposizioni ideologiche che hanno fatto la fortuna del neoliberismo negli ultimi 40 anni, quella tra consumatori e lavoratori; per cui bisogna(va) ridurre al minimo il costo del lavoro (salario, contributi previdenziali, stato sociale, diritti, ecc) per abbassare al massimo i prezzi, conquistare i consumatori e battere la “concorrenza”.

Print Friendly, PDF & Email

coniarerivolta

Affinità-divergenze tra la compagna Greta e noi

di coniarerivolta

greta 1E l’acqua si riempie di schiuma il cielo di fumi
la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi,
uccelli che volano a stento malati di morte
il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte.
Un’isola intera ha trovato nel mare una tomba
il falso progresso ha voluto provare una bomba,
poi pioggia che toglie la sete alla terra che è vita
invece le porta la morte perché è radioattiva.
Pierangelo Bertoli

Nelle ultime settimane si è imposto al centro del dibattito, in forme nuove e inedite, il tema dell’ambientalismo. Ci sono state enormi manifestazioni in tutto il mondo; di particolare rilievo anche quelle che si sono tenute in Italia, soprattutto se si considera la difficoltà di mobilitazione delle masse che attualmente affrontano i vari movimenti politici.

Il movimento ambientalista cova in sé valori e visioni del mondo condivisibili e ricchi di potenzialità. La battaglia per la difesa dell’ambiente è la nostra battaglia e deve essere una priorità per chiunque oggi faccia lo sforzo di provare a immaginare un’alternativa al sistema economico dominante. Al contrario, la particolare sfumatura di ‘radicalismo chiacchierone’, stando alla quale occuparsi dell’ambiente prima di avere abbattuto il capitalismo sarebbe un vezzo borghese, è semplicemente una stupidaggine, buona soltanto per fornire una giustificazione alla propria inutilità e marginalità.

Tuttavia, è importante individuare potenziali elementi contraddittori del movimento che in questi giorni ha riacceso i riflettori su una tematica così importante, elementi che, spesso contro la stessa volontà soggettiva di chi è impegnato in sacrosante battaglie, finiscono per rendere molte istanze pienamente compatibili con gli equilibri dell’ordine socio-economico costituito.

La principale grande contraddizione di alcuni movimenti ambientalisti, una parte dei quali convergenti nelle più recenti mobilitazioni di piazza, è quella di non individuare nel modo di produzione dominante la vera causa dell’inquinamento ambientale, della distruzione degli ecosistemi e dei paesaggi, nonché del fragile equilibrio che esiste tra natura e uomo.

Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Quattro interventi sul fenomeno "Greta"

 

1 m7PvEeBbqGa5ToTp I3huApierluigifaganfacebook

In direzione ostinata e contraria

di Pierluigi Fagan

Sulla questione ecologia-Greta, mi trovo in dissenso profondo con molti amici ed amiche con i quali, di solito, si hanno punti di vista comuni. Che fare? Lasciar perdere per non sfilacciare ulteriormente le già sparute file del pensiero critico, o far di questo dissenso un momento di dialettica interna al nostro stesso pensiero critico? La domanda è retorica in tutta evidenza, la scelta è già fatta. Perché?

Ho l’impressione, forse sbaglio e chiedo in sincerità di dibattere la questione tra noi con la ponderazione ed intelligenza tipica dei frequentatori di questa pagina, che noi si sia finiti in un setting di pensiero la cui matrice per altri versi siamo molto lucidi a criticare. Per ragioni che qui non possiamo affrontare, ad un certo punto del secolo scorso, già ai suoi inizi, si è andata manifestando nel pensiero, uno spostamento di asse. Tra la relazione soggetto – oggetto fatta dal pensiero, è emerso il problema dello strumento che ci fa comporre e scambiare il pensiero: il linguaggio.

Tralasciamo i riferimenti più o meno colti e passiamo al momento successivo, quando un filosofo francese minore, pone all’attenzione la natura narrativa di ogni discorso, narrazioni fatte di linguaggio. Il linguaggio è materia della forma discorsiva che influisce, limita, indirizza il discorso stesso ed in più, tutto è discorso. Penso nessuno possa sottovalutare l’importanza di queste osservazioni ormai patrimonio della nostra conoscenza. Per altro ci era già arrivato anche Eraclito, e non solo lui, qualche secolo fa.

Danno da pensare due cose. La prima è il venirsi a formare di una sorta di monopolio concettuale di questo fatto, tutti ormai parlano più o meno solo di questo, tutto è narrazione e contro-narrazione.

Print Friendly, PDF & Email

la citta futura

Se non sei seduto a tavola, sei sul menù

di Alessandro Bartoloni

Se gli animalisti vogliono liberare la natura dal barbaro sfruttamento cui è sottoposta devono prima liberare i lavoratori

21cd44d0e34ef3db77e3e52e63e0f23d XLUn articolo apparso sul blog “irragionevole” e intitolato: “Ecologia e critica sociale: quel che il marxismo ortodosso non vuole vedere” mi è stato segnalato quale risposta al mio pezzo sulle confusioni degli animalisti, a sua volta ispirato all’articolo di Danilo Gatto “La sinistra e la questione animale” apparso su questa testata un mese orsono.

Ringraziando per la segnalazione, colgo l’occasione per ribadire e provare a spiegare meglio alcuni concetti che, evidentemente, non sono sufficientemente chiari visto che l’Irragionevole si limita a riproporre alcuni degli argomenti proposti già nell’articolo di Gatto, senza aggiungere nulla di particolarmente interessante né entrare nel merito delle argomentazioni da me utilizzate. Una risposta, tuttavia, è dovuta in quanto gli autori del pezzo in questione ritengono che “occorra ripensare non solo il nostro approccio all’ecosistema, ma anche alla stessa idea di progresso”. Un auspicio che nella sua genericità non può che essere condiviso. Il problema, però, è capire se con gli animalisti di sinistra è possibile trovare un’unità di analisi oppure siamo inevitabilmente di fronte a concezioni utopistiche abbondantemente fuori tempo massimo.

L’Irragionevole mi accusa di non citare alcuna fonte a supporto della tesi secondo la quale tutto il cibo prodotto sul pianeta non è sufficiente per soddisfare le esigenze alimentari di tutti gli esseri umani. Ammetto di non conoscere abbastanza il vasto mondo della letteratura accademica ma la questione appare immediatamente secondaria una volta capito che le statistiche sono il risultato di un processo di elaborazione che si basa su una teoria sociale ed economica. I fondamenti teorici, dunque, condizionano il tipo di elaborazione ed i suoi risultati.

Si prenda, ad esempio, il tasso di disoccupazione. In italia attualmente viene calcolato come rapporto tra il numero di persone che cercano lavoro ed il numero di persone che costituiscono la forza-lavoro.

Print Friendly, PDF & Email

effimera

Le radici di una disputa: ancora su antropocene e/o capitalocene

di Giuliano Spagnul

146537 sdAntropocene o capitalocene è apparentemente una domanda che ricalca vecchie e classiche dispute sull’apoliticità o meno di determinate branche del sapere umano. È la scienza neutrale a qualsivoglia ideologia?[1] Appunto, vecchie dispute. Oggi sappiamo[2] che sapere e potere sono indissolubilmente legati. E allora sostituendo il termine antropocene con capitalocene possiamo, probabilmente, evitare lo spettro di un qualsivoglia risorgente ‘neutralismo’. Ma se capitalocene esprime, senza equivoci di sorta, una ben definita visione politica riguardo le motivazioni che certificano il passaggio da un’era geologica ad un’altra, per contro questa stessa visione ha il difetto di oscurare tutta una serie di punti di vista altrettanto politici ma di differente prospettiva.

Ecco così che, in questo contesto, abbiamo Isabelle Stengers come Donna Haraway, per fare qualche esempio, che si sottraggono sia “alla normativa dell’Antropocene che vede in Homo Sapiens (nozione su cui, peraltro, si iscrivono stratificazioni di genere e razziali)[3] la causa e, simultaneamente, il rimedio alla catastrofe ecologica” sia “all’idea sostenuta tra gli altri da Toni Negri, che la crisi climatica è questione subordinata alle politiche industriali, e affrontabile solo sulla base della critica ad esse”[4].

È così che chi si oppone alla logica che vuole l’odierna crisi come l’inevitabile prezzo da pagare per accedere a un superiore stadio dell’evoluzione umana, quell’inevitabile progresso di una natura umana costituitasi al di fuori del dato di natura, si ritrova in due differenti, e forse opposte, prospettive; radicalmente antagoniste entrambe al pensiero globalmente dominante ma da due punti affatto diversi.

L’abbattimento del sistema capitalistico e la costruzione di un nuovo soggetto rivoluzionario da una parte; l’urgenza del chiedersi ora ‘come vivere altrimenti’ e la conseguente produzione di una soggettività differente dall’altra.

Print Friendly, PDF & Email

tempofertile

Emanuele Leonardi, “Lavoro, natura, valore”

di Alessandro Visalli

leonardiQuesto libro di Emanuele Leonardi[1], il cui sottotitolo è “Andrè Gorz tra marxismo e decrescita”, individua dei temi sui quali è necessario prendere posizione per collocare correttamente il discorso ambientale. Nella sua intenzione compie il difficilissimo tentativo di mettere in comunicazione l’area culturale, frastagliata e non omogenea ma certamente anti-marxista, della “decrescita”[2] con gli esiti dell’evoluzione dell’operaismo[3], con riferimento alla versione trontiana. Lo snodo è il progressismo, esplicito o implicito, e quindi l’atteggiamento verso lo sviluppo tecnologico e la società industriale. Ciò che rende pensabile il ponte, malgrado la grande distanza delle rive, è la valorizzazione, nel post-marxismo del recente operaismo, del ‘cognitivismo’, dei ‘commons’, nella migrazione progressiva dal concetto originario di “operaio massa”[4], a quello di “operaio sociale”[5], ed infine, nella versione negriana di “moltitudine”.

Leggere un libro, l’autore mi perdonerà, significa sempre ri-collocarlo entro il proprio universo di discorso, e dunque io lo collocherò esattamente al punto in cui termina, prematuramente, l’ultimo post sul fenomeno mediatico e sociale di Greta Thunberg[6]. E, magari, al punto di intersezione con questo post di Andrea Zhok, con il quale sono in accordo. Bisogna prendere le distanze “dall’ecobuonismo” liberale, in ogni e qualsiasi travestimento (di cui alcune versioni della “decrescita”, interpreti dello spirito borghese, sono espressione) ed inquadrare il superamento della crisi ambientale come parte, importante, dello sforzo di mettere in questione radicalmente quella che Leonardi chiama “logica del valore”, ovvero lo “spirito del capitalismo”. Nel post “Greta Thunberg”, lo squilibrio essenziale che ha consentito agli spiriti animali del capitalismo, in primo luogo incarnati nelle grandi imprese monopoliste finanziarie e non, di superare la crisi di accumulazione degli anni settanta, prolungandola e facendola pagare alle classi lavoratrici di tutto il mondo, è stato descritto, seguendone l’esteriorità, come sfruttamento di ‘periferie interconnesse’[7] nel sistema mondo.

Print Friendly, PDF & Email

ist onoratodamen

Il comunismo è la sola possibilità di salvare il pianeta Terra

di Istituto Onorato Damen

Inquinamento ariaLe vaste e significative manifestazioni studentesche che si sono tenute in oltre 120 Paesi contro i cambiamenti climatici spingono all’apertura di una riflessione e di un confronto che consentano di riannodare:

- l’approfondimento della critica alla distruzione ambientale connaturata al modo di produzione capitalistico;

- una critica delle ideologie ecologiste e ambientaliste, che non colgono il nesso di determinazione che vige tra capitalismo e devastazione del pianeta, e che sono inoltre agite come strumenti delle battaglie interimperialistiche e del Capitale contro il proletariato;

- la comprensione delle motivazioni che mettono in movimento migliaia di giovani, compositi dal punto di vista di classe, con grandi confusioni e con ideologie certo tutte borghesi; motivazioni che però in qualche misura rappresentano ed esprimono disagi profondi del giovane proletariato internazionale che bisogna saper collocare, con cui bisogna saper entrare in collegamento, rendendo possibile la produzione di una coscienza critica che sappia connettere, in minoranze più avanzate, la critica del capitalismo a quella dei suoi effetti disastrosi sull’ambiente;

- la lotta contro le micidiali illusioni nella democrazia borghese, nelle sue istituzioni di ogni livello, negli accordi tra briganti imperialisti su clima e ambiente;

- il rilancio della prospettiva del comunismo, una società finalmente umana che metta fine al dominio e allo sfruttamento, che riconcili umanità e natura, grazie a una prassi sociali trasparente, non mistificata, non finalizzata al profitto, ma che abbia come obiettivo e come caratteristica il muoversi in direzione degli interessi e del ben-essere degli uomini, in armonica relazione con il contesto ambientale.

Print Friendly, PDF & Email

antropologiafilosofica

Dall’ecobuonismo all’ecosocialismo

di Andrea Zhok

La meridiana La siesta Van GoghI) Premessa

Recentemente, in coda alle presentazioni del Manifesto per la Sovranità Costituzionale a Milano e Roma, mi ha sorpreso notare come le note più critiche a quel documento si siano appuntate su qualcosa che non credevo controverso, ovvero il rilievo dato alla questione ecologica.

Alcuni hanno obiettato che parlare di riscaldamento globale e di come sarà il mondo tra cent’anni è qualcosa di astratto e lontano, che non tocca le tasche di nessuno; altri che attorno a tale tema interclassista non si può mobilitare alcun ceto preferenziale, alcuna ‘identità di classe’; altri ancora, che si tratterebbe di un modo con cui le élite distraggono l’opinione pubblica da temi di maggiore urgenza.

Questa reazione di diffidenza, di sospetto, a prescindere dalla sostenibilità delle specifiche obiezioni, mi pare degna di approfondimento.

 

II) Il dilemma ecobuonista

Negli ultimi anni, la tematica ecologista è stata integrata con successo all’interno di una visione liberale, che l’ha resa un tema di conversazione alto borghese, garbato quanto innocuo. Il tema infatti si presta a grandi campagne sentimentali, capaci di estrudere occasionali lacrime per le sorti di un orso polare o un panda gigante, salvo poi rientrare prontamente nella sezione ‘tonici e digestivi’: dove, insieme a qualche episodio di cronaca, conferisce quel pizzico di preoccupazione postprandiale che aiuta la digestione.

I temi ecologici, addomesticati dalla ragione liberale, sfociano così in due prospettive generali.

La prima consta di appelli all’iniziativa personale e al senso di responsabilità delle ‘persone di buona volontà’: ciascuno è chiamato a ‘fare la sua parte’, a ‘contribuire col suo granello di sabbia’. Si creano così gli spazi per ‘diete ambientalmente consapevoli’, ‘acquisti etici’, ‘consumi responsabili’, ‘prodotti biologici’, ‘raccolta differenziata’, ‘beni equi e solidali’, e una miriade di altre lodevoli iniziative in cui ci si sente cavalieri dell’ideale a colpi di tofu.

Print Friendly, PDF & Email

paroleecose2

Politica, ontologie, ecologia

di Luigi Pellizzoni

Prende avvio, con questo intervento, la rubrica Ecologie della trasformazione, a cura di Emanuele Leonardi, che affronterà diversi aspetti del rapporto tra ecologia, politica e società

Marx VerdePolitica, ontologie, ecologia: perché unire assieme queste tre parole, ciascuna delle quali provvista di una lunga storia? O anche: perché mettere “ontologie” in mezzo a politica e ecologia? Si tratta di un’inutile complicazione, che tira in ballo (tra l’altro al plurale) un concetto tra i più sdrucciolevoli della filosofia, o di un passo necessario? Nel prosieguo provo a motivare la seconda opzione.

“Ecologia politica” è un’etichetta che identifica un filone di studi piuttosto variegato dal punto di vista disciplinare (antropologia, sociologia, storia, geografia, economia, filosofia, ma anche scienze agrarie e forestali ecc.) ma ben riconoscibile nel suo incentrarsi sulla “relazione tra fattori politici, economici e sociali e le questioni e i mutamenti ambientali” (così recita la definizione che troviamo su Wikipedia)1, contestando gli approcci apolitici a tali questioni e mutamenti. Secondo Paul Robbins, autore di un libro di testo di un certo successo sull’argomento, si tratta di “un filone di ricerca critica basato sull’assunto che ogni strappo nella trama della rete globale di connessioni tra esseri umani e ambiente si riverbera sul sistema nel suo complesso”, e sull’impegno a “interrogare la relazione tra economia, politica e natura” (Robbins 2012, p. 13).

La matrice dell’ecologia politica è fondamentalmente marxista. L’interrogazione quindi riguarda non la storia umana in generale ma i processi di accumulazione capitalista, in quanto basati sul contemporaneo sfruttamento del lavoro umano e non-umano; sfruttamento che è andato depauperando e distruggendo l’uno e l’altra. L’idea portante dell’ecologia politica è così che non vi possa essere transizione ecologica senza trasformazione sociale, o viceversa. Proprio le ascendenze marxiane lasciano tuttavia in una certa ambiguità l’esatto carattere del nesso.

Print Friendly, PDF & Email

ponsimor

Un movimento di resistenza per il pianeta

Juan Cruz Ferre intervista John Bellamy Foster

20181210 223324Il cambiamento climatico è fuori controllo. È già troppo tardi per evitare le alte temperature, la scarsità d'acqua e le condizioni climatiche estreme. Ma la struttura finanziaria del capitalismo è legata ai combustibili fossili. Le soluzioni basate sul mercato sono inefficaci.

John Bellamy Foster, professore di sociologia presso l'Università dell'Oregon e direttore di Monthly Review, parla circa il tipo di programma necessario per fermare questa catastrofe. È stato intervistato da Juan Cruz Ferre per Left Voice dove il testo fu pubblicato per primo.

* * * *

Juan Cruz Ferre (JCF): C'è una schiacciante evidenza che dimostra come il clima antropico è fuori controllo e porterà alla catastrofe ambientale globale – senza un radicale miglioramento della produzione di energia. Nel numero di febbraio 2017 della Monthly Review, vi segnalo che, sebbene ci sia stata presentata con valutazioni precise e indiscutibili, la scienza e le istituzioni di scienze sociali non sono riuscite a venire con soluzioni efficaci. Perché pensi che questo è il caso?

John Bellamy Foster (JBF): Siamo in una situazione di emergenza nell' epoca Antropocene in cui la rottura del sistema terra, particolarmente il clima, sta minacciando il pianeta come luogo di abitazione umana. E tuttavia, il nostro sistema politico-economico, il capitalismo, è orientato principalmente all'accumulo di capitale, che ci impedisce di affrontare questa enorme sfida e accelera la distruzione. Gli scienziati naturalisti hanno fatto un lavoro eccellente e coraggioso nel lanciare l'allarme sui pericoli enormi della continuazione di affari come al solito per quanto riguarda le emissioni di carbonio e altri limiti del pianeta. Ma il mainstream delle scienze sociali come esiste oggi ha interiorizzato quasi completamente l’ideologia capitalista; tanto che gli scienziati sociali convenzionali sono completamente incapaci di affrontare il problema alla scala e nei termini storici che sono necessari. Sono abituati alla visione che la società molto tempo fa "conquistò" la natura e che la scienza sociale riguarda solo persone – relazioni personali, mai persone-natura.

Print Friendly, PDF & Email

valigiablu

Cambiamento climatico: siamo l’ultima generazione che potrà combattere l’imminente crisi globale

di Angelo Romano

maxresdefault 990x510"Il cambiamento climatico è la sfida chiave del nostro tempo. La nostra generazione è la prima a sperimentare il rapido aumento delle temperature in tutto il mondo e probabilmente l'ultima che effettivamente possa combattere l'imminente crisi climatica globale". Inizia con queste parole la dichiarazione congiunta di 16 capi di Stato e di governi europei (firmata per l’Italia dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) per chiedere che durante la conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico (COP 24), in programma dal 3 al 14 dicembre a Katowice, in Polonia, siano adottate “norme operative dettagliate e linee guida che rendano operativo l’accordo raggiunto a Parigi tre anni fa".

Il nostro pianeta, prosegue la lettera, è vicino a un punto di non ritorno, come testimoniato dalle sempre più intense e frequenti “ondate di calore, inondazioni, siccità e frane, lo scioglimento dei ghiacciai e l'innalzamento del livello dei mari”. Le carenze delle risorse idriche e la crisi dei raccolti sono solo alcuni dei risultati immediati di questa situazione, che “ha un impatto devastante sugli esseri umani riducendoli alla fame o obbligandoli a migrare”.

Per questo motivo, sottolineano i capi di Stato, “bisogna fare di più e l'azione deve essere rapida, decisiva e congiunta. Stiamo già osservando le ricadute negative dei cambiamenti climatici” e le misure adottate dalla comunità internazionale non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi a lungo stabiliti dall’accordo di Parigi. Oltre a definire le azioni delle singole nazioni per il 2025 e il 2030, a Katowice dovranno essere enunciati gli obiettivi a lungo termine per ridurre le emissioni di carbonio e passare da fonti energetiche fossili a energie rinnovabili e raggiungere entro il 2050 l’equilibrio tra emissioni e assorbimento del carbonio. “Abbiamo l'obbligo collettivo nei confronti delle generazioni future di fare tutto ciò che è umanamente possibile per fermare i cambiamenti climatici e per rispondere ai loro perniciosi effetti”.

Print Friendly, PDF & Email

pandora

“La Grande accelerazione” di John R. McNeill e Peter Engelke

di Paolo Missiroli

Recensione a: John R. McNeill e Peter Engelke, La Grande accelerazione. Una storia ambientale dell’Antropocene dopo il 1945, Einaudi, Torino 2018, pp. 270, 22 euro (scheda libro)

grande accelerazione antropoceneProponiamo questa recensione come primo contributo all’interno di un breve ciclo sui problemi della crescita incontrollata per come si è data fino ad oggi. L’occasione di questo percorso è data dalla pubblicazione dell’ultimo rapporto dell’IPCC (International Panel for Climate Change), l’ente mondiale più qualificato per lo studio del cambiamento climatico. Si tratta senza dubbio del rapporto più catastrofico e disincantato di sempre. Tutti gli anni l’ente pubblica un rapporto, ma quello attuale è senza precedenti. Non solo si prospetta un maggiore tasso di distruzione ambientale a causa del cambiamento climatico già in atto (inevitabile, ormai, viene considerato un aumento medio delle temperature all’1,5%), ma si annuncia un anticipo del manifestarsi pieno (già molti sono i segnali in atto) di tale trasformazione ecosistemica. Il rapporto non lascia sperare altro che un contenimento minimo di tale crescita delle temperature (e per farlo bisognerebbe ridurre moltissimo le emissioni entro il 2030) in modo da non superare i due gradi. A titolo esemplificativo, le barriere coralline sarebbero perdute con un aumento di 2 gradi centigradi, mentre verrebbero distrutte al 70-90% con l’aumento (ormai inevitabile) di 1,5 gradi.

A fronte di dati tanto rilevanti, non si può non notare inesistenza di una discussione pubblica, almeno nel nostro paese, sul tema. Un rapporto dal tono apocalittico viene sostanzialmente ignorato. Da cosa deriva questo? Per dare qualche contributo per poter tentare una risposta a questa domanda fondamentale proveremo a illuminare, con l’aiuto di due libri da poco usciti, il contesto storico in cui la crisi ecologica assume potenza e i suoi effetti sulla dimensione globale e locale allo stesso tempo. Il primo elemento che emergerà sarà che la crisi ecologica non riguarda solo la crisi climatica, ma suscita tutta una serie di problematiche del tutto particolari, legate al fatto che l’essere umano vive effettivamente in un mondo e in un ambiente specifico, che è quantomeno quello terrestre tipico dell’Olocene (ed ora in trasformazione).

Print Friendly, PDF & Email

blackblog

Sull'ecologia del capitalismo

di Antithesis

ecologiaida humprey4«La crescita della produzione ha finora interamente confermato la sua natura come la realizzazione dell'economia politica: come la crescita della povertà, che ha invaso e devastato il tessuto stesso della vita. [...] Questa società è regolata da un'economia troppo sviluppata che trasforma tutto – l'acqua sorgiva e persino l'aria di città – in beni economici, vale a dire che tutto è diventato un'economia malata – che è la negazione completa dell'uomo (...).» ( Guy Debord - Il pianeta malato )

Nel secolo precedente, il processo di espansione su scala globale del modo di produzione capitalista, è stato allo stesso tempo anche un processo di trasformazione della biosfera nel suo complesso. Tale processo ha avuto come conseguenza il disturbo dell'equilibrio ecologico del pianeta, un equilibrio che si era conservato nei passati diecimila anni, in un periodo noto come l'Olocene. Secondo recenti studi scientifici [*1], i principali aspetti di una simile trasformazione ecologica sono i seguenti:

- 1 - Aumento della temperatura media del pianeta a causa dell'aumento della concentrazione atmosferica dell'anidride carbonica e di altri gas serra. Questo aumento é causato sia dalla combustione di combustibili fossili al fine di fornire energia alla produzione capitalistica e alla riproduzione, sia dalle emissioni che si originano dal modo di produzione agricolo capitalistico. [*2]

- 2 - Grande perdita di biodiversità, dovuta principalmente alla conversione dell'ecosistema forestale nelle zone di produzione agricola, o in parti del tessuto urbano. Si prevede che entro il 21° secolo, sarà minacciato di estinzione fino al 30% di tutte le specie di mammiferi, uccelli e anfibi.

Print Friendly, PDF & Email

effimera

L’alternativa tra Antropocene e Capitalocene: chiamare il sistema con il suo nome

di Jason W. Moore

In vista del seminario tenutosi all’Istituto italiano per gli studi filosofici il 9 giugno a Napoli, Ecologie politiche del presente, pubblichiamo un primo testo come materiale preparatorio: si tratta della prefazione all’edizione italiana del libro Antropocene o Capitalocene. Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, scritta dallo stesso Jason W. Moore (introduzione e cura di Emanuele Leonardi e Alessandro Barbero, Ombre Corte, Verona 2017)

China dump Reuters Jan 30 2015 1114x557Quello di Antropocene è diventato il concetto ambientalista più importante, ma anche più il pericoloso, del nostro tempo. La sua pericolosità sta nel fatto che proprio mentre mostra con chiarezza i “passaggi di stato” [state shifts] delle nature planetarie esso mistifica anche la loro storia (Barnosky et al. 2012). L’espressione che meglio cristallizza questo stato dell’arte è cambiamento climatico antropogenico. Naturalmente si tratta di una colossale falsificazione. Il cambiamento climatico non è il risultato dell’azione umana in astratto – l’Anthropos – bensì la conseguenza più evidente di secoli di dominio del capitale. Il cambiamento climatico è capitalogenico (Street 2016).

La popolarità dell’argomento-Antropocene non deriva soltanto dall’impressionante mole di ricerche su cui si basa. È piuttosto legata alla potenza della sua narrazione, alla sua capacità di unificare umanità e sistema-Terra all’interno di un unico orizzonte. Il modo con il quale si compie questa unificazione costituisce precisamente la debolezza dell’argomento-Antropocene, la fonte del suo potere falsificante. Perché si tratta di un’unità non dialettica; è l’unità del cibernetico – un insieme idealistico di frammenti che ignorano i rapporti storici costitutivi che hanno condotto il pianeta sul baratro dell’estinzione.

Nei tre anni che ci separano dalle mie prime riflessioni sul concetto di Capitalocene (Moore 2013a, 2013b, 2013c), quello di Antropocene è diventato virale[1]. Per me il Capitalocene è in parte un gioco di parole, una forma di geopoetica (Last 2015), una reazione alla straordinaria popolarità dell’Antropocene.