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Questione ambientale e movimenti studenteschi
di OSA - Opposizione Studentesca D'Alternativa
Il clima della Terra con l’aumentare della temperatura globale sta cambiando ad una velocità spaventosa, portando alla scomparsa di alcuni ecosistemi, allo scioglimento dei ghiacci e all’innalzamento dei mari, che rischia addirittura di sommergere (ad esempio in Polinesia) interi stati nel giro di 50/100 anni. Il riscaldamento globale è incrementato consistentemente dagli effetti delle attività umane, e in particolare della deforestazione, del consumo di acqua e dell’inquinamento.
Tutte queste sono attività che l’uomo svolge da 13.000 anni, ma che hanno assunto proporzione così rilevante dalla nascita dell’industria alla fine del XVIII secolo. Da allora la popolazione mondiale è cresciuta di 8 volte e si è moltiplicata la produzione di qualunque bene di consumo. L’industria produce però scorie; per fare l’esempio più noto e lampante è ancora oggi fondata sulla combustione di fossili, che libera nell’aria anidride carbonica, uno dei cosiddetti “gas serra” alla base del riscaldamento globale, che catturano i raggi solari limitandone la riflessione.
Inoltre l’industria richiede un’enorme quantità di materie prime, inclusa l’acqua dolce che ricordiamo essere presente in quantità limitata sul pianeta. I nuovi materiali plastici e gli agenti chimici utilizzati in agricoltura creano un ulteriore problema di inquinamento duraturo causato tanto dalla loro dispersione quanto dalla produzione, e uniti all’inquinamento atmosferico dovuto alle polveri sottili causano la morte in massa e la malattia di numerose specie animali, tra cui l’uomo.
Nel suo continuo bisogno di incrementare la produzione di merci, il capitale è spinto alla ricerca perenne di nuove risorse, talvolta distruggendo ecosistemi unici.
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The Great Green Capitalism Swindle
di Sandro Moiso
Julien Temple nel 1980, con il film The Great Rock’n’Roll Swindle, ci aveva informati, in maniera irriverente e trascinante, del fatto che non solo la musica pop con tutto il suo circo mediatico e mercantile, ma anche il fenomeno punk, apparentemente così trasgressivo e diverso come nel caso degli iconici Sex Pistols, altro non fosse che una ben congegnata truffa ai danni dei giovani consumatori. Anche di quelli più radicali nei gusti e nei comportamenti.
Oggi la grande truffa è diventata green, verde come quel capitalismo che in nome della propria sopravvivenza finge di rinnovarsi affinché nulla realmente cambi, sia nel suo devastante rapporto con l’ambiente che nei rapporti di classe, dominio e sottomissione che le sue regole economiche da sempre sottendono.
Greta Thunberg è sicuramente un personaggio ispiratore di grande simpatia e i giovani che si sono mossi dietro di lei e con lei sicuramente hanno molto a cuore il destino di questo pianeta e della nostra specie. Ma il discorso sulla casa comune, come ho già affermato la settimana scorsa proprio su Carmilla (qui), rimane profondamente inficiato dal fatto che in una società divisa in classi c’è ben poco in comune tra chi sta in alto (pochi) e chi sta in basso (la maggioranza, soprattutto nelle aree esterne all’Occidente o ai paesi del G dai vari numeri che lo accompagnano a seconda delle occasioni). Molto spesso, infatti, mentre le case di molti bruciano o vengono travolte dal fango o da altri disastri naturali (dall’Amazzonia a New Orleans fino ai nostri Appennini), in altre case si festeggia: non lo scampato pericolo come sarebbe lecito supporre, ma il guadagno che tali disgrazie altrui possono portare nelle tasche di pochi fortunati.
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Non è una festa
di Andrea Zhok
Ieri vaste manifestazioni di matrice ecologista, in Italia e nel mondo, hanno suscitato impressione e grandi entusiasmi. Vedere tante persone, soprattutto giovani, mobilitarsi in massa per qualcosa di importante, qualcosa che va al di là delle immediatezze e superficialità di cui siamo prigionieri, è uno spettacolo confortante.
Francamente delle nuove generazioni è giusto temere chi si rimbecillisce davanti a uno schermo, chi fa a gara di selfie o chi si perde dietro a gadget e capetti firmati, ma non quelli che alzano la testa per guardare al di là del proprio presente individuale.
Dunque credo che l’attuale movimento vada accolto con apprezzamento, e anche se non mancano espressioni ingenue e talvolta semplicemente sciocche, bisogna ricordare che questo è fatale in ogni movimento di massa, e lo è sempre stato.
Ciò che però è importante capire, davanti alle usuali espressioni festose e ridenti, da scampagnata inattesa, è che il problema in oggetto è assai lontano dall'essere l'occasione per una festa.
1. I dubbi
I dubbi degli scettici verso questo movimento non sono privi di senso, per quanto spesso si appuntino su questioni irrilevanti (come le vicende biografiche della nota ragazzina svedese).
Il primo, fondato, dubbio nei confronti di questo movimento sta nel fatto di essere apparentemente sostenuto da quello stesso apparato capitalistico che è all’origine dei problemi ecologici. I sorrisi di capi di stato che invocano ulteriore crescita come unica soluzione, e il plauso di industrie private la cui moralità si risolve nel distribuire cedole corpose ai propri azionisti, sono indici assai sospetti.
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Metropoli e rapporto uomo-ambiente nella transizione al comunismo
di Mario Lupoli
Nella teoria e nella prospettiva attuale della transizione dal capitalismo contemporaneo al comunismo possibile, è essenziale oggi riprendere criticamente la riflessione attorno a quelle coordinate produttivistiche, tecno-idolatriche e antropocentriche che hanno caratterizzato ampia parte della teorica comunista tra fine Ottocento e Novecento. L’esigenza che emerge oggi è muoversi in orizzonti nuovi che più radicalmente affrontino la necessaria coniugazione di umano e naturale. L’articolo che segue vuole essere uno spunto per avviare un confronto su questi temi, ed è a sua volta il primo prodotto di un dibattito in corso
Nella sua riflessione sulla transizione dal capitalismo al comunismo, Trotsky[1] affronta la questione di una riprogettazione di massa di uno spazio di vita integrato umano-naturale sulla terra.
Trotsky prospetta infatti un coinvolgimento di massa – e non solo di architetti e ingegneri - nella progettazione di città-giardino, in una dinamica sociale che tende all’estinzione della divisione del lavoro.
Significativamente è in gioco la ricomposizione dell’uomo, che il capitalismo scinde al massimo grado (a livello individuale e di specie) fino a svuotarlo completamente della stessa capacità di dotare di senso la propria vita, le proprie relazioni e la propria prassi.
Questa ricomposizione si coniuga in un orizzonte nel quale la partecipazione crescente – anche alla riprogettazione urbanistica e quindi degli spazi e dei tempi di vita – consiste, da una parte, nell’esito del passaggio dal modo di produzione capitalistico alla società comunista, che, appunto, supera la divisione sociale del lavoro, l’alienazione e il feticismo delle merci, fenomeni tra loro fortemente correlati e co-determinati; dall’altra si identifica nella condizione e, insieme, nel progressivo radicale ampiamento della democrazia consiliare, fino a determinarne la perdita dei caratteri politici, giacché la scomparsa delle classi sociali renderà superflua la politica (ovvero, comunque sia, qualunque forma di potere, nelle sue varie articolazioni e configurazioni, di una classe su un’altra). Una volta persi tali caratteri, sarà necessaria esclusivamente una funzione amministrativa delle forme di coordinamento dell’associazione di liberi individui del comunismo. I due aspetti insieme lasciano scorgere che cosa possa implicare in termini di coinvolgimento di donne e uomini, a livello locale e internazionale, una riprogettazione degli spazi di vita.
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Ecologia e vita. Critica del valore e critica della natura
di Alice Dal Gobbo
[Anche in Italia, come nel resto d’Europa e del mondo, gli ultimi mesi hanno visto centinaia di migliaia di persone scendere in piazza contro il cambiamento climatico. Importanti sono state le piazze oceaniche di Fridays For Future il 15 marzo e quella dei comitati a Roma, il 23 dello stesso mese. In attesa del terzo Climate Strike del 27 settembre, i movimenti europei si incontrano al Venice Climate Camp dal 4 all’8 settembre (https://www.veniceclimatecamp.com/it/). Sarà l’occasione per condividere percorsi di riflessione e pratiche. Il testo di Alice Dal Gobbo che segue parte da una riflessione presentata al convegno Ambientalismo Operaio e Giustizia Climatica tenutosi presso il Centro Studi Movimenti di Parma il 14 giugno 2019. (el)]
Valore, Natura
Le categorie di Valore e Natura stanno emergendo prepotentemente nel dibattito dell’ecologia politica, nel dialogo che cerca di politicizzare il discorso e le pratiche legate alla crisi ecologica. Le due categorie sono caratterizzate da un certo grado di ambiguità, sono sdrucciolevoli e quasi paradossali. Da un lato, esse – ma soprattutto il loro nesso – sono un nodo centrale di una riflessione che, partendo dall’eredità del dibattito marxista sull’ecologia e dell’operaismo italiano, vuole prefigurare delle società future. Dall’altro, tuttavia, il rinnovamento delle nostre relazioni socio-ecologiche[1] richiede di ripensare profondamente, forse superare, il valore e la Natura.
Interrogare il nesso valore-natura all’interno della crisi ecologica (che però è anche economica, sociale, psico-sociale) ci porta a scavare fino al cuore della costituzione materiale delle società contemporanee. È infatti ragionevole sostenere che il valore sia uno degli elementi chiave nella configurazione ecologica globale del capitalismo, poiché l’accumulazione e la ricerca del profitto che caratterizzano il sistema necessitano processi di valorizzazione, di trasformazione del mondo in valore. Questi processi sono, per altro, sempre più pervasivi dato che il capitale cerca di abbracciare più e più ambiti di vita sia in senso “estensivo” (il capitale globale che non lascia scoperto più un angolo di terra), sia in senso “intensivo” (il suo infiltrarsi sempre più a fondo nelle radici della vita e del vivente, come per esempio nel caso della mappatura del genoma umano).
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In ricordo di Giorgio Nebbia. Tra passato e futuro
di Sergio Messina
L’amore per la conoscenza, la condivisione della stessa attraverso una comunicazione genuina e diretta, l’instancabile spinta nel servirsi della ‘memoria storica’ avanzando al contempo ‘messaggi di verità’ sempre ‘attuali’ e coraggiosi, sono solo alcune tra le tante caratteristiche inerenti sia lo stile, sia la stessa personalità, versatile e insieme coerente, di uno studioso del calibro di Giorgio Nebbia.
L’’emerito’, il movimentista e il ‘cronista’ lascia in eredità oltre al ricordo di un’umanità senza pari, uno straordinario patrimonio di idee, racconti, lezioni e stimoli per le generazioni future di studenti, studiosi, attivisti, politici ed educatori affinché gli stessi possano evitare di rimanere sprovvisti di adeguati strumenti per poter affrontare tempi sempre più complessi e privi di punti di riferimento. Ed eventualmente continuare (con la stessa chiarezza, determinazione e passione) un enorme lavoro di ‘divulgazione’[1] che necessiterebbe (così come lo stesso autore aveva auspicato in alcuni dei suoi numerosi scritti) di essere completato e/o ulteriormente approfondito.
Come è a molti noto Nebbia riassume in sé diverse ‘personalità’ (Professore universitario, politico, attivista, giornalista, saggista ecc.) che non consentono di incasellarlo in nessuna delle ‘categorie’ che lo stesso ha rappresentato nel corso della sua lunga e intensa ‘carriera’ (termine alquanto riduttivo se si vuole fedelmente descrivere le sfaccettature della sua attività tanto scientifica, quanto ‘divulgativa’) [2]. Ciò che per i più salta subito all’occhio è giustamente l’associazione con i ‘padri’ dell’ambientalismo italiano, relegando però in questo modo (magari inconsapevolmente) il contributo dello stesso a un ‘passato glorioso’ che non tornerà mai più e che ci indurrebbe a fare i conti con una realtà (come quella attuale) spesso povera di contenuti attraverso la consolatoria nostalgia dei ‘bei tempi andati’. Nulla di tutto questo.
Nella presente nota si cercherà di evidenziare (attraverso una breve ricognizione delle varie fasi del suo pensiero e delle principali vicende biografiche) il contributo del Professor Nebbia non solo alla ‘memoria storica’ inerente l’ecologia e la ‘contestazione ecologica’ ma anche all’ambientalismo contemporaneo oggi rappresentato in larga parte dai movimenti transnazionali sulla ‘giustizia ambientale’ e sui ‘beni comuni’.
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L'ecologia politica sta nelle lotte della riproduzione sociale
Intervista a Emanuele Leonardi
Pubblichiamo questa interessante intervista ad Emanuele Leonardi, ricercatore all'università di Coimbra, a cura dei collettivi di Ecologia Politica nata nel contesto del Festival Alta Felicità in Val Susa
Le lotte della sfera della riproduzione per una nuova ecologia politica.
L'ultimo anno politico in Italia è stato pieno di imprevisti e improvvisazioni. Non solo l'inversione a destra del polo di potere tra i due partiti di governo, ma anche nuovi problemi come quello del cambiamento climatico si sono imposti sul panorama mediatico e quindi aggiunti negli spot elettorali di vari partiti. Questo è stato l'anno delle grandi piazze che abbiamo attraversato: un Marzo in cui abbiamo incontrato tanti giovani e giovanissimi durante le manifestazioni di Non Una di Meno, Fridays for Future e nella Marcia per il clima e contro le grandi opere inutili. É stato anche l'anno in cui il popolo No Tav della Val Susa ha saputo dimostrare ancora una volta di essere determinato a proseguire l'opposizione alla costruzione del Tav Torino-Lione: una degna risposta agli annunci di Conte, Salvini e del Partito Democratico. Questa situazione ha permesso una nuova fibrillazione nel dibattito politico interno ai movimenti sociali che oggi guardano con maggior interesse a studi che provengono da quell'arcipelago di pensiero che è l'Ecologia Politica.
Questo nuovo filone di ricerca parte dall'idea che “il rapporto tra la società e la natura non sia immediato e che il dato ambientale da solo non dica molto: trova una ricchezza di significato invece se messo in relazione alle modalità attraverso le quali le comunità umane e non umane si organizzano per garantire la propria riproduzione attraverso un modo di produzione. Il filtro tra quello che le società danno e ricevono dalla natura è legato al modo di produzione e agli usi e costumi delle società”, riprendendo le parole di Emanuele Leonardi dal suo intervento durante l'incontro “Ecologia è Politica”, tenutosi al festival Alta Felicità in Val Susa.
Durante quei giorni in Valle Leonardi ci ha rilasciato un'intervista per approfondire alcuni temi toccati durante il dibattito.
* * * *
1. Cosa intendiamo con lotte della sfera della riproduzione? Perché queste ultime sono sempre più centrali all'interno del contesto politico contemporaneo?
Credo che si debba partire da una distinzione analitica che forse ci aiuta a capire i termini del problema legato alle lotte nella sfera della riproduzione.
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Crisi ambientale e sociale: le due facce della catastrofe capitalistica
di Carlo Lozito
L'ampio dibattito sull'ambiente, dopo le manifestazioni studentesche seguite all'appello di Greta Thunberg, tratta un'infinità di aspetti salvo quello fondamentale: il disastro ambientale è causato dal modo di produzione capitalistico. Così alla questione sociale, autentica emergenza contemporanea, si aggiunge quella ambientale mostrando l'insostenibilità del capitalismo e la necessità di metterlo in discussione per liberare l'uomo e la natura dal suo dominio
Il capitale contro la Terra
Per dare un'idea della velocità dei cambiamenti avvenuti negli ultimi due secoli è sufficiente considerare i grafici dell'aumento della popolazione mondiale e della crescita della produzione negli ultimi millenni. Essi, praticamente piatti negli fino a due secoli fa, indicano come la crescita demografica e della produzione si concentrino sostanzialmente a partire dalla rivoluzione industriale quando si sviluppa il capitalismo moderno fondato sulla grande industria. Tenuto conto che la crescita demografica è legata alla produzione e disponibilità di cibo, è nei meccanismi di funzionamento del capitalismo che dobbiamo cercare la causa di queste crescite senza precedenti in tutta la storia umana.
Marx con la formula d-m-d' descrive l'essenza del ciclo di accumulazione del capitale: denaro investito dal capitalista (d) che si trasforma in mezzi di produzione e salari che servono per la realizzazione delle merci (m) le quali, una volta vendute sul mercato, si trasformano nuovamente in denaro ma in quantità accresciuta (d'). L'accrescimento è dovuto al plusvalore estorto all'operaio e non pagato dal capitalista, plusvalore incorporato nelle merci prodotte che una volta vendute si trasforma in profitto. Questo processo, che è specifico del modo di produzione capitalistico, permette teoricamente un accrescimento illimitato del capitale. Più il capitalista investe, più merci fa produrre agli operai, più allarga il mercato in cui venderle, più la sua tasca si gonfia di nuovo capitale. Nel ciclo successivo, per ripetere il processo e tenuto conto del saggio medio del profitto quale obiettivo da perseguire, il capitale di partenza ha una dimensione maggiore e per questo costringe il capitalista a una dimensione aumentata della produzione. E così via per i cicli successivi. Naturalmente qui abbiamo volutamente semplificato la descrizione del processo. Ciò che importa sottolineare è che il perseguimento del profitto induce la spinta alla produzione su scala sempre più allargata, la quale a sua volta genera la spinta al consumo di quanto prodotto. Poco importa che si tratti del capitalista dell'Ottocento oppure delle attuali imprese monopolistiche guidate da un consiglio d'amministrazione, la legge fondamentale operante nel capitalismo è sempre questa.
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Il malsviluppo e la crisi sociale ed ecologica
E attenti al 29 luglio, Overshoot Day: la terra (con tutti noi) va in rosso
di Giorgio Riolo
A Giorgio Nebbia, recentemente scomparso. Figura preziosa come presenza umana, intellettuale e politica della sinistra italiana. Ambientalista rigoroso e comunista, la giustizia sociale e la giustizia ambientale come pensiero vissuto. A lui la nostra gratitudine per averci aiutato negli anni decisivi della formazione culturale e politica
Il prossimo 29 luglio è il cosiddetto Overshoot Day (*) il Giorno del Superamento-Supesfruttamento. Vale a dire, della possibilità del pianeta terra di rigenerare-ripristinare l’equilibrio delle risorse a causa del consumo-emissione di CO2-inquinamento-rifiuti ecc. su scala mondiale. Questa misura è calcolata ogni anno dalla benemerita Rete mondiale dell’Impronta Ecologica (Global Footprint Network). Nel 1970 il giorno era il 31 dicembre. Il saldo allora era a somma zero. Oggi per 5 mesi e qualche giorno deprediamo letteralmente la terra. Da sommare alle depredazioni degli anni precedenti. L’accumulazione del capitale e l’accumulazione della violenza ambientale, sul vivente.
Naturalmente, con la gerarchia mondiale di questo furto. Gli Usa (328 milioni di abitanti) avrebbero bisogno di 5 pianeti a questo ritmo dell’impronta ecologica dei suoi abitanti. La Cina 2,2 pianeti (ma 1 miliardo e 420 milioni di abitanti) e l’India 0,7 (ma 1 miliardo e 370 milioni di abitanti) e via scalando nella popolazione mondiale delle periferie del mondo. Inoltre è annunciato per il prossimo agosto 2019 il nuovo rapporto dello Ipcc (gruppo di lavoro intergovernativo di scienziati del clima sul cambiamento climatico, legato all’Onu ). Ma basta lo Special Report del 2018 per allarmarci. Siamo già dentro a processi irreversibili.
Per l’occasione, anticipo qui di seguito alcune parti dell’ultimo capitolo di un libro scritto con Massimiliano Lepratti sulla “storia globale dell’umanità”, in attesa di pubblicazione. È una sintesi di circa 350 pagine scritta per un pubblico largo, senza pretese specialistiche, ma con l’intento di contribuire a una battaglia culturale importante, con riferimenti bibliografici minimi. Facendo tesoro della lezione di Samir Amin, della critica radicale dell’eurocentrismo e dell’occidentalocentrismo, secondo l’impostazione del sistema-mondo dello storico francese Fernand Braudel ecc.
Nel capitalismo “tutto si tiene”. Il fine è sempre quello di tenere assieme giustizia sociale (e di genere) e giustizia ambientale. Non sovrapposte, disgiungibili, bensì fuse, contestuali, della stessa sostanza (consustanziali, qualcuno direbbe). Dopo di che, il difficile è quale militanza, quale azione politica e sociale farne scaturire. Tutti i problemi che rimangono entro una sinistra decente (alternativa ecc.) in questa epoca storica.
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Grandi opere e devastazione ambientale
di Giorgio Nebbia
È morto due giorni fa, all’età di 93 anni, Giorgio Nebbia, uno dei padri dell’ambientalismo non solo italiano, coerente e inascoltato sostenitore della necessità scientifica di porre dei limiti alla crescita: non per ragioni ideali ma per la decisiva ragione che il mondo e la materia non sono infiniti. Portò la sua battaglia anche in Parlamento, come indipendente eletto nelle fila del Pci negli anni dal 1983 al 1992. Senza successo, come ebbe a scrivere 25 anni dopo: «Nel 1992 è finita una maniera di vivere la politica. Ricordo una delle ultime iniziative del mio mandato parlamentare, in Puglia. Fui invitato a parlare in una discoteca, unica volta in cui vi ho messo piede: naturalmente nessuno ascoltava. Mi resi conto che un partito che, per adeguarsi, teneva i comizi in discoteca rappresentava un mondo finito […]. Era finita anche per me. Nascevano altre associazioni, altre persone si affacciavano nel movimento e ormai ero un “vecchio”, talvolta benignamente definito ancora come “padre” dell’ambientalismo, ma ingombrante residuo di un altro mondo. Nasceva l’ambientalismo scientifico: non bisogna sempre dire no, bisogna pure fare qualcosa e io come vecchio contestatore, un po’ anarchico, non servivo più. L’ambientalismo sembrava, ai miei occhi, occasione per ottenere assessorati e cariche pubbliche, ricerca di sovvenzioni e sponsorizzazioni. Si era passati dalla critica e dalla contestazione all’omologazione».
In suo ricordo – e a nostra memoria – riportiamo qui, per gentile concessione dell’editore, uno stralcio di uno dei suoi ultimi scritti, il libro intervista con Valter Giuliano Non superare la soglia. Conversazioni su centocinquant’anni di ecologia (Edizioni Gruppo Abele, 2016).
* * * *
Da qualche tempo ci sono due argomenti che animano il dibattito: la costruzione della galleria di base attraverso le Alpi per la linea ad alta velocità Tav Torino-Lione e la costruzione del Ponte di Messina, che periodicamente ritorna nelle agende dei vari governi.
Alle due opere vengono rivolte varie obiezioni di carattere sociale, ambientale, tecnico eccetera. La galleria del Tav in Valle di Susa potrebbe incontrare molteplici difficoltà tecniche, arrecherebbe alterazioni ambientali nella valle e via seguitando; il ponte sullo Stretto di Messina potrebbe essere difficile da realizzare, passerebbe in territori esposti a sismicità, richiederebbe vie di accesso dalla parte calabrese e siciliana con profonde alterazioni del territorio.
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Benvenuti nel reale antropocene: fase due
di Roberto Paura
Il fondatore del transumanesimo, Max More, pubblicò online, nel 1999, una celebre Lettera a Madre Natura. Con un tono più ironico e senza dubbio più diretto di quello usato da Giacomo Leopardi nel rivolgersi alla stessa interlocutrice un paio di secoli prima, More osserva che, pur avendoci la Natura fornito una serie di doni importanti (“il massimo controllo del pianeta”, “un’aspettativa di vita fra le più lunghe del regno animale”, “un cervello complesso”), al tempo stesso essa si è dimostrata avara su numerosi aspetti:
“Ci hai creati vulnerabili alle malattie e alle ferite. Ci hai obbligati a invecchiare e a morire – proprio quando cominciamo a diventare saggi. Sei stata un po’ avara nel darci consapevolezza dei nostri processi somatici, cognitivi ed emotivi. Sei stata poco generosa con noi, donando sensi più raffinati ad altri animali. Possiamo funzionare solo in certe specifiche condizioni ambientali. Ci hai dato una memoria limitata e scarso controllo sui nostri istinti tribali e xenofobici” (More, 1999).
Le accuse di More sono senz’altro giuste, ma d’altronde, a pensarci bene, cosa potrebbero dire gli altri animali, se potessero esprimere qualche critica a Madre Natura? Di sicuro, tra tutti, siamo stati i più fortunati, gli unici a essersi evoluti fino a raggiungere un’autocoscienza complessa e una capacità di modificare noi stessi e il resto della natura. Pensatori come Thomas Ligotti, così come numerosi filosofi del passato, hanno messo in dubbio il fatto che la nostra intelligenza sia un beneficio, dato che comporta, come effetto collaterale, una dose di preoccupazioni non indifferenti. Non è nemmeno da escludersi che molti animali possano considerare i nostri presunti “benefici” come “maledizioni”, qualora potessero spingersi a un simile livello di consapevolezza. Ma, secondo la visione del transumanesimo, che è poi la filosofia alla base dell’accelerazione tecnologica dei nostri tempi, il nostro compito dovrebbe essere quello di potenziare l’essere umano per affrancarlo dal suo determinismo biologico, attraverso la tecnologia.
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Osare dichiarare la morte del capitalismo, prima che ci trascini tutti con sé
di Francesco Piccioni
Questo fulminante articolo di George Monbiot, apparso sul Guardian qualche giorno fa, pone il problema del superamento del capitalismo in termini ultimativi. E’ apparentemente paradossale che sia un pensatore liberal a porre la questione in termini tanto drammatici, ma a noi sembra invece assolutamente normale.
Se “è l’essere sociale a determinare la coscienza, non viceversa”, allora si può arrivare a conclusioni identiche pur partendo da premesse totalmente differenti. Naturalmente bisogna pensare con coerenza ed onestà intellettuale, senza cercare “soluzioni ad hoc” che riducano la difficoltà di far coincidere andamento oggettivo del mondo e desideri individuali o collettivi. Il “princìpio speranza”, insomma, è l’anticamera della disperazione.
Monbiot parte dall’ambiente, mentre noi comunisti siamo storicamente sempre partiti dallo sfruttamento del lavoro. Entrambi i termini – lavoro umano e natura – si pongono allo stesso tempo come risorse e limiti del capitale. Il capitalismo usa questi fattori per crescere, ma arrivaoggettivamente al punto in cui un ulteriore salto di qualità nello sfruttamento di queste risorse diventa fisicamente impossibile e quindi si apre la crisi del sistema di produzione capitalistico.
Sul piano dello sfruttamento del lavoro umano – unica fonte da cui è possibile estrarre plusvalore– il limite viene approssimato proprio in questi anni con lo sviluppo dell’automazione. Un robot fa le stesse cose di un operaio o di un impiegato, lo fa in modo più veloce e preciso, non sciopera e non protesta mai (basta fare la manutenzione…), non va retribuito. Peccato che non compri nulla. Il massimo di capacità produttiva coincide dunque con la tendenziale distruzione dei consumatori.
Salta qui una delle contrapposizioni ideologiche che hanno fatto la fortuna del neoliberismo negli ultimi 40 anni, quella tra consumatori e lavoratori; per cui bisogna(va) ridurre al minimo il costo del lavoro (salario, contributi previdenziali, stato sociale, diritti, ecc) per abbassare al massimo i prezzi, conquistare i consumatori e battere la “concorrenza”.
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Affinità-divergenze tra la compagna Greta e noi
di coniarerivolta
E l’acqua si riempie di schiuma il cielo di fumi
la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi,
uccelli che volano a stento malati di morte
il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte.
Un’isola intera ha trovato nel mare una tomba
il falso progresso ha voluto provare una bomba,
poi pioggia che toglie la sete alla terra che è vita
invece le porta la morte perché è radioattiva.
Pierangelo Bertoli
Nelle ultime settimane si è imposto al centro del dibattito, in forme nuove e inedite, il tema dell’ambientalismo. Ci sono state enormi manifestazioni in tutto il mondo; di particolare rilievo anche quelle che si sono tenute in Italia, soprattutto se si considera la difficoltà di mobilitazione delle masse che attualmente affrontano i vari movimenti politici.
Il movimento ambientalista cova in sé valori e visioni del mondo condivisibili e ricchi di potenzialità. La battaglia per la difesa dell’ambiente è la nostra battaglia e deve essere una priorità per chiunque oggi faccia lo sforzo di provare a immaginare un’alternativa al sistema economico dominante. Al contrario, la particolare sfumatura di ‘radicalismo chiacchierone’, stando alla quale occuparsi dell’ambiente prima di avere abbattuto il capitalismo sarebbe un vezzo borghese, è semplicemente una stupidaggine, buona soltanto per fornire una giustificazione alla propria inutilità e marginalità.
Tuttavia, è importante individuare potenziali elementi contraddittori del movimento che in questi giorni ha riacceso i riflettori su una tematica così importante, elementi che, spesso contro la stessa volontà soggettiva di chi è impegnato in sacrosante battaglie, finiscono per rendere molte istanze pienamente compatibili con gli equilibri dell’ordine socio-economico costituito.
La principale grande contraddizione di alcuni movimenti ambientalisti, una parte dei quali convergenti nelle più recenti mobilitazioni di piazza, è quella di non individuare nel modo di produzione dominante la vera causa dell’inquinamento ambientale, della distruzione degli ecosistemi e dei paesaggi, nonché del fragile equilibrio che esiste tra natura e uomo.
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Quattro interventi sul fenomeno "Greta"
In direzione ostinata e contraria
di Pierluigi Fagan
Sulla questione ecologia-Greta, mi trovo in dissenso profondo con molti amici ed amiche con i quali, di solito, si hanno punti di vista comuni. Che fare? Lasciar perdere per non sfilacciare ulteriormente le già sparute file del pensiero critico, o far di questo dissenso un momento di dialettica interna al nostro stesso pensiero critico? La domanda è retorica in tutta evidenza, la scelta è già fatta. Perché?
Ho l’impressione, forse sbaglio e chiedo in sincerità di dibattere la questione tra noi con la ponderazione ed intelligenza tipica dei frequentatori di questa pagina, che noi si sia finiti in un setting di pensiero la cui matrice per altri versi siamo molto lucidi a criticare. Per ragioni che qui non possiamo affrontare, ad un certo punto del secolo scorso, già ai suoi inizi, si è andata manifestando nel pensiero, uno spostamento di asse. Tra la relazione soggetto – oggetto fatta dal pensiero, è emerso il problema dello strumento che ci fa comporre e scambiare il pensiero: il linguaggio.
Tralasciamo i riferimenti più o meno colti e passiamo al momento successivo, quando un filosofo francese minore, pone all’attenzione la natura narrativa di ogni discorso, narrazioni fatte di linguaggio. Il linguaggio è materia della forma discorsiva che influisce, limita, indirizza il discorso stesso ed in più, tutto è discorso. Penso nessuno possa sottovalutare l’importanza di queste osservazioni ormai patrimonio della nostra conoscenza. Per altro ci era già arrivato anche Eraclito, e non solo lui, qualche secolo fa.
Danno da pensare due cose. La prima è il venirsi a formare di una sorta di monopolio concettuale di questo fatto, tutti ormai parlano più o meno solo di questo, tutto è narrazione e contro-narrazione.
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Se non sei seduto a tavola, sei sul menù
di Alessandro Bartoloni
Se gli animalisti vogliono liberare la natura dal barbaro sfruttamento cui è sottoposta devono prima liberare i lavoratori
Un articolo apparso sul blog “irragionevole” e intitolato: “Ecologia e critica sociale: quel che il marxismo ortodosso non vuole vedere” mi è stato segnalato quale risposta al mio pezzo sulle confusioni degli animalisti, a sua volta ispirato all’articolo di Danilo Gatto “La sinistra e la questione animale” apparso su questa testata un mese orsono.
Ringraziando per la segnalazione, colgo l’occasione per ribadire e provare a spiegare meglio alcuni concetti che, evidentemente, non sono sufficientemente chiari visto che l’Irragionevole si limita a riproporre alcuni degli argomenti proposti già nell’articolo di Gatto, senza aggiungere nulla di particolarmente interessante né entrare nel merito delle argomentazioni da me utilizzate. Una risposta, tuttavia, è dovuta in quanto gli autori del pezzo in questione ritengono che “occorra ripensare non solo il nostro approccio all’ecosistema, ma anche alla stessa idea di progresso”. Un auspicio che nella sua genericità non può che essere condiviso. Il problema, però, è capire se con gli animalisti di sinistra è possibile trovare un’unità di analisi oppure siamo inevitabilmente di fronte a concezioni utopistiche abbondantemente fuori tempo massimo.
L’Irragionevole mi accusa di non citare alcuna fonte a supporto della tesi secondo la quale tutto il cibo prodotto sul pianeta non è sufficiente per soddisfare le esigenze alimentari di tutti gli esseri umani. Ammetto di non conoscere abbastanza il vasto mondo della letteratura accademica ma la questione appare immediatamente secondaria una volta capito che le statistiche sono il risultato di un processo di elaborazione che si basa su una teoria sociale ed economica. I fondamenti teorici, dunque, condizionano il tipo di elaborazione ed i suoi risultati.
Si prenda, ad esempio, il tasso di disoccupazione. In italia attualmente viene calcolato come rapporto tra il numero di persone che cercano lavoro ed il numero di persone che costituiscono la forza-lavoro.
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