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antropocene

Ecologia marxiana, dialettica e gerarchia dei bisogni

di J. Bellamy Foster, D. Swain e M. Woźniak

Pubblichiamo questa intervista a John Bellamy Foster, apparsa per la prima volta sulla rivista ceca Contradictions, numero 6 (2022), in seguito adattata per Monthly Review

MR apr23Dan Swain e Monika Woźniak: Più di due decenni fa, nel suo libro Marx's Ecology, lei ha confutato le ipotesi popolari sul rapporto di Karl Marx con le questioni ecologiche. Nel suo recente libro, The Return of Nature, ha intrapreso un compito simile nei confronti dell'altra figura fondante del marxismo, Friedrich Engels. Perché ritiene così importante fare chiarezza sulle opinioni popolari di Engels?

John Bellamy Foster: In Marx's Ecology e in The Return of Nature, il mio interesse principale non era quello di confutare le «convinzioni più diffuse» sull'ecologia di Marx ed Engels che erano, ovviamente, principalmente il prodotto di una profonda mancanza di conoscenza del loro pensiero in questo campo. Come disse Baruch Spinoza, «L'ignoranza non è un argomento». Pertanto difficilmente merita una confutazione diretta. Piuttosto, la preoccupazione era quella più affermativa di portare alla luce le classiche critiche ecologiche storico-materialistiche sviluppate da Marx ed Engels, così come dai successivi pensatori socialisti che ne furono influenzati, come base metodologica su cui sviluppare un'ecologia socialista per il XXI secolo.

Marx, come sappiamo oggi, è stato un fondamentale pensatore ecologico, non solo in relazione al suo tempo ma anche rispetto al nostro, dal momento che aspetti cruciali del suo metodo non sono mai stati superati. Questa acuta comprensione delle contraddizioni ecologiche scaturì dal suo fondamentale metodo materialista ed era evidente nei suoi concetti di «metabolismo universale della natura», «metabolismo sociale» e «incolmabile frattura nel nesso del ricambio organico sociale» (o frattura metabolica).

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altraparola

In comune. Nessi per un’antropologia ecologica (un estratto)

di Carlo Perazzo e Stefania Consigliere

Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore e della casa editrice, la prefazione di Stefania Consigliere e un estratto del libro di Carlo Perazzo dal titolo “In comune. Nessi per un’antropologia ecologica” (Castelvecchi, Roma, 2023).

* * * *

Prefazione

di Stefania Consigliere

Partiamo dal presente: i ghiacciai si stanno sciogliendo, metà dei nostri concittadini è o è stato clinicamente depresso, la vita dei singoli e delle collettività è costretta in gabbie che precludono il senso e la gioia; e ora, infine, la diffusione di un virus di media pericolosità ha portato in piena luce il disastro globale causato da quarant’anni di politiche neoliberiste. Di virus si muore, certo, ma difficilmente il virus uccide da solo. Semmai, è la primadonna di un’intera truppa di sicari, che comprende gli effetti metabolici del cibo-spazzatura, i tagli alla sanità pubblica, l’impatto sui polmoni degli inquinanti aerei, i ritmi incessanti dei cicli di produzione-distribuzione, lo svuotamento di senso delle vite, la rescissione dei legami primari fra umani e la loro sostituzione con legami tossici con merci, il terrore mediaticamente indotto, la povertà, l’abbandono.

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comuneinfo

Degrowth communism

di Paolo Cacciari

Il “regno della libertà” auspicato dal comunismo è oggi un mondo liberato dall’ossessione della crescita, della produttività, del denaro. Un “comunismo decrescente”, una rivoluzione antropologica, cioè un processo di liberazione – non solo dell’immaginario – dalle costrizioni materiali che compromettono le possibilità di una vita piena e sana, ricca e soddisfacente

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La ripresa di interesse al pensiero ecomarxista – penso ad autori come John Bellamy Foster, Ian Angus, Paul Burket, Michael Löwy, Jason W. Moore, Andreas Malmo – con al vertice il caso dello straordinario successo dei libri di Kohei Saito, il giovane studioso giapponese che ha portato in luce una vena protoecologista del pensiero marxiano (Marx in the Anthropocene. Towards the Idea of Degrowth Communism, di Kohei Saito, Università di Tokyo), ci riporta alla vexata questio che ha tormentato le avanguardie politiche rosso-verdi fin dagli anni Settanta del Novecento: come riuscire a connettere i diversi aspetti della critica al capitalismo? Come fare in modo che il “rosso” e il “verde”, ma anche il “rosa” del femminismo, il “bianco” del pacifismo antimilitarista, antinucleare e nonviolento, il “nero” dell’antiautoritarismo libertario, la “linea del colore” contro cui si scontano le lotte di liberazione postcoloniali, l’“arcobaleno” delle lotte per i diritti civili e le libertà individuali… insomma, l’intero spettro delle resistenze alle pluriverse contraddizioni scatenate dal sistema capitalista possa connettersi e convergere in un movimento d’opinione, culturale e politico capace di impensierire il comune nemico?

Ognuno capisce da sé che le dolorose crisi finanziarie, economiche, sociali, demografiche, alimentari, migratorie, ambientali… sono concatenate e hanno un’origine comune.

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Sul precipizio climatico/2: chi già precipita. E chi sta nell’Ipcc

di Angelo Baracca

alluvione 700x300Dopo l’invio del mio articolo su Contropiano “Sull’orlo del precipizio climatico” sento la necessità di scendere dalle considerazioni generali più sul concreto.

 

L’Ipcc è un comitato . . . “sub partes”

Comincio con una rettifica, faccio ammenda per l’affermazione che l’Ipcc è un panel INTERGOVERNATIVO. In realtà a ben vedere sembra piuttosto GOVERNATIVO: nel senso che sembra che gli Stati Uniti la facciano assolutamente da padroni. Il ché, voglio precisarlo chiaramente, non a che vedere con la serietà scientifica dei suoi report, ma piuttosto con il presentarsi (in realtà per essere considerato, al di là delle intenzioni dei vari scienziati) come l’organismo a cui tutti fanno riferimento per stabilire la gravità della situazione climatica: semmai il vero merito che va riconosciuto all’Ipcc, e ai suoi report, è di avere sbugiardato definitivamente i negazionisti.

Ma veniamo alla rappresentatività. Parto questo grafico, già molto eloquente:

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Marx e la decrescita. Il caso Saito

di Jacopo Nicola Bergamo

saitoCambridge University Press ha finalmente pubblicato Marx in the Anthropocene. Toward the Idea of Degrowth Communism, dell’ormai noto professore Kohei Saito dell’Università di Tokyo. La curiosità della comunità accademica occidentale per il best seller giapponese dal titolo Hitoshinsei no Shihonron [Capital in the Anthropocene] potrà essere dunque soddisfatta? Sì, ma il libro che cercate è un altro ed è stato pubblicato solo in spagnolo, per ora, con il titolo El capital en la era del antropoceno. Datemi modo di chiarire l’equivoco partendo da una piccola digressione sull’autore e l’interesse per questo volume.

Kohei Saito godeva già di fama negli ambienti accademici marxisti grazie alla sua tesi di dottorato conseguita all’università Humboldt a Berlino, nella quale dimostra l’attenzione di Marx per i problemi ecologici, in particolare per la riduzione della fertilità dei terreni agricoli seguita all’avvento dell’agricoltura capitalistica; il tutto grazie a uno studio rigoroso dei manoscritti marxiani degli anni Sessanta e Settanta dell’800, pubblicati nella Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA²), ovvero la nuova edizione critica delle opere complete di Marx ed Engels. Questa tesi è stata poi pubblicata originariamente in tedesco e tradotta in altre sei lingue, sfortunatamente non in italiano, tra le quali l’inglese con il titolo Karl Marx’s Ecosocialism: Capital, Nature and the unfinished critique of political economy. Il volume è stato insignito del prestigioso premio Deutscher Memorial consacrando Kohei Saito come un riferimento per gli studi marxiani ed eco-socialisti, vicino alla tradizione della storica rivista statunitense Monthly Review e in continuità con l’interpretazione di John Bellamy Foster e Paul Burkett.

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contropiano2

La fusione nucleare riaccende gli entusiasmi (almeno quelli)

di Massimo Zucchetti

fusione nucleareNon si tratta di un articolo breve, perché non è – o non è soltanto – di “divulgazione” scientifica. L’Autore – docente di impianti nucleari al Politenico di Torino, per oltre venti anni al Mit di Boston, specialista in fusione nucleare tanto da entrare (nel 2016) nella cinquina finale dei candidati al premio Nobel per la Fisica – ha ritenuto giustamente che alla “divulgazione pubblicitaria” proposta dai media mainstream fosse necessario rispondere anche in punta di ricerca scientifica seria.

Di qui la lunghezza del testo, che però può solo tornare a vantaggio della serietà del lavoro e della discussione “sul nucleare”.

Buona lettura.

*****

Il recente accordo fra ENI e MIT, per lo sviluppo di un reattore a fusione nucleare “credibile”, ha riacceso molte speranze ed entusiasmi: in mancanza dell’accensione di plasmi termonucleari, che finora sono rimasti sulla carta.

Gli ultimi recenti sviluppi confermano quanto diciamo da molto tempo: non importa quanto lontano possa essere nel futuro, ma ITER è un percorso sbagliato per arrivare alla fusione nucleare commerciale, che così non diverrà mai una realtà. Tuttavia, con un diverso percorso, un “diverso iter”, la fusione “ha una possibilità di svilupparsi nel vicino futuro”.

Escludiamo dal nostro discorso i progetti militari di fusione inerziale, dei quali ci siamo già occupati e che, onestamente, ci ripugnano.

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paroleecose2

Alleanze più che umane: ricomporre una politica dentro e contro l'ecologia del capitale

di Léna Balaud

Introduzione e traduzione a cura di Sara Marano

ReynoutriaIl testo che proponiamo qui offre uno spaccato interessante sul dibattito interno all’ecologia politica francese, che presenta dei caratteri molto avanzati ed è spesso il frutto, come in questo caso, di intrecci curiosi quanto fecondi di tradizioni militanti e intellettuali. Lena Balaud, agronoma e membro del comitato di redazione della rivista Terrestre, è autrice, insieme ad Antoine Chapot, di Nous ne sommes pas seuls (Non siamo soli), un libro importante in seno a questo dibattito. Balaud e Chapot immaginano la politica nell’Antropocene come fondata su delle “alleanze terrestri”, orizzonte politico di un “comunismo interspecifico”. In questo articolo, l’autrice mette alla prova della crisi ecologica contemporanea l’armamentario del metodo operaista, compiendo un tentativo molto interessante di esplicitare la base materialista anticapitalista della sua proposta di “alleanze interspecifiche”. Il risultato è un testo evocativo e originale, in cui le prospettive della filosofia dell’ambiente e dell’ecologia politica contemporanea, in particolare Latour e Moore, dialogano con l’operaismo italiano.

* * * *

Vorrei partire da una sensazione: quella di una destabilizzazione politica crescente di fronte al nostro presente catastrofico. Tale destabilizzazione non è dovuta alla mancanza di radici. Al contrario, traggo qui spunto dall’apprendimento continuo di un metodo politico, ereditato dal movimento operaista degli anni Sessanta in Italia, dal movimento autonomo degli anni Settanta e da tutti coloro che hanno cercato di trarne le conseguenze e di inventarne il seguito, fino a oggi. Si puo’ definire questo metodo politico a partire dalle sue pratiche fondamentali: analizzare il sistema capitalistico da un punto di vista parziale; fare inchiesta sulle nuove composizioni di classe che caratterizzano lo ‘sviluppo’ capitalistico per individuarne il potenziale politico; seguire le rivolte spontanee e dare fiducia alle strategie che portano con sé.

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sinistra

Introduzione a Frattura metabolica e Antropocene

di Giuseppe Sottile

Autori vari: Frattura metabolica e Antropocene.Saggi sulla distruzione capitalistica della Natura, a cura di Alessandro Cocuzza e Giuseppe Sottile, Ed Smasher, 2023

marx earth2La crisi nelle condizioni naturali dello sviluppo umano è dovuta alle caratteristiche fondamentalmente antiecologiche del lavoro salariato e dei rapporti di mercato.

Paul Burkett

Il giovane Marx formulò l’idea dell’unità tra umanità e natura nella società futura nei termini d’un pienamente compiuto umanesimo = naturalismo, una concezione che Marx conservò anche dopo i vari successivi cambiamenti della sua prospettiva teorica.

Kohei Saito 1

Il termine «Antropocene» comincia ad essere assai diffuso anche nel nostro Paese. È probabile esso prenda la veste di una parola tanto più innocua nel significato quanto più usata dai mass-media. La genesi che ne consente un uso appropriato la si può rintracciare in una serie di documenti che negli ultimi decenni sono scaturiti come esito della ricerca scientifica. Qui ne vogliamo citare solo tre, tra i più importanti e recenti: When did the Anthropocene begin? A mid-twentieth century boundary level is stratigraphically optimal, The Trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration e Planetary Boundaries: Guiding Human Development on a Changing Planet2.

Il primo documento fa iniziare quella che l’AWG, il 21 maggio del 2019, ha ufficialmente indicato come un’epoca successiva all’Olocene3 a partire dalla metà del secolo scorso, per via della dimensione globale, durata e sincronicità del cambiamento stratigrafico.

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sollevazione2

Nucleare? No grazie! In risposta a Thomas Fazi

di Leonardo Mazzei

Un’indagine impeccabile sulla questione dell’uso civile dell’energia nucleare, una critica frontale a chi si ostina a non capire o fa finta di farlo

no nukeL’articolo di Thomas Fazi — «Perché l’Occidente dovrebbe diventare nucleare» — lascia sinceramente sconcertati. Se il titolo è già un programma, il contenuto è un vero concentrato di luoghi comuni, di superficialità, di cieca adesione alla narrazione della lobby nucleare. Ma la cosa più sconcertante è che l’autore non è un propagandista della casta neoliberista al potere. Al contrario, Fazi si definisce un “sovranista di sinistra”, ed in base ai suoi scritti che conosciamo la definizione ci appare alquanto corretta.

E’ qui che il problema si fa più inquietante. Cosa spinge un “sovranista di sinistra” ad assumere una posizione del genere? Se l’articolo in questione fosse stato opera di un qualsiasi fanatico dell’atomo, come quelli che calcano il palcoscenico mediatico da mezzo secolo, ci sarebbe stato ben poco da dire. Che l’abbia invece scritto uno come Fazi lascia piuttosto interdetti.

La cosa è dunque intrigante. E una risposta è francamente dovuta. Del resto, non si tratta di un caso isolato. Alla fine dello scorso mese di ottobre sono stato invitato dagli amici di Pro Italia ad un loro convegno sull’energia. In quella sede ho rappresentato le ragioni del no al nucleare, confrontandomi in una tavola rotonda con Fulvio Buzzi, un PhD in Ingegneria Energetica, convinto sostenitore del sì all’energia atomica ed amministratore della pagina Facebook L’Avvocato dell’Atomo.

Il gruppo che si raccoglie attorno a quella pagina è un club di sfegatati sostenitori dell’energia nucleare, ma L’Avvocato dell’Atomo è anche il titolo di un libro di Luca Romano, edito proprio da Fazi Editore. Che dire? Il cerchio si chiude.

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antropocene

La Banca Mondiale non è amica dei lavoratori né del pianeta

di Pete Dolack

WorldBankProtestLe politiche facilitano la distribuzione della ricchezza verso l'alto, indipendentemente dai costi umani e ambientali.

Ogni tanto, la Banca Mondiale pubblica un documento in cui chiede una migliore protezione sociale o almeno un trattamento migliore per i lavoratori. Gli addetti alle pubbliche relazioni credono evidentemente che abbiamo la memoria molto corta.

No, caro lettore, la Banca Mondiale non ha cambiato funzione, né gli elefanti hanno cominciato a volare. Senza alcuna ironia, l'ultimo tentativo di amnesia selettiva della Banca Mondiale è quello che chiama la sua Social Protection and Jobs, in cui sostiene che i governi nazionali del mondo debbano «ampliare notevolmente l'effettiva copertura dei programmi di protezione sociale» e «aumentare in modo significativo la portata e la qualità dei programmi di inclusione economica e del mercato del lavoro».

In modo esilarante, la Banca Mondiale intitola il suo rapporto di centotrentasei pagine, che illustra questa strategia Charting a Course Towards Universal Social Protection: Resilience, Equity, and Opportunity for All (pdf).

In questo rapporto, la Banca Mondiale scrive, a chiare lettere, che «riconosce che la progressiva realizzazione della protezione sociale universale (USP), che garantisce a tutti l'accesso alla protezione sociale quando e come ne hanno bisogno, è fondamentale per ridurre efficacemente la povertà e stimolare la prosperità condivisa». Inoltre, il rapporto si basa su un documento precedente che offrirebbe «un quadro generale per comprendere il valore degli investimenti nei programmi di protezione sociale e delineato il modo in cui la Banca Mondiale avrebbe lavorato con i Paesi clienti per sviluppare ulteriormente i loro programmi e sistemi di protezione sociale».

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antropocene

Antropocene, Capitalocene e altri “-cene”

Perché una corretta comprensione della teoria del valore di Marx è necessaria per uscire dalla crisi planetaria

di Carles Soriano

MR 074 06 2022 10La percezione di vivere in un periodo storico critico per quanto riguarda le condizioni di abitabilità sulla Terra – non solo per gli esseri umani ma anche per molti altri organismi viventi – sta guadagnando sempre più adepti tra la gente comune, gli accademici, i politici e i movimenti sociali.

Questo periodo critico è stato presentato come la crisi planetaria dell'Età dell’Antropocene e gli studi intrapresi nel presente secolo mostrano che le condizioni di abitabilità sulla Terra si stanno progressivamente deteriorando.[1] C'è anche una percezione crescente, anche se meno diffusa, della stretta relazione tra la crisi dell'abitabilità in corso e l'odierna società capitalistica mondiale. Questa percezione si basa più sull'intuizione e sulla corrispondenza storica degli indicatori della crisi planetaria col modo di produzione sociale capitalistico che su studi scientifici che dimostrano che la crisi è una necessità strutturale della riproduzione del capitale. Di conseguenza, per denominare il periodo storico attuale sono stati coniati numerosi termini alternativi ad Antropocene. Sebbene termini come Plantationocene, Chthulucene, Growthocene, Econocene, Pyrocene, Necrocene e così via possono avere un valore provocatorio, è anche vero che si basano su una comprensione incompleta della crisi in corso. Tra le alternative ad Antropocene, Capitalocene è il termine che ha subìto un sviluppo concettuale più profondo. Tuttavia, il concetto di Capitalocene non è privo di importanti malintesi sulla crisi e sul suo rapporto con i fondamenti del modo capitalistico di produzione sociale fondato sulla riproduzione del capitale.

Lasciarsi alle spalle la crisi planetaria richiede una comprensione scientifica del funzionamento della Terra come sistema naturale integrale, e a questo scopo devono essere coinvolte molte discipline delle scienze naturali.

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minimamoralia

L’eterna primavera della speranza. Le conferenze ONU sul clima fra passi avanti e inazione

di Barbara Bernardini

Foto Italian Climate Network Aurora Audino e1669971376100 640x420La COP27 di Sharm el-Sheikh – la ventisettesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – si è conclusa all’alba del 20 novembre, quasi due giorni dopo il termine previsto. Per arrivare all’approvazione del piano di attuazione ci sono volute due notti di trattative ulteriori, con in mezzo un momento in cui tutto sembrava perso: Frans Timmermans, a nome della Commissione europea, si diceva pronto a lasciare il tavolo, “meglio nessun accordo che un cattivo accordo”.

Poi l’accordo è arrivato, né buono né cattivo: molte delle sintesi riportate da chi era presente e da chi ne ha analizzato i 66 punti – una ben fatta è quella di Italian Climate Network – concordano su quali siano gli aspetti positivi e quelli negativi. Il grande successo del testo finale è l’istituzione del fondo compensativo “loss and damage” che prevede un risarcimento per le perdite e i danni subiti dai paesi più vulnerabili per gli effetti di una crisi climatica che non hanno contribuito a causare. Il risarcimento dovrà arrivare dai paesi che sono i principali emettitori storici – quindi tenendo conto non solo delle emissioni attuali ma anche di quanto abbiano contribuito in passato –, ma per capire chi dovrà contribuire, chi potrà beneficiarne e in che misura, bisognerà aspettare: non è stato deciso nulla in concreto ma si rimanda a una commissione che avrà il compito di districare i nodi che ora sono stati ignorati. La Cina da che parte dovrà stare? Non ha la responsabilità storica degli Stati Uniti, e alla COP27 si è presentata come capofila del fronte dei paesi “vulnerabili”, ma per quanto tempo potrà ancora essere considerata un’economia in via di sviluppo? Al tempo stesso, quello che viene chiamato il fronte dei G77 (in contrapposizione con i paesi del G20), quanta forza negoziale riuscirebbe a mantenere se la Cina si sfilasse?

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antropocene

Civiltà ecologica, rivoluzione ecologica. Una prospettiva ecologico-marxista

di John Bellamy Foster

Sui nessi tra civiltà ecologica, marxismo ecologico e rivoluzione ecologica, e dei modi in cui i tre concetti, qualora considerati insieme dialetticamente, possano essere intesi nella direzione di una nuova prassi rivoluzionaria per il XXI secolo

Dihua CinaQuello che segue è l’adattamento di una conferenza sul tema della civilizzazione ecologica tenutasi alla John Cobb Ecological Academy a Claremont, California, il 24 giugno 2022. La conferenza si pone sulla scia della Fifteenth International Conference on Ecological Civilization di Claremont (26-27 maggio 2022). Al discorso, rivolto ad un pubblico in larga parte cinese, è seguita una lunga intervista condotta da alcuni studiosi di marxismo ecologico, intitolata Why Is the Great Project of Ecological Civilization Specific to China?, che sarà pubblicata in contemporanea, come Monthly Review Essay, sul sito web della Monthly Review. Sia la conferenza che l’intervista saranno co-pubblicate in Cina dal Poyang Lake Journal.

* * * *

Vorrei parlarvi oggi dei nessi tra civiltà ecologica, marxismo ecologico e rivoluzione ecologica, e dei modi in cui i tre concetti, qualora considerati insieme dialetticamente, possano essere intesi nella direzione di una nuova prassi rivoluzionaria per il XXI secolo. Più nel concreto, vorrei chiedere: «Come dobbiamo intendere le origini e la portata storica del concetto di civiltà ecologica? Qual è il suo rapporto con il marxismo ecologico? E come è connesso tutto ciò alla lotta rivoluzionaria mondiale che mira a superare l’attuale emergenza planetaria e a proteggere quella che Karl Marx chiamava la “catena delle generazioni umane”, assieme alla vita in generale?».[1]

Nel 2018, lo studioso di teoria culturale Jeremy Lent, autore di The Patterning Instinct: A Cultural History of Humanity’s Search for Meaning (2017), ha scritto un articolo per il sito online Ecowatch, intitolato What Does China’s ‘Ecological Civilization’ Mean for Humanity’s Future?.

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gliasini

L’attualità del pensiero di Laura Conti e le ragioni di una rimozione

di Laura Centemeri

A1w10uuT8LÈ da poco tornato in libreria e in versione e-book Questo Pianeta (Fandango libri), il libro forse più contemporaneo dell’importante produzione scientifica, divulgativa e letteraria di Laura Conti (1921-1993). A lei si deve di aver tracciato in Italia la strada, purtroppo rimasta poco battuta, di un ambientalismo scientifico e politico, capace anche di essere popolare.

Ad arrivare in libreria è la terza edizione del saggio, la cui ampia revisione era stata terminata dall’autrice nei primi mesi del 1993, e che solo oggi è stata finalmente pubblicata (le precedenti edizioni erano uscite nel 1983 e nel 1987). Dopo la morte di Laura Conti il 25 maggio 1993, infatti, la casa editrice Editori Riuniti, nonostante gli accordi presi, si disse non più interessata alla pubblicazione postuma della nuova edizione del saggio. Fu il primo segnale di una rapida rimozione che per quasi vent’anni ha relegato l’opera e il pensiero di Laura Conti nel dimenticatoio. Un oblio che per certi versi ricorda il destino a cui è andato incontro negli Stati Uniti il suo amico Barry Commoner, che Laura Conti considerava – insieme a Nicholas Georgescu-Roegen ed Eugene Odum – uno dei “maestri” dell’ambientalismo.

Eppure Laura Conti era stata in Italia per due decenni – dall’inizio degli anni 1970 fino alla sua morte – la più instancabile sostenitrice e prolifica divulgatrice di un ambientalismo scientifico e politico ugualmente esigente su entrambi i fronti. La profondità e l’originalità della sua lettura dei problemi ambientali si sono sempre combinate con un’azione concreta nelle istituzioni e nella società, a sostegno della necessità di una profonda svolta culturale da parte delle forze politiche di sinistra (a partire dal PCI, in cui militava), e del mondo ambientalista (in particolare Legambiente, l’associazione che aveva contribuito a fondare nel 1980, ma in cui finì per ritrovarsi isolata).

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antropocene

Alle radici dell'Antropocene

di Ernesto Burgio

Neolitico allevamentoL'Antropocene può essere definito come l'era del pianeta Terra in cui una singola specie (Homo sapiens sapiens) ha preso il sopravvento su tutte le altre e ha tanto rapidamente e radicalmente trasformato l'intera ecosfera da mettere in pericolo la propria stessa esistenza.

Tra i fattori fondamentali di questa trasformazione vengono in genere indicati: lo sfruttamento sempre più intensivo da parte di Homo sapiens delle risorse energetiche e materiali e delle catene alimentari; la crescita esponenziale della popolazione umana su tutto il pianeta; il conseguente inquinamento e lo stravolgimento dei principali cicli biogeochimici. In questo quadro viene spesso trascurato quello che è l'effetto forse più drammatico: la trasformazione repentina e radicale degli ecosistemi microbici e virali che costituiscono l'essenza della biosfera e che sono i veri motori dell'evoluzione biologica da oltre 4 miliardi di anni.

Una interpretazione difficilmente contestabile è quella secondo cui tutti questi effetti, tra loro interconnessi, sono conseguenza della scelta da parte di Homo sapiens di usare la ragione a fini di dominio e la techné quale strumento fondamentale in tal senso, trascurando o comunque sottovalutando gli effetti che questa scelta avrebbe avuto sull'Altro (sugli altri esseri umani, sugli altri esseri viventi, sul pianeta stesso).

Se riconosciamo in questa scelta l'essenza stessa (anche spirituale, essenzialmente connessa al concetto di Ybris, di superamento dei limiti imposti dalla Natura o dagli dei) dell'Antropocene, possiamo meglio discernere da un lato gli strumenti più potenti introdotti dall'uomo ai fini del dominio, dall'altro gli effetti più negativi e potenzialmente distruttivi del loro utilizzo, che sono sempre più evidenti e potenzialmente irreversibili.