Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

palermograd

Dopo il social-liberismo​

M. Palazzotto intervista Marco Veronese Passarella

liberalismoNegli ultimi decenni abbiamo assistito all’affermazione di quell'indirizzo politico ed economico, tipico del capitalismo contemporaneo, chiamato “neoliberismo”. Secondo il sentire comune questa fase ha influenzato in senso liberista le politiche economiche dei maggiori produttori al mondo. In realtà si può rilevare, soprattutto in ambito accademico, che la scuola di pensiero che ha influito di più sulle decisioni politiche non è proprio quella liberale: anzi se di pensiero dominante si può parlare, soprattutto nelle scienze economiche, quella che emerge di più è la cosiddetta scuola neo-keynesiana (di cui fanno parte, ad esempio, Blanchard, Krugman, Stiglitz, Mankiew, ecc.). In alcuni tuoi recenti lavori ti sei occupato del “New Consensus” ed in particolare dei modelli DSGE (Dynamic Stochastic General Equilibrium). Ci potresti descrivere per sommi capi di cosa si tratta?

È una domanda che tocca molti aspetti critici. Provo ad elencarli e commentarli brevemente. Anzitutto, non darei per scontato che ciò che abbiamo osservato negli ultimi decenni sia interamente ascrivibile al “neoliberismo”. Al fronte neoliberista si è per anni contrapposto un fronte social-liberista, in certe fasi maggioritario, che accarezzava l’illusione di poter gestire la globalizzazione capitalistica ed i connessi processi di finanziarizzazione attraverso la lotta ai monopoli, l’estensione dei diritti civili ed alcune timide politiche redistributive, dato il doppio vincolo posto dal bilancio pubblico e dai conti esteri.

Print Friendly, PDF & Email

orizzonte48

Finita la sp€ndibilità della bufala della globalizzazione

Inizia la solfa del "protezionismo-brutto"

di Quarantotto

bad samaritansUna necessaria premessa introduttiva.

Trump, appena eletto, su domanda di un giornalista, indica, come futuro segretario del Treasury, Steven Mnuchin: questi ha lavorato per 17 anni a Goldman&Sachs, succedendo al padre in una carriera pluridecennale presso la stessa banca. Tra le esperienze lavorative di Mnuchin anche un periodo presso il Soros Fund Management, nonchè la produzione di film, anche importanti, come la serie X-men e Avatar. 

Secondo Zerohedge, l'alternativa a Mnuchin sarebbe il "JPMorgan CEO Jamie Dimon": sottolinea il blog che milioni di supporters di Trump sarebbero delusi da nomine del genere, e che "l'unica ragione per cui un banchiere diventa segretario del tesoro è quella di poter vendere tutte le proprie stock options, al momento di assumere la carica pubblica, senza dover pagare alcuna tassa".

Siano indicazioni fondate o meno, quel che è certo è che Trump non parrebbe, allo stato, disporre "delle risorse culturali" sufficienti per svolgere, anche solo in parte, un programma che include la reintroduzione del Glass-Steagall, la monetizzazione del debito (riacquistando quello già emesso), nonché il por fine alla stagione dei grandi trattati liberoscambisti.

E' pur vero che ove neppure tentasse di far ciò entrerebbe in conflitto con la base sociale (la working class) che lo ha eletto: ma, in compenso, come sottolinea Politico, si vedrebbe "riabilitato" da Wall Street e godrebbe di solidi appoggi bi-partisan nelle Camere.

Dunque, che sia lui il liquidatore del globalismo finanziario e il paladino del ritorno a economie nazionali meno aperte, rimane un punto interrogativo, una supposizione tutta da dimostrare.

Print Friendly, PDF & Email

appelloalpopolo

Foucault e il liberalismo

di Paolo Di Remigio

foucault muraleLa sinistra è stata colta di sorpresa dal neoliberalismo; anziché riconoscerlo come un programma criticabile, lo ha scambiato per una svolta storica già accaduta, a cui rassegnarsi, a cui anzi i suoi capi hanno prestato i propri servizi in modo da averne la piccola ricompensa. Il grande merito delle lezioni del 1978-79 di Michel Foucault al Collège de France[1] è di avere colto la natura di programma del neoliberalismo, rintracciandone la doppia radice nell’ordo-liberalismo tedesco della scuola di Friburgo degli anni ’20 e nel successivo anarco-liberalismo americano della scuola di Chicago, e narrandone con grande accuratezza la storia. Chi leggesse il libro potrebbe riconoscere nelle vecchie idee ordo-liberali non solo i principi ispiratori dell’Unione Europea, ma la sua stessa retorica; l’espressione «economia sociale di mercato», infine scivolata nel trattato di Lisbona, è stata coniata là, in polemica con l’economia keynesiana; l’adorazione ordo-liberale della concorrenza si è insinuata nel trattato di Lisbona come definizione della natura fortemente competitiva dell’Unione Europea[2]; la stessa idea di reddito di cittadinanza che trasforma la disoccupazione in occupabilità dei lavoratori ha la sua genesi nella scuola di Friburgo. Dall’anarco-capitalismo americano è invece influenzato, più che il moralismo europeista della competitività, il capitalismo post-keynesiano in generale, che pretende di fare dell’individuo, qualunque sia la sua condizione, un imprenditore, e della sua attività, qualunque essa sia, un’impresa[3].

Print Friendly, PDF & Email

blackblog

Il cupo futuro del capitalismo

di Wolfgang Streeck

q51 m03 05Diversi autori si interrogano, da diverse prospettive, sul futuro del capitalismo. Fra quelli che mantengono una posizione scettica riguardo alla sua possibile sopravvivenza oltre il 21° secolo - o perfino per i prossimi 30 o 40 anni - non si possono dimenticare István Mészáros, Immanuel Wallerstein e Robert Kurz.

Tuttavia, questo post vuole raccomandare la lettura di Wolfgang Streeck, un interessante sociologo tedesco, che pensa a partire da Karl Marx, ma, soprattutto, a partire da Karl Polanyi. La sua tesi centrale è che il neoliberismo, nello spingere verso la competizione come modo di vita, nel trasformare l'individuo in imprenditore di sé stesso, nel mercificare tutte le sfere della vita sociale, mina inesorabilmente le basi morali e sociali dell'integrazione degli esseri umani nella società. Dal momento che l'esistenza del capitalismo dipende da tali basi - ereditate dalle generazioni passate, ma ora violentemente depredate - il tentativo di salvarlo attraverso l'intensificazione neoliberista, porterà, secondo lui, alla sua progressiva disintegrazione. E questa dissoluzione potrà eventualmente essere accompagnata dalla fine dell'umanità stessa.

Si vuole fornire qui la traduzione di un testo che sintetizza un in intervento di Streeck, del 2010, nel corso dell'incontro annuale della “Society for Advancement of Socio-economics” (SASE), nel corso del quale diversi autori hanno discusso intorno alla domanda chiave: "Il capitalismo ha un futuro?"

* * * *

Il manifesto è attaccato al muro e si trova lì già da un bel po' di tempo; siamo noi che dobbiamo saperlo leggere.

Print Friendly, PDF & Email

militant

Tempo guadagnato, di Wolfgang Streeck

di Militant

Wolfgang Streeck, Tempo guadagnato, Feltrinelli, 25 euro

to be Productive produttivitàCon tre anni di ritardo rispetto alla sua pubblicazione, ci troviamo a segnalare un interessante testo di Wolfgang Streeck capitatoci per le mani. Come si legge nell’introduzione, “Tempo guadagnato” è la versione ampliata delle lezioni su Adorno tenute dall’autore nel giugno del 2012 presso l’Istituto di ricerche sociali di Francoforte. Il libro ha il merito di mettere a tema, anche se da un punto di vista non rigidamente marxista, la questione del rapporto tra capitalismo e democrazia alla luce della rivoluzione neoliberista e le trasformazioni dello Stato che ne sono conseguite. La tesi iniziale da cui l’autore muove, e che ci sentiamo di condividere, è che sia possibile comprendere la crisi in cui si dibatte il capitalismo del XXI secolo solo se la si interpreta come il culmine provvisorio di un processo più ampio, un processo che ha avuto inizio alla fine degli anni 60 del Novecento con la fine dei cosiddetti Trente Glorieuses. Prima di aggredire il tema cardine del suo lavoro Streeck fa però i conti con i limiti mostrati dalla “teoria della crisi” elaborata dalla cosiddetta “Scuola di Francoforte” sottolineandone soprattutto l’incapacità di prevedere la finanziarizzazione. Le ragioni di tale incapacità analitica, stando all’autore, sono da ricercare nel modo con cui anche a sinistra venne di fatto accettata l’autodescrizione che l’economia capitalista dava di sé come di un sistema capace di realizzare una crescita stabile e superare definitivamente le sue criticità interne. Nelle teorie di quegli anni le contraddizioni del modo di produzione capitalistico vennero così progressivamente relegate a residuo ideologico di un certo marxismo ortodosso.

Print Friendly, PDF & Email

comedonchisciotte

Nuove confessioni di un sicario dell'economia

...Questa volta disponibili per la vostra democrazia

Sarah van Gelder intervista John Perkins

Dodici anni fa, John Perkins ha pubblicato il suo libro “Confessions of an Economic Hit Man” (n.d.T. Confessioni di un sicario dell’economia). Oggi dice che “le cose sono di gran lunga peggiorate.”

Sicario economia capitalismo perkins john e1349819938890Dodici anni fa, John Perkins ha pubblicato il suo libro, Confessioni di un sicario dell’economia, che ha scalato rapidamente la lista dei best-seller del New York Times. In esso Perkins descrive la sua carriera basata sul convincere i capi di Stato ad adottare politiche economiche che hanno impoverito i loro Paesi e minato le istituzioni democratiche. Queste politiche hanno contribuito ad arricchire piccoli gruppi di élite locali, nel mentre imbottivano le tasche delle multinazionali a base americana.

Perkins è stato reclutato, dice, dalla National Security Agency (NSA), ma ha lavorato per una società di consulenza privata. Il suo lavoro come economista strapagato senza un addestramento adeguato è stato quello di generare report che hanno giustificato lucrosi contratti per le aziende statunitensi, nel mentre le nazioni più vulnerabili venivano immerse nel debito. I Paesi che non hanno collaborato hanno visto le viti serrate sulle loro economie. In Cile, ad esempio, il presidente Richard Nixon ha notoriamente invitato la CIA a “far urlare l’economia” per minare le prospettive del presidente democraticamente eletto, Salvador Allende.

Se la pressione economica e le minacce non hanno funzionato, Perkins dice, gli sciacalli sono stati chiamati sia a rovesciare che ad assassinare i capi di Stato non conformi. Questo è, infatti, quello che è successo a Allende, con l’appoggio della CIA.

Print Friendly, PDF & Email

effimera

Rottamare il sapere. Spunti per una rivoluzione culturale

di Paolo Vignola

prima elementareNell’androne del palazzo dove vivo ho trovato un volantino dell’amministrazione comunale con le istruzioni per la raccolta differenziata porta-a-porta, in cui si chiama il cittadino a impegnarsi nell’adempimento dei suoi diritti/doveri e nel contribuire alla riuscita dell’operazione. L’amministrazione a guida Partito Democratico, nel volantino, tiene a sottolineare che si tratta di una vera e propria “rivoluzione culturale”. Niente di strano o di perverso in sé, se non fosse che lo stesso giorno sentivo la ministra dell’istruzione Giannini parlare in termini analoghi, se non identici, a proposito del concorsone degli insegnanti abilitati per la loro messa in ruolo: il governo si sarebbe fatto promotore, a detta della ministra, di un’autentica rivoluzione culturale il cui fine sarebbe quello di realizzare l’apice umano della buona scuola assegnando le cattedre a chi veramente preparato. Le parole della Giannini, come noto, sono da intendersi come una risposta altezzosa di fronte alle numerose e pesanti critiche mossele da quell’ esercito di riserva degli insegnanti precari delle scuole medie superiori che, sebbene abilitati, sono stati respinti ancor prima di passare alla prova orale – i giornalisti hanno parlato, tra l’altro, di “strage degli innocenti”. In particolare, l’anomalia da segnalare immediatamente per far comprendere la misura del problema risiede nel fatto che in molte regioni d’Italia e in molte classi di concorso, sebbene praticamente tutti i partecipanti avessero in precedenza conseguito l’abilitazione (TFA: tirocinio formativo attivo), già gli ammessi alla prova orale erano ben meno dei posti dichiarati disponibili dal ministero – così come del resto, almeno è l’opinione comune, i posti reali sono ben meno di quelli precedentemente dichiarati.

Print Friendly, PDF & Email

contropiano2

La fine del capitalismo. Dieci scenari

di Giordano Sivini *

capitalismo1C’è stata una parentesi nella storia del capitalismo in cui il sociale è riuscito ad emergere dall’economico. Aveva rilevanza, in quanto sociale, per il riconoscimento giuridico che lo stato gli attribuiva in forza della sua esistenza come popolazione disciplinata dal lavoro salariato. In funzione della mediazione con l’economico, lo stato aveva ricevuto legittimazione dal sociale. La democrazia, che come parvenza funzionava fin dall’800, era stata giuridicamente ridefinita in senso sostanziale con una articolazione istituzionale orientata a garantire il benessere del sociale. Le politiche economiche e fiscali, pur racchiuse in uno spazio definito dall’economico, realizzavano questo obiettivo attraverso la crescita e lo sviluppo. Agenti dello sviluppo erano le imprese regolate dallo stato, che interveniva sui processi economici stabilendo vincoli per il mercato, e sosteneva la domanda creando quel reddito aggiuntivo che il capitale non poteva o non voleva assicurare, permettendo la riproduzione delle condizioni di crescita e di sviluppo.

Questa parentesi è ormai chiusa, e se ne è aperta un’altra. Il sostegno dello stato alla domanda, come condizione di crescita e sviluppo, è venuto meno, e il sistema cerca di garantire l’offerta spingendo all’indebitamento e abbassando i prezzi mediante una infaticabile ristrutturazione del sistema produttivo. Flessibilizza il lavoro per abbatterne i costi; riduce l’immobilizzo dei capitali fissi e dei mezzi di produzione; limita il valore unitario delle merci mediante una spinta frammentazione e diversificazione. Ma crescita e sviluppo restano costruzioni illusorie, e le innovazioni concettuali sono finalizzate a sanzionare le interferenze del sociale, che ostacolerebbero lo stato in quanto garante dell’economico.

Print Friendly, PDF & Email

left

L’economia dell’informazione e la partita del futuro

di Andrea Ventura

4112925838 b62610b633Uno strano paradosso investe le economie dell’Occidente. Da un lato, a dispetto di stimoli monetari senza precedenti, la crescita economica è precaria e stentata: anche negli Stati Uniti, dove la politica monetaria è stata accompagnata da politiche fiscali espansive, la crescita del Pil è rimasta sotto le attese, generando un aumento del rapporto debito/Pil dal 64% del 2007 al 106% del 2015; Larry Summers, economista e potente politico americano, assieme ad altri ha recentemente avanzato l’ipotesi che i paesi avanzati stiano attraversando una fase di “stagnazione secolare”. Questa crescita insufficiente si accompagna però ad un flusso d’innovazioni scientifiche e tecnologiche senza precedenti che sta radicalmente modificando il nostro modo di produrre, consumare, lavorare, comunicare.

Stagnazione secolare da un lato, innovazione e progresso dall’altro. Eppure la crescita economica è sempre stata favorita dalle scoperte scientifiche e tecnologiche: il telaio meccanico ha avviato la prima rivoluzione industriale inglese, poi motore a vapore, ferrovie, telegrafo e piroscafi hanno spinto la seconda. Catena di montaggio e consumi di massa hanno infine caratterizzato l’economia americana e, nel secondo dopoguerra, la crescita del continente europeo. L’informatizzazione dei processi produttivi, la diffusione della rete, la scoperta di nuovi materiali e la biologia molecolare sembrano invece incapaci di sostenere un nuovo ciclo di crescita economica.

Print Friendly, PDF & Email

orizzonte48

Grandi disastri, pace e corruzione. Spinelli e Hayek €nunciano la via

di Quarantotto

Ernesto Rossi con Altiero Spinelli e Luigi Rinaudi1. Com'è ormai tradizione del blog, riteniamo molto utile fissare alcune informazioni che dovrebbero essere incorporate nella comprensione consapevole del momento storico, e del ciclo economico che stiamo vivendo, per come emergono dai commenti e in raccordo a precedenti post. 

Questa volta, come in molte alter occasioni, diamo il dovuto risalto a vari interventi di Arturo (che sempre ringraziamo...).

Il primo riguarda la reale visione di Spinelli sulla costruzione €uropea, ritraibile da un discorso (del 1985) che, nell'attualità, - e quando le dinamiche che erano auspicate esplicitamente (e implicitamente ma necessariamente) nel "Manifesto" si sono consolidate in modo coerente -, costituisce una sorta di interpretazione autentica dell'ideologia e della prassi politica concepita a Ventotene. 

Un tale carattere ne consiglia la lettura integrale e con attenzione, specie per quei lettori che dispongono del quadro critico che emerge dal complesso del blog.

Arturo seleziona e commenta per noi dei passaggi altamente "eloquenti":

Print Friendly, PDF & Email

tysm

La crisi è diventata un modo di governo

Intervista a Christian Laval e Pierre Dardot

Ci troviamo con le spalle al muro. Non ci resta che una cosa: sognare, inventare, ritrovare il gusto dell’agire comune

euro 76019 1920Siamo in stato di emergenza. Non nel senso in cui lo intendono François Hollande o Charles Michel. No, per Christian Laval Pierre Dardot, autori di Ce cauchemar qui n’en finit pas, Comment le néolibéralisme défait la démocratie (La Découverte, 2016), “viviamo un’accelerazione decisiva dei processi economici e sicuritari che trasformano in profondità le nostre società e i rapporti politici tra governanti e governati”. “Siamo prossimi ad un’uscita definitiva dalla democrazia a vantaggio di una governance espertocratica sottratta a ogni controllo”, affermano il sociologo e il filosofo. Nemmeno le crisi non sono state in grado di segnare una rottura capace di obbligare a una svolta. Al contrario “la crisi stessa è diventata un vero e proprio modo di governo delle società”.

Ma non tutte le speranze sono finite.

Secondo gli autori di Commun (La Découverte, 2014), il risveglio dell’attività politica democratica “dal basso” tra i cittadini è il segno che lo scontro politico con il sistema neoliberale è già cominciato. [1]

* * *

Voi scrivete che viviamo un’accelerazione dell’uscita dalla democrazia. Chi spinge oggi sull’acceleratore?

In primo luogo le forze politiche di destra dappertutto in Europa e nel mondo. In questo momento lo si vede in Francia e in Brasile.

Print Friendly, PDF & Email

contropiano2

“Il neoliberismo è un progetto politico”

B. S. Risager intervista David Harvey

Un’intervista al grande geografo David Harvey sul mensile Jacobin : https://www.jacobinmag.com/2016/07/david-harvey-neoliberalism-capitalism-labor-crisis-resistance/ -  Traduzione a cura di Panofsky (https://www.facebook.com/Panofsky-260479200991238/?fref=ts)

Capitalism Isnt Working 500x300

 Proponiamo un’interessante intervista al geografo e sociologo statunitense David Harvey, a undici anni dal suo libro “Breve storia del Neoliberismo”. In questo testo, divenuto velocemente uno dei più citati sull’argomento, Harvey analizza lo sviluppo e la storia di uno dei concetti più usati dalla sinistra (e non solo) per descrivere la configurazione attuale del moderno capitalismo. L’intervista ribadisce e arricchisce alcuni dei punti fondamentali del testo. Due le considerazioni più interessanti. La prima: la crescente importanza delle lotte che escono dal contesto della fabbrica e che si spostano nell’ambito urbano. Una sfida che un moderno sindacato conflittuale e di classe deve cogliere, e in questo senso la nascita della confederalità sociale USB va nella direzione giusta. La seconda: occorre ricordarsi che il neoliberismo non è altro che una configurazione del modo di produzione attuale, e che limitare l’opposizione ad esso e non al capitalismo per se è fuorviante. Una lezione che gran parte della moderna sinistra dovrebbe ricordarsi.

* * *

Undici anni fa, David Harvey pubblicava “Breve storia del Neoliberismo” (in Italia edito da Il Saggiatore, ndt), ad oggi uno dei libri più citati sull’argomento.

Print Friendly, PDF & Email

effimera

L’Antropocene: aumenteranno i crimini contro l’umanità?

di Salvatore Palidda

resurrection of gaiaL’attenzione e talvolta la passione per lo studio dei diversi aspetti dei cambiamenti nel campo delle conoscenze sul pianeta Terra sono sempre state circoscritte alle cerchie degli archeologi, biologi, geologi, alcuni antropologi, mentre non hanno mai suscitato interesse fra le scienze politiche e sociali. Si sa, sin da Platone e Aristotele sino ai vari filosofi politici (Sant’Agostino, Ibn Khaldoun, Tommaso Moro, Machiavelli, Tommaso Campanella, Hobbes e Locke) e poi Durkheim e alcuni contemporanei, queste «scienze» sono state quasi sempre condizionate soprattutto dall’imperativo «prescrittivista», cioè dalla pretesa di fornire «ricette» per «risolvere» i problemi dell’organizzazione politica della società. Spesso in nome della prosperità e posterità, della pace e persino della felicità «per tutti» (come la «giustizia uguale per tutti»). La storia del mondo recente e anche l’attuale congiuntura, al contrario, mostrano sempre crescenti diseguaglianze, atrocità e genocidi. Più guerre che periodi di pace. La pretesa prescrittivista si è rivelata dunque fallimentare, se non peggio: visto che molto spesso le “scienze”, di fatto, hanno prodotto saperi utili ai dominanti, cioè i primi responsabili della riproduzione del peggio. La parresia – da Socrate a Foucault – è stata sempre osteggiata, o confinata in una nicchia concessa dal potere. Il quale si può permettere di essere criticato o dissacrato, anche perché di pari passo cresce sempre più l’asimmetria fra dominanti e dominati, ridotti oggi a qualche tentativo di resistenza spesso disperata o semplicemente all’impotenza, a fronte dell’erosione delle possibilità di agire politico (il caso della Grecia è assai eloquente e peggio è l’assenza di contrasto della tanatopolitica che l’UE pratica nei confronti dei migranti).

Print Friendly, PDF & Email

effimera

Colti in trappola. L’università postfordista e la formazione del cognitariato

Giuseppe Burgio

Una seconda lettura per l’estate: un saggio di Giuseppe Burgio pubblicato su Studi della formazione (2014). Burgio è un ricercatore di pedagogia di Palermo e in questo testo ricostruisce bene i problemi di quadro dell’istituzione universitaria (che, come Effimera, abbiamo diffusamente affrontato in questo periodo, a partire dal caso di Roberta Chiroli), stretta tra dispositivi neoliberali, profondamente connessi alla crisi, processi di esclusione differenziale, gerarchie, valutazione e debito. Il tutto nell’orizzonte del capitalismo biocognitivo, cioè all’interno di un nuovo paradigma produttivo, e nel crescere del ruolo “ri-produttivo” assunto dal cognitariato.

3433080 n 1Cifra della nostra società è l’avvenuto passaggio dal modo di produzione fordista a quello postfordista. In questo contesto, la corrente teorica del post-operaismo vede come centrale la dimensione cognitiva del lavoro, che si manifesta ormai in ogni attività produttiva, materiale o immateriale che sia.

Dopo aver definito tale cornice teorica, queste pagine si concentreranno sulla precarietà lavorativa e sull’affaticamento esistenziale di quanti hanno affrontato un percorso di istruzione superiore all’università, proponendo la tesi che – proprio per poter essere adattati a, e inseriti nel, postfordismo – questi futuri lavoratori del cognitariato siano stati formati da un dispositivo economico ed educativo complesso, paragonabile a quello che nel capitalismo industrialista permise la formazione (cioè la costituzione sociale e il condizionamento culturale) del proletariato.

Tale dispositivo verrà analizzato in alcune delle sue curve attuative – studiandone le conseguenze da un’ottica pedagogica – in relazione alle trasformazioni del mondo del lavoro, ai mutamenti del sistema della formazione e alle riforme che da ormai 25 anni interessano quasi incessantemente l’università italiana.

Print Friendly, PDF & Email

megachip

Se la legge del nostro tempo è la violenza

di Paolo Bartolini

Pensare la violenza come sintomo di uno scasso psicosociale, politico e ambientale, messo in atto dal cosiddetto capitalismo assoluto

arancia meccanicaGli aerei pronti a decollare per portare dal cielo la maledizione di un'altra guerra dagli effetti incontrollabili, l'esplosione di atti violenti, inconsulti, gettati nel calderone mediatico del terrore, il terrorismo feroce dell'ISIS e quello sterilizzato dei grandi interessi della finanza e dell'industria bellica... potremmo continuare a lungo ma bastano questi pochi cenni - a cui si aggiunge la tragedia di un crescendo impressionante di sevizie sulle donne - per dirci che la legge del nostro tempo è quella della Violenza. L'impazzimento collettivo denuncia, sulla soglia tra psiche e storia, individuo e collettività, il passaggio caotico che sta attraversando la società-mondo neoliberale, ormai giunta a una transizione di fase che mette in questione tutti gli equilibri precedenti e allude a una nuova era complessa ancora da cartografare. Registriamo dunque un'intima parentela tra violenza e caos, effetti sistemici e correlati di un'epoca che non vuole tramontare.

L'epoca della dismisura, l'epoca del denaro che si accumula e dell'Uno omologante dell'apparato tecno-capitalista.