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micromega

Governare il vuoto? Neoliberalismo e direzione tecnocratica della società

Alessandro Somma 

camera 675Recentemente è uscito per Rubbettino "Governare il vuoto. La fine della democrazia dei partiti", traduzione in italiano dell'opera incompiuta del prematuramente scomparso Peter Mair, dedicata alla crisi della partecipazione popolare alla vita politica. L'errore dell'autore sta tuttavia nella indebita separazione dell'analisi del livello politico della crisi da quella del livello economico.

Peter Mair, politologo irlandese di fama mondiale, è scomparso prematuramente nel 2011, quando stava lavorando a un volume sulla crisi della partecipazione popolare alla vita democratica come fenomeno tipico delle società occidentali. L’opera è rimasta dunque incompiuta, ma è stata integrata con altri interventi dell’autore e pubblicata su iniziativa della “New Left Review”: il prestigioso periodico della sinistra postmarxista che già aveva ospitato un ampio contributo di Mair anticipatore delle principali tesi poi sviluppate nel libro[1]. Di quest’ultimo è da poco uscita una traduzione italiana per i tipi di Rubbettino[2], la piccola ma vivace casa editrice nota soprattutto come amplificatrice del pensiero neoliberale.

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megachip

L'autunno degli epistemiarchi

L'Asia sfida i monopoli della conoscenza?

di Domenico Fiormonte*

La questione cruciale è l'intreccio fra ruolo degli oligopoli, ranking dell'università e valutazione della ricerca

NEWS 260096La multinazionale dell'editoria Thomson Reuters ha annunciato lo scorso 10 luglio di aver venduto a due fondi di investimento, Onex Corporation e Baring Private Equity Asia, tutte le attività legate all'editoria accademica e scientifica per 3,55 miliardi di dollari. La notizia, soprattutto di questi tempi, non è fra quelle che scuotono gli animi. Eppure si tratta di un evento importante, in grado di mettere in discussione l'assetto dell'editoria globale e aprire nuovi scenari[1]. Ma per comprendere la dimensione del problema, occorre fare un passo indietro.

I primi quattro gruppi editoriali al mondo sono tutti editori scientifico-professionali che vendono soprattutto accesso alle proprie banche dati: Pearson (Regno Unito), Thomson Reuters (Canada), RELX Group (ex Elsevier, Regno Unito, Paesi Bassi e Stati Uniti), Wolters Kluwer (Paesi Bassi). Il quinto in classifica è Penguin Random House, del colosso tedesco Bertelsmann. Tuttavia uno sguardo ai ricavi fa impallidire qualsiasi editore generalista: nel 2014 Pearson è primo con un fatturato di oltre 7 miliardi di dollari, segue Thomson Reuters con 5,7, RELX con 5,3, Wolters Kluwer con 4,4 e finalmente Penguin con 4.

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il rasoio di occam

L’ordoliberalismo 2.0

di Lelio Demichelis

L’ordoliberalismo – già egemone forse più del neoliberismo nella forma economica e tecnica assunta dalla società globale – sta dilagando e diventando egemone anche in rete e questa volta è ordoliberalismo 2.0. Quali sono le conseguenze sociali e politiche?

merkel draghi ordoliberismo 499Era il 28 giugno del 1983 e Luigi Pintor – fondatore e direttore del manifesto – inventava un titolo che fece epoca esprimendo la speranza e l’auspicio di molti: Non moriremo democristiani. Sappiamo com’è andata a finire. Ma oggi, potremmo essere altrettanto ottimisti (l’ottimismo della volontà e della capacità-consapevolezza di poter cambiare il mondo) – ma questa volta senza sbagliare - e dire: non moriremo ordoliberali, neppure ordoliberali 2.0? Visti gli effetti di nichilismo politico e di sadismo sociale che l’ordoliberalismo ha prodotto e ostinatamente continua a produrre sull’Europa e su ciascuno di noi, davvero dovremmo proporci – con ostinazione e determinazione ben maggiori - di non morire ordoliberali (e neppure neoliberisti). Se l’ordoliberalismo e le sue politiche di austerità hanno palesemente fallito, perché ostinarsi nell’errore?

In verità, il pessimismo (o il realismo) della ragione sembra dirci che abbiamo perso la capacità di fare innovazione politica, economica e sociale e quindi abbiamo rinunciato alla libertà facendoci liberamente servi dell’ordine economico esistente. Come dimostrato dalla Brexit: l’illusione di un ritorno al passato come via di salvezza; e dalle elezioni in Spagna: il rifiuto del cambiamento e di una nuova politica economica, replicando l’atteggiamento del popolo di Siviglia che si inchina all’Inquisitore, nel racconto di Dostoevskij e dando purtroppo nuova conferma a quanto scritto da Gustavo Zagrebelsky, ovvero ormai non esistono più gli inquisitori come casta separata, perché tutti hanno interiorizzato il loro messaggio e l’unica libertà è quella di ‘difendere’ (per chi è incluso) o di ‘subire’ (per chi è escluso o ai margini) l’esistente.

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deriveapprodi

Tra Barroso e Bouhlel

Quindici anni dopo Genova

Franco Berardi Bifo

lametta 768x789Things fall apart; the centre cannot hold;
Mere anarchy is loosed upon the world,
The blood-dimmed tide is loosed, and everywhere
The ceremony of innocence is drowned;
The best lack all conviction, while the worst
Are full of passionate intensity.

(Yeats: The Second Coming)

Fine del thatcherismo

Quindici anni dopo Genova, quando il globalismo neoliberista festeggiò sanguinosamente il suo trionfo, molti segnali fanno pensare che tutto stia precipitando: il dominio neoliberista, che ha garantito un equilibrio di potere a livello globale sta franando, e la guerra civile frammentaria si espande in ogni area del pianeta, fino a coinvolgere gli Stati Uniti d’America dove la diffusione capillare di armi alimenta la quotidiana mattanza di cui gli afro-americani sono la vittima privilegiata.

I segnali si moltiplicano ma come interpretarli? Quale tendenza intravvedere?! E soprattutto come ricomporre l’autonomia sociale, come proteggere la vita e la ragione dalla follia omicida che il capitalismo finanziario ha attizzato e il fascismo nelle sue varianti nazionaliste e religiose sempre più spesso aggredisce?

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orizzonte48

UE-EURSS? No, totalitarismo neo-liberista del mercato 

di Quarantotto

schermata 2014 10 14 alle 10 36 411. Come spesso capita, seguendo una prassi "conservativa", dei commenti più stimolanti, ci soffermiamo sulla questione della "spontaneità" dell'ordine naturale del mercato per arrivare poi a verificare la presunta equiparabilità dell'Unione Europea all'URSS.

Muoviamo dalla notazione di Philip Mirowsky (et al.) suggerita da Francesco:

il Mercato” non fa apparire naturalmente e magicamente le condizioni per il suo continuo fiorire, per questo il neoliberismo è in primis e soprattutto una teoria su come ristrutturare lo Stato al fine di garantire il successo del mercato e dei suoi attori più importanti (…)” [P. MIROWSKI - D. PLEHWE, The Road from Mont Pelerin, Harvard University Press, Cambridge, 2009, 161]".

Non che Mirowsky sia un entusiasta assertore di tutto questo: anzi, egli è uno dei più acuti e ironici osservatori critici di quel paradigma neo-liberista, che controlla saldamente governi nonchè opinione pubblica e di massa, avendo unificato il pensiero politico-filosofico (prima ancora che, ovviamente, quello economico), ormai praticamente in tutto il mondo:

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ist onoratodamen

Finanza, inquinamento e capitalismo. Quale futuro? 

di Spohn

Il mercato del carbonio ha ingrassato i grandi inquinatori 2 e1458140134620L’ultimo libro scritto da Luciano Gallino prima della sua scomparsa (L. Gallino, Il denaro, il debito e la doppia crisi, spiegata ai nostri nipoti, Einaudi, Torino, 2015) fa parte di quelle indagini economiche e sociali che non negano le contraddizioni capitalistiche, pur non utilizzando a pieno gli strumenti di comprensione del materialismo storico e della critica all’economia politica di Karl Marx. Tuttavia, la questione ecologica e soprattutto le colpe dell’attuale situazione ambientale nel mondo non vengono imputate, come in genere si suol fare, a un generico e impalpabile responsabile collettivo quanto, invece, vengono ascritte direttamente alla cerchia capitalista che governa il mondo dell’industria e della finanza mondiale.

Sia l’approfondimento sulla cosiddetta «finanza del carbonio», sia la lettura classista su cui Gallino struttura, sulla falsariga di movimenti come Occupy, la contrapposizione tra un’élite mondiale del 1% e un proletariato del 99%, comunque privo della necessaria coscienza di classe, offrono però un grosso numero di spiegazioni sintetiche sulle dinamiche del capitalismo, sul ruolo e le funzioni della finanza, sul perché della crescita del debito pubblico e sui meccanismi tipici dell’irrazionalità di questo modo di produzione attuale.

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eticaeconomia

Meno crescita e più disuguaglianza

Effetti (straordinari) delle politiche neoliberiste secondo il FMI

Maurizio Franzini

Maurizio Franzini riflette su una recente pubblicazione del Fondo Monetario Internazionale che ha avuto grande risonanza per il suo giudizio negativo su alcune politiche neoliberisti sostenute in passato dallo stesso FMI. Franzini richiama l’attenzione sull’importanza delle tesi presentate e le collega a precedenti lavori dello stesso FMI sostenendo che, al di là dei problemi di coerenza di quest’ultimo, si viene componendo un quadro di conoscenze potenzialmente molto utile per andare oltre gli errori del passato

140944777 0fd106cd 058e 4b43 9c9b 5c20bbc3fe09Jonathan Ostry – vicedirettore del Dipartimento economico del Fondo Monetario Internazionale formatosi a Oxford, alla London School of Economics e alla Università di Chicago – dopo avere prodotto, con diversi coautori, importanti studi empirici sul rapporto tra disuguaglianza e crescita, poche settimane fa ha pubblicato sulla rivista trimestrale del FMI, Finance and Development, un breve paper scritto con Prakash Loungani e Davide Ferceri, dal titolo Neoliberalism: Oversold? la cui principale conclusione è che alcune politiche distintive del neoliberismo – fortemente sostenute in passato dal FMI – hanno sortito effetti opposti a quelli che ci si attendeva.

Non sorprendentemente, il paper ha catturato l’attenzione dei media mondiali che lo hanno largamente interpretato come una smentita di se stesso da parte del FMI. Maurice Obstfeld, il capo economista del FMI, ha replicato a queste interpretazioni, parlando di evoluzione e non di rivoluzione del Fondo. Ciascuno potrà valutare quanto convincenti siano i suoi argomenti. Queste note non sono dedicate alla coerenza del FMI – che naturalmente non è questione di cui ci si possa disinteressare – ma ai contenuti del paper e al loro legame con precedenti analisi condotte dallo stesso Ostry con altri coautori.

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paginauno

Survival economy

di Giovanna Cracco

despiteIl processo di globalizzazione non si arresta. Una tappa dietro l’altra, le politiche degli Stati proseguono nella creazione di un unico libero mercato mondiale, senza barriere protezionistiche per merci, servizi e capitali.

A Occidente dodici Paesi, tra cui gli Stati Uniti, hanno firmato il TPP, il Trattato di libero scambio dell’area del Pacifico (1), e sono in corso i negoziati tra Usa e Europa per il TTIP (2).

A Oriente la Cina preme per esse-re riconosciuta dall’Unione europea come ‘economia di mercato’, un cambiamento di status che cancellerebbe i dazi doganali oggi applicati ai suoi prodotti. Difficilmente accadrà ora, ma è solo questione di tempo. A fine 2016 avrebbe dovuto infatti concludersi il processo avviato nel 2001, quando il Paese asiatico entrò nel Wto accettando un periodo di osservazione di quindici anni. Oggi gli Stati Uniti fanno pressione per respingere la richiesta, e l’Europa va nella medesima direzione. Ufficialmente la politica cine-se è ancora troppo presente nella struttura produttiva per essere considerata un’economia di mercato, in realtà, visto l’evolversi della crisi nei Paesi a capitalismo avanzato, aprire adesso le porte alle merci cinesi a basso prezzo significherebbe annientare l’industria manifatturiera ancora rimasta nel Vecchio Continente. Il 12 maggio scorso dunque il Parlamento europeo ha votato a grande maggioranza (546 sì, 28 no e 77 astenuti) una risoluzione contraria, e anche la Commissione si sta allineando.

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manifesto

Gli spacciatori di eterna gioia

Benedetto Vecchi

Desideri, bisogni e stili di vita sono sottoposti a un costante lavoro di manipolazione in nome delle virtù tossiche dell’individuo proprietario. «L’industria della felicità» di William Davies per Einaudi

16clt01af01Il carnet dei suoi prodotti è vario. Spazia da pillole che mettono a tacere tutte le inquietudini a promesse di un futuro radioso dove non ci sarà posto per dolore, fame, sofferenza, ma il core business è di quelli che non lasciano indifferenti, perché è il sogno inseguito da filosofi, preti, militanti politici di ogni tipo, visto che si tratta della felicità. Merce tanto pregiata quanto scarsa da diventare un manufatto sul quale si addensano, appunto, una miriade di stimati professionisti e una moltitudine di addetti alla sua produzione. Ha il potere di un oggetto mutante del desiderio, che si adatta a ogni richiesta del singolo. E tuttavia, avverte William Davies nel libro L’industria della felicità (Einaudi, pp. 233, euro 20), è una promessa quasi sempre non mantenuta. Sta di fatto che il potere seduttivo dell’industria della felicità sta nelle aspettative, sempre deluse, che continua ad alimentare.

Davies passa al setaccio secoli di filosofia, psicologia e tecniche di marketing in un confronto minuzioso con testi dimenticati ai margini delle rispettive discipline, evidenziando però il loro potere di condizionamento sul lungo periodo. Ne emerge un saggio che può essere inserito nella variegata costellazione teorica che, tra gli anni Settanta e Novanta del secolo scorso, ha cercato di spiegare la capacità del neoliberismo di costruire un consenso ampio, facendo leva proprio sulla promessa di felicità. In questa costellazione, trovano posto sociologi, storici e economisti della new left inglese e statunitense, ambito dove si è formato Davies. Forti sono infatti gli echi delle analisi di Stuart Hall sulle capacità egemoniche di Margaret Thatcher, ma evidenti sono i riferimenti alle tesi di David Harvey sulla indubbia flessibilità e adattabilità ambientale del vangelo neoliberista.

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inchiesta

Ricostruire dal basso un sistema monetario internazionale in Europa e nel mondo

Bruno Amoroso

Amoroso 2Il mio amico e collega Jesper Jespersen mi sollecita da tempo a riprendere  insieme il progetto di Keynes sulla riforma del sistema monetario internazionale, noto come Bretton Wood. Questo nella convinzione che oggi, come allora (1944), c’è bisogno di una ricostruzione del sistema economico e monetario in Europa e nel mondo, e gli strumenti e le conoscenze necessarie per farlo sono a disposizione. Si è scelta invece la strada della moneta unica e dell’euro, imponendo un processo di integrazione economica a scapito della solidarietà sociale e del co-sviluppo tra paesi, europei e no.

Questo non vale solo per il sistema monetario. Gli squilibri economici e sociali tra l’Europa e il Mediterraneo sono noti da tempo e nel Primo Rapporto sul Mediterraneo elaborato per il CNEL nel 1991 avevamo scritto con chiarezza che l’andamento demografico dei paesi euro-mediterranei e il divario economico segnalavano con chiarezza che di li a venti anni, in assenza di nuove politiche di cooperazione (le chiamammo di co-sviluppo) tra le due sponde saremmo andati incontro al disastro attuale, di una emigrazione selvaggia da quei paesi e una ripresa generale della conflittualità tra stati europei. Fummo accusati (dalla sinistra e sindacati) di allarmismo economico.

Tuttavia quelle elaborazioni contribuirono a dar vita ad alcune spinte positive con il progetto euro-mediterraneo di Barcellona (1995) (“un’area di benessere condiviso”) interrotto poi bruscamente con l’invenzione prodiana delle “politiche di vicinato” (2004), che scambiarono il welfare condiviso con la difesa comune, trasformando una strategia di cooperazione e stabilizzazione in quella di destabilizzazione e di guerra voluta dalla NATO.

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alfabeta

Salvare il capitalismo o uscire dal suo cadavere?

Franco Berardi Bifo

richPur di imporre la regola del mercato François Hollande è pronto a tutto. Mentre la prospettiva di una ripresa economica si dissolve, la sinistra si è assunta il compito di sferrare l’assalto finale contro i lavoratori. È difficile credere che costoro non si rendano conto della devastazione che producono, è difficile credere che i dirigenti di questa sinistra la cui dote principale è il servilismo non si rendano conto che stanno preparando il peggio. L’applicazione europea del neoliberismo sotto il pugno di ferro teutonico ha prodotto tali catastrofi che una sezione crescente dell’opinione pubblica occidentale si sta convertendo all’antiglobalismo di destra, al nazionalismo razzista.

I prossimi anni saranno segnati da una triplice guerra i cui fronti rimangono confusi.

Il fronte globalista finanziario avrà forse in Clinton il suo leader, sempre che riesca a superare l’odio popolare e il trionfante Trump, al quale perfettamente si attaglia il ruolo di rappresentante dell’ignoranza razzista. Il fronte anti-globalista guidato da Trump e Putin tiene insieme un coacervo di nazionalismi in conflitto tra loro ma uniti nel tentativo di riaffermare il dominio bianco sul pianeta. E per finire il fronte terrorista raggruppa fondamentalismo islamico e necro-imprese della Gomorra globale.

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sebastianoisaia

Capitalismo cognitivo e postcapitalismo

Qualunque cosa ciò possa significare

di Sebastiano Isaia

«Come sulla fronte del popolo eletto stava scritto ch’esso era proprietà di Geova», così
l’espansione totale e capillare del rapporto sociale capitalistico imprime all’individuo
«un marchio che lo bolla a fuoco come proprietà del capitale» (Marx).

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Introduzione

La lettura del libro di Paul Mason Postcapitalismo. Una guida per il nostro futuro ha generato in me una serie di riflessioni e di suggestioni che proverò a mettere in ordine per poterle condividere con i lettori, ai quali chiedo preventivamente scusa per le ripetizioni di frasi e concetti che probabilmente troveranno nel testo che avranno la bontà di leggere, e che non sono riuscito a eliminare nella fase di correzione degli appunti.

Lo scritto che segue non vuole essere, e difatti non è, una recensione del libro di Mason ma, appunto, una “libera” – e spero non troppo confusa – riflessione sui temi affrontati o anche solo evocati dal suo autore. I frequentatori più assidui del Blog non avranno difficoltà a capire subito che si tratta di “problematiche” che non smetto di prendere di mira, cercando di approcciarle da prospettive sempre diverse. Non sempre, o meglio: solo raramente la cosa mi riesce, non ho motivo di negarlo, ma l’impegno c’è, e credo che, tutto sommato, esso vada nella giusta (radicale/umana) direzione. Certamente sbaglio, inciampo e cado di continuo, ma sempre su un terreno a me caro: l’anticapitalismo “senza se e senza ma”, in vista di «una più elevata situazione umana» (Goethe).

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megachip

Il dio che non voleva morire

Tecnica, Capitalismo e limiti del vivente

Paolo Bartolini intervista Lelio Demichelis

mg 8204 1 1100x600Prof. Demichelis, in un suo recente lavoro ha parlato espressamente di religione per definire l'impianto tecno-capitalista che governa le nostre società. Quale valenza strategica e politica riconosce a un'analisi del dominio contemporaneo centrata sulla categoria del "religioso"?

In tempi di Isis e di integralismo politico-religioso potrebbe sembrare fuori luogo parlare e scrivere di capitalismo, di tecnica e di rete come di fenomeni religiosi. Io sostengo invece che proprio il capitalismo e la tecnica intesa come apparato hanno assunto ormai forme tipicamente religiose. Utilizzando le categorie e le modalità del religioso per evangelizzare il mondo, ma nella forma tecnica e capitalista.

Se andiamo alle analisi di Michel Foucault sulla nascita del potere moderno come evoluzione del potere pastorale delle prime comunità cristiane; se (ancora Foucault) analizziamo i meccanismi psicologici e pedagogici insiti nelle discipline e poi nelle forme biopolitiche di potere e di governo (la governamentalità) degli uomini; se, ancora, guardiamo alle società di massa del '900, alle forme totalitarie di potere, al concetto di ideologia - ebbene, abbiamo la conferma di quanto le forme religiose siano ben presenti anche oggi, in tempi di apparente secolarizzazione ma soprattutto di mercato globale e di rete.

La religione classica era un sistema di rappresentazioni collettive e di pratiche ripetute che uniscono e connettono e integrano ciascuno in una comunità/gregge, legandolo al pastore che guida il gregge e sciogliendolo all'interno del gruppo; è poi un insieme di riti, miti, cerimonie, simboli che rimandano e rinviano a Dio ma soprattutto alla chiesa che lo incarna e lo interpreta.

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marxxxi

La sinistra nel gorgo occidentale

di Spartaco A. Puttini

L'articolo è stato pubblicato nel numero di maggio 2016 della rivista on line “Gramsci oggi

detrSono in molti coloro che hanno pronosticato un 2016 molto critico per l’economia italiana. La crisi di alcune banche, con il suo strascico doloroso e le prospettive fosche che ne derivano, è un ulteriore passo dell’eurocrisi in cui il nostro paese è ormai avviluppato. Il processo di integrazione europeo (e il processo di integrazione monetaria che ne rappresenta la punta apicale) sono funzionali al tentativo di ridisegnare i nuovi rapporti di forza tra le classi in questa parte del mondo dopo la fine della guerra fredda, cioè dopo la sconfitta del movimento operaio (e non solo dei paesi dell’Est, come qualcuno aveva innocentemente creduto). Il fine è consentire che il vertice della piramide sociale dreni ricchezza dalla base riprendendosi progressivamente quanto concesso nei tre decenni precedenti. Il prefisso “post”, con il quale siamo soliti designare tanti fenomeni che caratterizzano la nostra realtà, a volte, visto da vicino, sembra quasi una foglia di fico sulla macchina del tempo grazie alla quale la reazione ci ha messo in viaggio per quello che, con qualche forzatura, può essere definito un ritorno all’Ottocento.

La ristrutturazione dello spazio socio-economico a uso e profitto delle élites del grande capitale deve necessariamente far pendant con la ridefinizione di uno spazio politico che possa garantirne gli interessi.

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radicamenti

TTIP e liberoscambismo

di Lorenzo Dorato

Considerazioni sulla sovranità economica e il conflitto sociale in un contesto di economia aperta

160651617 1147d339 2132 42f2 94de 20e5539ceac8Finalmente da qualche settimana si parla anche in Italia in modo più cosciente, limitatamente, sia chiaro, ai canali informativi più di nicchia, del TTIP: il Transatlantic Trade and Investment Partnership, trattato di libero commercio in via di sottoscrizione tra Unione europea e Stati Uniti.

A grandi linee e al netto delle valutazioni quantitative specifiche, lo spirito, le intenzioni e gli obiettivi che muovono il trattato, nonché i suoi effetti distributivi sono evidenti, prevedibili e di grave portata.

Il trattato è un tassello molto rilevante di quel vasto processo di apertura indiscriminata delle economie nazionali agli scambi con l’estero avvenuto negli ultimi 30-40 anni. Per capirne la portata e le conseguenze vale dunque la pena ripercorrere brevemente la storia e la logica di tale processo.

A partire dagli anni ’70 e ’80 del ‘900 in gran parte delle aree del mondo si è realizzata una progressiva liberalizzazione dei movimenti di merci e capitali che ha privato gli Stati della sovranità sostanziale, ovvero della capacità di incidere in modo effettivo sui processi economici fondamentali interni ad un paese: la distribuzione del reddito, il sentiero di sviluppo economico e industriale prescelto, la tutela dei diritti del lavoro, dell’ambiente e del paesaggio, la scelta di un sistema tributario ritenuto equo, la difesa di principi etici considerati inviolabili. In sostanza, l’apertura indiscriminata agli scambi con l’estero mette a repentaglio, in nome della libertà economica, la libertà di uno Stato, ovvero di una collettività, di stabilire quali debbano essere i limiti alla libertà economica individuale al fine di tutelare valori ritenuti superiori: la giustizia sociale, l’uguaglianza sostanziale, la deontologia professionale, la dignità della persona, l’etica pubblica.