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La Resistenza palestinese e i movimenti antimperialisti
di Jacques Bonhomme
1. Perché la Palestina resiste
Perché la Palestina resiste? È questa la domanda che, riemersa da un vecchio titolo, si fa strada in molti di noi. Il vecchio titolo, giova ritornarci, era quello di un piccolo volumetto sulla lunga e travagliata storia anticoloniale del popolo vietnamita, scritto da Jean Chesneaux. La stessa domanda dopo sessant’anni, con altri luoghi e un altro popolo, con un popolo, quello palestinese, che già allora si specchiava in quello vietnamita, come del resto in quelli dell’Africa e dell’America latina; la stessa domanda, certo, ma con un mondo dove le restaurazioni sembrano subentrate alle rivoluzioni che allora scuotevano e percuotevano la catena imperialistica mondiale e che nella moltiplicazione dei Vietnam avevano la loro metaforica parola d’ordine. Ed è una domanda, inoltre, che avvicina i mondi complementari delle masse metropolitane dell’Occidente, disarmate dalla scomposizione tecnologica dei luoghi dell’unità di classe, e dei popoli delle periferie coloniali, anch’essi derubati dei progetti di liberazione del secolo scorso, di quei progetti che, dapprima, furono interrotti e soffocati da una controrivoluzione imperialistica mondiale e che, successivamente, o a volte contemporaneamente, vennero disarticolati dal neocolonialismo.
La domanda, quindi, riunisce umanità sfruttate, svalutate e respinte – i sottouomini di Sartre, per intendersi – e fa riascoltare voci antiche nelle nuove, apre una prospettiva sulle forze che, nei mutevoli contesti storici, ridanno costantemente vigore alle lotte antimperialistiche. Infine, questa domanda, come avviene in ogni buona filosofia, avvia un’indagine e chiede repliche e proseguimenti, e, soprattutto, non sollecita una risposta che stringa in mano elementi saldi e univoci, poiché questi, mentre gli aerei israeliani bombardano rabbiosamente i palestinesi e i loro fedayyin, non sono afferrabili.
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Un passo dopo l’altro, verso lo scontro totale tra NATO e Russia
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Che la NATO e la Russia siano in guerra aperta dal 24 febbraio di due anni fa è perfino banale. Lo è almeno per noi che dal primo momento abbiamo sostenuto che quando si dice Ucraina, si deve in realtà leggere NATO – questo, per somma sventura delle ucraine e degli ucraini convinti (sono ogni giorno di meno) di stare combattendo una guerra per la propria auto-determinazione. Altrettanto banale è che la prima fase della guerra si sta chiudendo con la secca sconfitta militare della NATO sul territorio ucraino. La Russia non ha difficoltà a tenere ed estendere le posizioni conquistate nel Donbass, e sta saggiando le difese di Kharkiv/Kharkov, la seconda città ucraina.
Non è soltanto una sconfitta militare, è una sconfitta su tutti i piani – anche se, come vedremo, tutt’altro che definitiva per la furiosa reazione del blocco occidentale. L’Ucraina come nazione è stata spinta al suicidio dai cinici oligarchi di Washington, Bruxelles e Kiev – pienamente complice l’Italia di Mattarella, Draghi e Meloni. L’Ucraina è oggi il terzo paese più indebitato al mondo con il FMI, uno stato fallito. La rete delle sue infrastrutture è a pezzi, come lo è la sua economia, inclusa la sua agricoltura un tempo fiorente, e oggi boicottata anche dai coltivatori polacchi. Gran parte delle sue fabbriche – parliamo di quelle scampate ai bombardamenti di Mosca – sono state private di personale, quindi disorganizzate, per le imperiose esigenze del reclutamento. Tant’è che si comincia a parlare di “spingere le donne e i bambini” (sì, i bambini) verso le fabbriche a corto di personale. Le perdite di soldati al fronte sono spaventose. La sempre più estesa fuga dal reclutamento rende ormai difficilissimi il rimpiazzo e la turnazione dei soldati esausti.
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Il prossimo Novus Ordo Seclorum: il cambiamento è necessario, non c’è scelta!
di Alastair Crooke
Durante una visita a Oxford alcune settimane fa, Josep Borrell, l'Alto Rappresentante dell'UE, ha fatto un'osservazione interessante: "La diplomazia è l'arte di gestire i doppi standard". Walter Münchau ha illustrato l'ipocrisia intrinseca di questo concetto, confrontando l'entusiasmo con cui i leader dell'UE hanno sostenuto la decisione della Corte Penale Internazionale di emettere un mandato di arresto contro Putin lo scorso anno e "il rifiuto di accettarla quando colpisce un membro del proprio team" (cioè Netanyahu).
L'esempio più eclatante di questo doppio standard riguarda la gestione occidentale delle realtà create. Un doppio standard – una 'narrazione' di noi che 'vinciamo' – viene costruito e poi contrapposto a una narrazione di 'loro che falliscono'.
L'uso della creazione di narrazioni di vittoria (invece di ottenere effettivamente la vittoria) può sembrare piuttosto astuto, ma l'incertezza che causa può avere conseguenze potenzialmente disastrose. Ad esempio, le minacce deliberatamente confuse del Presidente Macron di inviare forze NATO a servire in Ucraina – che hanno solo contribuito a preparare la Russia per una guerra più ampia contro tutta la NATO, accelerando le sue operazioni offensive.
Invece di scoraggiare – come probabilmente intendeva Macron – ha portato a un avversario più determinato, con Putin che ha avvertito che la Russia eliminerebbe qualsiasi 'invasore' della NATO. Non è stato così astuto, dopo tutto...
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Che cosa significa essere umani?
di Marco Rovelli
Vittorio Gallese e Ugo Morelli: Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente, Raffaello Cortina Editore, 2024
Che cosa significa essere umani? Partiamo da qui, da questa domanda capitale, perché quel punto interrogativo non è retorico, ma fondativo. Il libro pone molte domande, e a nessuna pretende di rispondere in maniera conclusiva: nella densità del testo a ogni pagina, a ogni questione, si dipartono altre vie, altre domande. Essere umani, del resto, è una domanda aperta: l'ente che chiamiamo umano, infatti, consiste in una radicale dimensione di apertura al mondo. E a farlo consistere in quanto umano, c'è proprio il fatto di essere un produttore di significati: l'umano è l'animale che si chiede “che cosa significa essere umani?”.
Vittorio Gallese, neuroscienziato che negli anni novanta fu parte del team che scoprì i neuroni specchio, e Ugo Morelli, psicologo e studioso di scienze cognitive, hanno scritto a quattro mani questo testo che suona come il precipitato di un comune itinerario di conoscenza e riflessione, nella distinzione delle rispettive competenze e attività, e si pongono la domanda sull'umano incrociando differenti saperi nell'ottica della complessità, con una scrittura a un tempo rigorosa e divulgativa: insomma, mettono a disposizione di un ampio pubblico di lettori il modo in cui i saperi neuroscientifici, psicologici e filosofici cercano di far luce sulla “natura umana” in una prospettiva evolutiva.
Spesso, nel senso comune, le neuroscienze appaiono come la frontiera del riduzionismo: scopriamo i meccanismi del cervello, si pensa, e scopriremo le fondamenta dell'umano, che a quei meccanismi neurali possono tutti quanti essere ricondotti – come molti auspicavano sarebbe stato per il DSM-5 del 2015 – l'ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali –, ovvero realizzare una mappatura dei cosiddetti disturbi mentali in relazione al loro fondamento neurobiologico – tentativo fallimentare, ma che testimonia di una tendenza persistente e centrale della nostra cultura e della nostra contemporaneità.
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I rischi di una “escalation controllata” con la Russia
di Gianandrea Gaiani
Non sono certo mancati gli sviluppi dopo gli “incoraggiamenti” formulati la scorsa settimana dal segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, nei confronti degli stati membri dell’alleanza affinché consentano l’impiego delle armi a raggio più esteso donate a Kiev anche contro obiettivi situati sul territorio russo.
Lo stesso Stoltenberg ha precisato che la decisione spetta ai singoli stati. “Non si tratta di decisioni della NATO sulle restrizioni. Alcuni alleati non hanno imposto restrizioni sulle armi che hanno consegnato. Altri lo hanno fatto. Credo che sia giunto il momento di prendere in considerazione tali restrizioni, anche alla luce degli sviluppi della guerra”, ha proseguito.
“Inoltre, dobbiamo ricordare che questo non rende gli alleati della NATO parte del conflitto. Abbiamo il diritto di fornire supporto all’Ucraina per aiutarli a sostenere il diritto all’autodifesa“, ha precisato senza per spiegare perché rilasci così tante dichiarazioni a proposito di un tema che non coinvolge decisioni della NATO, come lui stesso afferma, e soprattutto in base a quali elementi possa negare che consentire a Kiev di colpire il territorio russo con le nostre armi costituisca un ulteri0re coinvolgimento delle nazioni aderenti alla NATO nel conflitto.
Una sorta di “escalation controllata” che non è detto risulti controllabile, anche tenendo conto il contemporaneo invio di istruttori e consiglieri militari francesi (e forse anche di altre nazioni europee) in Ucraina. A dar man forte al segretario generale, che nel recente summit di Praga ha chiesto 40 miliardi di euro di aiuti militari annui a Kiev, sono scesi in campo l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
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La società dei codardi
di Nestor Halak
Mi trovo spesso a guidare lungo una strada accanto a una scuola che è piuttosto difficile da percorrere perché sovente ostruita da numerosissime auto, parcheggiate ovunque, di solito con una sola persona a bordo ad aspettare. Si tratta dei genitori (genitore uno oppure due ma forse possono essere tre) o chi per loro, degli studenti che si sentono obbligati e probabilmente lo sono davvero, ad andare a prendere i figli all’uscita per evitare i terribili pericoli che il percorso fino a casa comporta per dei minorenni non protetti. Io che ho frequentato le scuole negli anni 60/70 quando la società era barbara e primitiva e questo salvifico uso non era ancora invalso, lo so bene chi incontravo per strada.
Si assume infatti che le nostre città siano sommamente insicure anche per i grandi, ma per i giovani i rischi sono ancora maggiori e la televisione e la rete ce li ricordano di continuo: i pedofili, gli spacciatori, gli assassini e i maniaci sempre in attesa con la bava alla bocca, il traffico che sfreccia a trenta all’ora rischiando di investire i pargoli, l’inquinamento dell’aria che gli avvelena i polmoni, i bulli sempre pronti a colpire nei momenti in cui non c’è sorveglianza, i minorenni che per definizione sono un pericolo per loro stessi, almeno finché non scatta il fatidico calendario e allora diventano magicamente coraggiosi e responsabili.
Chi mai li sorveglierebbe in questo spazio vuoto dalla casa alla scuola se fosse loro permesso di percorrerlo in autonomia, senza neppure, che so, il maestro di danza? Certo, ognuno di loro ha un telefonino, costantemente connesso alla rete, ma sfortunatamente i pargoli sono poco propensi a rimanere in collegamento con i genitori (o magari con la polizia), sovente sono più portati a fare giochini sparatutto o pettegolezzi sui social, per cui restano pericolosi spazi di vuoto anche di interi minuti.
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La strategia del calcio al barattolo
di Enrico Tomaselli
Si è più volte detto, su queste pagine, che gli Stati Uniti – e la NATO – hanno affrontato il conflitto con la Russia in Ucraina, con una idea di massima di ciò che si aspettavano di ricavarne, ma senza una vera e propria strategia (a tutto campo, non solo militare) per conseguirlo. C’è chi ha lamentato l’assenza di un piano B, ma in effetti il vero problema è stato, ed è, l’assenza di un piano A… Si è più volte, e da più parti, esaminato questo aspetto, cercando di comprenderne le ragioni – che, in ultima analisi, si possono riassumere in una singola questione: sottovalutazione del nemico, e sopravvalutazione di sé.
Qualora l’obiettivo fosse stato il disaccoppiamento tra Europa (Germania) e Federazione Russa, ciò non poteva che intendersi come funzionale all’indebolimento di entrambe, me è fin troppo evidente che questo disegno ha funzionato soltanto a metà: ha colpito gli amici, ma ha solo scalfito il nemico. Per di più, secondo la fondamentale logica imperiale del divide et impera, si è rivelata addirittura controproducente: a seguito del conflitto, infatti, si è determinata una saldissima alleanza tra tutti i principali paesi ostili agli USA, e in particolare – cosa assai più rilevante – tra Russia e Cina.
Escludendo che qualcuno, a Washington, abbia mai potuto pensare di sconfiggere la Russia sul campo di battaglia, e per di più usando il proxy ucraino, l’unico obiettivo militare che si potesse realisticamente prefiggere l’occidente collettivo era quello del logoramento. Impegnare Mosca in un conflitto abbastanza duraturo, e abbastanza duro, tale da costringere il nemico a consumarvi una quota significativa del proprio capitale umano, industriale ed economico.
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Il sé mutante. L’estrusione della politica in Kafka
di Fabrizio Sciacca
Cosa sappiamo davvero di Kafka a cento anni dalla sua morte? Qual è il vero significato della metamorfosi di Gregor Samsa? E in che modo si relaziona con i concetti di libertà e pace? In occasione del centenario della morte di Kafka, un estratto di Franz Kafka e la sfinge del potere di Fabrizio Sciacca, per indagare sempre più a fondo i labirinti del pensiero kafkiano.
Nur dein Nichts ist die Erfarung,
Die sie von dir haben darf.
Solo il tuo nulla è l’esperienza
che il tempo può avere di te. [1]
«Mutando riposa»
In Kafka, come tra Kafka e il K. del Processo o del Castello, non si ha una dicotomia soggetto/oggetto [2]. Non un linguaggio narrativo; non una scrittura descrittiva, ma espressiva [3]. La negazione di questa dicotomia trova conferma in una prosa priva di psicologismi. L’esempio più chiaro è nella Metamorfosi: «Gregorio Samsa, svegliandosi una mattina da sonni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo [zu einem ungeheueren Ungeziefer verwandelt]. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando a poco a poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta del letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi» [4].
Sappiamo innanzitutto dallo stesso Kafka che l’idea del racconto e il racconto stesso scaturiscono davvero da penose notti insonni. A Felice riferisce: «dovrò […] scrivere un breve racconto che mi è venuto in mente a letto nella mia pena [in dem Jammer] e incalza dentro di me [mich innerlichst bedrängt]» [5].
L’esempio della Metamorfosi è emblematico per l’assenza della dicotomia tra soggetto narrante e oggetto narrato. Leggere di questo corpo troppo grande e inutile di Samsa-insetto, è come rileggere di Kafka-figlio quando, nella Lettera al padre, parla esplicitamente di sé stesso: così come, attraverso Samsa, Kafka ne parla implicitamente. ‘Samsa’ e ‘Kafka’ presentano due elementi paronimici, s/k e m/f.
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NATO: gli stolti di Stoltenberg
di Gaetano Colonna
Nel comunicato finale della Assemblea Parlamentare della NATO, tenutasi a Sofia dal 24 al 27 maggio scorso, si auspica «l’abolizione di alcune restrizioni sull’uso di armi fornite dagli alleati della NATO per colpire obiettivi legittimi in Russia».
Finora, infatti, gli attacchi ucraini contro obiettivi in Russia sono stati in gran parte limitati alla vicina città di Belgorod, nel raggio d’azione dei missili costruiti dall’Ucraina, anche se la Russia ha dichiarato che armi statunitensi sono già state utilizzate ripetutamente per colpire il suo territorio.
In questa occasione, la NATO, come ripetutamente affermato dal suo oramai decennale segretario generale, Jens Stoltenberg, ha chiesto alle potenze occidentali di permettere all’Ucraina di utilizzare i missili Storm Shadow, SCALP, Taurus e ATACMS, forniti dalla NATO, per colpire obiettivi in profondità nella Russia.
La NATO di Stoltenberg
Dopo che il ministro degli Esteri britannico David Cameron ha dichiarato che l’Ucraina potrebbe usare i missili britannici Storm Shadow per attacchi sulla Russia, il ministero degli Esteri russo ha convocato l’ambasciatore britannico Nigel Casey, ed ha avvertito che la Russia avrebbe potuto rispondere colpendo obiettivi in Gran Bretagna.
Il 27 maggio scorso, durante un vertice a Meseberg, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron hanno anch’essi entrambi chiesto che l’Ucraina possa colpire la Russia con missili della NATO. Macron ha dichiarato:
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Ucraina/Gaza: Un po’ d’ordine nella situazione globale
di Piero Bevilacqua
Le sorti della guerra in Ucraina
Non lasciamoci fuorviare dai proclami e dalle irresponsabili dichiarazioni di guerra mondiale da parte di dirigenti della Nato, dai politici-pubblicitari e dai giornalisti padronali a pieno servizio. La “guerra americana” in Ucraina è perduta. Le nuove armi messe a disposizione dagli USA e dalla Nato non cambieranno le condizioni sul campo di battaglia. Come ha ricordato Putin in una intervista di qualche mese fa, in previsione di questa escalation: «ci faranno del male, certamente, ma non cambieranno le sorti del conflitto». I missili che colpiranno obiettivi in territorio russo produrranno morte e distruzione in questo o in quel luogo, ma l’esercito russo proseguirà il suo corso sul fronte ucraino. Il popolo russo è abituato a sopportare ben altre sofferenze. Gli attacchi occidentali avranno l’effetto di rinserrare i ranghi della popolazione e di renderla più impegnata nei compiti di produzione e difesa, rinsaldando lo spirito nazionale e il consenso a Putin e all’attuale classe dirigente.
Ricordiamo che la mira fondamentale degli USA e dei suoi alleati è, come voleva l’istituto di studi strategici USA Rand Corporation, in un rapporto del 2019, “Sovraccaricare e destabilizzare la Russia” con una lunga guerra di logoramento. Prospettiva a cui Mosca si è prontamente preparata, evitando di ripetere gli errori dell’Unione Sovietica, che era arrivata a impiegare il 13% del PIL in spese militari (finendo coll’implodere), e indirizzando l’economia verso lo sviluppo di tecnologie a doppio uso, bellico e civile e destinando solo il necessario alle spese di guerra. Non a caso di recente Putin ha sostituito il ministro della Difesa Sergei Shoigu, un militare, con un abile economista, Andrei Belousov. Nel frattempo le relazioni economiche russe si sono quasi tutte spostate verso le regioni dell’Asia e soprattutto della Cina, oltre che verso l’Africa e l’America Latina.
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Complessità e ambiente. Perché non siamo all’altezza della sfida
di Riccardo Leoncini
Abstract. Viviamo in un mondo non lineare, ma pensiamo in modo lineare. L’esistenza di una retroazione negativa dovrebbe garantire che un sistema, di fronte a una perturbazione, si stabilizzi in maniera endogena grazie alle forze che innesca. In questo modo, comportamenti prevedibili sono il risultato “naturale” di ogni possibile perturbazione che colpisce il sistema. Tuttavia, l’esistenza di retroazioni positive, lungi dal costringere il sistema a gravitare intorno all’equilibrio, è più probabile che porti in disequilibrio il sistema e contribuisca a tenerlo lontano da esso.
Le seul véritable voyage […] ce ne serait pas d’aller vers de
nouveaux paysages, mais d’avoir d’autres yeux, de voir
l’univers avec les yeux d’un autre, de cent autres, de voir les
cent univers que chacun d’eux voit, que chacun d’eux est
Marcel Proust, La Prisonnière
El hombre es disipación […] y el miedo a la disipación
Juan Carlos Onetti, Juntacadaveres
Introduzione
Viviamo in un mondo non lineare, ma pensiamo in modo lineare. Non riusciamo a capire che per percorrere 100 km, aumentare la velocità della nostra automobile da 60 a 80 km/h consentirà un risparmio di 25 minuti di tempo di viaggio, mentre aumentando di altri 20 km/h fino a 100 km/h non otterremo la stessa riduzione del tempo di viaggio, ma una riduzione minore.[1]
Viviamo in un mondo non lineare, ma pensiamo in modo lineare. Se oggi il bilancio della Covid-19 fosse di 1.000 persone infette, domani ci aspetteremmo poco più di 1.000 persone, perché non siamo in grado di pensare in termini esponenziali.[2]
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La guerra russo-ucraina: l’allargamento del fronte
La quinta battaglia di Kharkov
di Big Serge
Ci sono alcune regioni del mondo che sono sembrate destinate per il crudele capriccio della geografia e del caso a essere perenni campi di battaglia. Spesso queste terre travagliate si trovano al crocevia di interessi imperiali, come nel caso dell’Afghanistan o della Polonia, che hanno visto tante volte il passaggio di eserciti che andavano di qua o di là, oppure sono semplicemente afflitti da forme di governo perennemente instabili o da turbolenti conflitti etnici. A volte tuttavia è la logica peculiare delle operazioni militari a portare la violenza nello stesso luogo, ancora e ancora. Una di queste note vittime è la grande città industriale di Kharkov, nel nord-est dell’Ucraina.
Fondata originariamente come modesta fortezza nel XVII secolo, Kharkov era destinata a giocare un ruolo insolito nella Seconda Guerra Mondiale. La città divenne una sorta di simbolo della frustrazione per gli eserciti sovietico e tedesco in guerra: era il luogo che entrambi gli eserciti volevano raggiungere, ma che sembrava non riuscissero del tutto a conquistare e mantenere. Nel 1941 la città fu conquistata nelle fasi declinanti della colossale invasione tedesca dell’URSSi, e venne occupata durante l’inverno. Nel 1942 i dintorni della città divennero teatro di un’enorme battagliaii quando i tedeschi progettarono di lanciare un’offensiva da Kharkov proprio nello stesso momento in cui l’Armata Rossa pianificava un’offensiva verso di essa. L'anno successivo, la città fu per breve tempo riconquistata dall'Armata Rossa mentre inseguiva le armate tedesche in ritirata lontano da Stalingrado, prima di passare nuovamente di mano dopo un rapido contrattacco tedescoiii. Infine, alla fine dell’agosto 1943, i sovietici ripresero definitivamente la città mentre iniziavano il loro inarrestabile slancio verso Berlino.
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Le “relazioni pericolose” di Ursula Von der Leyen
di Jean-Pierre Page*
Tra circa due settimane ci saranno le elezioni europee. Per i popoli e i lavoratori, l’Unione Europea (UE) è al cuore di una crisi profonda e il loro divorzio si è ormai ampiamente consumato. Il 16 maggio a Montauban in una riunione di militanti della CGT in Tarn et Garonne, Jean-Pierre Page ha parlato in un intervento di Unione Europea, di estrema destra, di fascistizzazione e dei nuovi rapporti di forza internazionali.
* * * *
La credibilità politica, economica, sociale e culturale delle istituzioni europee ha regredito considerevolmente. Sono emerse divisioni e spaccature sempre più numerose tra i Paesi membri, in tutti i settori: il sociale, la sicurezza, i rifugiati, quello economico e monetario, ecc.
La corruzione, grazie a migliaia di lobby, colpisce la Commissione di Bruxelles e il suo Presidente quanto il Parlamento stesso. l’UE per esistere cerca di compensare il suo funzionamento antidemocratico ricorrendo all’autoritarismo e attaccando le libertà fondamentali.
Come abbiamo visto in Ucraina, in Medio Oriente e nei confronti della Cina, il suo servilismo nei confronti degli Stati Uniti dà la misura di come questa crisi esistenziale derivi dalla natura stessa dell’Unione.
Come ai loro inizi, le istituzioni europee continuano a sviluppare un legame stretto con le forze politiche più retrograde dell’estrema destra neofascista. L’UE sta crollando sulle sue fondamenta, è isolata e non c’è modo di scommettere sul suo futuro. In realtà, non ha prospettive, e il peggio deve ancora arrivare.
D’altra parte, questo innegabile sviluppo dell’Europa non è indifferente o separato agli inizi di un cambiamento significativo negli equilibri di potere nel mondo a cui stiamo assistendo: anzi, quest’evoluzione ne è un elemento rivelatore.
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LombarDie: morte di una regione
Miserie e malesseri della “regione più ricca d’Italia”
di Ilaria Padovan e Graziano Gala
Ogni anno, puntuali, le classifiche. La narrazione è la solita: un luogo dinamico, ricco, desiderabile. Un’autentica occasione: il mercato del lavoro lombardo è un polo di attrazione a livello nazionale e, negli ultimi decenni, internazionale, stando al Rapporto Lombardia 2023 – pigro e ingrato chi pensa il contrario. A parlare bastano i dati: Milano si riconferma tra le prime dieci nella classifica sulla qualità della vita stilata dal Sole24Ore, la Brianza si distingue per operosità e ricchezza, la regione traina l’economia nazionale rappresentandone il 20% del PIL.
È sufficiente per ignorare i problemi globali che la interessano? Secondo un’intervista rilasciata a Milano Correre da Manfredi Catella, presidente del gruppo immobiliare COIMA, leader nell’investimento, sviluppo e gestione di patrimoni immobiliari per conto di investitori istituzionali, c’è troppo pessimismo: dovremmo gloriarci, anzi, del fatto che la Lombardia è una regione che riesce ad attrarre gli investimenti. Eppure, a volerle vedere bene, le classifiche, esistono anche ben altri primati. Dimenticarsi “dei deboli, dei fiacchi e dei vinti che levano braccia disperate” (G. Verga, Introduzione al ciclo dei vinti, Treves, 1881) è facile, forse troppo. Da qui la necessità di rivalutare Milano, cuore pulsante dell’illusione, e un’intera regione che fino ai suoi confini risulta ammalata per scongiurare pericolose proiezioni che, noi per primi, speriamo fallaci.
Più che una città, un prodotto di consumo
Milano capitale morale, della finanza, dell’economia, della moda, del design. Nell’immaginario comune la città è l’emblema di quelli che ce l’hanno fatta. Anzi, di più: l’unico luogo plausibile al farcela, soprattutto dopo la campagna Expo 2015 che ha ripulito la città dal caratteristico grigio di nebbia e asfalto per far risaltare ancora meglio la sua attrattività (si veda L. Tozzi, L’invenzione di Milano, Cronopio, 2023).
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Finale di partita degli Stati Uniti in Ucraina
Guerra senza fine, amen
di Patrick Lawrence per Strategic-culture
Cosa succede quando una nazione potente non può permettersi di perdere una guerra che ha già perso?
Sono ormai trascorsi due anni e mezzo da quando Mosca ha inviato due progetti di trattato, uno a Washington e uno alla NATO a Bruxelles, come proposta di base per colloqui di un nuovo accordo sulla sicurezza: un rinnovamento delle relazioni tra l’alleanza transatlantica e la Federazione Russa..Una ristrutturazione urgentemente necessaria, bisogna subito dire. E poi dobbiamo anche aggiungere l’immediato rifiuto da parte del regime di Biden delle proposte della Russia in quanto “neppure considerate” più velocemente che pronunziare “illusi”. Fermiamoci un attimo per rammentare tutti coloro che sono morti nella guerra scoppiata in Ucraina un anno e pochi mesi dopo che Joe Biden aveva rifiutato, o addirittura deriso, l’onorevole iniziativa diplomatica di Vladimir Putin. Tutti i mutilati e gli sfollati, tutti i paesi e le città distrutti, tutti i terreni agricoli trasformati in paesaggi lunari. E l’accordo di pace quasi completo, negoziato a Istanbul poche settimane dopo l’inizio della guerra che Stati Uniti e Gran Bretagna si sono affrettati a far naufragare. E ovviamente tutti i miliardi di dollari, qualcosa più dei 100 miliardi di dollari attuali, non spesi per migliorare la vita degli americani, ma spesi invece per armare un regime di Kiev che ruba gli aiuti in modo stravagante mentre schiera un esercito di sedicenti neonazisti. È utile ricordare queste cose perché danno un contesto a una serie di sviluppi recenti che è importante capire, anche se i nostri media di sistema scoraggiano tale comprensione. Se teniamo a mente la storia recente, saremo in grado di vedere che le decisioni viscosamente irresponsabili di un paio di anni fa, così dispendiose in vite umane e risorse comuni, si ripetono ora in modo tale che è ormai certo che le brutalità e gli sprechi continueranno all’infinito, anche se la loro inutilità è ormai molto, molto, molto oltre ogni negazione.
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Sorveglianza e interferenza. La guerra segreta di Israele alla Corte Penale Internazionale
di Giacomo Marchetti
“Alti funzionari del governo e della sicurezza israeliani hanno supervisionato un’operazione di sorveglianza durata nove anni che ha preso di mira la CPI e i gruppi per i diritti dei palestinesi per cercare di ostacolare un’indagine sui crimini di guerra”. La rivelazione arriva da un’indagine congiunta di Yuval Abraham e Meron Rapoport, di Local Call +972, In collaborazione con Harry Davies e Bethan McKernan del The Guardian.
Da quanto emerge dall’inchiesta l’operazione “multi-agenzia”, che risale al 2015, ha visto la comunità di intelligence israeliana sorvegliare regolarmente l’attuale procuratore capo della Corte Karim Khan, il suo predecessore Fatou Bensouda e decine di altri funzionari della CPI e delle Nazioni Unite.
L’intelligence israeliana ha anche monitorato il materiale che l’Autorità Palestinese ha presentato all’ufficio del procuratore e ha sorvegliato i dipendenti di quattro organizzazioni palestinesi per i diritti umani le cui denunce sono al centro dell’indagine.
Secondo le fonti dei giornalisti, “l’operazione segreta ha mobilitato i più alti rami del governo israeliano, la comunità dei servizi segreti e i sistemi legali civili e militari al fine di far deragliare l’indagine”.
Di fatto, l’intero apparato di potere israeliano.
Le informazioni di intelligence ottenute attraverso la sorveglianza sono state trasmesse a un gruppo segreto di avvocati e diplomatici del governo israeliano, che si sono recati all’Aia per incontri riservati con funzionari della Corte penale internazionale nel tentativo di “fornire a [il procuratore capo] informazioni che le avrebbero fatto dubitare delle basi del suo diritto di occuparsi di questa questione”.
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Ma tu quando piangi?
Anna Stefi in dialogo con Pietropolli Charmet
Violenti, ritirati, aggressivi, fragili, spaventati, indecisi: con un misto di preoccupazione e rassegnazione i discorsi mettono in primo piano il malessere dei giovani. Inauguriamo, con una conversazione con Gustavo Pietropolli Charmet, che non ha bisogno di presentazioni, uno speciale dedicato a questo disagio nominato, commentato, discusso.
* * * *
Stefi: Professore, partiamo dall’agio? Quali risorse incontra nella clinica, ascoltando gli adolescenti di oggi?
Pietropolli Charmet: Un’osservazione che faccio di frequente è che mi sembra che, soprattutto i maschi, siano molto più intelligenti di quelli che incontravo una volta, e rispetto a questo avrei avanzato un’ipotesi: mi pare che alla liberazione dei costumi sessuali abbia fatto seguito la liberazione di una intelligenza nella sua concezione più vasta, che rende il primo colloquio con un adolescente qualcosa che rivela una plus dotazione. I primi colloqui sono particolarmente nutrienti per un terapeuta che non abbia riferimenti rigidi e che si lasci incantare dalle capacità narrative, creative, espressive, relazionali anche un po’ misteriose e affascinanti.
Stefi: Come se, con la messa in questione dell’immagine di uomo potente, la domanda non fosse più: come si fa a esser uomo ma cosa vuol dire essere un uomo?
Pietropolli Charmet: Mi sembra qualcosa di possibile, mi sembra cioè che tolto il tappo della rimozione, della repressione, e anche della concentrazione sugli aspetti della aggressività e della conflittualità, della contestazione con la legge e con la regola – con il padre, con Dio, con tutto – possano dedicarsi maggiormente ad altri aspetti. Qualitativamente era raro, anzi, era quasi entrato nella psicopatologia l’adolescente plus-dotato.
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Intervista a Fabio Vighi
a cura di Offline
Offline: A seconda dei punti di vista, se cioè favorevoli o sfavorevoli al sistema, si parla ultimamente – riferendosi al futuro (anche molto prossimo, praticamente presente) – di distopia o utopia (digitalizzazione, città 15 minuti, credito sociale, intelligenza artificiale etc). A tuo parere, verso quale direzione ci stiamo avviando? Rimanendo inalterata la struttura sociale di fondo, dove approderemo? Quali sono i destini del nostro mondo, fra 100, 500, 1000 anni, domani? Ti chiediamo questo perché crediamo che, nonostante tutto, forse non è scontato che si finisca nel baratro, sociale o ecologico che sia – o almeno non tutti, e non nello stesso modo. Il sistema potrebbe in qualche modo riuscire a mantenere uno standard di sopravvivenza, qualitativamente basso (anche molto basso) per molti e alto (anche molto alto) per pochi, e chi sta sotto, resta sotto (magari ipercontrollato, con tecnologie di ultima generazione e molto efficaci) e chi sta sopra, resta sopra, continuando a fare quella dorata vita idiota cui sembra aspirare e devastando il mondo quanto più possibile. Qual è la tua opinione al proposito?
Fabio Vighi: Penso che stiamo vivendo un lento collasso socioeconomico accompagnato da vari fantasmi escatologici, che serviranno a renderlo più appetibile, per così dire. Il fantasma escatologico, cioè la minaccia di un evento cataclismico capace di azzerare o quasi la vita umana, è incluso nel prezzo che ci fanno pagare, fa parte del gioco. Questo dovrebbe averci insegnato la psico-pandemia. Più diventeremo schiavi del capitalismo dell’ultra-finanza, specie a livello di indebitamento, più continueranno a sbocciare visioni di tipo distopico-apocalittico. Sembra quindi inutile speculare su quando o come finirà il capitalismo, perché ogni fantasma della fine è incorporato nel sistema, così come lo è nella cinematografia hollywoodiana. Il fantasma escatologico è pura deterrenza. Serve a indorare la pillola dell’inevitabile stagnazione e imbarbarimento della civiltà capitalistica.
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In Nuova Caledonia, la Francia sta per perdere un altro dominio coercitivo e di sfruttamento neocoloniale
di Enrico Vigna
Nuova Caledonia in rivolta, per la Francia, la posta in gioco è alta. Le conseguenze e i danni collaterali e geopolitici nella regione sono già visibili, si sta frantumando la presenza e il ruolo opprimente della potenza europea
La scorsa settimana in Nuova Caledonia, un’entità amministrativo-territoriale sotto dominio francese, situata nell’Oceano Pacifico e formata da una grande isola omonima e un gruppo di piccole isole nel Pacifico sud-occidentale, in Melanesia, sotto la direzione del Fronte di Liberazione Nazionale Kanaco Socialista, sono scoppiate, prima pacifiche e poi violente proteste, causa una repressione inaudita e inutile da parte delle forze speciali francesi, inviate da Parigi.
Le proteste sono partite mentre l’Assemblea nazionale francese stava discutendo un emendamento alla Costituzione, volto ad allargare le liste elettorali sull’arcipelago, ma toccano anche una serie di questioni legate alla situazione locale, che riguardano le istituzioni locali, la cittadinanza neocaledoniana e l'organismo elettorale, nonché le disuguaglianze, le misure economiche e finanziarie. Va ricordato che la Nuova Caledonia è al terzo posto nel mondo nell'estrazione del nichel, ma l'economia dell'arcipelago è in crisi perenne, e il 20% dei suoi abitanti vive al di sotto della soglia di povertà. La proposta di emendamento ha portato a movimenti di protesta di massa nella capitale Noumea e a una spirale di scontro, che ha portato all’uccisione di almeno sette persone e decine di feriti. Questo ha scatenato violenze, barricate, assalti a negozi, aziende e infrastrutture pubbliche, che sono stati danneggiati o distrutti. La Francia ha dichiarato lo stato di emergenza, levato nei giorni scorsi, tranne la notte dove vige il coprifuoco, e inviando ulteriori forze di sicurezza.
Dopo il referendum del 2021, che aveva respinto l'indipendenza, ma causa il boicottaggio da parte del movimento indipendentista, l'obiettivo del governo era quello di determinare il nuovo status della Nuova Caledonia all'interno della Repubblica francese.
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La distruzione delle università di Gaza
di Michele Sisto
Tra gli aspetti più rivelatori del genocidio in corso a Gaza c’è quello che l’ONU definisce scolasticidio e alcuni studiosi educidio: la distruzione sistematica di scuole e università.
Non è la prima volta. Come scrive Norman G. Finkelstein, nel 2008-2009 «nel corso dell’operazione Piombo Fuso Israele ha distrutto o danneggiato 58.000 abitazioni (6.300 sono state completamente distrutte o hanno subito gravi danni) e 280 tra scuole e asili»: tra questi ultimi «6 edifici universitari sono stati rasi al suolo». E Max Blumenthal ha descritto come, durante il «venerdì nero» del 2 agosto 2014, l’aviazione israeliana ha bombardato gli uffici amministrativi e il Dipartimento di Inglese dell’Università Islamica di Gaza.
Dal momento che Israele impedisce ai giornalisti l’accesso alla striscia di Gaza e uccide i giornalisti palestinesi che soli potrebbero documentare la distruzione, è difficile raccogliere informazioni precise su quanto è accaduto. Fin da ottobre, tuttavia, si potevano vedere sui social media le immagini del bombardamento dell’Università Islamica di Gaza e dell’Università Al-Azhar, e più tardi quelle dell’abbattimento dell’Università Al-Israa (a proposito del quale i giornalisti hanno chiesto al governo degli Stati Uniti una presa di posizione, mettendo in imbarazzo il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller). Da novembre, poi, sono apparse le prime denunce, su organi di stampa specialistici come «University World News» o generalisti come il «Guardian».
Solo il 20 gennaio 2024, però, dopo quattro mesi dall’inizio della campagna dell’IDF, un’organizzazione non governativa con sede a Ginevra, Euro-Mediterranean Human Rights Watch, ha pubblicato i risultati di un’indagine che consentiva di fare un primo un bilancio dell’entità della distruzione. Poiché per mesi la stampa internazionale, da «Al-Jazeera» al «manifesto», ha fatto riferimento a queste cifre, le uniche disponibili, vale la pena citare qualche brano del documento (le traduzioni, di questo e dei successivi brani, sono mie).
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Sette mesi dopo il 7 ottobre
di Nicola Casale
È venuto fuori un papiello infinito. Chi lo legge si dovrà armare di molta pazienza. Le questioni trattate, purtroppo, non sono di semplice soluzione e coinvolgono una serie di altre questioni che è difficile lasciare fuori. Spero almeno che sia di facile comprensione. Di questa, ovviamente, risponde solo chi lo ha scritto...
A più di sette mesi dal 7 ottobre, a che punto siamo in Palestina? Per rispondere bisogna guardare l’aspetto militare, ma non limitarsi a esso. Quella in atto è, davvero, guerra senza limiti. Non si combatte solo sul piano militare ma coinvolge tutti gli aspetti politici, economici, sociali, culturali, ecc. Inoltre, mai come adesso è chiaro a tutti come questo scontro si inserisce in uno molto più ampio che interessa l’Asia Occidentale e il mondo intero. Merita, inevitabilmente, lungo spazio.
Prima di tutto è obbligatorio fare una premessa su Hamas, su cui si sono concentrate molte attenzioni. Chi difende Israele la definisce integralista islamica e terrorista e ritiene la reazione di Israele al 7 ottobre una legittima difesa contro di essa, invocando il diritto degli ebrei di difendersi da chi li vorrebbe vittime di un nuovo Olocausto. Ma anche tra molti che difendono i palestinesi, le prese di distanza da Hamas sono molteplici: pedina di Israele, integralista islamica, reazionaria, espressione della borghesia palestinese, ecc. Due parole su Hamas sono, perciò, indispensabili.
Prendiamo in esame la tesi che la ritiene una pedina di Israele, molto diffusa tra i complottisti. Si può vedere, a titolo di esempio un articolo di Thierry Meyssan che oltre a sostenere che Hamas sia usata da Israele è anche protetta dagli inglesi. Meyssan non è tra i complottisti più accaniti, ma proprio per questo è un esempio particolarmente utile. Il complottista talvolta scopre notizie di una qualche utilità, dopo averle, però, ripulite dai fantasiosi contesti in cui le colloca. Perché fantasiosi? Perché i complottisti sono, per lo più, affetti dalla tipica patologia di infantilismo. Spieghiamo.
Un bambino percepisce (o se si vuole, comprende) di avere con il mondo esterno un rapporto di totale dipendenza, ma anche di totale impotenza.
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Attacco ucraino a un elemento chiave della difesa nucleare russa
La complicità di Washington minaccia l'intera architettura di sicurezza nucleare globale
di Mike Whitney
Anticipiamo la pubblicazione di questo articolo, dato che giungono da varie fonti notizie di altri attacchi UAV contro altre postazioni della catena di radar di allarme precoce. Provvederemo ad aggiornarvi non appena in possesso di informazioni verificate e maggiormente dettagliate.
Il “pesante coinvolgimento di Washington nel conflitto armato e il controllo totale sulla pianificazione militare di Kiev fa capire che le affermazioni secondo cui gli Stati Uniti non sarebbero a conoscenza dei piani ucraini per colpire il sistema di difesa missilistico della Russia possono essere scartate”. Dichiarazione del senatore russo Dmitry Rogozin.
L’amministrazione Biden, utilizzando le sue forze per procura in Ucraina, ha lanciato giovedì un attacco senza precedenti contro “un elemento chiave dell’ombrello nucleare russo”, impedendo di fatto all’esercito russo di individuare i missili balistici ad armamento nucleare in arrivo. “Le immagini satellitari confermano che più droni hanno gravemente danneggiato un sito radar di allerta strategica russo nell’estremità sud-occidentale del Paese”, rendendo Mosca più vulnerabile agli attacchi nemici. I media occidentali hanno in gran parte oscurato qualsiasi copertura dell’incidente, che avrebbe dovuto essere presente nei titoli dei giornali di tutti i Paesi. Secondo la dottrina nucleare russa, qualsiasi attacco al sistema di primo allarme nucleare della Russia giustifica una rappresaglia nucleare. Data la gravità della situazione, dobbiamo supporre che la frustrazione di Washington per le prestazioni dell’Ucraina sul campo di battaglia abbia precipitato un drammatico cambiamento di politica che prevede provocazioni ad alto rischio volte a scatenare una reazione eccessiva che porti ad un intervento diretto della NATO.
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Ordine dal Caos
di Aaron Wilson
Relazione del professor Aaron Wolfson, Isaac Goldstein Chair, Computational Mathematic, Institute for Advanced Studies, Princeton. Convegno annuale della Fondazione Prometeus, Forum Grimaldi, Monte Carlo, 16 giugno 2000.
Il mondo sta diventando disordinato, in una parola: ingovernabile, perché il disordine, ineluttabilmente, conduce al caos.
Orbene, io non ho nulla contro il caos, di per sé, ma solo se è una condizione temporanea, il cui scopo sia quello di condurre a un ordine diverso da quello precedente.
Se mi è consentita quest’espressione: un ordine migliore, più compiuto, più coerente.
Il sistema nel quale viviamo, che si suole definire “democratico” e “liberale” è, per sua natura, un sistema entropico.
Il luogo comune vuole che esso si autoequilibri…consentitemi di ridere: questa è una colossale sciocchezza, inventata dai quegli imbecilli dei neoclassici.
Diciamo che, apparentemente, tende a riequilibrarsi prima di uscire troppo dai binari, ma non si riequilibra da solo e, soprattutto, questo apparente equilibrio si situa a un livello entropico diverso da quello precedente, un livello nel quale la distanza dall’equilibrio è molto più accentuata, nel quale il sistema si allontana sempre di più dall’equilibrio.
Anche se, in apparenza, sembra che il sistema abbia “assorbito il colpo”, in realtà è solo riuscito a trasferire il disordine a un livello più elevato.
Un sistema come quello in cui viviamo, è caotico per natura, perché non è guidato da alcun principio, da nessuna assiologia: non marcia verso alcuna direzione ma, semplicemente, procede.
D’altra parte, non è più possibile tenerlo a bada, guidarlo, disciplinarlo, con un’autorità conferita dall’alto, come quella di un pontefice o di una monarca, e neanche col pugno di ferro di una dittatura; tanto meno con l’aspirazione alla virtù o con la paura del peccato.
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Il capitalismo perde il “pelo moderno” - ma non il vizio
di Antonio Martone
Pubblichiamo la relazione del Prof. Antonio Martone al decennale de L’Interferenza tenutosi lo scorso 11 Maggio
1. Competizione maschile e cooperazione femminile?
Una posizione oggi ricorrente nel dibattito pubblico vorrebbe l’incapacità da parte delle donne di ottenere una reale valorizzazione della propria femminilità a causa della necessità di imitare i modelli maschili. Secondo questa posizione, molte donne avrebbero ottenuto posti di rilievo nella società soltanto sacrificando la propria femminilità. In altre parole, in nome del successo, le donne avrebbero dato spazio a ira, superbia, lussuria, competizione e magari anche, se si guarda ad alcune donne di potere contemporanee, a cinismo senza scrupoli. In pratica, trattasi proprio di quelle caratteristiche che le donne stigmatizzerebbero negli uomini. Se ciò fosse vero, assisteremmo a un malinteso concetto di emancipazione capace di produrre una sorta di virilizzazione del femminile: una rinuncia alle proprie prerogative “naturali” - l’empatia, la relazione, la sensibilità - a favore di ruoli modellati su stereotipi maschili.
Come rispondere a questa tesi? Intanto, dico subito che la questione della femminilità e della sua espressione è complessa e sfaccettata: non esistono prove storiche tangibili che confermino l’esistenza di una forma pura e inespressa di femminilità tale da poter emergere quando le donne non imitino gli uomini, soggettivandosi finalmente in modalità cooperative e relazionali - ciò che si considera, in maniera chiaramente sessista, mero appannaggio ontologico del femminile. Pertanto, sembra a me occorra svolgere un’analisi che non presenti metafisiche della relazionalità e dell’empatia attribuite alle donne o della cattiveria e della competizione che sarebbe invece tipica degli uomini. Per comprendere appieno la questione, è necessario offrire un quadro più completo non tanto del rapporto fra generi quanto dei processi di formazione della soggettività nel tempo del capitalismo post-industriale.
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Javier Milei presidente: il caso argentino
Resoconto di 40 giorni a Buenos Aires
di Angelo Zaccaria
Questo contributo è prodotto di una recente permanenza di circa 40 giorni in Argentina, svoltasi fra la seconda metà di Marzo e fine Aprile di questo anno
Parlo di un “caso argentino” perché colpisce che un paese come l’Argentina, che nel cosiddetto “Occidente Allargato” vanta fra i più alti livelli di conflitto sociale , sindacale e politico organizzato e dal basso, il paese delle Madri di Plaza de Mayo, l’unico paese della regione latinoamericana che il suo dittatore (uno dei vari, Jorge Videla), lo ha fatto morire in carcere, colpisce che proprio un paese del genere si ritrovi ora col presidente forse più a destra, Javier Milei.
Cominciamo dai numeri. Nel primo turno delle elezioni presidenziali, svoltosi il 22 di ottobre del 2023 i risultati raggiunti dalle forze principali sono i seguenti: Sergio Massa (Peronismo) 36.69%, 9.645.983 voti.
Javier Milei (La Libertad Avanza) 29.99%, 7.884.336 voti.Patricia Bullrich (destra tradizionale) 23.84%. 6.267.152 voti. Il restante 6,79% viene raccolto da un altro candidato peronista ancora più moderato, più il 2,7% del candidato della sinistra variamente trotskista. Gli aventi diritto al voto sono 35.410.080, e quindi la partecipazione al voto è del 76,53%.
Al secondo turno di ballotaggio, svoltosi il 19 di Novembre, i risultati invece saranno questi: Javier Milei 55.69%, 14.476.462 voti. Sergio Massa 44.31%, 11.516.142 voti. La partecipazione al voto è quasi uguale a quella del primo turno.
Una prima osservazione. Premesso che stiamo comparando due risultati elettorali in paesi con sistemi istituzionali diversi, presidenziale quello argentino e parlamentare (per ora) quello italiano, il consenso reale sul totale della popolazione col quale al secondo turno è stato eletto presidente Javier Milei, è notevolmente più alto di quello sul quale si basa l’attuale governo di Destra-Centro italiano.
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