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La Cancel Culture e il Woke Capitalism
di Giovanna Baer
I valori progressisti come strumento di branding delle imprese, il “radicalismo sociale” e il “radicalismo economico”
Il 7 luglio dello scorso anno un gruppo di giornalisti, scrittori e docenti universitari (e fra loro alcune delle più celebrate menti del dibattito civile americano, fra cui Noam Chomsky) ha pubblicato su Harper’s Magazine un documento condiviso dal titolo A letter on justice and open dibate (“Una lettera sulla giustizia e la libertà di dibattito”) (1) che ha fatto molto discutere. La lettera parla di una dinamica esplosa sulla scena pubblica americana solo in tempi recenti, ma i cui effetti – secondo i firmatari – rischiano di paralizzare l’esercizio del libero pensiero. Le istituzioni culturali statunitensi stanno in effetti affrontando un momento di dura prova. Le proteste per la giustizia razziale di Black Lives Matter e in generale dei movimenti che chiedono una maggiore uguaglianza e inclusione sociale sono riuscite a ottenere grandi risultati (per esempio la riforma dei Corpi di polizia), ma hanno anche “intensificato una nuova serie di atteggiamenti morali e di impegni politici che tendono a indebolire le nostre norme sulla libertà di espressione e di tolleranza delle differenze in favore del conformismo ideologico”. Il libero scambio di informazioni e idee, la linfa vitale di una società liberale, sta diventando ogni giorno più ristretto, sostituito, secondo i firmatari, dall’intolleranza verso i punti di vista opposti, il facile ricorso alla pubblica gogna e all’ostracismo, e la tendenza a dissolvere questioni politiche complesse in un’accecante certezza morale.
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Verso la “Grande trasformazione”
di Costantino Ragusa
Considerazioni intorno alla digitalizzazione della Natura e dei corpi tutti nel nuovo mondo cibernetico che si va imponendo come nuova e unica realtà possibile
Dopo ormai più di un anno dalla dichiarazione dello stato di emergenza pandemico che ha interessato gran parte del pianeta, seppur in modo decisamente diverso, soprattutto nel “Sud del mondo”, si fa più chiaro il nuovo corso che il sistema vuol dare agli eventi e alla nuova società che si appresta a predisporre.
È infatti giunto il momento di considerare gli eventi di cui siamo stati testimoni, nostro malgrado, in una prospettiva storica più ampia. Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia, a questo punto non importa quanto vera oppure simulata possa essere, per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle nuove esigenze.
Uno dei tratti distintivi del fascismo in Italia e in Germania era la sua insofferenza per gli scomodi vincoli imposti alla classe dirigente dalla democrazia e dal liberalismo politico. Tutto questo doveva essere spazzato via per consentire una guerra lampo di “modernizzazione” accelerata.
Vediamo lo stesso spirito rinascere negli appelli di Schwab per un “governo agile” in cui afferma che “il ritmo dello sviluppo tecnologico e una serie di caratteristiche delle tecnologie rendono inadeguati i precedenti cicli e processi decisionali”. Scrive: “L’idea di riformare i modelli di governance per far fronte alle nuove tecnologie non è nuova, ma l’urgenza di farlo è molto maggiore alla luce del potere delle tecnologie emergenti di oggi… il concetto di governance agile cerca di abbinare l’agilità, la fluidità , flessibilità e adattabilità delle tecnologie stesse e degli attori del settore privato che le adottano”.
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Note sul tardo eurocentrismo
di Achille Mbembe
Achille Mbembe sulla decolonizzazione delle arti e dei saperi nell’attuale “tardo eurocentrismo”
Quando si considera la storia recente del pensiero critico, due eventi maggiori invitano alla riflessione. Primo, l’Europa non è più il centro di gravità del mondo. Come ho scritto nell’introduzione a Critica della ragione nera, questa è «l’esperienza fondamentale della nostra epoca»1. Questo cambiamento non significa che l’Europa non ha più alcuna influenza sul funzionamento del mondo, né che ora dovremmo metterla da parte. Ma l’Europa non può più nutrire l’illusione di poter dettare il corso del mondo. Questo vale non solo per l’economia o per il potere militare e tecnologico, ma anche nel campo della cultura, delle arti e delle idee.
In secondo luogo, c’è un chiaro pericolo che, in risposta a questa svalutazione storica, a questa eclissi, alcune persone, dall’estrema destra all’estrema sinistra, siano state attratte o dal nichilismo o dall’eccesso ideologico (o da entrambi), ovvero da ciò che chiamo “tardo Eurocentrismo”, un Eurocentrismo che è ancora più rancido e aggressivo, ancora più sordo, cieco, e vendicativo che nel passato. Si tratta, in effetti, di una forma di follia.
Cronologicamente, il tardo Eurocentrismo è l’erede diretto di due manifestazioni precedenti, ugualmente reazionarie. Originariamente, c’era l’Eurocentrismo primitivo, il tipo associato alle conquiste imperiali, alle occupazioni militari, e allo sfruttamento dei territori coloniali2. Successivamente, a partire dagli anni Cinquanta del Novecento è sorto un Eurocentrismo anti-terzomondista, in contrapposizione ai nazionalismi anticoloniali.
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Epidemia Covid: i temi in discussione, le certezze e quanto non è ancora chiaro
di Luigi Ambrosi
Questa gestione della epidemia Covid vede intrecciarsi nelle motivazioni aspetti sanitari, politici ed economici ciascuno dei quali cerca di porsi come prevalente. Quello meno analizzato, ma che potrebbe rivelarsi prevalente, è quello economico, e non legato principalmente agli utili di Big Farma.
Aspetti economici
La tesi è che la drammatizzazione della epidemia permetta e giustifichi un massiccio intervento finanziario degli Stati, attraverso la stampa di denaro dal nulla e l'indebitamento, come sostegno ad una economia capitalistica agonizzante già prima della comparsa del Covid, e sopravvissuta alla crisi del 2008 solo con continue iniezioni di denaro dal nulla (quantitative easing). La riprova dovremmo averla nelle prossime settimane di agosto a partire dagli USA e a ridosso del vertice finanziario del 26-28 agosto di JACKSON HOLE e della scadenza dei sussidi ai lavoratori ed alla economia USA (1 settembre): una drammatizzazione degli effetti delle varianti Delta o Lambda o altro che sia da giustificare nuovi lockdown e misure restrittive e soprattutto un nuovo massiccio intervento finanziario del Governo USA (seguito poi a ruota dalla Unione Europea) a sostegno delle aziende anche decotte e dei consumi : questa sarebbe la prova del peso decisivo che ha l'aspetto economico/finanziario in questa gestione dell'epidemia. Insomma, l'emergenza sanitaria vera o artefatta e le varianti aiutano le elite a far pompare denaro a sostegno del capitalismo in crisi, rinviandone il crollo: la finanziarizzazione dell'economia occidentale accelera.
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Bellofiore R. (2020), Smith, Ricardo, Marx, Sraffa. Il lavoro nella riflessione economico-politica, Note bibliografiche
di Giorgio Rodano*
Bellofiore R. (2020), Smith, Ricardo, Marx, Sraffa. Il lavoro nella riflessione economico-politica, Torino: Rosenberg & Sellier, pp. vii+388, € 24, ISBN: 9788878858442
Il titolo del libro è un evidente (ed esplicito) omaggio a uno dei maestri di Bellofiore, Claudio Napoleoni, che negli anni Settanta del secolo scorso aveva scritto un libro quasi con lo stesso titolo, Smith Ricardo Marx. L’oggetto di questo lavoro – a parte il dialogo a distanza col vecchio maestro (che, tra parentesi, è stato anche uno dei miei maestri) – è dunque, in modo immediatamente evidente, il pensiero economico classico, cui viene assimilato, per i motivi che vedremo, anche Piero Sraffa. Ma vedremo che Bellofiore si cimenta anche con le idee e le tematiche di altri importanti protagonisti della storia del pensiero economico, in particolare John Stuart Mill e John Maynard Keynes.
All’origine del volume ci sono vari saggi scritti da Bellofiore tra il 1983 e il 2017 (uno in collaborazione). Per l’occasione essi sono stati rivisti e fusi per eliminare le ripetizioni (non tutte) fino a comporre un filo unitario; anzi – come cercheremo di mostrare (e come del resto suggerisce qua e là lo stesso Bellofiore) – un paio di fili che si rincorrono e si intrecciano per tutte le pagine del libro. Questo si articola in una premessa (in cui vengono sommariamente illustrati i contenuti dei vari capitoli e introdotti i temi principali che li legano), otto capitoli e due appendici. Sono capitoli di grosse dimensioni, ricchi di spunti e di annotazioni, in cui Bellofiore dà conto non solo del pensiero degli autori presi in esame, ma di tutto il dibattito che i vari temi considerati hanno suscitato tra gli studiosi. Il che rende il libro utile per orientarsi su questioni spesso assai intricate, ma lo rende al tempo stesso di lettura a volte piuttosto ardua e faticosa anche per chi, come me, su molte di quelle questioni ha avuto modo, in passato, di misurarsi.
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Intervista a un sorcio / codardo / bamboccione / fascista etc (*)
di Giovanni Iozzoli
– Allora, tu sei uno dei milioni di italiani “renitenti al vaccino”. Cosa hai da dire a tua discolpa?
Innanzitutto, quegli italiani non mi sembra rappresentino una “categoria”. Si tratta di un aggregato informe, di massa, trasversale, interclassista, composto dalle persone più diverse e dalle motivazioni più varie. Io di no vax militanti non ne conosco neanche uno. Il più delle volte stiamo parlando di persone normali che stanno cercando solo di prendere tempo, capire il da farsi – un atteggiamento prudente, umano, quasi mai sbandierato. Io non sono mai andato nelle piazze no vax, non è il mio contesto o il mio lessico, ammetto che sarei a disagio.
– Pensi di meritare gli insulti quotidiani che da settimane arrivano addosso a quelli come te?
Milito da sempre in campi minoritari, sono quindi abituato a sentirmi minoranza. Certo, in questo caso il coro dello stigma, del dileggio, è a reti unificate; una voce compatta che parte dai vertici istituzionali, dal CTS, dagli editorialoni, dai programmi Tv, fino ad arrivare alle mezze calzette delle redazioni, ai nani, alle ballerine, ai cantanti, che pur di esserci metterebbero la faccia su qualsiasi campagna di Stato, anche la meno commendevole. Stupisce e addolora l’epiteto di “fascisti” che arriva dal “mio” campo. Chiaro che accetto ogni critica e ogni dialogo, ma se qualcuno mi dà del fascista gli allungo un cazzotto e amen.
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Le lettere scarlatte della Bce
di Matteo Bortolon
Dieci anni fa, il 5 agosto 2011 un paese europeo in difficoltà per la crisi del debito sovrano riceveva una Lettera da parte del governatore della BCE controfirmata dal vertice della sua Banca Centrale nazionale. Tale comunicazione rimase segreta per un po’ di tempo, ma i suoi contenuti segnarono l’evoluzione successiva della sua politica economica, in direzione di una decisa austerità gradita ai vertici delle istituzioni comunitarie.
Ma certo! L’Italia, la famosa lettera di Draghi-Trichet!
E invece no. Parliamo della Spagna di Zapatero.
Lo stesso giorno i governi di entrambi i paesi ricevettero una comunicazione assai simile; nel caso dell’Italia le voci di essa circolarono finché a fine settembre 2011 vennero confermate dal Corriere che pubblicò lo scoop sul suo sito. Il popolo spagnolo lo seppe solo quando l’oramai ex primo ministro la pubblicò in un suo libro, e venne infine desecretata dalla stessa BCE. Oggi la si legge comodamente sul sito istituzionale.
“La fonte di ogni diritto risiede originariamente e sostanzialmente nell’intero corpo del popolo”. Così scrivevano i soldati puritani inglesi, anticipando temi della Rivoluzione francese, nel 1647, dopo aver sconfitto il Re in nome del Parlamento. Tale idea sarebbe divenuta secoli più tardi il fondamento di ogni democrazia moderna, ma a quanto pare il dibattito in materia sta regredendo in modo così oltraggioso che la platea di sottobosco politico-giornalistico accetta supinamente – ventre a terra ai poteri dominanti: banche, Ue, grandi aziende – che una istituzione fuori da ogni legittimazione democratica possa determinare l’indirizzo politico di un paese.
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Cosmotecnica e Tecnodiversità
Una conversazione con Yuk Hui
di Enrico Monacelli
«They’re making their last film / and they say it’s the best / and you can help make It / it’s called The Death of the West», cantava Douglas P. in una delle sue filastrocche più famose. Dava voce a un senso di fine che ha accompagnato l’Occidente probabilmente dai suoi esordi. Alla convinzione, più o meno fondata a seconda dei rivolgimenti storici, di vivere in un impero in decadenza.
Questa sensazione si è certamente intensificata in questo anno. Un anno putrido, passato respirando a malapena, alienati dalle nostre funzioni primarie e terrorizzati dall’ombra lunga di imperi lontani. Ricordo come un miraggio le mandibole serrate mentre scrivevo un trionfalistico j’accuse contro Giorgio Agamben all’inizio del primo lockdown, proprio per queste pagine. Rileggendolo alla luce dell’angoscia provata in questi mesi, era chiaramente una richiesta d’aiuto di un buono a nulla davanti alle macerie che gli rotolano contro.
Uno dei pochi antidoti davanti all’idea che tutto stia finendo, almeno per me, è stato leggere Yuk Hui, attento studioso della tecnica e della Cina, del passato della nostra specie e del suo avvenire. Hui è un vero esorcista dei nostri toni apocalittici e uno dei pensatori più affascinanti e intransigenti che ci restano. Qui abbiamo fatto quattro chiacchiere sul suo libro, recentemente tradotto in italiano, Cosmotecnica.
* * * *
Enrico Monacelli: L’edizione italiana del tuo libro, The Question Concerning Technology in China, riporta in copertina una parola strana, specialmente per chi non ha familiarità con il tuo lavoro: Cosmotecnica.
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Le multinazionali rafforzano il controllo sulla nostra dieta
di Navdanja Italia
Il Forum delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari (Unfss) non offre il cambiamento di paradigma che sarebbe così urgentemente necessario per raggiungere la sovranità alimentare, la resilienza climatica e un sistema alimentare più equo. Al contrario, mantiene la stessa struttura di potere e comporta un’ulteriore colonizzazione dei cibi e delle diete locali. Il vertice si sta rivelando come l’ennesimo strumento per rafforzare il controllo su cibo e agricoltura da parte delle multinazionali e dei grandi gruppi finanziari, mentre il ruolo della società civile nella governance alimentare globale risulta estremamente limitato.
Le multinazionali stanno usando il summit per convincerci che le loro soluzioni saranno sufficienti e abbastanza ecologiche, in modo da poter mantenere intatto l’attuale sistema di interessi: il sistema non può essere cambiato, gli interessi privati non devono essere minati ma, al contrario, devono essere sostenuti da fondi pubblici. Trincerandosi dietro il linguaggio della necessità di un cambiamento nelle abitudini alimentari globali, le multinazionali hanno “dirottato” l’Unfss per imporre alimenti artificiali industriali e ultra-processati e una più profonda industrializzazione del sistema alimentare. Il modello dei sistemi alimentari industriali indicato dall’Unfss ci porta ulteriormente avanti sulla strada del collasso dei sistemi planetari, della nostra salute, delle nostre economie e della nostra democrazia.
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Il filo e la tela. Gabriele Serafini: La riproduzione complessiva del capitale
Karl Marx: «Per la scienza non c’è via maestra»
di Eugenio Donnici
La prima sensazione che si avverte nell’approcciare questo lavoro di Gabriele Serafini è quella di farsi trasportare da un fiume di equazioni algebriche, pertanto si è tentati a rinunciare a comprendere il discorso che ha sviluppato, anche perché il linguaggio adoperato richiede una buona capacità di analisi numerica.
Man mano che le correnti si placano e si trova in se stessi la motivazione a superare le turbolenze iniziali, anche i lettori che diffidano della matematica, potrebbero individuare uno sbocco al fluire dei concetti espressi con formule, schemi e successioni numeriche. Del resto, è possibile sperimentare un’interpretazione discorsiva del filo logico che segue l’autore del libro, con le opportune semplificazioni e senza eliminare del tutto i simboli matematici.
Il lettore noterà che in questa breve presentazione della ricostruzione della procedura di trasformazione dei valori in prezzi, ho cercato di estrarre i concetti chiave, in forma sintetica, e di rivolgermi a un pubblico che non faccia parte dei soli addetti ai lavori.
La procedura, com’è noto, ha dato luogo ad una lunghissima diatriba che si è aperta con la pubblicazione del terzo libro de Il capitale, di Marx, a cura del suo amico Engels, il quale, nelle sue Considerazioni supplementari all’opera si è reso subito conto delle innumerevoli interpretazioni e di natura diversa che il volume suscitò nei lettori, sebbene si fosse adoperato nel comporre un testo il più possibile rispondente ai manoscritti rinvenuti. Tant’è che con tono perentorio scrive: «Non c’era altro da attendersi».
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Femminismo pro-anti-Marx
di Carla Filosa
E’ ormai consuetudine autodefinirsi marxisti per poi negare, ignorare o voler superare Marx, in nome dell’avanzamento dei tempi o di altri problemi attuali che Marx “non aveva previsto”, ma di cui bisogna parlare per inficiare i cardini della sua analisi. Questo ormai il ruolo che il capitale ha assegnato alla “sinistra” – ignara di sé stessa - per opporre uno stuolo di “progressisti conservatori”, intellettuali e/o politici, ai lavoratori da suddividere con ogni mezzo materiale, legge e sperpero di ideologia come falsa coscienza.
E’ questo il caso anche di Silvia Federici, accademica (insegna filosofia politica all’Hofstra college di Long Island, NY), femminista illuminata e riconosciuta da un sistema grato del servizio antimarxista e anticomunista reso con fervida convinzione, e capace di costruire un plotone di followers con rivendicazioni anche condivisibili, ma poste su categorie e piani sociali purtroppo inoffensivi.
Più precisamente si intende qui commentare e/o “rispondere” – non ad una richiesta mai attivata dall’interessata – ma ad alcuni articoli, in particolare quello del 16.04.2021 su Internazionale 1405 dal titolo “Ve l’avevo detto”, e all’intervista rilasciata al Manifesto (30.01.2020) intitolata “Quello che Marx non ha visto” a proposito di “Genere e Capitale. Per una lettura femminista di Marx”, ultimo suo libro per Derive Approdi.
Basarsi sull’“esperienza delle lotte”, come Federici afferma di partire nella sua disamina, se può appagare una certa rappresentazione soggettiva del fenomeno “femminile”, non va oltre una conoscenza irrazionale del razionale (come Hegel ha insegnato a riconoscere), che non consente cioè l’accesso alla concettualizzazione necessaria della conoscenza, che deve invece individuare le differenze interne specifiche del problema da analizzare.
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Perché sono contrario al greenpass e alla gestione inefficace e criminale della pandemia
di Nico Maccentelli
Ci ho messo molto tempo per prendere posizione. Ho ponderato a lungo, letto le opinioni di tutti, in particolare dei compagni a me vicini. Non ho prestato attenzione a tutti coloro che ho sempre ritenuto complottisti. Ciò che conta per me è l’analisi politica secondo il metodo del materialismo dialettico. Ma è stata proprio questa a farmi capire che numerosi marxisti, anticapitalisti che non scazzano (per dirla alla Giorgio Gaber), non hanno compreso i caratteri e le dinamiche della svolta reazionaria in atto, proprio riguardo l’accelerata che ha avuto con questa pandemia da Covid-19.Ora, per comodità, non anticiperò ciò che ho scritto già da mesi e che è ancora materiale grezzo. Semplicemente mi riferisco al mio primo scritto “Pandemoni e pandementi” su Carmillaonline e ripreso anche su altri siti della sinistra critica. Ma non solo, qui più sotto, in corsivo, ho aggiunto il testo che oggi ho postato sul mio spazio fb.
Ora posso ben dire come il lockdown, i coprifuochi, e ora il greenpass non abbiano avuto alcuna incidenza sul fronte sanitario, ma molto sul piano dell’attacco antiproletario e antiborghese (se intendiamo la borghesia come una classe che ha interessi non volatili e della turbofinanza, ma concreti nel “borgo”), una sorta di guerra sociale del grande capitale nei confronti delle classi popolari e di quella parte del capitale, le PMI, che vessata e colpita deve soccombere di fronte alla forza delle multinazionali e della finanza che stanno amazonizzando, uberizzando e globizzando i vari comparti del terziario: ristorazione, turismo, piccolo commercio e servizi.
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Il dito e la luna. Considerazioni su Green Pass, libertà e prospettiva
di Julia Page
secondo una prospettiva rivoluzionaria
un altro mondo sta apparendo
l’attacco va minuziosamente preparato
non più dominanti e dominati ma forza contro forza
si può sentire lo strappo sonoro
scorrere il sangue la nuova vita che arriva
C’è una scena, ne La spada nella roccia, in cui il povero Semola, appena incoronato re, prova a scappare dalla chiesa: ogni volta che apre una porta, però, viene travolto dalle grida della folla ed è costretto a richiudere il portone e a cercare un’altra via di fuga. Nell’aprire un qualunque social network o entrando in qualunque bar, la sensazione, in questo afoso luglio 2021, è più o meno la stessa – solo che, al posto di «Evviva Re Artù!», si sente strepitare da tutte le parti «Il Green Pass è una merda!», alternato a «Spero che ti intubino la nonna!». Non si esimono nemmeno i timidi mediatori, quelli del «Mi sono vaccinato, ma…», che vengono però generalmente maciullati dall’inspiegabile livore che accende invece le opposte fazioni. Allora noi, per evitare di rovinare delle preziose amicizie (che comunque non abbiamo), abbiamo bevuto il caffè e siamo tornati – da vaccinati – nelle piazze contro il famigerato Green Pass. “Tornati”, esatto, perché tra le piazze di sabato e quelle degli ultimi mesi, dalle “No Mask” e “No Lockdown” alle “Io Apro” che abbiamo già avuto modo di analizzare, intercorrono elementi di continuità, non solo per la composizione che le ha attraversate, ma anche e soprattutto per il loro portato discorsivo. Partiamo da qui, allora, per provare ad ampliare il discorso, ché si sa: quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito…
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Le oscillazioni del mondo. Alcune note sull’ultimo libro di Jérôme Baschet
di Michele Garau
L’ultimo libro di Jérôme Baschet è stimolante e puntuale. Una riflessione mossa dall’urgenza ma non volatile. Bisogna francamente ammettere che è difficile dire se nell’incedere dell’analisi le considerazioni realizzabili prevalgano sempre sulle ricette illusorie per «osterie a venire», se il salto dai basculements del colosso dell’«Economia» ai sentieri per uscirne sia sempre convincente.
In alcuni passaggi l’impressione di una scorciatoia e di un’eccessiva semplicità si impone con forza. Fatto sta che questa stessa doppiezza dello slancio «utopico» è di per sé significativa ed importante. Una doppiezza che riguarda il suo difficile situarsi tra un gesto necessario – scrollarsi di dosso la fossilizzazione soffocante di un presente perpetuo che si presenta senza via di fuga – ed il perenne rischio «ingegneristico» che ha così pesantemente tarato i socialismi classici. Non rinunciare a focalizzare il futuro senza cedere alla tentazione di programmarlo: tale è un po’ la scommessa.
Questo problema della temporalità, di aggiungere una critica del «presentismo» capitalistico a quella verso gli inganni del progresso, è un po’ la cifra del lavoro di Baschet in questi anni, ma è anche un condensato ineludibile di quel che si para davanti ad un’intelligenza rivoluzionaria del mondo. Un primo merito di Basculements. Mondes émergents, possibles désiderables, è quello di affrontare questioni di portata enorme con una concretezza sorprendente, e non è poco.
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L’emergenza sanitaria e gli emuli di don Ferrante
di Eros Barone
L’esperienza della guerra, come l’esperienza di qualsiasi crisi nella storia, come qualsiasi grande disastro o qualsiasi svolta nella vita d’una persona, mentre istupidisce e abbatte gli uni, educa e tempra gli altri […] A volte si è riflettuto poco sul fatto che gli stessi avvenimenti che istupidiscono e abbattono certe correnti politiche ne educano e temprano altre.
Lenin, Il fallimento della Seconda Internazionale.
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Le distorsioni cognitive di una critica reazionaria della razionalità scientifica
Quasi 130.000 persone in Italia, oltre 4 milioni nel mondo – molte ma molte di più in numeri reali, ovunque superiori a quelli registrati – si sarebbero vaccinate volentieri se solo ne avessero avuto la possibilità. Sono morte anche perché non l’hanno avuta. È bene partire da questo dato drammatico nell’affrontare la polemica sulla vaccinazione, sull’obbligo della stessa, sul cosiddetto green pass. È il principio di realtà che le manifestazioni in corso contro la “dittatura sanitaria” rimuovono con disinvoltura, spesso con cinismo. Ma cosa c’entra tutto questo con il rifiuto dell’obbligo vaccinale nella sanità e nella scuola? Se il governo lo usa come schermo per nascondere la propria politica sarà una ragione in più per denunciare il governo, non per contrastare la vaccinazione. Tanto più in due settori che per ragioni diverse sono strategici al fine di combattere la pandemia, e dove la vaccinazione è strumento di protezione innanzitutto per chi ci lavora, come mostra la tragica moria di personale sanitario mandato allo sbaraglio sul fronte Covid nell’esperienza di un anno fa.
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Sulla mobilitazione contro il lasciapassare. Primi appunti
di Il Rovescio
È piuttosto evidente che la questione di cosa dire e fare contro il “green pass”, di come rapportarsi con la gente che sta scendendo in strada contro questa misura di discriminazione, di controllo e di ricatto, non è separabile da cosa si pensa – e da cosa si è fatto a proposito – dell’Emergenza Covid-19 in generale. Le vere e proprie perle di allineamento servile e di imbecillità che si stanno regalando a sinistra e all’estrema sinistra non arrivano inaspettate. Così come solo coloro che non si sono accorti che un mondo gli è passato a fianco si chiedono improvvisamente chi è, da dove esce e che cosa vuole tutta questa gente. Si strilla alle “piazze reazionarie” senza nemmeno un minimo di imbarazzo nel trovarsi nello stesso coro di banchieri, industriali, generali della Nato, giornalisti di regime, ministri degli Interni, scienziati di Sua Maestà… Il pericolo del “fascismo” (tranquilli: la democrazia basta e avanza), non lo si vede nell’azione dello Stato e di una classe dominante che colpisce compatta, ma nelle presenze di estrema destra ad alcune manifestazioni contro il lasciapassare. Come se i passi avanti della potenza coercitiva dello Stato in nome della “salute collettiva” fossero “neutri” rispetto al conflitto di classe nel suo insieme; come se il silenzio-assenso sulla discriminazione sociale e lavorativa di chi non vuole vaccinarsi non oliasse la stessa macchina che attacca i lavoratori che resistono ai licenziamenti, i rivoluzionari, e tutte le lotte.
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“L’essenza, per le fondamenta”. Intervista ad Ascanio Bernardeschi
a cura di Alessandro Testa
Il problema vero è il partito: senza un partito effettivamente internazionalista e rivoluzionario, i comunisti sono tali solo idealmente, in quanto manca lo strumento per “abolire lo stato di cose presente”
Ascanio Bernardeschi si è a Siena con la tesi "La teoria della crisi economica nel sistema di analisi di Marx”. La tesi venne premiata dalla rivista del Pc "Politica ed economia". Militante della Fgci e poi Pci dal 1963 fino allo scioglimento del partito. Ha aderito subito a Rifondazione di cui è stato segretario di circolo, membro della Segreteria provinciale e del Comitato politico regionale; è stato anche Consigliere provinciale per due legislature. Ha scritto per diverse riviste sia stampate che online ed è attualmente responsabile Economia e Lavoro del giornale comunista La Città Futura.
* * * *
È cosa nota che il modello di produzione capitalistico passa per crisi ricorrenti, che sono un inevitabile prodotto delle sue contraddizioni interne. Per prima cosa, ci farebbe piacere discutere con te della natura della crisi globale che l’occidente sta vivendo oggi, a partire da elementi storico-economici che mettano in luce le basi teoriche di quello che sta succedendo.
Occorre prima di tutto sgombrare il campo dalla diffusa opinione secondo cui questa crisi sia provocata dalla pandemia, come pure da quella che la crisi del 2007/8 fosse provocata dalla cattiva finanza; certamente il coronavirus oggi e i mutui subprime precedentemente hanno fatto da detonatore, rendendo la crisi ancora più devastante, ma le cause vengono da molto più lontano e hanno a che vedere con il processo di accumulazione capitalistica.
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La ricerca secondo il PNRR: poca, precaria e funzionale alle imprese
di coniarerivolta
Uno dei temi su cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) pone maggiormente l’enfasi è quello della ricerca, considerata un volano “per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza” (p. 171). Belle parole, che tuttavia, ad un’accorta disamina del PNRR, nonché ad una critica considerazione del perimetro entro cui gli interventi si svilupperanno, nascondono delle pericolose insidie. Tanto per cominciare, il passaggio appena riportato prosegue con un attacco frontale allo status quo dell’apparato formativo italiano, specificando che le azioni del PNRR dovranno partire “dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca”. Tra questi problemi, vengono elencate questioni di sacrosanta rilevanza per il nostro Paese, tra cui gli alti tassi di abbandono e gli importanti divari territoriali in termini di istruzione, ma anche rischiosi concetti come il presunto mismatch tra la domanda e l’offerta di lavoro e una ‘limitata integrazione’ dei risultati della ricerca nel sistema produttivo.
Proviamo ad eviscerare i contenuti del PNRR nel campo della ricerca e dell’istruzione, partendo da una doverosa premessa sull’entità e sul funzionamento del Piano stesso.
Il PNRR dentro la cornice dell’Unione Europea: pochi soldi e tanta condizionalità
Mentre la stampa continua a raccontarci che un fiume di denaro, per fortuna gestito dai competenti del governo Draghi, sta invadendo il nostro Paese e ci permetterà di uscire da questa catastrofe con poche ferite, ad un’attenta lettura le cifre si rivelano purtroppo del tutto inadeguate alla portata della crisi.
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Fatti e misfatti di un movimento storico in decomposizione
di Michele Castaldo
Vaccini, No Green Pass e un episodio a “latere”
Maurizio Molinari, importante giornalista italiano, lancia l’allarme dalle pagine di Repubblica: « La scienza aggredita dai populisti ». Da un populismo che già nel 2018 allarmava il nostro editorialista: « Perché è successo qui, viaggio all’origine del populismo italiano che scuote l’Europa ». Non eravamo ancora in pieno stress da Covid-19, ma alcuni sintomi apparivano piuttosto preoccupanti, da fargli scrivere: « Aggrediti dalle disuguaglianze, sorpresi dai migranti, flagellati da imposte e corruzione, bisognosi di protezione e sicurezza, feriti dalla globalizzazione, inascoltati dai partiti tradizionali e rafforzati nella capacità di esprimersi dall’avvento dell’informazione digitale, gli italiani con le elezioni del 4 marzo 2018 hanno reagito consegnando le proprie sorti al primo governo populista dell’Europa occidentale, con il risultato di innescare un dominio di eventi sul Vecchio Continente dalle conseguenze imprevedibili », e va aggiunto che non era ancora accaduto l’episodio al Capitol Hill, ovvero di masse di ceto medio che inferocite per la sconfitta del loro candidato Trump davano l’assalto al palazzo simbolo del potere democratico degli Usa.
Ora, a fronte di una « pandemia mondiale », i governi di tutto il mondo e i grandi centri del potere economico, incuranti delle cause che hanno prodotto il Covid-19, hanno indicato immediatamente nel vaccino la soluzione del problema.
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Vaccino anticovid: obbligo o scelta etica?
di Alessandro Testa
Prima di addentrarci della disamina approfondita di questo delicatissimo argomento, riteniamo imprescindibile premettere che non è nostra intenzione negare l’esistenza di una grave pandemia, così come la necessità di utilizzare con urgenza e amplissima diffusione tutti i mezzi possibili per arginarla ed, infine, neppure il dovere, che come comunisti sentiamo fortemente, di anteporre le imprescindibili necessità sociali della popolazione all’idolatria dell’incondizionata ed assoluta libertà personale, cosi cara al pensiero liberal-borghese..
Ciò premesso, ci pare comunque indispensabile far sentire chiaramente la voce della ragione, della logica e della verità in un momento in cui i media di regime, spalleggiati da un nutrito gruppo di “virologi di stato”, continuano a diffondere informazioni inesatte, quando non patentemente false, tutte volte a sostenere la tesi che solo una vaccinazione di massa obbligatoria possa essere la soluzione al problema e che non sussistano problematiche scientifiche o giuridiche che ne mettano in forse l’applicabilità.
In realtà, solo la chiarezza più assoluta e cristallina riguardo ai dati scientifici e giuridici, unita però alla piena consapevolezza che la contemperazione tra libertà personale e salute collettiva è un problema etico e politico prima che giuridico e scientifico, potrà aiutarci a trovare il bandolo della matassa, consci del fatto che una situazione talmente complessa e potenzialmente tragica esige la massima cautela e prudenza e non la proclamazione di “verità indubitabili ed assolute”.
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Sul documento-appello “Costruire l’opposizione al governo Draghi”
di Andrea Catone*
Alcuni compagni mi sollecitano alla lettura e a un commento sul documento-appello “Costruire l’opposizione al governo Draghi”, elaborato e diffuso qualche settimana fa. Rispondo volentieri, scusandomi del ritardo
Condivido ciò che mi sembra essere il “nocciolo duro” dell’appello: la proposta di (traduco in un linguaggio politico della tradizione comunista) dar vita a un fronte ampio di forze sociali, culturali, politiche, unito sulla base di un programma minimo di classe adeguato ai mutamenti della fase economico-politica attuale sul piano internazionale (presidenza Biden) e nazionale (governo Draghi). Esprimo quindi la disponibilità a lavorare alla costruzione di tale fronte, per trasformare la buona intenzione che esso esprime in concreta realtà vivente, renderlo operativo, dargli testa, corpo e gambe. Cosa che è, nella situazione attuale – come gli stessi estensori dell’appello non si nascondono – molto difficile.
Per affrontare la grande questione che l’appello pone occorre definire con la massima chiarezza possibile:
– la fase politico-economica attuale analizzata dal punto di vista delle “classi subalterne”;
– gli obiettivi di fondo che, rispetto all’analisi di questa fase determinata, il fronte unito deve porsi;
– i soggetti – sociali, politici, culturali – che possono essere uniti nel fronte sulla base del programma.
In merito al contesto internazionale e alle sue implicazioni a livello nazionale
Il documento scrive (le sottolineature sono mie, AC):
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Sovrano è chi discrimina i non vaccinati
di Geminello Preterossi
Il governo Draghi ha varato un drastico irrigidimento del green pass, sulla scia delle scelte di Macron, che le ha difese in tv con toni aggressivi, i quali hanno suscitato vaste e intense proteste in Francia (di cui per diversi giorni a stento si riusciva a trovare notizia nei media italiani). Un giro di vite che non a caso si è accompagnato alla minaccia, da parte di Macron, di rimettere in campo in autunno le contestatissime riforme neoliberiste delle pensioni, del lavoro e dei sussidi sociali. Queste avevano suscitato una forte, vasta mobilitazione di massa alla fine del 2019, con scioperi continui e manifestazioni sindacali molto partecipate, che avevano portato al ritiro del pacchetto di riforme euriste (che noi avevamo già conosciuto con Monti), la cui attuazione è sempre stato il vero mandato del Presidente francese creato in provetta dai centri finanziari euro-globalisti. Poi, la crisi del coronavirus ha desertificato non solo la società francese, ma tutto l’Occidente, neutralizzando a lungo la possibilità stessa del conflitto. Oggi, di fronte all’emergere di nuove proteste, Macron ha confermato l’impianto di fondo del green pass, anche se ha dovuto concedere qualche lieve alleggerimento. Del resto, anche il Consiglio di Stato si era pronunciato sfavorevolmente su alcune misure, giudicate “sproporzionate”, in particolare in merito all’entità delle multe e al profilo anche penale delle sanzioni previste. Non c’è da illudersi, ma l’esempio francese (tanto quello delle lotte iniziate alla fine del 2018 con i Gilets jaunes, quanto il ridestarsi della società oggi) mostra che forse la partita generale, pur difficilissima, è ancora aperta: protestando, criticando, non piegando la testa, si può provare a frenare la deriva in atto, e comunque testimoniare il rifiuto di esserne complici.
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Lo stratega contro
L’attualità antagonista di Guy Debord
di Gabriele Fadini
A chi lo definiva un filosofo, Guy Debord rispondeva di essere uno stratega. Per comprendere appieno ciò che egli intendeva Gabriele Fadini comincia dal momento in cui nell’opera di Debord la strategia non è solo riscontrabile tra le righe come una modalità di azione, ma in cui diviene il tema stesso di un’opera: Il gioco della guerra, ovvero il resoconto di una partita a un gioco di strategia, ideato dallo stesso fondatore dell’Internazionale Situazionista. A partire da qui, Fadini può approfondire alcuni aspetti del pensiero teorico-politico di Debord, confrontandosi anche con le interpretazioni di Agamben, Freccero e Bifo.
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Come mostrano ancora queste ultime riflessioni sulla violenza, non ci saranno per me né ritorno, né riconciliazione. La saggezza non verrà mai [i].
Iniziare un testo dedicato a Guy Debord citando le ultime parole della sceneggiatura del suo ultimo film In girum imus nocte et consumimur igni non significa solo installarci in quel «gioco» secondo cui la massima fedeltà ad un autore consiste nella massima infedeltà, quanto più riflettere sulle regole del particolare gioco che è quello debordiano e ancor di più sull’utilità di questo gioco per un pensiero che si voglia antagonista. Il nostro intento, infatti, è quello di dimostrare come il gioco fornisca un accesso peculiare, originale ma soprattutto fortemente attuale, alla riflessione dello stratega francese.
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Liquidare il dogma
Intervista a Carlo Formenti
“Liquidare il dogma secondo cui il socialismo è possibile solo laddove le forze produttive hanno raggiunto un elevato grado di sviluppo”
Carlo Formenti, politico, giornalista e scrittore ben conosciuto nell’ambiente marxista, nasce a Zurigo nel 1947 e si trasferisce a Milano pochi mesi dopo; la sua vita politica inizia nei primi anni Sessanta, quando il padre lo inserisce nella formazione bordighista in cui militava.
A partire dal 1967, frequenta i gruppi maoisti, finché contribuisce a fondare il Gruppo Gramsci; dal 1970 al 1974 si dedica all’attività sindacale, che interrompe per completare gli studi, laureandosi nel 1976, con una tesi sull’impatto delle tecnologie informatiche sull’organizzazione del lavoro, pubblicata da Feltrinelli con il titolo Fine del valore d’uso.
Dalla fine degli anni Settanta abbandona la politica attiva, limitandosi alla lotta ideologica e teorica; negli anni ‘80 è caporedattore del mensile “Alfabeta”, e ai primi del Duemila diviene ricercatore all’Università di Lecce, dove riprende le ricerche sulle conseguenze economiche, politiche, sociali e culturali della rivoluzione tecnologica.
Torna alla vita politica attiva negli ultimi cinque anni, militando in alcune formazioni della sinistra sovranista, per avvicinarsi infine al Partito Comunista guidato da Marco Rizzo. Fra i suoi libri più recenti: Utopie Letali (Jaka Book 2013), La variante populista (DeriveApprodi 2016), Il socialismo è morto viva il socialismo (Meltemi 2019).
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Innanzitutto grazie per aver accettato di condividere con noi alcune tue riflessioni su tematiche di grande respiro internazionale e italiano. Come prima questione, ci piacerebbe chiederti quali riflessioni possono essere fatte sul cosiddetto “socialismo con caratteristiche cinesi”, e in particolare cosa questo ci può insegnare riguardo alla transizione tra il modello capitalista e quello socialista.
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Il lavoro al tempo delle piattaforme
di Giulio De Petra
Intervento per la sessione “L’egemonia delle piattaforme" del convegno “Rileggere il Capitale”, organizzato da ARS e CRS
Un conflitto necessario
La traiettoria del capitalismo, delle sue crisi e dei suoi sviluppi, si intreccia inestricabilmente con quella del lavoro, della sua forma e delle sue lotte.
È la riorganizzazione continua del modo di produzione capitalista che determina la forma del lavoro, i modi e l’intensità dello sfruttamento, le caratteristiche della sua alienazione.
E, nello stesso tempo, sono i conflitti prodotti dall’organizzazione politica del lavoro a determinare i tempi e i modi dei passaggi della riorganizzazione del capitalismo.
Ed è un conflitto necessario, senza il quale il meccanismo di sviluppo del capitalismo rischia di avvitarsi su se stesso, di procedere per inerzia, proseguendo sulla propria traiettoria senza adeguata consapevolezza delle conseguenze sociali, economiche, ambientali che determina.
Questa reciproca implicazione di lavoro e capitalismo vede nell’utilizzo delle tecnologie storicamente disponibili la risorsa determinante, quella che consente determinate forme di produzione e quella che influenza l’organizzazione politica del lavoro.
La comprensione di come le tecnologie digitali, la forma attuale delle tecnologie di produzione e di organizzazione sociale, modificano e determinano la forma del lavoro è quindi centrale per comprendere la forma attuale del capitalismo.
Ma è centrale anche da un altro punto di vista, che è una delle motivazioni (la principale?) di queste due giornate di analisi e confronto.
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