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21 gennaio 1924: 100° anniversario della morte di Lenin
di Fabrizio Poggi
In occasione del 100° anniversario della morte di Valdimir Il'i? Lenin, si ripropone un tema legato all'ultimissimo periodo della sua vita, accuratamente indagato da una parte della storiografia russa, ma meno conosciuto in Italia (se si escludono i lavori, per un verso, di Grover Furr e quelli, di stampo opposto, di Luciano Canfora): l'autenticità, o la paternità leniniana, degli ultimi testi inseriti tardivamente nel volume 45 delle Opere complete (PSS: Polnoe Sobranie So?inenij; 5° ed. russa; 1964) e qua e là definiti “Testamento” di Lenin.
Più precisamente, il tema è quello della dubbia attribuzione a Lenin di lettere, dettati, appunti compresi tra il 23 dicembre 1922 e il 2 marzo 1923, prima del forte peggioramento del suo stato di salute, tra il 6 e il 10 marzo del '23: “Lettera al Congresso” e “Aggiunta alla lettera”; “Sull'attribuzione di funzioni legislative al Gosplan”; “Sull'aumento del numero di membri del CC”; “Per la questione delle nazionalità o sulla “autonomizzazione””; “Pagine di diario”; “Sulla cooperazione”; “Sulla nostra rivoluzione”; “Come riorganizzare la RabKrIn”; “Meglio meno, ma meglio”.
In un'esposizione necessariamente limitata, si concentrerà l'attenzione quasi esclusivamente sulla “Lettera al Congresso” e su alcuni passaggi degli altri testi che, in qualche misura, ruotano attorno alla presunta volontà di Lenin di estraniare Stalin dalle funzioni di General'nyj Sekretar' (GenSek) del CC del RKP(b).
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Il mondo di Lenin. Passaggio a Oriente
di Luca Cangemi
Il discorso di Lenin sull’Oriente è anche il discorso di un nuovo, necessario, rapporto tra il movimento operaio dei paesi capitalistici dell’occidente e i popoli in lotta per la liberazione dal giogo coloniale. La Rivoluzione russa viene vista come il ponte tra queste due realtà. La sconfitta del movimento operaio e del marxismo in occidente pongono ora problemi enormi
Lenin è tornato, o forse non se è n’è mai andato in questo secolo trascorso dalla sua morte, anche se nell’ultimo trentennio l’abbattimento delle sue statue è stato uno sport abbastanza diffuso. Oggi qui e lì qualche statua viene ripristinata ma soprattutto in modo abbastanza improvviso (specie per i più distratti) riemerge il valore fondativo della frattura politica e, diremmo, epistemologica operata da Vladimir Ilic.
Se la cifra di questi nostri anni convulsi è il tendenziale rovesciamento della ri-colonizzazione (americana) del mondo, più nota sotto il nome di globalizzazione, e persino il tramonto del dominio occidentale sul globo (esito tutt’altro che scontato ma possibile), allora è necessario tornare a studiare l’iniziativa leniniana poi sviluppatisi lungo assai tortuosi sentieri ben oltre la fine del Secolo Breve (che sembra pretendere di diventare molto lungo) che di questi sconvolgimenti è, indiscutibilmente, la matrice. È come se attraverso la faglia leniniana prorompesse una nuova ondata di materiale storico incandescente, che non si può comprendere se non si torna alle caratteristiche originarie di quella frattura.
Che di frattura decisiva si tratti fu chiaro subito ai protagonisti di questa lunga storia. Il carattere “sconvolgente” e “costituente” delle idee di Lenin e degli atti del governo sovietico (sin dai primi giorni) sull’autodeterminazione dei popoli sono rilevati con stupore praticamente da tutti gli esponenti che da posizioni assai diversificate (a volte lontanissime da quelle dei comunisti) si pongono il tema dell’emancipazione delle nazioni costrette dagli europei alla condizione di colonie o semicolonie.
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Due Popoli, uno Stato: per il tramonto del «Sionismo Reale»
di Pino Cabras e Simone Santini
Ricopio per intero un lungo articolo pubblicato nel libro “Demoni in Terra Santa” (Visione editore, ottobre 2023). L’articolo ha come autori Pino Cabras e Simone Santini e riprende una vecchia riflessione sulla nuova Guerra dei Cento Anni e su un percorso di soluzione politica che esce da tutti gli schemi. Buona lettura!
Quel che ora leggete – un’analisi controcorrente sul tema più grave della crisi del Vicino Oriente – è un articolo in gran parte già edito, così come già edita è la dinamica che periodicamente si ripete con nuovi episodi che replicano lo stesso cliché nella Guerra dei Cento Anni in Terrasanta. Avevamo già pubblicato sul sito Megachip nel giugno 2010 gran parte di queste riflessioni, ma sentiamo l’esigenza di riproporle a nuovi lettori, con alcune notevoli attualizzazioni.
Non è facile parlarne mentre va in onda a reti unificate Tele Netanyahu. Il 15 ottobre 2023 sulla piattaforma X il premio Pulitzer Glenn Greenwald (forse il giornalista più autorevolmente impegnato al mondo sulla libertà di parola) è stato in proposito lapidario: «Esattamente come è accaduto con il COVID, e poi con la guerra in Ucraina, il sistema di censura su più fronti implementato dai governi occidentali è stato nuovamente attivato – ancora una volta a un livello sorprendentemente nuovo – per vietare il dissenso dalla politica dell’UE nei confronti di Israele/ Guerra di Gaza».
Ancora oggi in tanti estraggono da un cilindro sempre più consumato la vecchia idea della soluzione “Due Popoli Due Stati”. Temiamo che questo sia un coniglio morto e in avanzato stato di decomposizione. Riproponiamo perciò un’analisi controcorrente che per la Terrasanta invece immagina una soluzione certo più complessa, ma che forse meglio garantirebbe tutti. Naturalmente è una soluzione che rimanda al futuro. Per ora (lo sappiamo e non lo scordiamo), stanno parlando le armi e le stragi. Per ora impera nei media occidentali il marketing della disumanizzazione del Nemico. Ma dopo cosa accadrà?
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Cento anni dalla morte di Lenin
di Salvatore Bravo
Cento anni ci separano dalla morte di Lenin, in un arco temporale così ampio nel quale la trasformazione sembra la cifra del nostro tempo. I processi trasformativi sono governati da leggi che bisogna decriptare, in modo da storicizzare ciò che appare “l’assoluto in Terra”. Lenin può essere un punto di riferimento dialettico per pensare “il tempo nuovo della Rivoluzione”. Il capitalismo nella sua fase imperiale occupa lo spazio e il tempo per neutralizzare ogni prospettiva storica altra. La logica competitiva-imperiale è nel quotidiano e si estende anche nelle attività divergenti. Il tempo libero è in continuità con la logica competitiva, la coscienza infelice motore della storia è anestetizzato dall’anglosfera. Le tossine del capitale sono tentacolari e hanno l’effetto di neutralizzare l’immaginazione concettuale con cui pensare l’alternativa. Occupare lo spazio-tempo in senso assoluto conduce a un pessimismo depressivo generalizzato, in quanto il presente all’ombra del capitale “sembra tutto”, non c’è scampo a esso. Il capitalismo è percepito come “totalità/gabbia d’acciaio senza alternativa” alla quale non si può sfuggire. Il centenario di Lenin avviene in un clima storico senza speranza. La possibilità di confrontarsi con un rivoluzionario che “ce l’ha fatta”, è motivo per comprendere l’importanza dell’evento e riattivare la dimensione della speranza.
Il capitalismo esalta gli organici al sistema e i disperati che si adattano rabbiosi e reificati. Lenin ci dimostra con la sua storia individuale inscindibile dalla storia del partito comunista, che la storia non è mai conclusa. Il rivoluzionario di ogni epoca deve cogliere le occasioni della storia che improvvise possono materializzarsi per trasformarle in azione. Lenin dunque dimostra che la prassi bisogna prepararla e agguantarla nel contempo.
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I tempi storici non ammettono confronti
Due stuzzichini
di Michele Castaldo e Alessio Galluppi
* * * *
Il popolo, la destra, le compagnerie di sinistra e la dirompenza della talpa
di Michele Castaldo - www.michelecastaldo.org
Si è accesa una disputa su un accadimento di rilevanza uguale a zero, ovvero sui saluti romani di un gruppo di persone che si sono radunate per celebrare l’anniversario di Acca Larenzia, cioè dell’uccisione di alcuni militanti di estrema destra da parte di militanti di estrema sinistra nel 1978.
I fatti: «Acca Larenzia è la denominazione giornalistica del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma il 7 gennaio 1978, per opera di un gruppo armato afferente alla sinistra, nel quale furono uccisi due giovani neofascisti appartenenti al Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano. A tali fatti è strettamente legata la morte di un terzo attivista della destra sociale, Stefano Recchioni, ucciso qualche ora dopo negli scontri con le forze dell’ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso dell’agguato».
Dai fatti menzionati ne scaturisce una onorificenza che ogni anno fanno i militanti di estrema destra, o dichiaratamente fascisti, recandosi sul luogo commemorando i morti col saluto romano, ovvero col braccio teso in avanti e la mano aperta.
Apriti cielo! «L’ombra del fascismo s’avanza ancora! » «Perché la presidente del consiglio tace? » e ancora «Perché non si dichiara apertamente antifascista»?
Mettiamo i piedi per terra e cerchiamo di ragionare seriamente non tanto sul passato, dove pure molte cose andrebbero chiarite solo per amore della verità, ma siccome la storia la raccontano e la scrivono i vincitori, pazienza.
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Come venne sconfitto l’Occidente
di Pepe Escobar - sputnikglobe.com
Emmanuel Todd, storico, demografo, antropologo, sociologo e analista politico, fa parte di una razza in via di estinzione: è uno dei pochissimi esponenti rimasti dell’intelligentia francese della vecchia scuola – un erede di quelli come Braudel, Sartre, Deleuze e Foucault che avevano affascinato i giovani nati dopo la Guerra Fredda, dall’Occidente all’Oriente.
La prima chicca che riguarda il suo ultimo libro, La Défaite de L’Occident (“La sconfitta dell’Occidente”), è il piccolo miracolo di essere stato pubblicato la scorsa settimana in Francia, proprio in un Paese NATO. Più che di un libro si tratta di una vera e propria bomba a mano, scritto da un pensatore indipendente, basato su fatti e dati verificati, che fa saltare l’intero edificio della russofobia eretto intorno all'”aggressione” dello “zar” Putin.
Alcuni settori dei media aziendali francesi, rigorosamente controllati dagli oligarchi, questa volta non hanno potuto ignorare Todd, per diversi motivi. Soprattutto perché era stato il primo intellettuale occidentale, già nel 1976, a prevedere la caduta dell’URSS nel suo libro La Chute Finale, basato sull’analisi dei tassi di mortalità infantile dell’Unione Sovietica.
Un altro motivo fondamentale era stato il suo libro del 2002 Aprés L’Empire, una sorta di anteprima del declino e della caduta dell’Impero, pubblicato pochi mesi prima dello Shock & Awe in Iraq.
Ora Todd, in quello che ha definito il suo ultimo libro (“Ho chiuso il cerchio”), può permettersi di rischiare il tutto per tutto e descrivere meticolosamente la sconfitta non solo degli Stati Uniti, ma dell’Occidente nel suo complesso, concentrando le sue ricerche sulla guerra in Ucraina.
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Nuovo Patto di Stabilità: può piovere per sempre
di coniarerivolta
Il 2023 si è chiuso con un impeto di chiarezza e onestà intellettuale. Le istituzioni europee hanno, infatti, cercato di sgomberare definitivamente il campo da tutte le sciocchezze con cui anime candide e utili idioti ci ammorbavano dai mesi concitati della pandemia (l’Europa è cambiata! Mai più austerità, la priorità è il benessere delle popolazioni! La lezione è servita, l’Europa ha finalmente capito le virtù di una politica economica espansiva e coordinata!). Con la fine del 2023, infatti, è scaduta la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita che era stata decretata per contenere le conseguenze economiche del Covid-19. Una sospensione che, lungi dall’essere dettata da considerazioni di natura umanitaria sulla macelleria sociale che sarebbe derivata dall’applicazione pedissequa delle regole, ha avuto come principale obiettivo quello di salvaguardare i profitti. Ora che l’emergenza è finita e i profitti sono salvi, si torna alle regole.
Dopo mesi di negoziazioni, proposte della Commissione Europea e una ricerca di compromessi sempre più al ribasso, pochi giorni prima di Natale il Consiglio Europeo ha ‘finalmente’ trovato un accordo per la riforma della governance economica europea, riaffermando in maniera forte e chiara che l’austerità fiscale è Il principio cardine dell’integrazione europea.
Apparentemente, niente di nuovo sotto il sole, giusto? Purtroppo non è esattamente così. Per capire perché le nuove regoli fiscali rappresentino un salto di qualità e un ulteriore giro di vite, è necessario fare un passo indietro. Fino a prima della sua sospensione, sancita nei mesi più duri della pandemia, il cosiddetto Patto di Stabilità e Crescita era il meccanismo principe di disciplina delle finanze pubbliche dei Paesi membri dell’Unione Europea.
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Le Bimbe di Bibi coprono le Bombe di Bibi
di Pino Cabras
Come nascondere un genocidio. Un pezzo di borghesia italiana filoisraeliana vuol far dichiarare il 7 ottobre “femminicidio di massa”. Si nasconde il massacro di migliaia di donne a Gaza e le gravi incongruenze del New York Times
Qualche settimana fa, un gruppo di donne molto in vista di un settore della borghesia italiana filoisraeliana ha lanciato una poderosa raccolta di firme per dichiarare “femminicidio di massa” la strage del 7 ottobre. Non bastava più la strage in sé, ormai soverchiata simbolicamente dai numeri della carneficina di massa perpetrata dai Netanyahu Boys con più kilotoni di Hiroshima e Nagasaki messi insieme. Serviva unirla a uno dei vettori di esecrazione più usati da qualche anno in qua per innescare indignazione: la parola femminicidio. Hamas, secondo le autrici dell’appello, non si è limitata a un’azione di violenza terroristica, perché voleva colpire le donne in quanto donne. Nell’appello non viene fatto cenno alcuno alla furia genocida che ha distrutto quasi tutte le case, le scuole, gli ospedali e qualsiasi altra infrastruttura di Gaza. Non si fa menzione alcuna delle quasi diecimila donne innocenti, in buona parte minorenni, sventrate fin qui dalle bombe di Bibi il genocida seriale. Non sono citate le migliaia di giovani madri che hanno visto profanare la loro maternità nella penosa raccolta dei corpicini esanimi o a brandelli dei loro figlioletti o che non riescono più a dissetare e nutrire quelli che sono scampati alla caccia dei droni. Non si fa cenno, insomma, al più grande femminicidio di massa mai perpetrato da quando è stata inventata la parola femminicidio: ossia il femminicidio di massa delle donne di Gaza.
Me le vedo, emozionate e indignate, le raffinate signore, durante l’impeto di un “facciamo qualcosa”, “scriviamo qualcosa”, tese a sostenere “il diritto-di-Israele-di-difendersi” a tutti i costi. C’è Andrée Ruth Shammah, rinomata regista teatrale che in Israele vede «un esperimento meraviglioso di integrazione, quel mettere insieme tutte le genti del mondo, arabi, russi, polacchi, francesi, ashkenaziti, sefarditi.»
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La centralità del lavoro e del conflitto nella costruzione del MpRC
di Fosco Giannini*
Per presentare il nostro progetto politico, pubblichiamo la relazione, approvata all’unanimità, con cui il coordinatore nazionale ha introdotto la riunione del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista, lo scorso 14 gennaio.
Abbiamo costituito, in tante e tanti di tutta Italia, il Movimento per la Rinascita Comunista (MpRC) lo scorso 11 novembre a Roma, non casualmente, presso la sala “Intifada”. E oggi siamo chiamati, moralmente e politicamente, in questo nostro primo Coordinamento Nazionale, ad aprire i lavori rimarcando di nuovo la nostra piena e attiva solidarietà al popolo palestinese e la nostra totale e severa condanna delle politiche sanguinarie e fasciste portate avanti dal governo e dall’esercito di Israele.
Abbiamo lanciato sulle nostre pagine Facebook e in Rete (e cogliamo l’occasione per ringraziare il compagno Massimo Cazzanelli, responsabile del Dipartimento Comunicazione e tutti i compagni del Dipartimento per il grande lavoro che stanno facendo) un appello e una raccolta di firme a sostegno della giusta iniziativa della Repubblica del Sudafrica, subito appoggiata dalla Repubblica di Cuba, che chiede che Israele sia condannata per genocidio presso il Tribunale dell’Aya. Aderite a questo nostro Appello, compagne e compagni, e fate aderire, poiché l’orrore che Netanyahu sta disseminando a Gaza, con la ferina complicità degli Usa e dell’Ue, non deve essere nemmeno per un minuto dimenticato, ma “fissato” nella storia e in essa per sempre tramandato.
Alta deve dunque rimanere la nostra attenzione e la nostra iniziativa a fianco del martoriato ed eroico popolo palestinese, come alta deve essere la nostra attenzione sui fatti del Mar Rosso e i bombardamenti anglo-americani sullo Yemen, che rafforzano il rischio di un allargamento della guerra in tutto il Medio Oriente.
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La guerra dei Greci e la nostra
di Giovanni Di Benedetto
Recensione del libro di Andrea Cozzo "La logica della guerra nella Grecia antica", Palermo University Press, 2024, Ed. riv. e corr.
Il mondo contemporaneo rischia di precipitare inesorabilmente nel baratro della guerra planetaria. Non si contano più gli scenari geopolitici divenuti teatro di conflitti bellici: Russia e Ucraina, Yemen, Iran e Pakistan, Israele e Palestina, Siria e, in Africa, Libia, Congo, Sudan, Nigeria, Etiopia, per citare i casi più noti. In questo quadro, davvero sconfortante, la pubblicazione dell’ultimo libro di Andrea Cozzo, “La logica della guerra nella Grecia antica” (Palermo University Press, 2024, ed. rived. e corr.), risulta essere quanto mai utile e opportuna, soprattutto per chi si dedica alla professione dell’insegnamento e della trasmissione del sapere.
Il lavoro di Andrea Cozzo si propone, come suggerisce il titolo stesso, di analizzare la costruzione delle retoriche della guerra nella Grecia antica. A una prima superficiale osservazione ci si potrebbe chiedere quale dovrebbe essere il nesso tra lo studio delle guerre nel mondo antico e la riflessione sugli eventi militari dei giorni nostri. Troppo diversi i contesti storici e le forme della riproduzione socioeconomica, in particolare la forma specifica della produzione borghese. Tuttavia, occorre rimarcare che lo studio dell’autore è costruito con lo sguardo rivolto costantemente alla nostra drammatica contemporaneità che, come è a tutti noto, è segnata, come si diceva, dall’esplosione in tutto il mondo di decine di conflitti. Non si pensi dunque a un lavoro le cui riflessioni colte sarebbero confinate alla ristretta cerchia degli specialisti del mondo antico, filologi e storici della lingua greca in primis. Il tentativo del pregevole lavoro di Cozzo è di fare dialogare il mondo antico, con le sue problematiche e le sue contraddizioni, con il presente, per meglio fare luce sui problemi che oggi si pone lo storico, e con lui il lettore e, più in generale, il cittadino consapevole.
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La contro-insurrezione estesa
di Ana María Morales
Come interpretare, a più di tre anni dalla grande sollevazione indigena e popolare dell’ottobre 2019 che era riuscita a mettere in ginocchio il governo di Quito, l’attuale esplosione di violenza in Ecuador? Il governo di Daniel Noboa ha dichiarato lo stato d’eccezione e il coprifuoco per combattere la sua guerra contro l’escalation della violenza armata dei Narcos. È noto da molto tempo, tuttavia, che la “guerra alla droga”, è una strategia opaca che ha coperto da decenni ben diversi e tremendi obiettivi elaborati dai governi degli Stati Uniti, della Colombia e del Messico, per citare solo i più rilevanti. Anche in Ecuador, naturalmente, le spettacolari esplosioni di violenza dei giorni scorsi sono il frutto di un lungo processo. Su Comune lo ha raccontato molto bene Francesco Martone nei giorni scorsi. Raquel Gutiérrez Aguilar, filosofa, matematica, femminista e molte altre cose, che insegna all’Università messicana di Puebla ma ha grandi conoscenze e una lunga esperienza di lotta in tutta l’America latina (perfino nella guerriglia katarista nella Bolivia degli anni Ottanta), proprio alla luce del confronto con la guerra al narcotraffico messicana, offre in questa intervista una interpretazione dell’attuale situazione ecuadoriana che mette in luce elementi in parte originali e di grande interesse. A cominciare dalle connessioni con la sollevazione del 2019, inquadrando lo scontro tra Stato e Narcos di queste settimane in una nuova declinazione, “estesa” o ampliata, della tradizionale tecnica di contro-insurrezione. Il fatto che un’esplosione così rilevante e acuta di una violenza – anche nelle carceri sotto il controllo dello Stato – in apparenza apolitica, sostiene Raquel, non sia in un primo momento ascrivibile a una fase di contro-insurrezione, è proprio una delle sue caratteristiche innovative, in un momento di grande caos sistemico, quella di cercare di rimanere occulta agli occhi degli analisti e della società intera. In altri termini, non si tratterebbe dell’apparente scontro di potere tra criminalità organizzata e Stato ma di una sorta di assestamento di potere tra soggetti ormai indistinguibili.
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La tempesta perfetta della crisi tedesca
di Alessandro Scassellati
Senza l'energia a basso costo e con un forte calo delle esportazioni il modello tedesco si muove rapidamente verso la deindustrializzazione. Mentre i lavoratori del trasporto ferroviario, i camionisti e gli agricoltori stanno scioperando si intravede un disastro politico e socio-economico legato al ritorno dell'austerità
Da sempre motore economico (a cui l’industria italiana è molto legata attraverso le supply chains) e potenza politica dell’Unione Europea, la Germania è alle prese con un potente mix di problemi strutturali profondi e a breve termine che – insieme a un Governo diviso e apparentemente inefficace – hanno spinto gli osservatori e gli economisti a parlare (di nuovo, come alla fine degli anni ’90) di “malato d’Europa”.
I lavoratori ferroviari, i camionisti e gli agricoltori sono tra coloro che sono scesi in strada o in sciopero in tutta la Germania dall’8 gennaio con proteste a livello nazionale, per rivendicazioni che vanno dalle retribuzioni e condizioni di lavoro ai tagli ai sussidi agricoli e all’aumento dei pedaggi autostradali per i veicoli pesanti entrato in vigore all’inizio di dicembre. Con elezioni chiave in programma quest’anno negli Stati della Germania orientale, molti osservatori temono che il nuovo spirito di mobilitazione dei lavoratori possa giocare direttamente nelle mani di una vivace estrema destra.
Le proteste di lavoratori autonomi come gli agricoltori e i trasportatori di merci, così come gli scioperi nel settore ferroviario statale, non sono coordinati, concentrandosi su rivendicazioni diverse e in alcuni casi legati a controversie che precedono l’attuale Governo. Ma il loro consenso ha dato all’estrema destra un’occasione perfetta per alimentare le fantasie populiste di un colpo di Stato. Sui suoi canali di social media, il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD) ha dipinto l’immagine di gente comune “portata alla rovina da una leadership politica irresponsabile come nel Medioevo”, e ha esortato i cittadini a unirsi a quello che ha chiamato uno “sciopero generale”. Lo stesso hanno fatto altre organizzazioni di estrema destra come i Liberi Sassoni (un piccolo partito estremista di destra fondato nel 2021) e La Terza Via (Der Dritte Weg, un partito neonazista formato nel 2013 da ex membri del gruppo estremista di destra NPD)1.
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Confronto tra il modo in cui l'Occidente e la Cina offrono prestiti ai Paesi in via di sviluppo
di John P. Ruehl - countercurrents.org
Le istituzioni economiche occidentali consolidate stanno affrontando una sfida formidabile da parte dei nuovi arrivati cinesi, ognuno dei quali offre strategie di prestito distinte e competitive con conseguenze di vasta portata per le infrastrutture e lo sviluppo globale
Nell'ottobre 2023, nel corso delle celebrazioni per il 10° anniversario della Nuova via della seta (Belt and Road Initiative, BRI) della Cina a Pechino, i leader pakistani e cinesi hanno firmato un accordo multimiliardario per un progetto ferroviario. Come componente centrale degli sforzi della Cina per promuovere l'integrazione economica e sviluppare le infrastrutture all'estero, il Pakistan ha ricevuto un'importante assistenza allo sviluppo da Pechino attraverso il Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) da 62 miliardi di dollari.
Tuttavia, anche le nazioni occidentali e le entità finanziarie hanno effettuato manovre strategiche in Asia, con il Fondo monetario internazionale (FMI) che ha approvato un prestito di 3 miliardi di dollari per il Pakistan a luglio, "salvandolo dall'insolvenza sul debito". Altri Paesi della regione stanno sperimentando una concorrenza simile. Il Bangladesh, ad esempio, ha inaugurato il Collegamento ferroviario del Ponte Padma (Padma Bridge Rail Link) legato alla BRI in ottobre e settimane dopo ha ricevuto un prestito di 395 milioni di dollari dall'UE. Nello stesso mese, lo Sri Lanka ha concluso un accordo sul debito con la Cina, mentre gli Stati Uniti hanno concesso un prestito di 553 milioni di dollari per la costruzione di un porto a Colombo all'inizio di novembre.
Con l'aumento della competizione per le infrastrutture e gli investimenti negli ultimi anni, si sono intensificati gli stalli tra i finanziatori occidentali e cinesi per la ristrutturazione del debito e gli sgravi. I creditori esitano a offrire pacchetti di sgravi, temendo che la concessione di un creditore possa consentire al Paese debitore di utilizzare il denaro degli sgravi per pagare gli altri. Queste impasse sottolineano le sfide che il sistema finanziario dominato dall'Occidente da decenni e le iniziative di prestito devono affrontare.
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La cassetta degli attrezzi
Postille a "Guerra e rivoluzione"
di Carlo Formenti
Premessa
In "Guerra e Rivoluzione" (2 voll. Meltemi, Milano 2023) ho affrontato alcuni temi "scabrosi" sui quali il marxismo occidentale non può esimersi di riflettere, se vuole uscire dalle secche in cui lo hanno impantanato decenni di opportunismo, settarismo e dogmatismo. Personalmente ritengo che l'opportunismo (vedi le ricorrenti tentazioni elettoralistiche e la conseguente disponibilità al compromesso con le borghesie liberali), benché pernicioso, abbia causato meno danni del settarismo e del dogmatismo, cioè della riproposizione rituale e ottusa di dogmi che un secolo di storia ha impietosamente falsificato. E' questo crampo ideale che ha impedito alle formazioni neo comuniste di radicarsi nel sociale e raccogliere consensi (mi riferisco all'arruolamento di nuove leve di militanti, non a qualche manciata di voti) fra i lavoratori e le giovani generazioni. In questo articolo propongo alcuni approfondimenti relativi ai temi affrontati nel libro uscito qualche mese fa. Non toccherò - se non marginalmente - le questioni relative alle trasformazioni strutturali del tardo capitalismo e alle nuove forme di socialismo emerse in Cina e America Latina, perché si tratta di problemi sui quali sono già tornato su queste pagine. Mi concentrerò invece: 1) sulla critica degli "ismi" (economicismo, progressismo, eurocentrismo, universalismo, ecc.) che hanno sterilizzato il marxismo occidentale; 2) sulla questione della forma partito.
I. Gli "ismi"che hanno affossato il marxismo occidentale
In un dialogo con Onofrio Romano, pubblicato da DeriveApprodi nel 2019 (1), elencavo cinque temi da affrontare per il rinnovamento del marxismo:
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La Striscia di terra bruciata
di Joshua Frank
Dopo aver abbattuto le persone e le case, c’è da avvelenare la terra e l’acqua. Ci penseranno l’utilizzo del fosforo bianco, l’inquinamento delle falde e l’abbattimento degli ulivi. Come rendere Gaza, una volta conclusa la campagna di sterminio, un angolo del mondo invivibile anche per le generazioni palestinesi a venire. Ci vorranno almeno cento anni per eliminare gli effetti ambientali di questa guerra.
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Su una pittoresca spiaggia nel centro di Gaza, 1.600 metri a Nord del campo profughi di Al-Shati, ormai raso al suolo, lunghi tubi neri serpeggiano attraverso colline di sabbia bianca prima di scomparire sottoterra. Un’immagine rilasciata dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) mostra decine di soldati che posano condutture e installano quelle che sembrano essere stazioni di pompaggio mobili che devono prelevare l’acqua dal Mar Mediterraneo e convogliarla nei tunnel sotterranei. Il piano, secondo vari rapporti, è quello di allagare la vasta rete di gallerie e tunnel sotterranei che Hamas avrebbe costruito e utilizzato per svolgere le sue operazioni.
“Non parlerò dei dettagli, ma includono esplosivi per distruggere e altri mezzi per impedire agli agenti di Hamas di utilizzare i tunnel per danneggiare i nostri soldati”, ha detto il Capo di Stato Maggiore dell’IDF, il Tenente Generale Herzi Halevi. “Qualsiasi mezzo che ci dia un vantaggio sul nemico che usa i tunnel, privandolo di questa risorsa, è un mezzo che stiamo valutando di utilizzare. Questo è un buon piano”.
Anche se Israele sta sperimentando la sua strategia di allagamento, non è la prima volta che i tunnel di Hamas vengono sabotati avvalendosi dell’acqua di mare.
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Parte I: Putin prepara l'Africa Corps russo per il calderone africano
di Giuseppe Masala
Mentre gli occhi del mondo sono giustamente puntati sulla nuova deflagrazione della “guerra mondiale a pezzi” avvenuta con l'attacco anglo-americano in Yemen per contrastare il blocco dello stretto di Bab al-Mandab da parte dei ribelli filo-iraniani Huti anche in Africa la situazione si fa sempre più grave.
Come ho già illustrato in passato anche l'Africa è di fatto uno dei campi di battaglia nei quali si confrontano l'Occidente e il blocco euroasiatico (in particolare la Russia, che è più esposta militarmente mentre la Cina lo è maggiormente economicamente); il fine è di guadagnare un vantaggio strategico sull'avversario con l'insediamento di basi militari, ma anche quello di mettere le mani sulle preziose materie prime del continente e di trasferire produzioni a basso valore aggiunto la cui produzione non è più economicamente sostenibile nei paesi d'origine. Quest'ultimo è per esempio il caso dell'Etiopia (da ultimo entrata nei Brics) che sta ricevendo ingenti investimenti cinesi anche con il trasferimento di produzioni a basso valore aggiunto e non più sostenibili per Pechino (1). Per quanto riguarda l'esposizione militare della Russia in Africa, bisogna dire che questa diventa ogni giorno più rilevante: non solo con l'ingresso della compagnia di ventura privata Wagner fondata dal quell'Evgenij Prigožin deceduto in un misterioso incidente aereo, ma anche con l'intervento diretto di forze russe (Istruttori e intelligence), e il trasferimento di armamenti anche molto sofisticati. Si fa peraltro sempre più insistente la voce secondo cui la Russia (intesa come entità statuale) starebbe organizzando e istituendo una vera e propria Africa Corps di altissimo livello per contrastare “il colonialismo occidentale” nel continente.
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Lenin con gli occhi a mandorla: l’asiacentrismo
di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli
Lenin, Meglio meno ma meglio (1923): «L’esito della lotta» (tra comunismo e imperialismo moderno) «dipende, in ultima istanza, dal fatto che la Russia, l’India, la Cina ecc., costituiscono l’enorme maggioranza della popolazione».
Dato per assodato il decisivo apporto reso da Lenin, dal 1893 al 1923, alla vittoria e al consolidamento dell’epocale Rivoluzione d’Ottobre, in gran parte sull’ex impero zarista, risulta ora poco apprezzato nella sinistra antagonista delle metropoli imperialiste il geniale contributo teorico (oltre che pratico) offerto da Lenin al processo di sviluppo del marxismo creativo e antidogmatico: gli schemi e le analisi innovative via via prodotte dal grande rivoluzionario russo (1870-1924) rispetto al capitalismo russo dal 1894 al 1916, al partito rivoluzionario, allo sviluppo in fasi differenti del processo rivoluzionario, al materialismo e alla logica dialettica, all’imperialismo contemporaneo, al capitalismo monopolistico di stato, al complicato processo di costruzione del socialismo in Russia, costituiscono una serie impressionante di gemme assai preziose e incastonate tra loro che servono, ancora oggi, all’elaborazione e alla praxis collettiva dei comunisti del Ventunesimo secolo, a un secolo dalla scomparsa del fondatore del bolscevismo/comunismo moderno.
Molto meno nota si rivela invece un’altra sezione del pensiero leninista, rilevante e importante, che consiste nella teoria dell’asiacentrismo.
Bisogna subito precisare che lo stesso concetto di Asia risulta di origine europea e risale allo storico greco Erodoto, essendo una categoria geopolitica non accettata dagli abitanti dell’Asia fino ai primi del Novecento.
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«Stiamo assistendo alla caduta finale dell'Occidente»
Alexandre Devecchio intervista Emmanuel Todd
Nel suo ultimo libro, lo storico e antropologo diagnostica La Sconfitta dell'Occidente. Nel suo saggio La Caduta finale, pubblicato nel 1976, l'autore aveva previsto con precisione il crollo dell'Unione Sovietica
GRANDE INTERVISTA A «LE FIGARO» – Nel suo ultimo libro, lo storico e antropologo diagnostica La Sconfitta dell’Occidente. Nel suo saggio La Caduta finale, pubblicato nel 1976, l’autore aveva previsto con precisione il crollo dell’Unione Sovietica. «Le Figaro» spera che, questa volta, il “profeta” Todd si sbagli.
* * * *
LE FIGARO. – Secondo lei, questo libro ha in particolare come punto di partenza l’intervista che ha concesso al «Figaro» esattamente un anno fa, intitolata “La Terza Guerra Mondiale è iniziata“. Ora lei constata la sconfitta dell’Occidente. Ma la guerra non è finita…
Emmanuel TODD. – La guerra non è finita, ma l’Occidente è uscito dall’illusione di una vittoria ucraina possibile. Non era ancora chiaro per tutti quando scrivevo, ma oggi, dopo il fallimento della controffensiva di quest’estate, e la constatazione dell’incapacità degli Stati Uniti e degli altri paesi della NATO di fornire armi sufficienti all’Ucraina, il Pentagono sarebbe d’accordo con me.
La mia constatazione della sconfitta dell’Occidente si basa su tre fattori.
Primo, la carenza industriale degli Stati Uniti con la rivelazione del carattere fittizio del PIL americano. Nel mio libro, smonto questo PIL e mostro le cause profonde del declino industriale: l’insufficienza della formazione di ingegneria e più in generale il declino del livello educativo, a partire dal 1965 negli Stati Uniti.
Più in profondità, la scomparsa del protestantesimo americano è il secondo fattore della caduta dell’Occidente.
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Multipolarimo, socialismo e decolonizzazione del mondo
di Antonio Castronovi
“Nel mondo che emerge, un mondo fatto
di conflitti etnici scontri di civiltà,
la convinzione occidentale dell’universalità
della propria cultura comporta tre problemi:
è falsa, è immorale, è pericolosa…
l’imperialismo è la conseguenza
logica e necessaria dell’universalismo.”
(S. P. Huntington: Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale).
Il mondo è scosso come non mai da un moto tellurico che sta rompendo gli ingiusti “equilibri” secolari ereditati dal colonialismo occidentale che ha saccheggiato, depredato e colonizzato interi continenti: dall’Africa all’Asia, dalle Americhe all’Australia. Interi popoli stanno riemergendo oggi dall’oscurità della storia e dalla marginalità, e stanno ritrovando le vie del proprio riscatto e della propria indipendenza e sovranità, accelerando la tendenza al multipolarismo.
La frattura che ha provocato questo evento è stata causata dalla decisione coraggiosa della Russia di non sottostare alle provocazioni della NATO di voler fare dell’Ucraina un avamposto anti-russo, minacciandone così la sicurezza. La guerra che ne è seguita sta mettendo in crisi l’ordine unipolare USA nel mondo, accelerando le spinte anticoloniali che si stanno liberando dall’egemonismo occidentale in Africa, in Asia, nel Medio Oriente, in America Latina.
Sta prendendo sempre più forma un nuovo ordine mondiale multipolare, con nuove istituzioni, nuovi rapporti di cooperazione tra Stati e paesi, con nuovi e diversi valori alternativi e contrapposti a quelli neo liberali.
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Oltre la Françafrique
I colpi di Stato in Africa nel processo di decolonizzazione
di Gabriele Santoro
Nei venti anni successivi all’indipendenza, ottenuta nel 1960, l’Alto Volta (dal 1984 Burkina Faso) vide tre colpi di Stato. Dopo quello del 1980 iniziò l’ascesa del militare e politico rivoluzionario Thomas Noël Isidore Sankara, classe 1949, il Presidente più giovane che l’Africa abbia conosciuto. Nominato Capitano, poi segretario di Stato per l’informazione, si distingueva spesso dalla condotta governativa quando questa avversava il popolo. Conquistavano il suo linguaggio coerente nel tempo con i comportamenti, la creatività, l’energia che sostanziarono un immaginario, quello del riscatto antimperialista dei vinti, che sostenne, seppure in assenza di libere elezioni, la sua scalata al vertice dello Stato.
“Osiamo inventare l’avvenire” sosteneva Sankara e non era semplice farlo nel secondo Paese africano più povero, dove l’aspettativa di vita non raggiungeva i quarant’anni. Non era semplice denunciare il fallimento degli stati postcoloniali, creati in quella regione del continente sotto la forte influenza francese, divenuti delle “democrature” segnate da regimi gerontocratici e prive di alcun contrappeso nei poteri statuali. Uno degli elementi più interessanti della breve e intensa vicenda sankarista fu proprio la messa in discussione del paradigma della Françafrique, perpetuatosi anche dopo il 1960, che è tuttora una questione politica e sociale aperta. Negli ultimi tre anni cinque paesi francofoni hanno vissuto colpi di stato militari: Guinea, Mali, Burkina Faso, Niger e da ultimo il Gabon.
Nel giorno della liberazione del Mali, Charles De Gaulle aveva ammonito: “L’indipendenza reale, l’indipendenza totale non appartiene a nessuno. Non c’è politica possibile senza cooperazione”.
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Materialismo dialettico in Mao Tse-tung
di Salvatore Bravo
Il marxismo è analisi oggettiva della realtà, è ricerca delle condizioni che conducono alla rivoluzione e all’emancipazione. Il materialismo dialettico è filosofia della prassi, essa con le sue categorie indaga la realtà permettendo di valutare i processi più idonei che conducono al comunismo. Il materialismo dialettico è una visione del mondo, aderire a esso significa partecipare alla lotta di classe nelle circostanze storiche date. Il materialismo dialettico è la Filosofia del proletariato, mentre l’Idealismo è la filosofia della borghesia capitalista. Mao Tse tung contrappone le due filosofie a cui corrispondono le classi sociali in lotta.
La Filosofia per Mao Tse-tung è sviluppo analitico della realtà, è dialettica materialistica con la quale la classe subalterna diviene consapevole delle condizioni oggettive che conducono alla rivoluzione. Dal fatalismo dell’Idealismo che eternizza i rapporti di forza, il proletariato può uscirne sono con il materialismo dialettico con il quale diviene consapevole che la subalternità non è un dato naturale, ma una relazione materiale dinamica e come tale trasformabile. La Filosofia non insegna il semplice rispecchiamento, essa è movimento di liberazione dalle catene che opprimono i dominati. Le classi operaia e contadina decodificano politicamente le condizioni per ribaltare i rapporti di forza e lo sfruttamento mediante il materialismo dialettico. Mao Tse-tung è erede della lesione filosofica di Marx ed Engels:
“Per quanto riguarda il problema dell’oggetto della filosofia, Marx, Engels e Lenin si opposero tutti quanti alla separazione della filosofia dalla realtà concreta e alla trasformazione della filosofia in una serie di dottrine indipendenti. Essi sottolinearono che la filosofia deve svilupparsi dall’analisi della vita reale e dei rapporti reali e si opposero al metodo della logica formale e dell’idealismo menscevico secondo il quale oggetto di studio sono i concetti logici o un mondo naturale di concetti logici.
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Da vent’anni li aiutiamo a compiere i peggiori crimini
di Francesco Cappello
L’Italia è colpevolmente al fianco dei governi israeliani, in qualunque loro azione, contribuendo fattivamente alle sue reiterate criminali politiche di guerra. La scelta, ormai ventennale, di collaborare al potenziamento dell’apparato bellico israeliano ha avuto l’effetto collaterale della completa perdita di credibilità del ruolo di mediatore in Medio Oriente del nostro Paese
La cooperazione tra l’industria militare italiana e quella israeliana è stata ratificata dal terzo governo Berlusconi che codificò un precedente accordo generale nella forma di memorandum di intesa, sulla cooperazione militare tra Italia e Israele, con la Legge 94 del maggio 2005, passata grazie a uno schieramento “bipartisan”. Il memorandum coinvolge i Ministeri degli Esteri e della Difesa con la piena partecipazione del Ministero dell’Università e della Ricerca. Prevede misure per promuovere gli scambi di tecnologie, formazione, reciproco addestramento (1), ricerca militare, manovre militari congiunte, nonché il reciproco trasferimento di armi e tecnologia.
L’industria militare e le forze armate del nostro Paese sono coinvolte in attività militari congiunte con Israele di cui persino il Parlamento della Repubblica Italiana non ha piena conoscenza. Siamo complici delle reiterate carneficine contro i civili palestinesi che loro chiamano guerra.
Nel luglio 2012, è stato raggiunto un nuovo accordo per l’esportazione dei sistemi militari italiani verso Israele, inclusi gli aerei M-346 consegnati alle forze armate israeliane nel luglio 2014, nel bel mezzo della criminale operazione “Margine protettivo” a Gaza (Le vittime furono circa 2300, tra cui 600 bambini e 11100 feriti). Sebbene i nuovi velivoli siano utilizzati per l’addestramento al pilotaggio dei caccia, possono anche essere armati e utilizzati per bombardare. In particolare, grazie alla loro facilità di utilizzo, possono essere utilizzati in zone urbane e durante conflitti con forze armate a basso dispiegamento di contraerea.
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I poveri non lo sanno
di Michele Blanco*
Giulio Marcon con una precisa e puntuale ricognizione tratta dalle principali fonti economiche e statistiche italiane: Istat, Banca d’Italia e Agenzia delle Entrate, ricostruisce, non solo i reali numeri della ricchezza in Italia, ma anche i suoi tipici tratti distintivi, come le modalità di accumulazione e di trasmissione ereditaria, il sempre più stretto rapporto tra il potere e la politica, gli stili di vita, la formazione dei figli dei ricchi nelle scuole esclusive e nelle università d’élite, gli enormi interessi spesso nascosti della filantropia, l’elevata evasione italiana dal pagamento delle tasse e i paradisi fiscali, che permettono di nascondere all’erario enormi quantità di ricchezza da tassare.
Dei ricchi e della loro ricchezza, in realtà, sappiamo poco o niente, e anche quando vengono pubblicate inchieste internazionali, che scoperchiano enormi giri finanziari illegali, società create fittiziamente in paradisi fiscali per evadere le tasse, liste infinite di ricconi evasori, sembra incredibile che l’interesse dei nostri media duri poche ore, nonostante si stimi che l’8% del patrimonio finanziario globale sia in paradisi fiscali. Diversamente dal mondo anglosassone, in Italia non ci sono molti studi che analizzano chi sono i ricchi nella nostra società, che cosa pensano, leggono, vivono, chi detiene la maggior parte della ricchezza in un dato periodo e per quali ragioni. Tutti noi italiani dovremmo saperne di più delle dinamiche economiche e sociali del Paese, capire come si esercita effettivamente il potere economico e finanziario, che influenza ha sul potere politico, come si formano le élite, perché in Italia ci sono tante ingiustificate diseguaglianze e tanta insopportabile povertà.
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Guerre teoriche? No, meglio interrogarsi sulle sfide dell'economia
Bisogna partire dalle idee che guidano la politica economica
di Roberto Romano
Continua il dibattito sull'insegnamento dell'economia neoclassica. Dal Pil potenziale al tasso naturale di interesse, i concetti possono essere riempiti in modo diverso a seconda dell'approccio teorico. Per Roberto Romano è più importante coltivare questa consapevolezza che cercare di delegittimare gli approcci mainstream
Dobbiamo smettere di insegnare l’economia neoclassica, come si sono chiesti Rochon e Rossi in un recente intervento su queste pagine? È una domanda retorica e forse inutile, sebbene lecita. Non appena si affaccia una sconfitta delle idee più o meno socialiste, ci domandiamo se la scienza mainstream debba avere ancora diritto di cittadinanza1. In realtà, sarebbe più comprensibile questa domanda: siamo all’altezza delle grandi sfide sociali, culturali, scientifiche, economiche e teoriche che attendono l’umanità?
* * * *
La ricerca economica è pervasa da troppi cliché, dalla necessità di pubblicare su riviste di classe A, da un bisogno spasmodico di penetrare ogni intercapedine della produzione di sapere. Tanto che, siamo onesti, si è persa la voglia di capire e comprendere il suo vero oggetto: la società. Perché non riprendiamo a studiare il mondo per come funziona realmente? Perché non ci facciamo più le domande di senso? Perché l’economia è uscita dal suo alveo naturale di scienza sociale?
Spesso mi sono posto domande su concetti come il Pil potenziale, la domanda effettiva e il tasso naturale di interesse. Ho cercato la risposta leggendo gli autori che, a torto o ragione, consideriamo autorevoli da entrambi i lati della “barricata”. Ma se mettiamo in una stanza dieci di questi autori, sono altrettanto certo che possiamo uscirne con più di dieci ipotesi di lavoro o proposte di soluzioni.
Che cosa si nasconde dietro questa incertezza? Il capitalismo è un modo di essere delle società che non si distrugge nelle crisi, ma evidentemente si trasforma e, una volta trasformato, dà luogo a una nuova cultura capitalistica e a nuovi rapporti tra il capitale, lo Stato e gli stessi capitalisti2.
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Il caso legale di genocidio
di Chris Hedges - chrishedges.substack.com
La Corte internazionale di giustizia potrebbe essere tutto ciò che si frappone tra i palestinesi di Gaza e il genocidio
L’esauriente memoria di 84 pagine presentata dal Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) che accusa Israele di genocidio è difficile da confutare. La campagna israeliana di uccisioni indiscriminate, la distruzione su larga scala di infrastrutture, tra cui abitazioni, ospedali e impianti per il trattamento dell’acqua, insieme all’uso della fame come arma, accompagnata da una retorica genocida da parte dei suoi leader politici e militari che parlano di distruggere Gaza e di eradicare i 2,3 milioni di palestinesi, sono tutte ottime ragione per arrivare alla condanna di Israele per genocidio.
Il fatto che Israele abbia diffamato il Sudafrica definendolo il “braccio legale” di Hamas esemplifica il fallimento della sua difesa, una diffamazione a cui hanno fatto eco quelli che sostengono che le manifestazioni organizzate per chiedere un cessate il fuoco e proteggere i diritti umani dei palestinesi sarebbero “antisemite”. Israele, con il suo genocidio trasmesso in diretta al mondo intero, non ha argomenti sostanziali per controbattere.
Ma questo non significa che i giudici del tribunale si pronunceranno a favore del Sudafrica. La pressione degli Stati Uniti – il Segretario di Stato Antony Blinken ha definito le accuse sudafricane “prive di merito” – sui giudici, scelti tra gli Stati membri dell’ONU, sarà intensa.
Una sentenza di genocidio è una macchia che Israele – che utilizza l’Olocausto come arma per giustificare la brutalizzazione dei palestinesi – avrebbe difficoltà a rimuovere. Sarebbe una sconfitta per l’insistenza di Israele che gli Ebrei sono le eterne vittime.
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