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Costruire convergenza tra le lotte
Dmitrij Palagi e Mattia Nesti intervistano Samir Amin
1) Su diversi giornali e siti si parla di Primavera Araba, così come in passato si è utilizzata l’espressione Primavera Sudamericana. Si tenta anche di collegare questi processi con le varie forme di protesta europee, dagli indignados ai referendum italiani. Nonostante questo collegamento è evidente l’assenza dello spirito di Genova 2001, un senso di unità che in molti riassumevano con lo slogan “un altro mondo è possibile”. C’è stata una perdita di unità ed è mai realmente esistito un movimento mondiale anticapitalista?
Alla questione è difficile rispondere. I movimenti sono evidentemente diversi l’uno dall’altro, da un paese all’altro: ognuno ha delle condizioni specifiche. C’è un grosso pericolo nel parlare di “mondo arabo”, perché si rischia di ignorare le molte differenze che esistono tra le vicende di Tunisia ed Egitto rispetto alla fase di Siria e Libia. Questo vale ovviamente di più per il collegamento con un realtà così distante come quella sudamericana, che presenta delle differenze anche al suo interno, dal Brasile al Venezuela cambia molto. Lo stesso discorso vale per i movimenti di Europa e Stati Uniti, che hanno caratteristiche proprie, legate alle specificità delle loro basi sociali.
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La rivoluzione reazionaria
di Maurizio Zanardi
Il capitale umano e l’avvenire della politica
1. Apocalisse
“Nel 1971-72 è cominciato uno dei periodi di reazione più violenti e forse più definitivi della storia. In esso coesistono due nature: una è profonda, sostanziale e assolutamente nuova, l’altra è epidermica, contingente e vecchia. La natura profonda di questa reazione degli anni settanta è dunque irriconoscibile; la natura esteriore è invece ben riconoscibile”[1], così scriveva Pasolini nel luglio del 1973 in un articolo apparso su “Tempo illustrato”. In apparenza il periodo iniziato nel 1971-72 sembra connotato dal “risorgere del fascismo, in tutte le sue forme, comprese quelle decrepite del fascismo mussoliniano, e del tradizionalismo clericale-liberale”. Ma questo aspetto più immediato, assai facile da riconoscere, che asseconda le pigre abitudini interpretative, nasconde la natura profonda, la violenza inaudita, l’aspetto assolutamente nuovo e definitivo di ciò che per Pasolini è in incubazione già a metà degli anni ’60. Da questo punto di vista, il termine “reazione” si rivela del tutto inadeguato alla natura profonda del processo in atto:
La restaurazione o reazione reale cominciata nel 1971-72 (dopo l’intervallo del 1968) è in realtà una rivoluzione. Ecco perché non restaura niente e non ritorna a niente; anzi, essa tende letteralmente a cancellare il passato, coi suoi “padri”, le sue religioni, le sue ideologie e le sue forme di vita (ridotte oggi a mera sopravvivenza). Questa rivoluzione di destra, che ha distrutto prima di ogni cosa la destra, è avvenuta attualmente, pragmaticamente. Attraverso una progressiva accumulazione di novità (dovute quasi tutte all’applicazione della scienza): ed è cominciata dalla rivoluzione silenziosa delle infrastrutture[2].
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Genova. Chi non è con noi, è contro di noi
di Emilio Quadrelli
"Le forze imperialiste, come inevitabilmente obbligano le logiche del «politico» siraggruppano portando alle estreme conseguenze la coppia dicotomica amico/nemico dichiarando senza troppi indugi: «Chi non è con noi, è contro di noi!». Emilio Quadrelli analizza i dieci anni dai fatti di Genova 2001 nel recente quaderno “Cogliere l'occasione”, edito dall'Associazione Marxista Politica e Classe
La militarizzazione della vita politica e sociale, il varo di leggi dichiaratamente xenofobe e razziste, uniti a una repressione sempre più assidua e puntigliosa di ogni manifestazione non allineata alle retoriche della «democrazia liberale«1 fino ad un utilizzo sempre più irreggimentato dell'informazione sono lo scenario quotidiano nel quale il nostro paese è immerso. Esemplificativo al proposito il «Decreto sicurezza» approvato il 22 aprile 2009. Un pacchetto legislativo che, oltre agli ormai abituali e «normali» provvedimenti xenofobi e razzisti, legalizza la costituzione delle «Ronde dei cittadini». Una sorta di «milizia civile» riconosciuta dallo Stato per mettere ordine e disciplina all'interno di quell'arcipelago di «ronde spontanee», particolarmente diffuso nelle aree geografiche del Nord Italia ma che sta rapidamente facendo scuola anche in gran parte del territorio nazionale come i fatti di Rosarno hanno dimostrato. In questo modo, lo Stato, compie un ulteriore passaggio verso la mobilitazione, in chiave controrivoluzionaria, delle «masse"
In poche parole l'operazione, che sarebbe sciocco considerare puramente simbolica, mira a rafforzare sul piano politico e militare gli apparati della controrivoluzione contro la possibilità che, dentro la crisi, si manifestino momenti di lotta e insorgenza proletaria.
Un disegno tutt'altro che eccentrico ma che si sintonizza appieno nelle strategie di contro – guerriglia preventiva e controllo dei territori al quale, da tempo, il comando del capitale attraverso le sue strutture politiche e militari è impegnato3 .
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L'Italia nella crisi
Marino Badiale e Massimo Bontempelli
Nelle terribili turbolenze che stanno investendo i mercati e che hanno ricadute crudeli su alcuni paesi, è davvero essenziale, per preservare quel che resta della civiltà da un'inedita barbarie, possedere diagnosi e prognosi corrette di quel che sta succedendo. Alcuni sottovalutano il ruolo della speculazione finanziaria, sostenendo (come ha fatto anche il presidente della Repubblica Napolitano) che se le condizioni di un paese sono sane, esso non ha nulla da temere dalla speculazione, dimenticando, tra tante altre cose, che la sanità rispetto alla speculazione e quella rispetto all'economia reale sono ben distinte, e che le condizioni che appaiono sane perché allontanano gli attacchi speculativi, possono essere quanto mai nocive per l'economia reale.
Altri puntano il dito contro la speculazione, ma in maniera sbagliata e distorcente perché la intendono come un'attività specifica di alcuni gruppi finanziari (ad esempio i famosi hedge fund). La prima cosa da comprendere è, invece, che speculazione e sistema finanziario globale, inclusivo di tutte le sue diversissime articolazioni, sono esattamente la stessa cosa. Il sistema finanziario globale, cioè, non può agire che in maniera ininterrottamente speculativa nella sua interezza.
Per comprendere questa realtà occorre fare riferimento a tre concetti marxiani: accumulazione allargata, plusvalore e capitale fittizio.
È dimostrato da Marx e dai fatti che il capitale non può autoriprodursi se non allargandosi continuamente, e che il suo allargamento consiste in una produzione crescente di plusvalore dal valore.
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Il redde rationem dell’Europa
Sergio Cesaratto
1. Le giornate nere del debito
L’accelerazione della crisi europea è impressionante. Ce lo aspettavamo. L’assenza di politiche europee credibili nei riguardi della crisi dei piccoli paesi periferici ha alla fine generato quello che qualunque persona intelligente poteva prevedere: il contagio a Spagna e Italia. L’aumento dei tassi di interesse sui titoli di questi paesi avvicina la loro situazione a quella in cui caddero i piccoli birilli da biliardo lo scorso anno. Spagna e Italia sono però birilli da bowling. L’accelerazione nell’approvazione della manovra ma, soprattutto, le voci di un intervento della BCE a sostegno dei titoli italiani ha evitato martedì 12 l’irreparabile. Pur tuttavia il differenziale di interesse con i titoli tedeschi ha raggiunto un livello incompatibile con la sostenibilità nel lungo periodo del debito italiano. Ovvero se lo stock del debito italiano dovesse essere progressivamente rifinanziato a tassi così elevati, esso comincerebbe a crescere in maniera insostenibile per il mero pagamento degli interessi, a meno di imponenti avanzi primari del bilancio pubblico che a loro volta genererebbero recessione in una spirale senza fine. Siamo vicini alla situazione in cui si trovarono i piccoli periferici un anno fa, e da cui non sono in grado di uscire. Come insegnano le esperienze di questi ultimi, infatti, feroci manovre di aggiustamento dei conti accelerano la crisi debitoria. I mercati lo sanno. Martedì sera l’agenzia di rating Moody’s ha, infatti, ridotto anche i titoli del debito pubblico irlandese a spazzatura. Che fare allora?
2. Gli Eurobonds
Come abbiamo avuto già modo di dire, la crisi europea ha un aspetto contingente e uno di fondo.
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Capitalismo tossico
di Vladimiro Giacchè
Bertorello e Corradi contro i luoghi comuni
In questi giorni, in cui la crisi sembra riesplodere con la violenza dell'autunno 2008, è particolarmente importante possedere delle bussole per capire cosa accade. Anche oggi - come allora - la stampa e la pubblicistica dominanti ci parlano di "speculazione da imbrigliare". Ma mentre allora si "riscopriva" lo Stato, implorandolo di fare il bagnino e di riportare a riva le grandi imprese finanziarie (e non solo) che affogavano nei loro debiti, oggi la parola d'ordine è "disciplina di bilancio!". E sul banco degli accusati ci sono gli Stati, a causa dei debiti di cui si sono fatti carico. Il conto lo presentano proprio quei "mercati" che erano stati salvati. E gli Stati, contriti e ubbidienti, stanno girando la parcella ai lavoratori.
Per combattere contro questa ennesima beffa è importante capirne i meccanismi di fondo. Contro tutti i luoghi comuni. E' quanto fanno Marco Bertorello e Danilo Corradi nel loro Capitalismo tossico. Crisi della competizione e modelli alternativi (Roma, Alegre, 2011, euro 16). Smontando la tesi, in fondo rassicurante, che contrappone una finanza "malata" ad un'economia reale "sana". Al contrario: è proprio "l'intreccio inestricabile tra finanza e produzione" ciò che caratterizza lo sviluppo economico degli ultimi trent'anni, che ha risolto a suo modo la crisi degli anni Settanta.
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La questione del metodo: materialismo storico-dialettico e attualita' del marxismo
di Emilio Quadrelli *
“Nella storia reale la parte importante è rappresentata, come è noto, dalla conquista, dal soggiogamento, dall'assassinio e dalla rapina, in breve dalla violenza. Nella mite economia politica ha regnato da sempre l'idillio. Diritto e “lavoro” sono stati da sempre gli unici mezzi d'arricchimento, facendosi eccezione, come è ovvio, volta per volta, per “questo anno”. (K. Marx, Il Capitale. Critica dell'economia politica)
La posta in palio
Il tema della precarietà, della flessibilità e via dicendo ha conquistato, da tempo, un ruolo predominante dell’attuale scena politica, economica e sociale. La condizione di lavoro precario, inizialmente percepita come semplice “rito di passaggio” per segmenti particolari della forza lavoro salariata, è diventata la condizione di esistenza per lo più abituale per cospicue quote del lavoro subordinato. Da ambito di “nicchia” e per di più estemporanea, così come era stata presentata inizialmente, si è repentinamente imposta come la condizione permanente per quote sempre più ampie di popolazione. Ciò che è stato sbandierato come “stato d’eccezione temporaneo” si è velocemente trasformato in uno “stato d’eccezione permanente”. Questo fatto è sotto agli occhi di tutti. A fronte di ciò, e non poteva essere altrimenti, si è assistito a un graduale ma costante ritiro dello Stato dagli ambiti deputati, attraverso le politiche sociali, a garantire l’inclusione sociale delle masse subalterne. Il Welfare State, la forma statuale messa in forma nel corso del Novecento nel mondo occidentale e soprattutto nella Vecchia Europa, si è pressoché eclissato. Non si tratta di un fatto accidentale poiché la relazione tra la forma “concreta” che assume il lavoro salariato e il modello statuale entro il quale si esplica ha un legame oggettivo che non può essere scisso.
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Quello che internet ci nasconde
Eli Pariser*
I motori di ricerca e i social network ci conoscono sempre meglio. Grazie alle tracce che lasciamo in rete, sanno cosa ci piace. E selezionano i risultati, scegliendo solo i più adatti a noi. Ma in questo modo la nostra visione del mondo rischia di essere distorta
Poche persone hanno notato il post apparso sul blog ufficiale di Google il 4 dicembre 2009. Non cercava di attirare l’attenzione: nessuna dichiarazione sconvolgente né annunci roboanti da Silicon valley, solo pochi paragrafi infilati tra la lista delle parole più cercate e un aggiornamento sul software finanziario di Google. Ma non è sfuggito a tutti. Il blogger Danny Sullivan analizza sempre con cura i post di Google per cercare di capire quali sono i prossimi progetti dell’azienda californiana, e lo ha trovato molto interessante. Più tardi, quel giorno, ha scritto che si trattava del “più grande cambiamento mai avvenuto nei motori di ricerca”. Bastava il titolo per capirlo: “Ricerche personalizzate per tutti”.
Oggi Google usa 57 indicatori – dal luogo in cui siamo al browser che stiamo usando al tipo di ricerche che abbiamo fatto in precedenza – per cercare di capire chi siamo e che genere di siti ci piacerebbe visitare. Anche quando non siamo collegati, continua a personalizzare i risultati e a mostrarci le pagine sulle quali probabilmente cliccheremo. Di solito si pensa che facendo una ricerca su Google tutti ottengano gli stessi risultati: quelli che secondo il famoso algoritmo dell’azienda, PageRank, hanno maggiore rilevanza in relazione ai termini cercati. Ma dal dicembre 2009 non è più così. Oggi vediamo i risultati che secondo PageRank sono più adatti a noi, mentre altre persone vedono cose completamente diverse. In poche parole, Google non è più uguale per tutti.
Accorgersi della differenza non è difficile.
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Il fratello di Prometeo
di Sergio Bruno

Che potremmo fare, noi di Sbilanciamoci, all’indomani della nostra ipotetica vittoria alle prossime elezioni? Nonostante le tante proposte, anche recenti, della rivista, direi che non ci si possano fare molte illusioni, a parte ristabilire – e non è poco – un clima di etica, di giustizia e, non ultimo, di buon gusto, oltre che correggere – ma senza grandi impegni di spesa – la maggior parte possibile dei danni prodotti dall’amministrazione Berlusconi. Davvero poco potremmo fare per affrontare i problemi connessi allo sviluppo: per l’occupazione, per la soluzione dei problemi del precariato, per pensioni sociali e sanità, per la ricerca. La ragione di questa sostanziale irrilevanza della sovranità politica sta nei ristretti margini in cui si muovono le politiche di bilancio. In un articolo di qualche settimana fa (“Tutto cominciò con undivorzio”) ho ricondotto ciò agli effetti cumulativi di un percorso perverso avviato negli anni '80 del Novecento con la cessione alle banche centrali del potere statuale di signoraggio monetario. Il problema è stato ulteriormente chiarito da Luciano Gallino (“La crisi greca e le colpe della Ue”; ma si veda anche il suo recente libro “Finanzcapitalismo”).
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La farsa dell’emergenza economica
Andrea Fumagalli
L’emergenza ha sempre caratterizzato le decisioni salienti della politica italiana, soprattutto quando si tratta di tematiche socio-economiche. La politica dell’emergenza – si sa – è diventata lo strumento principale dell’arte del comando. Certo, da sola, rischia di non essere sufficiente, se non è accompagnata anche da una “predisposizione istituzionale” che accomuna maggioranza e opposizione, sotto l’egida del presidente della repubblica.
Nell’estate del 1992, la necessità di operare in fretta e firmare accordi capestro ai danni dei lavoratori e delle lavoratrici (abolizione della scala mobile) era dettata dall’emergenza di entrare nell’Europa dell’euro.
Nell’estate 2011, la necessità di operare in fretta e promulgare leggi finanziarie draconiane, oltre ad accompagnarsi ad accordi sindacali, di nuovo a danno dei lavoratori e delle lavoratrici (ridimensionamento del contratto collettivo di lavoro) è dettata, invece, dalla necessità di non uscire dall’Europa dell’euro.
Tutti d’accordo, dunque, nel fare presto, “per dare un segnale chiaro e inequivocabile alla speculazione finanziaria”, ma pochi entrano nel merito dei contenuti della manovra correttiva.
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Attacco Usa all'Europa
di Stefania Limiti
La soffiata di Tarpley: in una riunione del 2008 è stata decisa la crisi europea, per evitare che il biglietto verde crollasse. Gli sciacalli hanno puntato tutto sui Credit Default Swaps.
Abbiamo di nuovo scelto Webster G. Tarpley per approfondire uno dei più temi urgenti di questi giorni, l'attacco speculativo all'euro e i suoi effetti su alcuni paesi, tra cui l'Italia. Tarpley, infatti, oltre ad essere un profondo conoscitore del sistema finanziario internazionale è, soprattutto, un osservatore di assoluta indipendenza e paladino delle battaglie contro tutte le oligarchie, come è possibile constatare dalle sue opere (tra le quali segnaliamo, per l'attinenza al tema, il recentissimo Obama dietro la maschera: golpismo mondiale sotto un fantoccio di Wall Street). Le sue sono caratteristiche essenziali, dunque, se si vuole scoprire dove siano le verità nascoste: per questo la prima domanda è diretta al cuore del problema:
1. Esiste un'intelligence che ha pensato e attuato il piano speculativo nei confronti dei paesi europei?
- Sì, questo era già chiaro dal febbraio 2010, quando il Wall Street Journal pubblicò un servizio su una cena cospiratoria (8 febbraio) tenuta nella sede di una piccola banca d'affari specializzata, la Monness Crespi and Hardt, alla quale parteciparono persone di grande influenza. In quell'occasione si cercavano strategie per evitare un'ondata di vendite di dollari da parte delle banche centrali ed il conseguente crollo del dollaro. L'unica maniera per rafforzare il biglietto verde passava attraverso un attacco all'euro le cui compravendite ammontavano circa a mille miliardi (one trillion) al ogni giorno: impossibile pensare ad un attacco frontale contro una moneta così forte. Quindi, gli sciacalli degli hedge funds di New York - fra cui anche certi protagonisti della distruzione di Lehman Brothers - hanno cercato i fianchi più deboli del sistema europeo e li hanno individuati nei mercati dei titoli di stato (government bonds) dei piccoli paesi del meridione europeo e comunque della periferia - Grecia e Portogallo - dove era possibile contare sulla complicità di politici dell'Internazionale Socialista al servizio della CIA e di Soros.
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Se a votare sono i mercati
di Guido Viale
«A votare sono stati i mercati». Credo di aver letto per la prima volta questa espressione, o qualcosa di simile, sul quotidiano La Repubblica nella prima metà degli anni '90. Meno di un anno dopo il fallimento della banca d'affari Barings - una delle più antiche e "rispettabili" del Regno Unito - aveva aperto uno squarcio sul mistero dei mercati che «votano». Lì per lì la colpa era stata data a un giovane e intraprendente impiegato della filiale di Singapore che, all'insaputa dei suoi dirigenti, aveva perso l'equivalente di un miliardo di euro operando allo scoperto sulla borsa di Tokyo. Poi, poco a poco, si era venuto a sapere che di quei "giochi" era al corrente tutto lo staff dirigente della banca. E quelli di molte altre banche, che facevano esattamente la stessa cosa, su altri titoli o su altre piazze.
Già allora c'erano dunque tutti gli elementi per capire alcune cose: primo, che quelle operazioni, e altre consimili, si dovevano impedire; ma nessuna delle maggioranze al governo dei principali paesi dell'Occidente lo volle fare. E nessuna delle forze di opposizione - politica, o sociale, o associativa, o culturale - ne aveva fatto, né ne avrebbe fatto in seguito, la sua bandiera.
Eppure - secondo punto - la questione era della massima importanza; perché se a votare sono «i mercati» (e che mercati!), è chiaro che il voto dei cittadini non conta più; e alla democrazia si sostituisce la dittatura della finanza.
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Il nuovo attacco alla CASTA nasconde il progetto di governo tecnico direttamente gestito dai mercati
di Rodolfo Ricci
Come già accaduto in altre situazioni critiche nel recente passato, in Italia si è di nuovo scatenata la grande campagna contro la casta politica: la pagina su facebook, creata tre giorni fa e gestita, sembra, da un ex dipendente di Montecitorio nel frattempo licenziato (che si presenta con lo pseudonimo di Spider Truman) ha acquisito in 60 ora di presenza sul web, oltre 200 mila contatti.
Nella pagina sono state pubblicate una serie di indiscrezioni e di documenti che danno un quadro impressionante e desolante dei privilegi dei parlamentari e che diventano, in occasione del varo della ennesima manovra lacrime e sangue di 80 miliardi di Euro per placare il grande Minotauro -“i mercati”- e la grande finanza speculativa mondiale, un vero e proprio giustificato incitamento alla protesta.
L’operazione, è parte di una campagna molto ben supportata da diversi importanti media e organi di stampa (vedi La Repubblica, e il TG3, fra gli altri), che cerca di orientare il malcontento contro la classe politica e in particolare contro la maggioranza berlusconiana che, ponendo la fiducia, ha rifiutato di approvare, tra gli altri, un emendamento del PD che mirava alla riduzione dei costi della politica.
Questo emendamento, riduceva i costi della politica di 80 milioni di Euro circa, a fronte di un costo complessivo della politica in Italia stimato tra i 4 e i 5 miliardi all’anno. Quindi, ben poca cosa, anche se ovviamente superiore ai 7 milioni di Euro che la maggioranza si è autoridotta con la manovra, essenzialmente attraverso una norma che riduce l’uso delle auto-blu.
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Pubblichiamo qui di seguito la risposta di Loris Campetti (Bocciate un irregolare) e di Guido Viale (Non solo lotta di classe) all'intervento di Bellofiore, Halevi, Tomba e Vertova "La classe non è acqua", seguita dalla replica (Questioni accademiche) di questi ultimi.
BOCCIATE UN IRREGOLARE
Loris Campetti
Non so se sarei in grado di superare un esame di marxismo al cospetto di una commissione giudicante preparata e severa composta da Riccardo Bellofiore, Joseph Halevi, Massimiliano Tomba e Giovanna Vertova (il manifesto, 13 luglio).
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La crescita malata che crea infelicità
di Piergiuseppe Mulas
Le esternalità hanno rivestito, e tuttora rivestono, un ruolo cruciale all'interno della valutazione del paradigma neoclassico del mercato. Infatti, dalla loro presenza e rilevanza dipende criticamente la validità dell'assunto secondo il quale il mercato conduce ad un'allocazione efficiente delle risorse, così come dimostrato da Vilfredo Pareto. Ricordiamo infatti che l'economista italiano aveva provato come, partendo da dotazioni di risorse date, un sistema perfettamente concorrenziale conduca ad una situazione di ottimo allocativo, vale a dire ad una situazione nella quale non può essere migliorata la condizione di un individuo senza peggiorare quella di un altro. Le condizioni che permettono che una configurazione di mercato perfettamente concorrenziale sussista sono però molto stringenti e difficilmente riscontrabili nella realtà. In particolare l'esistenza di un tale sistema richiede che si verifichino determinate circostanze: l'assenza di monopoli e beni pubblici, nessuna asimmetria informativa tra i contraenti e nessuna esternalità positiva o negativa.
Diamo ora una definizione più precisa di quale fenomeno gli economisti intendano designare quando parlano di esternalità:
«un effetto che esiste nel consumo o nella produzione ogniqualvolta l'utilità del consumatore o la funzione di produzione di un'impresa dipendono dal consumo di un altro individuo o dagli input e output di un'altra impresa».
In altre parole l'esternalità è presente quando l'utilità delle persone o delle imprese viene ad essere influenzata da fattori che non sono sotto il loro diretto controllo, ma che dipendono dall'attività di terzi.
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La linea di Confindustria sul debito pubblico: privatizzazioni
di Domenico Moro
Il fondo del Sole24ore di sabato 9 luglio, all’indomani dell’attacco dei mercati finanziari contro l’Italia, delinea la linea di politica economica di Confindustria che, anziché salvare il “malato”, può definitivamente ucciderlo. Pur ammettendo l’importanza della crescita nella soluzione del problema del debito pubblico, secondo i due editorialisti, Perotti e Zingales, “non c’è più tempo per operare su di essa”. Bisogna agire in fretta per dare una risposta rassicurante ai mercati finanziari. La risposta consisterebbe nel “raggiungere il pareggio di bilancio in un anno. (…) Si tratta di lacrime e sangue. Ma le lacrime e sangue saranno ben maggiori se non abbiamo il coraggio di agire subito”. Non basta aumentare le entrate, bisogna tagliare le spese, a cominciare da quelle previdenziali. Ma anche questo non sarebbe sufficiente. Per risolvere la situazione “bisogna riprendere le privatizzazioni (per esempio Eni, Enel, Poste, Finmeccanica, Rai)”. Eccoci, quindi, al punto. La questione del debito pubblico diventa il grimaldello per attuare la definitiva privatizzazione di quello che rimane dell’intervento statale in economia. Si direbbe che dall’esperienza si sia imparato poco. Un decennio di stagnazione, seguito alle grandi privatizzazioni, ha dimostrato che il problema del debito pubblico non solo non viene risolto, bensì viene aggravato dalle privatizzazioni. Vediamo per quali ragioni.
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L’ignoranza nell’epoca della sua riproducibilità tecnica
Paolo Vignola
Di fronte alla questione relativa al compito della filosofia, Gilles Deleuze ha dato una risposta che potremmo definire “fuori dal tempo” per la sua validità, e “fuori dalla filosofia contemporanea” per via della sua semplicità espressiva. Eppure, affermare, sulla scia di Nietzsche, che l’attività della filosofia «è la critica della stupidità e della bassezza»1 significa indicare un assioma fondamentale per la filosofia di questo nuovo secolo e, al tempo stesso, suggerire uno dei compiti politici più urgenti per il nostro presente. La critica della stupidità ha infatti acquisito la sua efficacia più puntuale nel momento in cui «l’informatica, il marketing, il design, la pubblicità, tutte le discipline della comunicazione si impadronivano della parola stessa “concetto”»2 e sembravano così sottrarre alla filosofia il suo lavoro di creazione dei concetti. Ecco allora che Deleuze, mostrando come queste discipline rientrano nel concetto di «controllo», ha voluto prendersi la rivincita del filosofo. Per Deleuze, di fronte all’avvento inesorabile delle società di controllo, il cui strumento principale è il marketing e l’obiettivo è la modulazione delle soggettività nella transizione economico-politica, «non è il caso di avere paura, né di sperare, ma bisogna cercare nuove armi»3 .
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Come uscire dalla crisi
Intervista a Emiliano Brancaccio
In più occasioni ci è capitato di leggere dell’Europa come di un continente destinato al declino. C’è ancora spazio per il “vecchio mondo” o siamo destinati a essere “periferia dell’economia mondiale”?
L’Unione europea è il più grande esportatore mondiale di manufatti e servizi. Definirla una “periferia” mondiale è un errore. Seguendo una chiave interpretativa ancora attuale, fondata sulla categoria di imperialismo, l’Unione europea si situa tuttora al “centro” degli assetti del capitale mondiale, e mantiene un rapporto di controllo sulle periferie che orbitano attorno ad essa. Si tratta di un controllo economico ma anche politico e militare, come la guerra in Libia sta dimostrando in questi mesi.
Il grande limite dell’Europa, rispetto agli USA, risiede principalmente nella moneta. Gli Stati Uniti, forti della posizione di dominio monetario internazionale garantita dal dollaro, hanno per lungo tempo governato endogenamente lo sviluppo nazionale e mondiale. L’Europa invece si è mossa al traino, in una posizione che sul piano macroeconomico è stata quasi sempre subordinata agli USA. La stessa moneta unica non è nata con il proposito di diventare una moneta internazionale realmente alternativa al dollaro, ma sembra piuttosto essersi proposta quale baluardo della stabilità monetaria, una sorta di rifugio per il capitale ogni volta che il dollaro fosse stato soggetto a crisi e fluttuazioni eccessive. Fino ad oggi, dunque, le autorità europee non hanno quasi mai messo seriamente in discussione il primato macroeconomico e monetario americano.
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Minacce di fallimento, disciplinamento sociale e indipendenza di classe
di Maurizio Donato*
Che cosa possiamo imparare dagli attacchi speculativi al debito sovrano
La fase attuale del versante economico della guerra di classe si concretizza in una serie di attacchi speculativi al debito sovrano di diversi paesi dell’Europa mediterranea. Stavolta tocca all’Italia, boccone appetitoso, ma notoriamente ostico. In questo breve saggio vengono dapprima sintetizzati alcuni elementi di giudizio che possiamo ricavare dagli attacchi speculativi scatenati dall’area valutaria dollaro contro gli anelli più deboli dell’area euro, in seguito discussi alcuni temi che stanno alla base della crisi del debito sovrano, per concludere con alcune note sulla situazione italiana.
Nonostante tutte le rassicurazioni di facciata, la crisi economico-finanziaria del capitalismo manifestatasi nell’estate del 2008 sotto forma di crisi da debito privato non solo non è finita, ma è entrata nella sua fase più pericolosa e acuta, dopo che salvataggi per migliaia di miliardi di dollari l’hanno trasformata in crisi da debito pubblico, particolarmente evidente nell’area valutaria euro in cui diversi paesi di media importanza rischiano di entrare o sono già entrati in una inedita fase di fallimento non dichiarato.
La forma della crisi è finanziaria perché finanziaria è la forma prevalente del capitalismo contemporaneo, ma la sua sostanza e dunque le sue radici risiedono all’interno dei meccanismi di produzione, e più specificamente nella crisi di profittabilità che si esprime nella caduta tendenziale del saggio di profitto.
La crisi economica si manifesta contemporaneamente come crisi delle teorie e dell’ideologia che le accompagna, e questo vale sia per le sue varianti cosiddette “neo-liberiste” che per quelle “interventiste/keynesiane”. Semplicemente le stanno provando tutte, in democratica alternanza, e non ne funziona nessuna, dall’aumento della spesa pubblica alla sua riduzione, dai tassi di interesse portati a zero all’espansione monetaria senza limiti (quantitative easing).
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Le virtù dello straniero
di Giuseppe G.
"I virtuosi tedeschi non hanno colpe”; così l’incipit di Alberto Alesina sul Corriere della Sera del 6 luglio. In sostanza il giornalista stigmatizza la crescente diffidenza ed ostilità degli altri paesi europei verso la Germania, colpevole, secondo i detrattori, di alimentare il proprio surplus commerciale, di approfittare del ribasso, si fa per dire, del valore dell’euro, di non alimentare la domanda incrementando il proprio deficit pubblico, di intransigenza verso la Grecia ed il Portogallo. In realtà, secondo Alesina, la Germania sarebbe un esempio di virtù in quanto, a parità di condizioni iniziali, dagli anni ’90 sino ai primissimi anni dell’euro, avrebbe riqualificato e ridimensionato la spesa pubblica, alleggerito il peso fiscale sulle imprese (appesantendolo però sulle persone fisiche), sviluppato la ricerca e soprattutto la formazione. “I veri colpevoli sono i paesi a rischio”, in pratica quelli dell’Europa mediterranea, sentenzia alla fine, per aver approfittato delle condizioni iniziali favorevoli, cioè i bassi tassi di interesse, solo per alimentare ulteriormente il debito pubblico, anche in maniera fraudolenta come apparso evidente in Grecia, con la manipolazione dei dati contabili. Una posizione di grande buon senso, la quale fonda sulla responsabilità operativa dei governi nazionali la stessa possibilità di superamento della crisi finanziaria. Una posizione apparentemente distante anni luce da quelle forze benpensanti le quali si sono fatte scudo dei vincoli e delle costrizioni europeiste per imporre le scelte scellerate degli anni ’90 così come hanno fatto dell’opinione pubblica internazionale, in pratica l’opinione costruita da giornali come l’Economist, Time ed altri, il parametro con cui giudicare e l’autorevolezza morale da cui trarre la linfa necessaria a combattere il berlusconismo.
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Verso il day after
di Augusto Illuminati
Come nella geniale invenzione di Ariadne auf Naxos di Hugo von Hofmannstahl e Richard Strauss due compagnie concorrenti recitano in simultanea, per venire incontro al pubblico, la tragedia di Arianna abbandonata e la farsa libertina di Zerbinetta, così sulla scena italiana attuale si esibisce una compagnia di guitti e allo stesso tempo si svolge il dramma della crisi globale e dei suoi effetti devastanti sulle politiche e le economie nazionali. Con tutti gli equivoci e le dissonanze che ne seguono. Prendiamo l’intervista di Pisanu al Corsera del 7 luglio, che si propone, niente meno, che di delineare il futuro dell’Italia e lo fa in modo non banale, definendo curiosamente il combinato delle recenti elezioni e dei referendum «un piccolo Sessantotto». Il suo problema è quello di «garantire la governabilità e afferrare il nuovo che avanza», senza di che «il Pdl è finito e ad Alfano non resterà che calare il sipario». Per tale obbiettivo, anzi per governare tout court l’Italia con o senza Pdl, occorre –sentite, sentite– «cogliere il "piccolo Sessantotto" delle urne e governare il cambiamento con un patto di fine legislatura per il bene del Paese». Cioè, fare insieme all’opposizione la manovra quadriennale da 50 miliardi, completare le riforme, tracciare le linee fondamentali del futuro d’Italia, dopo di che «tornare a essere avversari su posizioni alternative, secondo le naturali vocazioni».
Insomma, governo tecnico subito e poi di unità nazionale, associando la sinistra alla gestione di una crisi lunga e dolorosa, anzi offrendo così ad essa la possibilità di legittimarsi definitivamente sulla linea della responsabilità nazionale, in stile Togliatti e Berlinguer e non Scilipoti e Romano.
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Violenza o Giustizia?
di Luca De Crescenzo
Brevi note a partire dalla giornata del 3 luglio in Val di Susa
Lunedì 4, all'indomani delle manifestazioni in Val di Susa, a proposito della Tav un articolo in prima pagina su La Stampa sosteneva che non bisogna andare troppo per il sottile riguardo le distinzioni tra manifestanti buoni e cattivi, violenti e non, quando questi in comune rivendicano un linguaggio ed un'impostazione da guerra civile. Perchè la democrazia, ci ricorda l'autore riprendendo un intervento di Chiamparino, è fatta di regole, per cui decisioni prese con i meccanismi legittimi di deliberazione non possono essere ostaggio di una “minoranza localistica condannata a diventare l’alibi dei professionisti della guerriglia”. E questi meccanismi sono gli unici in grado di integrare esigenze internazionali (le richieste di un Unione Europea che rappresenta tutti i cittadini europei), interessi nazionali (rappresentato dalle legittime istituzioni che agiscono per il bene del sistema-paese), e richieste locali (che si esprimono nei tavoli tecnici e osservatori). E che lasciano spazio pure per i non contenti, liberi di esprimere il proprio dissenso.
Queste le legittime mediazioni assegnate al rappresentato per far valere la propria posizione.
Come mai allora in così tanti e determinati, talmente tanti da inondare una valle, talmente determinati da far saltare le solite dicotomie violenti/non violenti, non si è accettato questo destino di sostanziale passività politica?
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La politica e il controllo dei processi economici
Silvano Andriani*
Abstract:
Nella globalizzazione guidata dai mercati vi sono vincenti e perdenti e la loro dialettica, al livello degli Stati, si traduce nella formazione di squilibri strutturali dell’economia mondiale con paesi in attivo e paesi in passivo strutturale delle bilance dei pagamenti.Secondo l'approccio proposto da Keynes a Bretton Woods il coordinamento sovranazionale delle politiche economiche non significava che tutti i paesi debbano avere gli stessi comportamenti: se si tratta di ridurre gli squilibri anzi i comportamenti dovrebbero essere opposti e complementari. Successivamente, si è affermata una filosofia dello sviluppo che, ripudiando le tesi di Bretton Woods, pone al centro l’assunto dell’efficienza e razionalità dei mercati con una drastica riduzione del controllo sull’economia da parte degli Stati nazionali. Questa, tuttavia, non avviene per una devoluzione di poteri verso organismi sovranazionali, dei quali anzi si è cercato negli anni 2000 di ridimensionare il ruolo, ma di un trasferimento di poteri e funzioni dalla politica ai mercati. Il trasferimento di funzioni verso i mercati si risolve, soprattutto, in un trasferimento di poteri da istituzioni politicamente controllabili a tecnostrutture meno controllabili ed in un formidabile centralizzazione delle scelte economiche. In questo contesto il caso europeo appare, in qualche modo, un paradosso. L’UE viene generalmente riconosciuta come l’esempio più importante, forse l’unico negli ultimi trenta anni, di trasferimenti di poteri versi un livello di cooperazione sovranazionale, ma l’Europa, ed in essa in particolare l’area dell’euro, appare oggi l’ area di maggiore instabilità e fra le più rischiose per l’economia mondiale.
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Da tempo è andata affermandosi la tesi di una doppia devoluzione di poteri dagli Stati nazionali verso istituzioni sovranazionali e verso istituzioni locali.
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La classe non è acqua*
Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova
Compriamo (o 'scarichiamo' on-line) il manifesto tutti i giorni, alcuni di noi ormai da 40 anni. Lo leggiamo però sempre di meno, senza sapere bene il perché. C'è di peggio, però. Ogni tanto lo leggiamo. Come oggi, 8 luglio, attirati da due firme che stimiamo: Guido Viale e Loris Campetti.
Il primo dice, molto spesso, cose giuste. Tuttavia nel suo articolo dell'8 luglio deraglia, quando infila, quasi fosse una ovvietà, una frase secondo cui l'intervento dello stato sarebbe impedito dal fatto che "mancano i soldi e si ha paura di rompere il tabù dei bilanci, che sono fatti di debiti e quindi in mano alle società di rating." Il secondo parla della necessità di superare una "vecchia certezza", quella secondo cui sarebbe "imprescindibile" il legame reddito-lavoro.
Sarebbe interessante sapere che teoria economica ha in mente Viale, e su cosa Campetti basi la sua affermazione. Vero é che una tesi come la sua è stata attribuita tempo fa dalla stampa a Maurizio Landini. E' anche stato riportato con sussiego che Landini non avrebbe letto Marx. Certo, viene da pensare, leggersi il Capitale non è un obbligo. Pure in qualche caso aiuterebbe, come qui: basti il riferimento al salario di sussistenza per la classe dei lavoratori, dunque per il proletariato nella sua interezza, del tutto indipendentemente dalla produttività.
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Le giornate nere del debito italiano
di Sergio Cesaratto
I lettori sono sicuramente attoniti di fronte a ciò che accade. Antonella Stirati ha spiegato benissimo come sia un gioco sin troppo facile prendersela con la speculazione internazionale guidata dalle agenzie di rating. E’ invece l’Europa che con politiche sbagliate si espone a questi attacchi. Se la prenda con se stessa.
Che fare dunque? Per capirlo, muoviamo da cosa è accaduto nella giornata di martedì 12 luglio, dopo il venerdì e lunedì neri che l’han preceduta. La scarsa credibilità delle politiche europee, basate sulla mera austerity dei paesi periferici, ha contagiato la valutazione del nostro debito pubblico accrescendo il differenziale (il famoso spread) fra i tassi sui BTP decennali e quelli sui corrispondenti Bund tedeschi. Martedì è andata meglio, a sentire i TG. Ho personalmente ascoltato RAI News dove un eccitatissimo Corradino Mineo ha raccontato di una giornata in cui il Presidente Napolitano ha guidato le sbandate compagini politiche italiane verso una vittoria campale, mentre il generale Tremonti lasciava il quartier generale europeo per raggiungere la prima linea e il suo Presidente. La borsa riprendeva, in particolare i titoli bancari italiani. Fatto è che le banche hanno la pancia piena di titoli del Tesoro, e che questi aveva oggi un’asta di oltre 6 miliardi di titoli in scadenza.[1] A quale tasso avrebbe il Tesoro collocato tali titoli? Poiché il mercato aveva segnalato i giorni precedenti che i titoli italiani valevano poco, si rischiava un tasso così alto che, così continuando, la solvibilità dello stato italiano sarebbe stata seriamente in forse, e così quella delle banche (non solo italiane) che hanno il ventre pieno di titoli del Tesoro. Non so precisamente come siano andate le cose. Ma suppongo circa così. Il differenziale coi Bund tedeschi aveva raggiunto il massimo di 353 punti (3,53%), ancor più di lunedì. Interviene a quel punto la BCE che acquista titoli italiani sul mercato secondario.[2] Essa da 15 settimane non interveniva più a sostegno del debito sovrano dei paesi periferici, in maniera del tutto irresponsabile (anzi, ha ulteriormente aumentato il tasso di interesse gettando benzina sul fuoco). I mercati lo vengono a sapere e questo li rassicura un po’. Come risultato, scende il differenziale a 290 punti (una enormità comunque insostenibile per i nostri conti). Si svolge l’asta. Il Tesoro colloca i titoli a un tasso del 3,67% contro il 2,14% a cui questa tranche era stata collocata in precedenza: 1,5% in più! (150 punti di differenza coi tedeschi, ma si trattava di titoli a più breve scadenza). Poteva andar peggio, ma ciò è bastato perché i titoli bancari riprendessero. C’é tuttavia veramente poco da essere eccitati. E di chi è il merito della mancata Caporetto? Di Napolitano, di Tremonti? Più probabilmente della BCE. Rai News neppure l’ha menzionata, mi dicono che TG3 e LA7 sì, di passaggio. Può naturalmente darsi che Tremonti abbia svolto uno scambio politico: noi approviamo la manovra, la BCE interviene. Se è così, tanto di cappello Mr. Tremonti, finalmente qualcuno tratta in Europa, e non china sempre il capo. I guai sono finiti? Sono appena cominciati. Quando i differenziali salgono così tanto, ed erano già alti, è difficile che ridiscendano. Con questi tassi – che ripetiamo sono il segnale della scarsa credibilità non del nostro paese, che per l’amor del cielo ci mette del suo, ma dell’Europa – porterà in uno spazio temporale brevissimo l’Italia sull’orlo del default. Siamo quasi al 6% sui BTP, al 7% si dice che l’Italia non potrebbe più finanziarsi sul mercato, come l’Irlanda lo scorso settembre. Le manovre sono solo una mortificazione inutile, una medicina che crea solo sofferenza al paziente. E infatti martedì sera anche il debito Irlandese è stato degradato da S&P a spazzatura.
Cosa abbiamo imparato? L’intervento della BCE è un pezzo della soluzione. Torneremo presto su questo. Per ora notiamo la schizofrenia della BCE che da un lato aumenta i tassi, aggravando la crisi debitora, e dall'altro deve intervenire seppure in maniera timida e insufficiente. Fassina, intervistato da Mineo, pur contrapponendo un volto tetro al raggiante Corradino, non ha neppure accennato alla BCE e alle gravi responsabilità europee. Criticare l’Europa è nel nostro paese, a sinistra in particolare, tabù. Mineo era eccitatissimo persino della palese interferenza tedesca colla telefonata della Merkel a Berlusconi di domenica scorsa. Quando impareremo a tenere la schiena dritta?
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