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Tassare i ricchi, per disarmare il regime dei padroni
Giorgio Cremaschi
Mentre Berlusconi è invischiato nei suoi scandali finanziari e sessuali, Marchionne sta conducendo un attacco che è anche più brutale di quello di Berlusconi ai diritti sociali e ai diritti dei lavoratori. Diciamo che c’è una specie di passaggio di testimone: Berlusconi può essere nei guai ma Marchionne continua una politica che è anche più aggressiva che portò qualche anno fa all’attacco articolo 18 dello statuto dei lavoratori. In fondo Marchionne che cosa dice? O mangiate questa minestra o saltate dalla finestra. O rinunciate al contratto nazionale, al diritto di sciopero, alle libertà sindacali, al diritto di scegliere il sindacato che volete – quindi, o rinunciate a tutto, oppure io vado da un’altra parte.
Questa è la più brutale delle aggressioni ai diritti del lavoro dal ’45 a oggi. Perché “regime dei padroni”? Padroni: chi sono i padroni?
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La politica come mitologia
di Cesare Del Frate
La filosofia è piena di miti politici, dal Leviatano di Hobbes, il mostro biblico chiamato a rappresentare il terribile e onnicomprensivo potere dello Stato, alla Città del Sole di Campanella, utopia in terra, fino al Katéchon di Schmitt, la forza che resiste, trattiene e dilaziona la fine dei tempi, che per il filosofo tedesco era nientemeno che il Sacro Romano Impero da lui tanto rimpianto.
Ben poco, tuttavia, la filosofia ha detto e scritto sulla mitologia politica, cioè sul mito che la politica è essa stessa: insomma, la narrazione fantastica e archetipica non è solo uno strumento per illustrare questo o quel concetto, separando emozione e raziocinio, bensì ha a che fare con il cuore dell’esercizio del potere nonché, ovviamente, con la ricerca del consenso.
Il Leviatano di Hobbes
Il mito è, essenzialmente, racconto: delle origini da cui veniamo e del futuro che ci attende. Di questo parlano i miti indigeni della “nascita” della comunità, ma pensiamo anche a Romolo e Remo, che fondando Roma col duro lavoro le assegnarono il destino dell’operosità, o a Didone la quale, erigendo Cartagine grazie a un inganno, ne prefigurò il fato legato al commercio e all’astuzia.
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Dalla democrazia alla violenza divina*
di Slavoj Žižek
1
In questa nostra epoca che si proclama post-ideologica, l'ideologia stessa è sempre più un terreno di scontro; quello sull'appropriazione delle tradizioni passate ne costituisce una delle espressioni. L'appropriazione da parte liberale della figura di Martin Luther King, di per sé un'operazione ideologica esemplare, è il sintomo più chiaro del carattere precario della nostra attuale condizione. Recentemente, Henry Louis Taylor osservava:
Tutti, anche i bambini, sanno chi era Martin Luther King, sanno che il suo momento di maggiore celebrità fu il discorso "I have a dream". Ma nessuno va oltre la prima frase. Tutto quello che sappiamo è che questo tizio aveva un sogno ma non sappiamo quale[1].
King aveva fatto molta strada dal 1963 quando, durante la marcia su Washington, le folle lo avevano salutato quale "capo morale della nostra nazione". Dal momento in cui aveva cominciato a occuparsi di questioni che esulavano dalla segregazione razziale, aveva perso gran parte del consenso dell'opinione pubblica e sempre più veniva considerato un paria.
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Il Mediterraneo incendia l'Europa
di Alfonso Gianni
Non solo la via d’uscita dalla crisi non si vede, neppure da lontano, ma lo scenario sociale entro il quale essa si svolge si sta infiammando. Se negli Usa e in Europa l’espressione continua a mantenere un significato essenzialmente metaforico - anche se manifestazioni, scontri e scioperi si susseguono con sempre maggiore intensità - altrove va presa alla lettera. E’ il caso di quanto sta succedendo nella parte meridionale del bacino mediterraneo con le “rivolte del pane” che sono già costati diversi morti in Tunisia e in Algeria. Se in quest’ultimo paese le tensioni che possono sfociare in fatti di sangue purtroppo non sono una novità, la Tunisia - ove la rivolta ha avuto un immediato esito politico, provocando la caduta del governo autoritario di Ben Alì che durava da 23 anni - era considerata fin qui un porto sicuro per il turismo europeo, praticamente l’unica risorsa per quel paese. Ora le diplomazie europee scoraggiano i propri cittadini a mettersi in viaggio nel Maghreb.
In entrambi i casi, altra differenza con il passato, la dimensione religiosa se non estranea non è certamente protagonista nel conflitto. Si è tornati alla difesa disperata della nuda vita.
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Ripensare Marx per abbandonarlo? Una riflessione
Ennio Abate
Può darsi che le proposizioni del marxismo non siano, e forse da cent’anni, più attendibili di quelle di tanti altri studiosi di economia e di sociologia; e che solo per complicati e repellenti equivoci presso due terzi del genere umano si sia continuato e si continui a credere, sulla fede di libri probabilmente non letti o non capiti, di poter dare o ricevere speranze, tormenti e morte, tuttavia levando il pugno e cantando l’Internazionale»
(F. Fortini, Lettere da lontano. A Enzo Forcella, L’Espresso 29 giugno 1986)
1.
Ho seguito, sia pur da isolato, per una sorta di fedeltà intellettuale alle figure scelte durante il mio tardivo apprendistato politico avvenuto in Avanguardia Operaia tra 1967 e 1976, molti dei discorsi, oggi completamente inattuali, sulla «crisi del marxismo» svoltisi dagli anni Ottanta in poi. Lessi i vari libri di Costanzo Preve (Il filo di Arianna, Il pianeta rosso, Il convitato di pietra),che mi parevano un argine alla liquidazione del pensiero di Marx. Mi affaticai per capire un mattone filosofico come «Marx oltre Marx» di Antonio Negri. Mi sono inoltrato con cautela pure tra le pagine di «Impero» e «Moltitudine» per annusare tracce di zolfo marxiano, sia pur mescolato a emanazioni foucaultiane e deleuziane. E più di recente, incappato un po’ casualmente nel sito «Ripensare Marx», ho seguito con assiduità soprattutto gli interventi di Gianfranco La Grassa, letto alcuni suoi libri e tentato in qualche occasione persino di interloquire con lui. Constatare che oggi anche lui, studioso serio e non per qualche stagione ma per una vita di Marx, giudichi necessario abbandonarlo («Due passi in Marx per uscirne» è il significativo titolo dell’ultimo libro che sta per pubblicare), mi ha posto di fronte a un aut aut.
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La catena SPEZZATA
Anticipiamo brani del saggio che chiude il libro-inchiesta sul ciclo produttivo negli stabilimenti Fiat di Pomigliano compiuta da un gruppo di giovani ricercatori del Centro per la Riforma dello Stato. Ma sopratutto un'analisi sul valore politico e simbolico dell'insubordinazione operaia in un'impresa multinazionale alla luce del tentativo di introdurre modelli di relazioni industriali che cancellano i diritti sociali e la capacità di resistenza da parte del lavoro vivo
Mario Tronti
Una caratteristica del nostro sciatto tempo è la separazione degli ambiti: la fabbrica ai sociologi, il mercato agli economisti, le istituzioni ai politologi. Non funziona così. Non funziona nemmeno per i bisogni della conoscenza dei fenomeni: che, separati nella complessità delle loro componenti, diventano oscuri e risultano falsi. Tanto meno funziona per le necessità dell'intervento nei processi: che, spezzati, nel comportamento dei loro soggetti, diventano inagibili e risultano immodificabili. Occorre dotarsi di una visione lucida del Gesamtprozess di sistema, dove tutti gli attori in campo vengono riconosciuti nel loro spazio di movimento, con i loro interessi, e soprattutto con la forza che intendono usare per farli valere.
Ecco un primo punto. Pomigliano, nella fase acuta della vicenda, quella intorno al referendum, ci ha messo davanti agli occhi la sproporzione nel rapporto di forza che si era creata tra padrone e operai. O meglio, la forzatura contenuta nel ricatto del quesito referendario, questo voleva mostrare, e il risultato della consultazione, bisogna dire, che lo ha corretto. Non certo rovesciato, ma corretto senz'altro. Se «Pomigliano non si tocca» aveva imposto un'iniziativa al management Fiat, «Pomigliano non si piega» dava una risposta al contenuto ricattatorio di quella iniziativa.
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La Fiat a scuola
di Guido Viale
A tutti i «modernizzatori» che hanno salutato il referendum di Mirafiori come l'ingresso delle relazioni industriali italiane nella «modernità» va ricordato che la Modernità, o «Età moderna», è iniziata nel 1492 con la scoperta dell'America. A quel tempo, nella Modernità, l'Italia delle Signorie era già entrata. Nei secoli successivi ha avuto alti e bassi (attualmente sta sicuramente attraversando un basso); ma se il 14 gennaio 2011 dovesse diventare una data storica, starebbe a segnare non l'entrata ma l'uscita del paese dalla Modernità: per ripiombare in un nuovo Medioevo; oppure, per instaurare una forma nuova di «feudalesimo aziendale». Perché?
Non mi soffermo sulla limitazione del diritto di sciopero - accordata dal nuovo contratto - che ogni lavoratore dovrà poi sottoscrivere individualmente; né sulla abolizione della rappresentanza elettiva a favore di una gestione dei contenziosi affidata ai sindacati firmatari (trasformati così in missi dominici: ovvero, agenti del padrone); temi già ampiamente trattati da altri. Ma che cosa succederà in produzione?
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Le risposte di Hu Jintao al Washington Post
sul Washington Post del 19/01/2011
Questa è una completa e inedita trascrizione di una serie di domande del Washington Post e del Wall Street Journal al Presidente cinese Hu Jintao. L’intervista è stata spedita alla fine di dicembre e le risposte, in inglese, sono state pubblicate dal governo cinese il 16 gennaio
Come vede l’attuale stato dei rapporti Cina-Stati Uniti? Quali sono le aree più promettenti della collaborazione reciproca tra Cina e Stati Uniti? Quali pensa siano le sfide più importanti di lungo periodo nel continuo e stretto sviluppo delle relazioni sino-statunitensi?
Già dall’inizio del ventunesimo secolo, grazie allo sforzo concertato di entrambe le parti, le relazioni tra Cina e Stati Uniti hanno conosciuto una crescita costante. Da quando il Presidente Obama è entrato in carica, abbiamo mantenuto stretti contratti attraverso lo scambio di visite, incontri, conversazioni telefoniche e lettere. Siamo d’accordo per il ventunesimo secolo nel costruire relazioni costruttive, cooperative e globali tra Cina e Stati Uniti. Insieme abbiamo istituito il meccanismo della commissione SED (China-US Strategic and Economic Dialogues). Nel corso dei due anni precedenti, la Cina e gli Stati Uniti hannno svolto una cooperazione funzionale in un ampio raggio di aree tra cui l’economia e il commercio, l’energia, lo sviluppo, l’antiterrorismo, applicazione della legge e la cultura. I due paesi hanno mantenuto stretti contatti e coordinazione riguardo i problemi principali delle zone calde, internazionali e regionali, e hanno guidato sfide globali come il cambiamento del clima e la crisi internazionale della finanza.
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Hu Jintao-Obama, la "bolla" cinese che sostiene tutto
Joseph Halevi
È una noia dover scrivere dell'incontro tra Hu Jintao e Obama ma un giornale non può non parlarne. Al di là del fatto che Obama è un «lame duck President», presidente-anatra zoppa, bersaglio sicuro dei cacciatori, è «noioso» il contesto delle relazioni tra i due paesi, perché falsato dalle dichiarazioni politiche. Esempio: Hu ha detto che il regime del dollaro è finito, cose già sentite in passato, in Europa fin dagli anni Settanta! Hu Jintao non ha la minima idea di cosa proporre al posto del sistema dollaro. Vuole solo minacciare gli Usa dicendo che la Cina non accetta di subire passivamente i costi finanziari dei surplus cinesi in dollari. Ma - come lucidamente dimostrato sul China Daily del 23 dicembre dall'ex dirigente della Banca del Popolo Yu Yongding - Pechino é vincolata alle esportazioni nette sia per gli interessi della classe capitalistico-statale dominante, sia per la dinamica industriale fondata sulla forza della riproduzione espansiva piuttosto che sulle innovazioni made in China.
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Il #rogodilibri e la sottovalutazione del pericolo. Un’analisi
di Wu Ming 1
Non si potrà mai segnalare e linkare abbastanza l’articolo in cui Massimo Carlotto spiega che l’indignazione anti-Battisti degli amministratori/epuratori veneti è falsa come una moneta da mezzo centesimo, e quindi l’offensiva contro i libri sgraditi e soprattutto contro i loro autori, massacrati mediaticamente ad hominem, prescinde totalmente dalla questione sbandierata. Come dimostra l’epurazione silenziosa dei libri di Saviano e di Paolini, per motivi che al caso Battisti sono estranei.
Proviamo a fare un quadro della situazione.
La fase del declino di un regime può essere breve o lunga, tragica o grottesca (o entrambe le cose); di certo è sempre la fase più pericolosa. All’ombra di un regime declinante a livello nazionale, localmente si registrano le peggiori “fughe in avanti” e recrudescenze.
Recrudescenze che si incrociano – e talvolta confondono – coi tentativi sempre più marcati ed estremi di distogliere l’attenzione, alzare cortine fumogene, indicare falsi bersagli e capri espiatori. Il grido Achtung banditen! si alza sempre più alto e stridulo, insieme a strumentali richiami all’onore nazionale.
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Rebel, rebel
Cinzia Arruzza e Felice Mometti
Lo spazio politico aperto dai movimenti europei può rappresentare l’uscita di sicurezza sia dal labirinto della tragedia dei partiti di sinistra storicamente conosciuti che dal dispotismo dell’opinione
Rebel Rebel, you’ve torn your dress
Rebel Rebel, your face is a mess
Rebel Rebel, how could they know?
David Bowie
5 maggio 2010: migliaia di persone cercano di assaltare il Parlamento. nel corso della manifestazione indetta ad Atene in occasione dello sciopero generale contro le misure di austerità imposte dal FMI, dall’Unione Europea e dal governo. 10 novembre 2010: 50.000 studenti irrompono nella sede dei Tories a Londra, per protestare contro l’aumento vertiginoso delle tasse universitarie. 15 dicembre 2010: le manifestazioni studentesche ad Atene rispondono ai tentativi di provocazione da parte delle forze dell’ordine, scontrandosi per ore con la polizia per le strade della città. 14 dicembre 2010: a Roma, di fronte alle cariche della polizia, anziché disperdersi o indietreggiare, gli studenti decidono di reagire. Non si è trattato dell’iniziativa di piccoli gruppi, non è stata un’accelerazione ingiustificata dell’uso della violenza, non c’è stata sopraffazione della massa degli studenti che avrebbe voluto manifestare pacificamente. Si tratta di qualcosa di diverso: soffia vento di rivolta per l’Europa.
Atene, Londra, Roma: un epicentro che si sposta per l’Europa con una velocità non prevista. Che segnala una soluzione di continuità nei comportamenti, nella composizione, nelle aspirazioni di un settore giovanile che lascia intravedere la nuova possibile classe a venire.
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A Venezia... un gennaio nero shocking, ovvero: #ROGODILIBRI
di Carmilla
Riassunto delle puntate precedenti, che, per nostra scelta, non sono andate in onda su Carmilla. Volevamo entrare nella vicenda in medias res, ed è proprio dove ci troviamo ora, dopo 48 ore convulse, orribili, spassose. Due giorni di iniziative, proposte, discussioni e primi risultati.
Partiamo dalla sintesi fatta da Giap l'altroieri:
«[...] L’assessore alla cultura della provincia di Venezia, l’ex-missino-oggi-berlusconiano Speranzon [ foto a sinistra, N.d.R.], ha accolto il suggerimento di un suo collega di partito [si veda questa lettera] e intimerà alle biblioteche del veneziano di:
1) rimuovere dagli scaffali i libri di tutti gli autori che nel 2004 firmarono un appello dove si chiedeva la scarcerazione di Cesare Battisti [promosso da noi di Carmilla e tuttora presente su questo sito, N.d.R.];
2) rinunciare a organizzare iniziative con tali scrittori (vanno dichiarati “persone sgradite”, dice).
Il bibliotecario che non accetterà il diktat “se ne assumerà la responsabilità”.
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More text goes here.
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Recensione a Marx e Hegel di R. Fineschi*
di Tommaso Redolfi Riva
Con questo studio Roberto Fineschi continua il proprio percorso di ricerca iniziato con la pubblicazione di un’importante rilettura della critica dell’economia politica, Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del “capitale”. Studioso attento e dotato di acribia filologica, l’Autore si avvale dell’utilizzo della nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels (la Marx-Engels-Gesamtausgabe), che gli permette di avere sott’occhio il genetico costituirsi dell’elaborazione marxiana della teoria del capitale attraverso una gran mole di manoscritti, soltanto parzialmente disponibili al lettore italiano.
Lo scopo del libro del 2001 era quello di evincere lo sviluppo di tutta la teoria marxiana dalla contraddizione tra valore d’uso e valore, presente nella categoria con la quale ha inizio l’esposizione: la merce. La ricerca dell’Autore continua in questo libro, che, alla luce della comprensione della logica specifica della esposizione marxiana, cerca i presupposti storico-teorici sui quali tale esposizione si fonda.
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L'impatto sociale delle politiche europee
Bruno Amoroso*
L’occasione di questa riflessione è stata una delle tante iniziative per la celebrazione del primo anno di entrata in vigore del Trattato di Lisbona e l’urgenza di fare un bilancio sull’impatto sociale delle politiche europee. Sul Trattato mi limito ad osservare che per nostra fortuna non è diventato una Costituzione come i più si aspettavano. Altrimenti, con la sacralità che avvolge le costituzioni nella tradizione giuridica latina, sarebbe oggi impossibile introdurre le non poche e centrali modifiche che si rendono necessarie. Un dato innegabile nonostante la ripetitività con la quale se ne nega l’esigenza con esercizi verbali che somigliano più a pratiche di esorcismo che a ragionamenti logici. Forse ha portato sfortuna il luogo fondativo del Trattato, già noto per l’ “Accordo di Lisbona” che nel 2000 lanciò lo sfortunato quanto famigerato obiettivo di fare dell’Europa “la regione più competitiva del mondo”.
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I saperi e l'Università
Piero Bevilacqua
La riforma Gelmini, definita “epocale” dalla ministra – che evidentemente ha idee confuse su ciò che sono le epoche – divenuta legge, investirà la vita delle Università italiane nei prossimi mesi. Un diluvio di norme e regolamenti da applicare pioverà sugli atenei, proseguendo ed esacerbando le tendenze dell'ultimo decennio, durante il quale “l'innovazione continua” delle cosiddette riforme ha tormentato docenti e studenti, perennemente alle prese con problemi organizzativi e novità procedurali da interpretare. Una pratica che ha assorbito non poco tempo ed energia alle loro ricerche e ai loro studi. Nulla di nuovo, dunque, se non il peggio che prosegue nella sua china, perché la riforma aggiunge un'ulteriore limitazione di risorse e di personale ai vecchi problemi.
Ciò che tuttavia iscrive la nuova legge nel quadro delle ristrutturazioni universitarie della UE è un dato di cui pochi, in verità, si sono occupati. Tutte le riforme dell' ultimo decennio non si sono neppure interrogate sulla qualità degli insegnamenti che si impartiscono nell'Università. L'unica preoccupazione che ha tenuto desta l'attenzione dei riformatori è stata quella di far corrispondere discipline e insegnamenti alle tendenze del mercato del lavoro. I solerti pedagogisti del capitale non hanno rovelli che per questo. E perciò anche un grande scrupolo nell'emarginare le discipline umanistiche, poco utili a produrre saperi strumentali, immediatamente spendibili nel mercato.
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Da dove viene il linguaggio
Valentina Pisanty
Superata una certa soglia dell'evoluzione, è la crescente complessità delle strutture cognitive a far sì che la nostra mente sia pronta per elaborare gli strumenti simbolici, oppure è l'uso del linguaggio a plasmarla, potenziandone le capacità? Questa la cornice in cui si iscrive l'ultimo libro di Francesco Ferretti Alle origini del linguaggio umano, uscito da Laterza, secondo cui la facoltà di parola è una conseguenza dell'adattamento biologico
L'essere umano è un animale. Tutti gli animali evolvono secondo i principi della selezione naturale. Dunque, a meno di non contestare queste premesse, la conseguenza è obbligata: l'essere umano evolve secondo i principi della selezione naturale. Eppure qualcosa ci trattiene dal formulare una simile conclusione. Mentre non esitiamo ad ammettere che, al pari della proboscide dell'elefante e del collo della giraffa, l'attuale configurazione del corpo umano sia l'esito provvisorio di un processo evolutivo lento e graduale, l'organo di cui andiamo più fieri - il cervello, s'intende - ci sembra appartenere a una serie diversa. È nel cervello/mente che risiedono le nostre facoltà specie specifiche: la presunta razionalità, la rappresentazione, il pensiero simbolico e, soprattutto (o forse all'origine di tutto), il linguaggio. Difficile accettare che tali facoltà altamente complesse derivino da abilità più semplici già presenti in altre specie. Quale altro animale è anche solo lontanamente capace di concepire entità inesistenti o astratte, di affrancare i pensieri dal qui e ora, di rappresentare se stesso mentre compie queste operazioni, e di elaborare e usare sistemi di simboli discreti (come le parole del linguaggio e i simboli della scrittura) i quali, oltre a essere sganciati da qualsiasi rapporto necessario con i propri referenti, possono essere combinati ricorsivamente per generare un'infinità di possibili sintagmi? Tanto più che un'illustre tradizione filosofica (da Cartesio a Chomsky) ci ha presentato l'homo sapiens come una specie «unicamente unica», incommensurabilmente diversa, staccata dal resto del mondo animale proprio in virtù delle sue funzioni psichiche superiori.
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La lotta degli studenti tra le rovine dell’università
di Franco Piperno
I). Ricordare per trasformare.
L’approvazione, da parte del Parlamento, qualche tempo fa, della riforma attribuita all’avvocata Gelmini, segna un punto di biforcazione nella traiettoria descritta dalla lotta degli studenti: o, nei primi mesi di questo nuovo anno, l’ondata di occupazioni riprenderà più tumultuosa di prima, ricreando negli atenei italiani le “comunità di insorti”; oppure, se la vita universitaria ritroverà rapidamente il suo anonimo ritmo, allora un ciclo sarà finito, ed il movimento che lo ha scatenato andrà considerato politicamente morto. Non bisogna, infatti, alimentare illusioni: se gli studenti desistono dalle forme radicali di lotta, i docenti ed i ricercatori non dispongono, in generale, né dello spessore intellettuale né del coraggio civile per sabotare la riforma; sicché, dopo qualche pantomima accademica, e.g. le finte dimissioni di presidi e vice-rettori, le dilatorie proposte di referendum abrogativi; tutto tornerà come prima, solo un po’ peggio. Di fatto, la riforma Gelmini non fa che sancire per legge, quel che da anni ormai è la condizione della vita universitaria, ivi compresa una certa dequalificazione della docenza.
Malgrado, dunque, che il futuro sia incerto, come per altro è giusto che sia dal momento che un futuro certo è un ossimoro; malgrado questo, vale comunque la pena di approntare un primo bilancio schematico della esperienza trascorsa, per imparare dagli errori commessi.
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Il PCI di Luigi Longo (1964 -1969)
di Alexander Hőbel
Capitolo conclusivo
1. Gli anni della Segreteria Longo, dal 1964 all’inizio del ’72, trovano nel febbraio ’69, con l’ascesa di Berlinguer alla vicesegretaria una prima cesura; inizia allora una nuova stagione, con una sorta di condirezione del partito: una fase diversa che meriterebbe una trattazione a parte. Quelli analizzati in questo volume sono invece gli anni in cui il ruolo di Longo e il significato della sua Segreteria si dispiegano appieno. È un periodo in cui in Italia e nel mondo accade di tutto, e anche per il PCI rappresenta una fase di grande vivacità e interesse, qualcosa di più di una mera “fase di transizione”.
Da più parti Longo viene ricordato come un ottimo segretario, fortemente democratico, amante della direzione collegiale e capace anche di cambiare idea1 . Il suo primo atto da segretario, la decisione di pubblicare il Promemoria di Yalta di Togliatti, è già un primo elemento di novità e una rivendicazione di autonomia, che si rinnova di lì a poco, in occasione della destituzione di Chruscëv, su cui pure il PCI esprime riserve.
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We want sex...
di Augusto Illuminati
...Equality, a striscione dispiegato. Ma non fa niente, va bene anche solo Sex, siamo nella Londra ruggente dei Rolling Stones, 1968, l’anno che dà ancora gli incubi a Gelmini e Sacconi, l’anno in cui uno sciopero delle 187 operaie del reparto selleria della Ford (modelli Escort, nome ancora non sputtanato dai festini bunga-bunga) si trasformò ben presto da richiesta di innalzamento delle qualifiche a rivendicazione della parità salariale fra i sessi. La dirigenza inglese e americana della Ford, colta di sorpresa all’inizio, si riorganizzò su una linea difensiva dura, minacciando (corsi e ricorsi vichiani!) di chiudere le fabbriche o delocalizzarle, insomma, alla Marchionne, di riportare il lavoro a Detroit. Per ottenere la resa, oltre ai ricatti conclamati, punta a dividere i lavoratori e a ottenere la sconfessione delle ostinate scioperanti mediante un referendum: toh! non a caso a Gian Battista Vico è intitolata la Fiat di Pomigliano. Un ruolo di primo piano svolgono i sindacalisti corrotti e ricattati a busta paga Fiat, pardon Ford, ma il problema è serio perché i dipendenti maschi al montaggio finale sono messi in libertà per il blocco della fornitura sedili e così in famiglia vengono a mancare in simultanea due salari, ma la lotta va avanti, le operaie suppliscono ai sindacalisti esperti inventandosi nuove forme di azione e di emozione, seducono i mass media e finiscono per trascinare i colleghi maschi e le altre fabbriche alla vittoria.
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I padri ingannevoli
di Christian Raimo
Piccolo quiz di inizio anno: di chi sono queste parole?
“Giovani, combattete sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza giustizia sociale non è che una conquista fragile, che per alcuni si risolve semplicemente nella libertà di morire di fame. Libertà e giustizia sociale sono un binomio inscindibile. Lottate con fermezza, giovani che mi ascoltate, e lo dico senza presunzione, ma come un compagno di strada, tanto mi sta a cuore la vostra sorte. Io starò sempre al vostro fianco”. La soluzione completa la trovate a quest’indirizzo. È il discorso di Capodanno del Presidente della Repubblica. Del 1983, era Pertini. Fa impressione, eh?
Ma perché citarlo? Nelle ultime settimane, qui sulle pagine del manifesto, si è molto parlato, a partire dalle analisi di Recalcati e del suo Uomo senza inconscio, del declino di un modello paterno che rappresentasse la Legge o la Responsabilità, sostituito da un modello che invece incita al godimento compulsivo.
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Marx e la fondazione macro-monetaria della microeconomia*
Riccardo Bellofiore
In molti dei suoi scritti recenti, Fred Moseley ha sottolineato che la teoria di Marx deve essere interpretata secondo un approccio tanto «macro» quanto «monetario», e che su di esso poggia la determinazione dei prezzi di produzione[1]. Moseley riconosce che anche altri interpreti hanno proposto una lettura «macro-monetaria» della teoria marxiana. Piuttosto che aprire un dialogo con queste altre prospettive interpretative, Moseley si è accontentato di sviluppare la propria. Un confronto aperto e una critica rigorosa sono perciò opportuni per individuare similitudini e differenze tra le varie posizioni.
Non posso che essere d'accordo con l'idea secondo cui l'originalità di Marx risiederebbe in quella che ho altrove definito come una vera e propria «teoria monetaria del valore-lavoro» e nella sua prospettiva «macro-sociale»: due elementi che caratterizzano la mia lettura di questo autore fin dagli anni ottanta. Tali affermazioni devono essere tuttavia vagliate attentamente, poiché non è per niente ovvio che il primo libro del Capitale di Marx possa essere letto alla maniera di Moseley, sia per quanto riguarda il versante «macro» che per quel che riguarda il versante «monetario». Una prima ragione sta nel fatto che, con poche eccezioni, il collegamento fondamentale tra il denaro e il valore ha soltanto recentemente catalizzato l'attenzione degli studiosi di Marx, ed è ancora oggi uno dei punti più controversi di tutta l'economia marxiana.
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Piccole bombe nucleari crescono
La fusione fredda e le nuove mini armi atomiche
di Emilio Del Giudice
Incontro sul libro inchiesta Il segreto delle tre pallottole di Maurizio Torrealta e Emilio Del Giudice (Edizioni Ambiente, collana Verdenero, 2010) alla libreria Odradek di milano, 1 ottobre 2010
Una delle caratteristiche della società moderna, che sembra fondata sull’abbondanza e sulla disponibilità dell’informazione, è la capacità di mantenere segreti. E li mantiene proprio grazie all’enorme quantità di informazione che viene rovesciata sulla testa delle persone le quali, non avendo più punti di riferimento, assumono, rispetto all’informazione che ricevono, un’attitudine passiva. Convinti di sapere tutto proprio perché hanno ricevuto un mare di notizie i cittadini, paradossalmente, non sanno niente. E non esiste modo migliore per nascondere la verità che fare riferimento non a bugie plateali ma a verità parziali.
Alcuni giornalisti chiesero, durante una conferenza stampa del portavoce del governo israeliano, se era vero che nel 2006, sul fronte del Libano, Israele avesse usato armi nucleari di tipo nuovo. La risposta del portavoce fu: “noi dichiariamo che l’esercito israeliano non ha mai fatto uso di armi vietate dalle convenzioni internazionali”. Il che è verissimo, l’arma di cui parliamo non è vietata dalle convenzioni internazionali, per il semplice motivo che è un arma di tipo nuovo, e quindi non è prevista nelle convenzioni internazionali; nessuno ufficialmente sa dell’esistenza di questo tipo di arma e dunque essa non è un’arma vietata.
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Perché tocca a Obama gestire il declino degli Usa
di Vladimiro Giacché
Sul ruolo della finanza nella genesi della crisi attuale si sono versati fiumi d’inchiostro. Purtroppo, però, ai molti facili anatemi nei confronti di banchieri e “speculatori” si sono accompagnate poche analisi serie del fenomeno della finanziarizzazione dell’economia. Che non data da pochi anni, ma abbraccia gli ultimi decenni: una ricerca della McKinsey di qualche anno fa vedeva il rapporto tra il valore complessivo degli assets finanziari a livello mondiale e il prodotto interno lordo mondiale in crescita dal 100% del 1980 al 356% di fine 2007. Non si è insomma trattato di un fenomeno contingente, ma strutturale - e che quindi richiede di essere spiegato in quanto tale. C’è poi un secondo aspetto che merita attenzione: l’espansione dell’attività finanziaria non è affatto un fenomeno storicamente nuovo.
Proprio “la scoperta della finanziarizzazione come modello ricorrente nel capitalismo storico” rappresenta uno dei principali fili conduttori della ricerca di Giovanni Arrighi. Poco noto nel nostro paese e scomparso nel 2009, Arrighi è stato tra i maggiori studiosi delle dinamiche dell’economia internazionale. Una raccolta di suoi scritti appena pubblicata, Capitalismo e (dis)ordine mondiale (Roma, manifestolibri, pp. 232), rende facilmente accessibili al lettore italiano, anche grazie all’eccellente introduzione di Giorgio Cesarale, le linee fondamentali della sua ricerca.
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L'irrealizzabile modello Marchionne
di Guido Viale
Ci sarà pur una ragione per cui la totalità dell'establishment italiano, dal Foglio della ex coppia Berlusconi-Veronica a Pietro Ichino - quel che resta della componente pensante di un partito ormai decerebrato) - converge nel chiamare «modernizzazione» il diktat di Marchionne («o così, o si chiude»). Che per gli operai di Mirafiori (età media, 48 anni; ridotte capacità lavorative - provocate dal lavoro alle linee - 1500 su 5200; molte donne) vuol dire: 18 turni; tre pause di dieci minuti per soddisfare - in coda - i bisogni fisiologici (a quell'età la prostata comincia a pesare; e nessuno lo sa meglio dell'establishment italiano, ormai alla grande sopra i 60); mensa anche a fine turno (otto ore di lavoro senza mangiare); 120 ore di straordinario obbligatorio, divieto di ammalarsi in prossimità delle feste, più - è un altro discorso, ma non meno importante - divieto di sciopero per chi non accetta e «rappresentanti» degli operai scelti tra, e da, chi è d'accordo con il padrone. Mentre «converge», l'establishment nel chiamare invece «conservazione» - o anche «reazione»; così Giovanni Sartori sul Corriere dell'8 gennaio - la scelta di opporsi a questo massacro.
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