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Disturbatori di attenzione
A cura del Telefono viola di Bologna
[Lo scorso sabato 24 novembre Bologna ha ospitato un convegno sul cosiddetto “disturbo di attenzione e iperattività", una nuova “malattia” che colpirebbe i bambini troppo vivaci. Alcuni membri del Telefono viola di Bologna hanno distribuito volantini informativi su questa pseudo-sindrome e sugli psicofarmaci di riferimento, tra cui spicca il Ritalin. Sul luogo si erano raccolti altri contestatori e mentre la tensione saliva sono volati un po' di spintoni. I “disturbatori” sono stati condotti fuori mentre sul luogo arrivava la polizia, che procedeva alla denuncia per concorso in violenza privata di due volontari del telefono Viola di Bologna e di una terza persona. Vista l'importanza della critica dei trattamenti farmacologici dell'alienazione e del disagio, riproduciamo il volantino sul Ritalin redatto dal Telefono viola.]A.P.
Il ministero della salute nel 2002 ha autorizzato la sperimentazione del RITALIN, un farmaco "dedicato" ai bambini che si appresta entro sei mesi a invadere il mercato italiano.
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Una fede svaporata
di Maria Turchetto
Qualche tempo fa sul Corriere della Sera (2 dicembre 2006) Antonio Carioti salutava simpaticamente Il ritorno degli atei: che non sono mai andati via, spiegava, citando un articolo di Carlo Augusto Viano (Elogio dell'ateismo, in MicroMega n.5, 2006), ma magari si dichiaravano agnostici «per apparire più rispettosi verso i credenti». Persone discrete, gli atei: mica vogliono convertire il prossimo. E nemmeno alzerebbero la voce, a lasciarli in pace. Certo, se le chiese diventano arroganti, se i cardinali scendono in politica e i papi invadono le televisioni - beh, dovranno pure farsi avanti e dire la loro.
I filosofi di Torino sono all'avanguardia in questo outing dell'ateismo: Viano, appunto (Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni, Einaudi, Torino 2005; Laici in ginocchio, Laterza, Bari 2006); ma anche Pietro Rossi (Il pontefice e i filosofi devoti, in Nuova Informazione Bibliografica n. 4, 2005). Forse perché a Torino una ventata di illuminismo c'è stata, tra gli anni '40 e '50, come ricorda Viano nel libro sui miracoli. O forse perché a Torino c'è un bizzarro "filosofo devoto" che li ha particolarmente scossi: quel Gianni Vattimo che ha indebolito il pensiero fino a "credere di credere" (Credere di Credere, Garzanti, Milano 1996). Maurizio Ferraris si aggiunge ora alla agguerrita compagine degli "atei confessi" (per usare una sua espressione) con Babbo Natale, Gesù Adulto, godibile pamphlet che fin dal sottotitolo pone una domanda imbarazzante: in cosa crede chi crede?
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NESSUNO È IMMUNE DAL DIVENTARE NAZISTA
di Wu Ming 1
Impressioni dopo la lettura del romanzo Le benevole di Jonathan Littell
Premio Goncourt 2006. Monumentale opera prima scritta in francese da uno statunitense. Caso editoriale in diversi paesi. Oggetto di stupore, shock e ammirazione. Alzate di polveroni a destra e a manca da parte di storici e critici, di ebrei e gentili. Perché?
Perché è chiaro fin da subito (dal lungo prologo intitolato "Toccata") che Le benevole di Jonathan Littell vuole imporsi come il romanzo supremo e definitivo su Germania nazista e sterminio degli ebrei.
Di questa ambizione, questa hybris che fa scavalcare ogni argine e sfidare ogni precedente narrazione sull'argomento, ho un'esperienza diretta di molti giorni. Leggere Le benevole è ritrovarsi testimoni, percossi e attoniti, di un tracimare: goccia dopo goccia, rivolo dopo rivolo, il fiume di dati, episodi, conversazioni, ricordi, sogni e citazioni si compone, si allarga, si alza, si gonfia finché non esonda. Arriviamo sul fronte russo sospinti da un'alluvione, immane ondata che spazza via interi mondi e innumerevoli vite, finché non impatta con la resistenza di Stalingrado, inattesa, inspiegabile. Le giornate di Stalingrado scavano un momento di "vuoto" nel romanzo e nella vita del protagonista, Maximilien Aue, ufficiale SS. Il vuoto si riempie di follia, follia per una volta non sistemica né organizzata, follia non burocratica bensì singolare e selvaggia. L'accerchiamento sovietico apre un crepaccio nel tempo e la psiche devastata di Aue produce visioni e fantasticherie. I passaggi sono fluidi, non più scanditi da cifre, date e acronimi, tutto è bianco e non si sentono rumori... E' a questo punto che l'onda s'incurva e volge indietro, con violenza moltiplicata. L'Armata Rossa e il Generale Inverno annichiliscono la Sesta Armata. Aue si salva, lo riportano a Berlino.
Una volta respinta, la piena - che, ripeto, è una piena di informazione - copre altre direzioni, invade altri campi. Le acque brune e scure trasportano nuovi dati, episodi, conversazioni, reminiscenze di incesti e sodomie, incubi e rimandi ad altre opere (drammi, romanzi e saggi, film e documentari).
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La passione per il mondo di un ospite ingrato
Donatello Santarone
Il poeta asseverativo ma anche a tratti pedagogico; il dialogo a distanza con Pier Paolo Pasolini; il confronto serrato con la tradizione letteraria italiana; il rapporto disincantato con l'ebraismo e con la religione all'insegna però del rifiuto di qualsiasi misticismo. La figura intellettuale di Franco Fortini in tre saggi da poco pubblicati
Sono trascorsi ormai tredici anni dalla morte del poeta e saggista Franco Fortini, ma l'eredità del suo magistero di intellettuale complessivo, esponente di punta del marxismo critico europeo del secondo dopoguerra, continua a interrogare quanti rifiutano quel sistema di rapporti fra uomini mediato da cose che definiamo capitalismo.
Testimonianza di un interesse vivo nei confronti dell'opera fortiniana sono tre volumi di recente pubblicazione a lui dedicati. Il primo è di Romano Luperini (Il futuro di Fortini. Saggi, Manni, pp. 110, euro 12) e raccoglie dieci saggi scritti negli ultimi venticinque anni a documentare la lunga «fedeltà» del critico italiano nei confronti dell'opera di Fortini.
Con la sua prosa asciutta e antiretorica, Luperini mette a fuoco alcuni nodi centrali dell'opera del poeta, del saggista, dell'intellettuale critico. Da una parte, c'è in Fortini, secondo il critico fiorentino, il rifiuto netto di qualsivoglia «religione della poesia», l'odio per le sette letterarie quasi sempre complici di «chi sta in alto» (per dirla con l'amato Brecht), il suo classicismo «strabico o ironico», la polemica costante fatta di ammirazione e fastidio con Pier Paolo Pasolini («l'uno è poeta di inibizione, l'altro di esibizione»). Ma anche una concezione della poesia come «valore» e «disvalore» a un tempo, «segno di una possibile alterità, di una figuralità non consumabile nell'immmediato, e sigillo di un potere tramandato da una casta di mandarini».
Il collezionista di Benjamin
Vi sono inoltre nei saggi che compongono il volume temi come la rivendicazione della maturità come «arte della mediazione e della dialettica, coscienza che respinge l'immediatezza e la visceralità» e quindi il confronto aspro con la tradizione; una concezione della critica letteraria che provochi sempre, a partire da una disamina puntuale di un testo, un corto circuito tra opera e mondo, tra testo e storia, tra letterario ed extraletterario, sottintendendo - scrive Luperini - «un'idea assai alta della critica letteraria come attività eminentemente etico-politica, chiamata a mediare fra il senso dell'opera e quello del mondo che la circonda».
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Software Libero per la tua libertà
Perché non ci si può fidare di software che non si può controllare
Richard Stallman
Il controllo del nostro software dalla parte di un'azienda di software proprietario, che sia essa Microsoft, Apple, Adobe o Skype, vuol dire il controllo su quello che possiamo dire e a chi. Questo minaccia le nostre libertà in tutti i campi della vita... Gli Stati uniti non sono l'unico paese che non rispetta i diritti umani, per cui mantenete i vostri dati sul vostro computer personale e i vostri backup sotto la vostra custodia. E utilizzate il software Libero sul vostro computer.
Lo sappiamo in tanti che i governi possono minacciare i diritti umani attraverso la censura e la sorveglianza di Internet. Non molti si rendono conto che il software che utilizzano, a casa o al lavoro, potrebbe costituire una minaccia anche peggiore. Pensando che il software sia "solo uno strumento", suppongono che obbedisce loro, invece, in effetti, obbedisce ad altri. Il software che gira nella gran parte dei computer è software non-libero, proprietario, e cioè controllato dalle aziende produttrici di software e non dai suoi utenti. Gli utenti non possono controllare quello che questi programmi stanno facendo, né possono impedire che facciano qualcosa di indesiderato. Molte persone accettano tutto ciò perché non conoscono altre possibilità. Ma è semplicemente sbagliato lasciare agli sviluppatori [di software] il potere sui computer degli utenti.
Questo potere ingiusto, come sempre, induce chi lo possiede a compiere ulteriori misfatti. Se un computer comunica su una rete e voi non controllate il software, esso può facilmente spiarvi.
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