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analisidifesa

L’Ucraina chiude i rubinetti del gas russo

di Gianandrea Gaiani

gazprom 179634.jpgPrima che propaganda e disinformazione (la nostre, non quelle russe) impostino narrazioni “fantasiose” circa lo stop alle forniture di gas russo all’Europa attraverso i gasdotti ucraini e le conseguenze sul caro-energia, ci sono almeno tre punti che vanno evidenziati.

Il primo è che la decisione di non rinnovare il contratto con Gazprom per il transito del gas verso la UE (in media 42 milioni di metri cubi al giorno, 14/15 miliardi all’anno, transitati nonostante la guerra in corso) è stata presa dall’Ucraina (per ragioni di “sicurezza nazionale” ha detto il ministro dell’Energia di Kiev) che, in accordo con gli Stati Uniti e alcune nazioni europee, punta a tagliare ogni residua forma di legame politico, commerciale e soprattutto energetico tra Russia e UE.

Non sorprende che il presidente ucraino Volodymyr Zelenski lo abbia definito “una delle più grandi sconfitte di Mosca” ricordando che “quando Putin prese il potere in Russia più di 25 anni fa, il volume annuo di gas inviato attraverso l’Ucraina in Europa ammontava a più di 130 miliardi di metri cubi“.

Semmai l’aspetto sorprendente è che la decisione di Kiev non sia contestata né ostacolata dall’Unione Europea, innanzitutto perché, nonostante le dichiarazioni di Ursula von der Leyen e gli alti costi energetici patiti nel Vecchio Continente dal 2022, l’Unione non è riuscita a fare meno del gas russo come si era ripromessa.

Mosca è ancora oggi il nostro maggior fornitore di gas (insieme agli USA) ma a prezzi molto più elevati perché ci viene rivenduto da terzi o perché acquistato in forma liquida (GNL), quindi molto più costoso rispetto al gas trasferito via tubo.

Infatti nel 2024 le importazioni di GNL russo dell’Unione Europea hanno toccato un livello record, superando i 16,5 milioni di tonnellate, come ha ricordato recentemente il Financial Times, per un terzo acquisito tramite il “mercato spot”, che permette acquisti a breve termine a prezzi più bassi. La Germania importa GNL russo dalla Francia mentre Belgio e Paesi Bassi continuano a fungere da piattaforme logistiche per il gas russo.

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intelligence for the people

2024: non ci sono vincitori

di Roberto Iannuzzi

Un’America in crisi all’interno tenta una proiezione “muscolare” all’esterno. Infrantasi contro il “muro” russo in Ucraina, affonda nel ventre molle mediorientale trainata dall’ariete israeliano

704c8609 7b3e 480e 843f e64b416905ab 1920x1280Sebbene i bilanci di fine anno si risolvano spesso in stucchevoli elenchi di eventi e in previsioni il più delle volte erronee, al termine di un’annata così tragica e tumultuosa come quella che si sta chiudendo sarà forse utile tracciare un bilancio per tentare di comprendere cosa ci riserva il futuro.

Il 2024 era iniziato mentre infuriava la violentissima operazione militare di Israele a Gaza, e i primi omicidi mirati israeliani in Siria e Libano, così come gli attacchi degli Houthi (gruppo yemenita altrimenti noto come Ansar Allah) al traffico commerciale nel Mar Rosso, lasciavano presagire un possibile allargamento del conflitto all’intera regione mediorientale.

Nel frattempo, dopo la fallita controffensiva delle forze armate ucraine nell’estate del 2023, il conflitto nel paese est-europeo ha cominciato a volgere al peggio per Kiev. L’Ucraina mancava di uomini e mezzi. L’Occidente stava perdendo la sfida della produzione bellica con la Russia.

Anche a causa dei contraccolpi della guerra ucraina, nel 2024 l’Europa ha iniziato a sprofondare in una crisi economica e politica in gran parte frutto delle disastrose scelte degli anni passati: le prolungate politiche di austerità, la ridefinizione delle catene di fornitura avviata con la crisi del Covid-19, la decisione europea di rinunciare all’energia a basso costo fornita dalla Russia.

I due paesi leader dell’UE, Germania e Francia, hanno cominciato ad avvitarsi in gravi crisi interne che hanno intaccato progressivamente la loro stabilità politica.

Nel vano tentativo di rovesciare le sorti del conflitto in Ucraina, i paesi NATO hanno adottato tattiche sempre più provocatorie (sebbene militarmente inconcludenti), incoraggiando Kiev a colpire obiettivi in territorio russo e violando progressivamente le “linee rosse” di Mosca.

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metis

L’urgenza di una politica anti-egemonica e proattiva

di Enrico Tomaselli

4 1 cose la carta geopolitica 1280x720.jpgIl 2024 sembra chiudersi in una condizione generalmente sfavorevole alle forze ad ai paesi che si oppongono all’egemonismo occidentale, che a sua volta sembra preludere a un 2025 all’insegna di una rinnovata offensiva globale dell’egemone. Il tracollo della Siria, l’ostentata sicumera di Trump e di Netanyahu, la difficile situazione in Iran, il moltiplicarsi di situazioni in cui l’esercizio della democrazia viene sempre più ridotto a mero aut-aut (Georgia, Romania, Moldavia)… tutto insomma sembra indurre al pessimismo, almeno per chi auspica un passaggio verso un nuovo ordine mondiale basato sul multipolarismo.

Ma anche se molti elementi sono effettivamente negativi, si tratta però sostanzialmente di una distorsione percettiva, in larga misura indotta dalla propaganda occidentale – in cui del resto siamo pienamente immersi. Volendo quindi tracciare una sorta di bilancio, e soprattutto puntare lo sguardo sull’anno che verrà, è bene farlo a partire dai dati di fatto, piuttosto che dalle sensazioni.

Il 2025 vedrà con ogni probabilità la fine del conflitto cinetico in Ucraina – e questo, già di per sé, è un fatto positivo – e ciò rappresenterà un passaggio cardine, destinato a pesare pesantemente sugli anni successivi, perché quale che sia il modo in cui si concluderà non potrà mutare la sostanza di tale evento, ovvero la sconfitta politico-militare della NATO, e quindi dell’egemonismo occidentale. La portata di tale sconfitta, che è inevitabile, ancora non appare pienamente – e di sicuro saranno fatti sforzi enormi per occultarla – ma non solo una volta avvenuta risulterà evidente, i suoi effetti si propagheranno come onde sismiche, scuotendo l’intera architettura politica occidentale.

Nonostante quanto si possa pensare, difficilmente il conflitto si potrà chiudere in virtù dell’azione messa in campo dalla nuova amministrazione americana, e ciò per due fondamentali ragioni: innanzitutto, l’assoluta incapacità (e mancanza di volontà), da parte statunitense, di riconoscere e comprendere le ragioni e gli interessi della Russia, e poi (cosa forse ancor più significativa) perché a muovere il blocco di potere coagulato intorno alla figura di Trump è una rinnovata fiducia nell’egemonia degli Stati Uniti e nel loro diritto-dovere di esercitarla globalmente.

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La grande trasformazione. I 10 eventi che nel 2024 hanno cambiato per sempre il mondo

di OttolinaTV

1200x675 cmsv2 784b2b6a f9dc 5f7d 8d52 75995470f5b6 8313402Dal trionfo elettorale di Trump all’allargamento dei BRICS che, per la prima volta, ha reso un’organizzazione multilaterale che non è emanazione diretta di potenze ex coloniali la più importante del pianeta; dal ritorno nell’Occidente libero e democratico del golpe come strumento per la risoluzione delle tensioni politiche interne al boom di droni e intelligenza artificiale che ha cambiato per sempre il modo di fare la guerra; dal trionfo di Israele contro l’asse della resistenza che ha sdoganato il ricorso al genocidio come strumento di risoluzione delle controversie internazionali al collasso definitivo dell’economia e delle classi dirigenti europee che ha definitivamente reso il vecchio continente un soggetto del tutto marginale della politica internazionale: e meno male che la storia era finita. Il 2024 è stato probabilmente l’anno più ricco di eventi di portata storica dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi; in questo video abbiamo provato a stilare la nostra top10. Il 2024 è stato l’anno dove è diventato chiaro anche ai muri che ormai siamo in guerra; e quindi non potevamo che iniziare da una notizia su come si fa oggi la guerra.

 

Iniziamo quindi con la nostra decima notizia più importante dell’anno: l’affermazione definitiva dei droni come l’arma per eccellenza nelle guerre del ventunesimo secolo

A partire dallo spettacolare attacco contro Israele dell’aprile scorso durante il quale l’Iran ha impiegato in un colpo solo oltre 300 droni, è diventato chiaro che la capacità di impiegare il più ampio numero possibile di velivoli aerei senza equipaggio a basso costo sarebbe diventata, a stretto giro, la variabile fondamentale per determinare i rapporti di forza in un conflitto: nonostante i limiti del singolo veicolo, infatti, il loro impiego in numero massiccio è comunque in grado di saturare rapidamente sistemi di difesa pensati e sviluppati per altri sistemi d’arma e con costi unitari di diversi ordini di grandezza superiori; inoltre, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale permette da un lato di coordinare sempre di più l’azione congiunta di un numero sempre più ampio di velivoli e, dall’altro, di renderli autonomi nell’individuazione e nel raggiungimento dell’obiettivo, rendendo così sempre meno efficaci strumenti di difesa basati sull’interferenza elettronica.

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lafionda

La realtà dei conflitti mondiali oltre la propaganda e le rimozioni

di Alberto Bradanini

sgretolamento 1973.jpg1. Il deprimente riflesso dei media occidentali – ai quali ci sforziamo di sfuggire quanto possibile – ci condurrebbe alla più profonda depressione, se non fossimo soccorsi dalla fede nell’avanzare dell’autocoscienza dell’uomo nella storia, poiché nel tempo breve non v’è alcuna speranza di intravedere nemmeno l’ombra di un orizzonte più sereno. Più vivo – affermava G. B. Shaw – più sono convinto che questo pianeta sia usato da altri pianeti come manicomio dell’universo. Ed è difficile dargli torto. Eppure, se occorre dar senso al tempo che rimane da vivere, esso è quello di distruggere con l’arma della verità tutto ciò che può essere distrutto.

Non passa giorno che Israele non uccida intenzionalmente giornalisti palestinesi a Gaza[1] (196 negli ultimi 14 mesi, tra i 45.000 palestinesi uccisi e 150.000 feriti!), mentre impedisce a chi è fuori di entrare nella Striscia per nascondere i disumani massacri di cui si rende colpevole davanti all’umanità, alla giustizia internazionale, all’etica delle nazioni e alla storia, protetto e armato dai loro complici occulti, gli Stati Uniti d’America.

In Siria, in contemporanea, l’esercito d’Israele, che insieme ai conniventi americani e turchi, ha dato il via libera ai tagliagole jihadisti, si espande oltre il Golan – che occupava illegalmente dal 1967 – e invade altre terre siriane (che B. Netanyahu dichiara non verranno restituite mai più!) nel garbato silenzio di Usa ed Europa, vocianti propugnatori del Diritto Internazionale. Non solo, mentre sulla carta firma il cessate il fuoco con Hezbollah, lo Stato Ebraico non smette di bombardare villaggi libanesi già martoriati, facendo ogni santo giorno decine di vittime. Tutto ciò sotto lo sguardo appagato della presidente della Commissione Ue, la tossica von der Leyen, caporal maggiore del cupo esercito Nato e la cui unica caratteristica degna di nota è l’obbedienza al globalismo atlantico. Nella Nato, si pensava di aver toccato il fondo con il tramonto di Jens Stoltenberg, dal nome altamente evocativo, ma non è così!  Al suo posto quale Segretario Generale abbiamo ora tale Marc Rutte, anch’egli con un nome onomatopeico, che dispone per nostro conto di ridurre gli stanziamenti a pensioni e sanità per produrre armi destinate, secondo cotanta testa, a sconfiggere la Russia!

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lantidiplomatico

Il connubio jihadista-israeliano in Siria

di Maurizio Brignoli

Occupazione israeliana del Golan e silenzio jihadista. I palestinesi nella vecchia e nuova Siria. Fuga dalla Siria occidental-sionista-jihadista

nosnvibnlo.jpgUna delle prime preoccupazioni di Abu Muhamad al-Julani, capo dei jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante, Hts), nella prima importante intervista concessa a Sky News, era, all’indomani di quella che definiva la “liberazione” della Siria da Assad e dagli ex colonizzatori russi e iraniani, tranquillizzare l’imperialismo occidentale chiarendo una volta per tutte quali fossero i veri nemici: «La fonte delle nostre paure proveniva dalle milizie iraniane, da Hizballah e dal regime che ha commesso i massacri a cui stiamo assistendo oggi. La loro rimozione è la soluzione per la Siria»[1]. Posizione del resto coerente da parte di chi era stato incaricato di organizzare la sovversione jihadista della Siria da Abu Bakr al-Baghdadi, primo califfo dell’Isis (2014-2019) e che proprio in Hizballah e nei pasdaran iraniani, i primi ad accorrere in aiuto della Repubblica araba siriana e a combattere contro l’Isis e le altre formazioni jihadiste, ha trovato un ostacolo insuperabile. Altra preoccupazione quella di rassicurare Israele nei confronti del quale il capo jihadista, in un’intervista al Times, ha promesso che non permetterà che la Siria venga utilizzata come rampa di lancio per attacchi contro Israele o qualsiasi altro stato[2]. È dai tempi del cambio di marchio in Hts nel 2017 che i qaidisti cercano di presentarsi quali referenti ideali per l’Occidente, insistendo sul comune obiettivo di abbattere il governo siriano ed espellere le forze iraniane dalla Siria, ponendosi come alternativa “moderata” all’Isis nel tentativo di farsi finanziare meglio dall’imperialismo occidentale[3].

Ma a offrire collaborazione con Tel Aviv non c’è solo Hts ma anche quelli che potremmo definire “jihadisti laici” o secondo la dicitura usata dall’imperialismo occidentale fin dall’inizio dell’aggressione alla Siria “ribelli moderati”, un escamotage per fornire armamenti a formazioni che hanno compiuto molteplici operazioni in sinergia con al-Qaida e Isis e che ospitavano nelle loro file gli stessi jihadisti che transitavano fra i gruppi di miliziani del Califfato, qaidisti e i cosiddetti “ribelli moderati”[4].

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italiaeilmondo

La Turchia e il peggior scenario possibile

di Michelangelo Severgnini

njvaedoribnfhsihfjsDal precipitare degli eventi in Siria a oggi ho meticolosamente scandagliato la stampa turca e curda, presente e passata, per ricostruire perlomeno un pezzo della verità, perlomeno fonti alla mano, ricostruendo come il crollo di Assad sia percepito da questo lato della faccenda.

Questione quanto più sotto i riflettori dal momento che moltissimi analisti hanno da subito messo la Turchia sul banco degli imputati, riconoscendola mandante di questo improvviso epilogo del governo siriano.

Tuttavia tutto ciò non trova riscontri oggettivi ed è piuttosto la facile suggestione per colmare quell’inevitabile vuoto di comprensione che si crea in ciascuno di noi. Insomma, se qualcosa non torna, è colpa dei Turchi.

Questo mio intervento è motivato dall’unico obiettivo di vederci meglio e di diradare qualche fumo. Ho vissuto anni in Turchia, paese al quale sono legato, e leggo il turco. Faccio questa premessa per scoraggiare chi voglia leggere queste righe come quelle di un difensore della politica turca, che in passato (vedi con l’Urlo a Tripoli) non ho avuto problemi a denunciare.

Piuttosto credo che un processo sommario alla posizione turca, per altro non suffragato quanto piuttosto frutto di suggestione, in questo momento favorisca quegli obiettivi secondari del conflitto in corso, ma non meno importanti, quali la rottura diplomatica tra i soggetti firmatari gli accordi di Astana (Turchia, Russia e Iran) e l’allontanamento della Turchia dai Brics.

E non voglio favorire senza motivo il raggiungimento di questo obiettivo.

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giubberosse

Sulle prospettive per la Siria

di Enrico Tomaselli

195548677 96f791e0 260a 4c28 acef df89d55b6886.jpgL’evoluzione della situazione siriana è inevitabilmente destinata a introdurre elementi di novità, non necessariamente previsti – e che, probabilmente, possono aiutare a comprendere alcune posizioni attualmente assunte da parte di soggetti coinvolti.

Le questioni fondamentali sono essenzialmente due. La prima, è la partizione in atto nel paese, in almeno tre macro aree cantonali: quella occidentale, sotto il controllo dell’HTS, quella orientale, sotto il controllo delle forze curde, e quella meridionale, sotto controllo israeliano. Questa cantonizzazione della Siria fa ovviamente gioco sia agli USA che a Israele, perché non solo mina l’unità del paese arabo, ma rafforza la presenza politica e militare di entrambe nella regione. Ma taglia fuori dai giochi la Turchia, che si ritrova ad avere la stabilizzazione di un Kurdistan siriano ai propri confini, e per di più come protettorato statunitense.

Come risulta evidente dai primi passi, Al-Julani risponde chiaramente assai più agli interessi anglo-americani (suoi veri sponsor) che non a quelli turchi; i segnali pacificatori verso Israele da un lato (nonostante la massiccia campagna di bombardamenti in atto, che non accenna a finire), e l’apertura alla collaborazione, anche governativa, con le SDF, indicano chiaramente l’allineamento del potere islamista con i disegni americani.

Del resto, e per più di una ragione, Washington intende esercitare la sua influenza sul nuovo governo siriano, ma il suo alleato di riferimento restano (almeno per il momento) i curdi. I nodi da risolvere, in questo quadro, sono ovviamente i margini di autonomia che le SDF riusciranno a ritagliarsi, anche considerando che otterranno dei ministri nel governo nazionale (altra cosa destinata a irritare non poco Ankara…), e – parallelamente – come verrà risolta la questione del disarmo delle milizie (pretesa da Al-Julani). Considerato il prevalere degli interessi statunitensi, è probabile che entrambe le questioni siano risolte nel quadro di una qualche autonomia regionale, nell’ambito della quale le milizie curde diventano le forze armate territoriali.

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sinistra

Il caos siriano e la follia senza metodo

di Piero Pagliani

siria gia nel caosMentre i salafiti “liberatori” si stanno dedicando a saccheggi, massacri e vendette, così, tanto per mostrare il loro volto “moderato”, Ankara punta a conquistare le zone oggi occupate dal cosiddetto “Rojava” curdo sostenuto dagli Usa. Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha dichiarato che o il Pkk e l'Ypg in Siria si dissolvono o la Turchia li distruggerà.

Questo il commento di Larry Johnson, ex analista Cia ed ex funzionario dell'Antiterrorismo al Dipartimento di Stato:

«Resta da vedere se gli USA, che sono posizionati in territorio curdo, forniranno aiuti ai curdi, incluso il supporto militare, o si faranno da parte e lasceranno che i turchi li finiscano.

Credo che i russi in questo momento siano seduti davanti a un bel fuoco scoppiettante, sgranocchiando un sacchetto di popcorn e osservando il caos che si dispiega» ([1] enfasi mia).

Sono d'accordo. In questo momento Mosca sta alla finestra a vedere come si evolve la complicatissima e drammatica situazione siriana da cui si è tirata fuori. La ragione dichiarata è, come ebbe modo di dire Putin già nel 2015, che “i russi non possono essere più siriani dei siriani”. Ovverosia la volontà di combattere doveva partire dalla Siria. Così non è stato e Damasco forte di 170.000 soldati e 100.000 territoriali, con carri armati, artiglieria e aviazione, si è arresa in soli 11 giorni a meno di 30.000 guerriglieri in pick-up e qualche blindato, in modo sorprendente e inaspettato perché aveva tenuto testa da sola per 4 anni fino all'intervento russo a una coalizione di eserciti proxy di mercenari, di bande di fuori di testa e di consiglieri militari provenienti da tutto il mondo, armati, finanziati e sostenuti da UE, Nato, Usa, Australia, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Israele.

Le ragioni non sono del tutto chiare, almeno a me. La corruzione, spesso citata, è un fattore. Ma non penso che basti (specialmente in un esercito complesso), occorrono ordini precisi. Ecco allora chi accusa al-Assad di essersi fidato troppo della Lega Araba, in cui la Siria era stata riammessa, e addirittura delle profferte di Washington di togliere le sanzioni in cambio di un mutamento di campo.

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intelligence for the people

L’implosione della Siria – parte II

di Roberto Iannuzzi

Il paese potrebbe avviarsi verso uno “scenario libico”, aggravato da un contesto regionale caratterizzato da una crescente disgregazione, sul quale continuano a soffiare minacciosi venti di guerra

8cfe7801 a669 4654 a01b 2ea2a543c69c 722x500Il presente articolo, sebbene possa essere letto in maniera indipendente, costituisce la seconda parte del pezzo “Dal fragile cessate il fuoco in Libano alla guerra in Siria – parte I”, consultabile al seguente link.

Vittima di un’offensiva partita dal nordovest della Siria, Damasco è caduta incredibilmente a poco più di dieci giorni dall’inizio di tale campagna. Gli eventi che hanno portato a questa svolta epocale presentano tuttora punti oscuri, ma se ne può tentare una parziale ricostruzione sulla base dei dati fin qui a disposizione.

Un pericoloso vuoto geopolitico si era aperto nel paese a causa di un governo fiaccato da anni di guerra e di sanzioni, privato delle risorse energetiche delle regioni orientali (sotto il controllo curdo e americano), e logorato da corruzione e lacerazioni interne.

Questo vuoto era stato ulteriormente accentuato dal conflitto regionale scatenato dalla crisi di Gaza, che ha messo in difficoltà i principali alleati di Damasco: l’Iran, le cui forze erano state ripetutamente colpite da Israele proprio in Siria, e Hezbollah, alle prese con la violentissima campagna militare israeliana in Libano.

La Russia, che aveva salvato il governo del presidente Bashar al-Assad intervenendo militarmente nel paese nel 2015, era a sua volta impegnata nella guerra contro Kiev, il cui esercito è sostenuto dall’intera NATO.

Di questo vuoto hanno approfittato gli avversari locali di Assad, a loro volta appoggiati da alcuni attori internazionali, fra i quali spicca la Turchia.

Alla guida di una galassia di gruppi ribelli il cui orientamento va dall’islamismo militante al jihadismo, Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), formazione in precedenza affiliata ad al-Qaeda e apparentemente riconvertitasi a una forma di Islam nazionalista, ha lanciato un’offensiva il 27 novembre in direzione di Aleppo, seconda città del paese, dalla limitrofa provincia di Idlib.

HTS stava preparando quest’offensiva forse da un paio d’anni, ed ha approfittato delle propizie condizioni regionali e della luce verde concessa dal “patrono” turco dopo il fallimento dei negoziati di riconciliazione fra Ankara e Damasco.

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analisidifesa

Aggressori e aggrediti, jihadisti democratici, curdi dimenticati ed europei inconsapevoli

di Gianandrea Gaiani

al jolaniMentre dagli USA all’Europa politici e media accolgono i nuovi padroni di Damasco come eroi democratici, “ex terroristi e “jihadisti moderati”, il leader di Hayat Tahrir al Sham (HTS) Abu Mohammad al-Jolani, ha pronunciato il primo discorso da “uomo forte” di Damasco all’antica grande Moschea degli Omayyaddi, dinastia il cui Califfato fece da “modello” per l’ISIS.

Al-Jolani del resto si muove bene tra i simboli e i dogmi jihadisti di al-Qaeda e ISIS, organizzazioni presso le quali ha militari fin da dopo l’invasione anglo-americana dell’Iraq in cui combatteva gli statunitensi al fianco di Abu Musaib al-Zarqawi, leader di al-Qaeda in Mesopotamia.

Catturato dagli statunitensi venne detenuto a Camp Bucca dove conobbe Abu Bakr al-Baghdadi, insieme al quale venne liberato per poi recarsi in Siria a combattere sotto le bandiere dell’ISIS le forze di Bashar Assad.

Questa vittoria, fratelli miei, è’ una vittoria dell’intera nazione islamica e segna un nuovo capitolo nella storia della religione, una storia irta di pericoli che ha reso la Siria un’arena per le ambizioni dell’Iran, diffuso il settarismo e alimentato la corruzione”, ha detto al-Jolani. Parole che non lasciano intendere che la Siria resterà uno stato laico anche se HTS si è impegnato per ora a garantire libertà di culto e a non imporre restrizione alle donne.

 

Da terroristi a paladini della libertà

Tra i più sfegatati fans degli ex qaedisti c’è la CNN e i media vicini all’Amministrazione Biden, tra i quali l’entusiasmo per la caduta di Bashar Assad, alleato di Russia e Iran, sembra cancellare anche il ricordo degli attentati di al-Qaeda negli Stati Uniti e della lunga guerra contro Osama bin Laden e i suoi seguaci. Non a caso, fonti citate dai media statunitensi valutano che presto HTS verrà rimosso dalla lista dei gruppi terroristici (l’immagine qui sotto è del 2017).

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Corea del Sud, Romania, Siria (e anche Francia e Georgia): i 5 giorni che sconvolsero il mondo

di OttolinaTV

eoibfslònOttoliner, avrei voluto dirvi ben ritrovati; ma ben ritrovati una sega… Dopo aver passato 4 mesi ininterrotti incollato a quella seggiolina lì dietro, come diceva Vasco Rossi mi son distratto un attimo e, nell’arco di appena 5 giorni, nell’ordine avete dichiarato la legge marziale in una delle democrazie più vitali e dinamiche dell’Asia per provare a salvare il culo a un presidente zerbino che ha il 15% dei consensi, annullato con un golpe giudiziario il voto regolare in un Paese dell’Unione europea per salvare il culo a un altro presidente pupazzo che, a consensi, non arriva manco al 10 e, infine, nell’arco di 3 giorni, rovesciato definitivamente il governo siriano che era sopravvissuto a una guerra mondiale per procura, durata oltre 13 anni, attraverso il sostegno incondizionato a un tagliagole di Al Qaida che è magicamente diventato una popstar democratica nonostante continui a pendere sulla sua testa una taglia da 10 milioni di dollari emessa direttamente da Washington. Se mi volevate comunicare che vi stavo mancando, bastava anche meno… Nel caso della celebre canzone dell’intramontabile Vasco, la questione era piuttosto semplice: era tutta colpa d’Alfredo. Nel nostro caso, però, le cose potrebbero essere leggermente più complesse e articolate e se vi dovessi dire che ho un’idea chiara di come si siano svolte queste vicende mentirei spudoratamente, come sinceramente credo stia facendo chiunque in queste ore, invece di porsi una lunga serie di domande, millanti qualche tesi di facile comprensione buona per acchiappare qualche like (compresi, forse, gli stessi protagonisti). Una cosa che però, ormai, mi sembra non possa più essere messa in discussione da chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale è che non si tratta di casi isolati: la guerra totale dell’impero contro il resto del mondo per rallentare il declino e ostacolare la transizione a un nuovo ordine multipolare è in pieno svolgimento, riguarda tutto il pianeta e prevede il ricorso a ogni mezzo necessario; e quel poco che ancora rimaneva in piedi del vecchio ordine liberale – se mai è esistito – è stato definitivamente spazzato via dagli eventi.

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metis

Dopo Bashar

di Enrico Tomaselli

808x539 cmsv2 cda30265 7a77 5c61 be18 b0380e122ac5 8898036Sulla repentina caduta della Siria in mano ai terroristi jihadisti, cala il sipario. Così come sulla Repubblica Araba Siriana, e sulla dinastia Assad. Ci sono ancora non pochi punti oscuri, o non ancora definiti, che probabilmente si chiariranno nei giorni e nelle settimane a venire. Ovviamente, su tutti, il comportamento di Assad durante la crisi e sino al suo epilogo, e forse ancor più quello dell’Esercito Arabo Siriano, che non solo non ha praticamente combattuto una sola battaglia per contrastare l’avanzata jihadista, ma ha anche inscenato una pantomima mistificatoria al fine di coprire la sua decisione di consegnare il paese a Hay’at Tahrir al-Sham. Restano ancora avvolte dalla nebbia emotiva di questi giorni anche le evidenti leggerezze e gli evidenti errori commessi da Russia e Iran. Ma, appunto, molte di queste cose si chiariranno in seguito. A questo punto, in ogni caso, si tratta di tirare una linea, e guardare oltre.

La prima cosa da mettere in chiaro è che la vittoria jihadista – tanto più per i tempi e i modi in cui si è realizzata – è ben lungi dal porre fine al caos siriano; anzi, al contrario è foriera di un ulteriore rinfocolamento. L’esempio che viene immediatamente è quello della Libia. Tanto per cominciare, c’è la questione curda, che Ankara sta cercando di risolvere scatenando le sue milizie del Syrian National Army (e anche intervenendo direttamente), anche approfittando di questa fase transitoria, ma che è ben lungi dal trovare una soluzione pacifica. Oltretutto, le forze curde (che almeno per ora continuano a contare sull’appoggio statunitense) controllano una bella fetta di territorio, da nord a sud, e soprattutto parte del confine con la Turchia. Anche la questione dei rapporti (di forza) tra HTS e SNA è tutta da verificare. Probabile che si arrivi a una qualche forma di accordo [1], ma non sarà una convivenza facile; e comunque, a mio avviso, l’HTS non accetterà un ruolo subalterno alla Turchia, né una significativa influenza di Ankara in Siria, e man mano che consoliderà il suo potere ciò si accentuerà.

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poliscritture 

Il Gioco Segreto…che ci ha regalato quarant’anni

di Paolo Di Marco

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Correva l’anno 1983, e in Marzo Ronald Reagan, il presidente più amato della storia degli Stati Uniti, definisce l’Unione Sovietica ‘L’impero del male’; due settimane dopo lancia il progetto dello Scudo Missilistico, SDI, subito soprannominato dai giornali Guerre Stellari.

L’idea era di creare un sistema missilistico a più livelli che rendesse impossibile a un missile nemico colpire gli Stati Uniti.

Reagan gioca sulla impressione di sicurezza e tranquillità che lo Scudo avrebbe creato negli americani, senza mettere in conto, o perlomeno senza dirlo, che questo veniva a rompere l’equilibrio dinamico di ‘mutua distruzione garantita’ che aveva garantito la pace fino ad allora.

Mentre l’URSS era arrivato a ritenere l’arsenale nucleare, pur fondamentale per la sopravvivenza del paese, un mero strumento politico, negli USA erano in ballo molte opzioni militari; le principali 8 erano:

attacco preventivo per decapitare il nemico

lancio di missili (nucleari) dopo avvertimento

lancio sotto attacco mentre le testate nemiche esplodevano

inasprire ‘orizzontalmente’ spostando una guerra in Europa fino all’Asia

creare una guerra su due fronti facendo in modo che la Cina attaccasse l’URSS

preposizionare testate nucleari nello spazio

invadere l’Europa dell’Est con eserciti Nato,

e, il nuovo piano, eseguire un inasprimento progressivo delle minacce nucleari con lo scopo di controllare e vincere una guerra nucleare limitata.

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analisidifesa

Damasco come Kabul. La fuga di Assad è il “capolavoro” di Hakan Fidan

di Gianandrea Gaiani

thumbs b c e30f0363a1090e8b4874c63e6a43e39b.jpgIl repentino crollo, quasi senza combattere, dell’esercito Arabo Siriano e l’altrettanti rapido collasso delle strutture di governo siriane, subito dichiaratesi pronte a cooperare con gli insorti, impongono di porsi molti interrogativi circa le origini, le cause e i mandanti del blitz che in una dozzina di giorni ha portato alla caduta del regime di Bashar Assad a Damasco.

Mancano molti elementi necessari a compiere analisi e valutazioni esaustive, altri sono vagamente intuibili dalle prime dichiarazioni e prese di posizione mentre alcuni aspetti sono palesemente evidenti in un contesto siriano in cui oggi non è possibile dare nulla per scontato.

Quello che è accaduto tra il 27 novembre e l’8 dicembre in Siria assomiglia molto a quanto accadde in Afghanistan nell’estate 2021, quando le milizie talebane avanzarono repentinamente in tutta il territorio nazionale mentre i reparti governativi gettavano le armi e i governatori regionali aprivano le sedi governative ai capi talebani. Solo in seguito emerse che dopo gli accordi di Doha e l’inizio del ritiro statunitense e degli altri alleati occidentali emissari talebani ben supportati, anche finanziariamente, dall’intelligence pakistana si assicurarono il supporto di tutte le autorità civili e militari solo teoricamente fedeli al presidente Ashraf Ghani.

Il sistema di potere caratterizzato da forte corruzione e la fuga di Ghani da Kabul negli Emirati Arabi Uniti, il 15 agosto 2021, aggiungono un ulteriore parallelismo tra le vicende afghane di tre anni or sono e quelle siriane di oggi, non ultimo le congratulazioni dei talebani al popolo e ai ribelli siriani con l’auspicio di “una transizione condotta secondo le aspirazioni del popolo siriano” oltre che nella fine delle ingerenze straniere.

Ghani fuggì ad Abu Dhabi, Bashar Assad ha raggiunto prima la base area russa di Hmeymin (Latakya) a bordo di un cargo russo Il-76 (che con ogni probabilità ha imbarcato anche familiari e i più stretti collaboratori) e successivamente la Russia dove sarebbero stati trasferiti la moglie e i figli già la scorsa settimana.