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comedonchisciotte.org

Ecco le prove che Israele ha perso la guerra

(e i segni che il conflitto sta per riprendere)

di Mike Whitney - unz.com

ruins.jpgAl popolo americano non viene detto perché Israele ha accettato il cessate il fuoco con l’Iran. Sì, Israele stava rapidamente esaurendo gli intercettori della difesa aerea (rendendosi più vulnerabile agli attacchi iraniani), ma questa questione è solo di secondaria importanza. Il vero motivo per cui volevano un cessate il fuoco era che stavano venendo sistematicamente polverizzati e avevano bisogno di fermare l’emorragia in fretta. Ecco perché Israele ha “gettato la spugna” meno di due settimane dopo la salva iniziale, perché l’Iran stava polverizzando un bersaglio dopo l’altro senza che ci fosse alcuna fine in vista. Quindi, Israele ha capitolato.

Naturalmente, questa non è la storia che abbiamo letto sui media occidentali, dove non si parla della vasta distruzione di obiettivi strategici israeliani (da parte dei missili balistici iraniani); questa notizia è stata completamente omessa dalla copertura mainstream. Ma è per questo che Israele ha convinto Trump a trovare una via d’uscita diplomatica, perché le perdite stavano cominciando ad aumentare e l’Iran non stava “mollando”.

Sapevate che in Israele è illegale pubblicare video o foto di edifici colpiti da missili iraniani? In altre parole, se pubblicate foto di edifici, infrastrutture o basi militari in fiamme, finirete in prigione. È così che il governo controlla la narrazione e convince l’opinione pubblica che sta vincendo una guerra che, in realtà, sta perdendo. Ma non credetemi sulla parola: ecco il video di un giornalista israeliano che spiega come la censura governativa stia influenzando la capacità della popolazione di capire cosa sta succedendo:

⚡️🇮🇱🇮🇷JUST IN: CH13’s Raviv Drucker:

“There were a lot of missile hits in IDF bases, in strategic sites that we still don’t report about…It created a situation where people don’t realize how precise the Iranians were and how much damage they caused”pic.twitter.com/sYVBM8hdOp

— Suppressed News. (@SuppressedNws) June 26, 2025

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codicerosso

Iran-Usa, a che punto è la guerra mondiale non dichiarata?

di nlp

End of night 800x445.jpgLa prima pagina della Handelsblatt di pochi giorni fa titolava sulla esistenza di  guerra mondiale non dichiarata poche ore prima dell’attacco degli Usa all’Iran. Per il quotidiano tedesco si tratta della guerra tra democrazie e autocrazie, esprimendo una visione del conflitto globale ferma al conflitto tra stati e piegata alla contingenza politica. Allo stesso tempo, proprio se guardiamo alla contingenza, l’attacco Usa all’Iran lascia diversi dubbi su quanto siano reali gli effetti fine-di-mondo dichiarati da Washington come conseguenza dei bombardamenti di questi giorni. Ma capire cosa sta accadendo bisogna uscire dalla contingenza, quella degli schieramenti degli stati e quella degli effetti dei bombardamenti visto che da metà degli anni ’10, specie in Medio Oriente, di attacchi fatti più di messaggio politico che di distruzione materiale, ce ne sono stati e la guerra del mondo non dichiarata si è comunque estesa su scala planetaria come se il contenuto diplomatico di alcuni bombardamenti (dalla Siria del 2017 allo scambio di missili Israele-Iran di questa primavera) praticamente non esistesse.

Quindi la guerra mondiale non dichiarata esiste, si tratta di capire cosa è, a che punto siamo in questo genere di guerra e quali sono le prospettive che ha davanti a sé. Dall’inizio degli anni ’90 la guerra, come da sua costante antropologica, ha alimentato le rivoluzioni tecnologiche (dalla microelettronica alla rete fino alla AI) si è estesa fino ai confini temporali (guerra permanente), ha raggiunto ogni attività umana (guerra senza limiti), ha moltiplicato i piani di realtà sui quali si esercita necessitando di una strategia che li sincronizzasse (guerra ibrida). La guerra mondiale non dichiarata emerge da questo contesto di moltiplicazione delle mutazioni dei conflitti basati su una violenza sia esplicita, tradizionale fino a sembrare ancestrale, che mimetica o innovativa tanto da sembrare magica a causa della performatività tecnologica che la pervade. È quindi analiticamente necessario parlare oggi di “guerra mondiale non dichiarata”.

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giubberosse

La guerra all'Iran è una lotta per il controllo unipolare del mondo da parte degli Stati Uniti

di Michael Hudson, Geopolitical Economy

L’economista Michael Hudson spiega come la guerra contro l’Iran miri a impedire ai paesi di liberarsi dal controllo unipolare degli Stati Uniti e dall’egemonia del dollaro, e a interrompere l’integrazione eurasiatica con Cina e Russia

GettyImages 2220897624Gli oppositori della guerra con l’Iran affermano che la guerra non è nell’interesse americano, dato che l’Iran non rappresenta alcuna minaccia visibile per gli Stati Uniti.

Questo appello alla ragione trascura la logica neoconservatrice che ha guidato la politica estera degli Stati Uniti per oltre mezzo secolo e che ora minaccia di travolgere il Medio Oriente nella guerra più violenta dai tempi di Corea.

Questa logica è così aggressiva, così ripugnante per la maggior parte delle persone, così in violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale, delle Nazioni Unite e della Costituzione degli Stati Uniti, che c’è una comprensibile timidezza negli autori di questa strategia nello spiegare chiaramente cosa è in gioco.

Ciò che è in gioco è il tentativo degli Stati Uniti di controllare il Medio Oriente e il suo petrolio come baluardo del potere economico statunitense e di impedire ad altri paesi di muoversi per creare una propria autonomia dall’ordine neoliberista incentrato sugli Stati Uniti e amministrato dal FMI, dalla Banca Mondiale e da altre istituzioni per rafforzare il potere unipolare degli Stati Uniti.

Gli anni ’70 videro un ampio dibattito sulla creazione di un Nuovo Ordine Economico Internazionale (NIEO). Gli strateghi statunitensi lo consideravano una minaccia e, poiché il mio libro “Super Imperialismo” fu usato ironicamente dal governo come una sorta di libro di testo, fui invitato a commentare come, a mio avviso, i paesi si sarebbero liberati dal controllo statunitense.

Lavoravo all’Hudson Institute con Herman Kahn e, nel 1974 o 1975, mi chiamò per partecipare a una discussione sulla strategia militare dei piani già elaborati all’epoca per un possibile rovesciamento dell’Iran e la sua frammentazione etnica. Herman scoprì che il punto più debole era il Belucistan, al confine tra l’Iran e il Pakistan.

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lantidiplomatico

Il disumano tra Knesset e Bilderberg. Culti di guerra. Culti di Dittatura. Culti biblici?

di Fulvio Grimaldi

720x410c560.jpgMedioriente, ma non finisce qui

A dispetto della conclamata volatilità del carattere e delle pronunce di Trump, di cui è diventato luogo comune rilevare lo stop and go, il tutto e il contrario di tutto, il no di oggi e il sì di domani, le due settimane di meditazione sull’attacco all’Iran che diventano 24 ore per una decisione evidentemente già presa, in tutto questo c’è coerenza e logica. È il muoversi necessariamente erratico di un soggetto che, come Arlecchino, deve rispondere a due padroni.

 Trump, con le due settimane aperte a ogni ipotesi, aveva rassicurato il suo elettorato, nazionalista, isolazionista, manufatturiero, ceto medio declassato, mondo operaio e sottoproletario, il cui orizzonte sta in quanto è racchiuso tra Oceano Atlantico e Oceano Pacifico. Ora, con la decisione presa (apparentemente) nel giro di 24 ore, ha placato le ansie dell’altro suo referente, l’ebraismo sionista che gli ha garantito due elezioni e che costituisce la massima potenza economico-finanziaria mai apparsa sulla Terra.

La tragedia planetaria è che nell’equilibrio tra MAGA e Sion, il peso maggiore sta sul secondo piatto della bilancia, tanto da fare di Trump il vero, inesorabile, ostaggio di Netanyahu. MAGA non gli si rivolterà conto, la sua avversione a guerre esterne è temperata da quanto riveste i caratteri di una vera idolatria: è il capo e ci sta bene tutto, a prescindere.

Si aggiunga che dall’Europa, dalla quale ci si sarebbe potuti attendere una presa di posizione alternativa, razionale, finalmente riferita ai propri veri interessi economico-politico-sociali, si sentono le stesse voci che risuonano a favore di Israele e di Netanyahu. Quelle di Blackrock, Merz, di Rothschild, Macron, e della City, ormai dependance di Wall, Street, Starmer.

Ma non finisce qui. Gli imprevisti si moltiplicano. Si arriverà, forse, in un Consiglio di Sicurezza e in un’Assemblea Generale dell’ONU, dove certe cose non passano, a più miti consigli. Almeno qui, due grandi potenze, altrimenti alla finestra, possono pesare.

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lafionda

Il Re del Mondo nichilista

di Geminello Preterossi

176e6485 dad6 4dae acd1 2f5822246608 alta libre aspect ratio default 0.jpgL’America sembra irredimibile, soprattutto quando c’è di mezzo Israele. Ma il vero tema è: Netanyahu pensa di essere il Re del Mondo sionista, e agisce di conseguenza. In realtà è l’Anticristo. Qual è il katechon oggi? L’unico che si intravede è forse Putin, ma non è in grado di impegnarsi su più fronti. Alla Cina è estranea questa logica, e poi – almeno per ora – sembrano interessati a gonfiarsi sfruttando la globalizzazione e a presidiare Taiwan. Per questo, ferocemente, il capo mondiale dei liberal-nichilisti neocon fa quello che vuole, e impone l’agenda all’Occidente.

Israele ha bisogno del nemico: essendosi costituito come Stato-guerra, non può farne a meno, verrebbe meno la sua ratio. Nel frattempo, questa norma fondamentale dell’inimicizia, che fonda la costituzione materiale dello Stato ebraico, si è fatta sempre più assoluta, generando una totalizzazione culturale e politica che spiega almeno in parte i mutamenti intervenuti all’interno della società israeliana (nel senso dell’estremismo, del fanatismo e dell’assuefazione alla disumanità), la politica di colonizzazione aggressiva dei territori palestinesi, gli slittamenti teocratici e anticostituzionali del suo ordinamento, che un pezzo di società israeliana contrastava, prima dell’escalation bellicista (molto funzionale a puntellare il potere di Netanyahu e a scongiurare il benché minimo  cambiamento).

Robert Kaplan ha sostenuto di recente che “il diritto internazionale è un inganno” e che Israele vive sotto una minaccia esistenziale, ciò che non possono dire gli europei, grazie agli Usa (e non all’ONU). Kaplan è il politologo neocon il cui cavallo di battaglia è rappresentato dallo schema “Marte contro Venere”: gli americani, figli di Ares, sono diversi dagli europei ormai divenuti venusiani (dopo la seconda guerra mondiale), e perciò incapaci di combattere, adagiatisi come sono sulla sicurezza garantita dallo zio Sam.  Uno schema un po’ semplicista e brutale, ma in parte vero, che viene riproposto oggi. Peccato che Kaplan lo abbia elaborato per giustificare la seconda guerra in Iraq, basata sulle bugie relative alle armi di distruzione di massa di Saddam (le uniche trovate furono quelle portate dagli americani invasori).

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lantidiplomatico

Il Teatro delle Ombre arriva a Teheran

di Giuseppe Masala

Parte prima

720x410c504.jpgProprio quando molti commentatori iniziavano a ipotizzare uno scenario di lenta pacificazione in Europa è esploso, inaspettato per potenza e pericolosità, un conflitto tra Iran e Israele che si innesta in quel grande gioco mediorientale partito con i gravi attentati del 7 e 8 Ottobre del 2023.

Per comodità e per rendere maggiormente intellegibile  ciò che sta avvenendo - così da individuarne le cause - è necessario analizzare il contesto generale consentendo così di comprendere la reale posta in palio e non rimanendo ipnotizzati da quel Teatro delle Ombre fatto di falsi bersagli, ballon d'essai e provocazioni di ogni tipo che hanno il solo scopo di nascondere le reali cause del conflitto e gli attori coinvolti con i propri ruoli e interessi materiali.

A mio modo di vedere, solo dei sonnambuli ipnotizzati dalle ombre messe in scena dalle  sapienti mani intente a manipolare le opinioni pubbliche, possono credere alla narrazione che ci viene proposta dal mainstream informativo occidentale, che illustra questo conflitto come causato  dalla necessità di  evitare che l'Iran si doti di armi nucleari. Gli osservatori più attenti e onesti hanno lucidamente fatto notare che sono trenta anni che Israele abbaia alla luna dicendo che l'Iran è a un passo dall'ottenere un'arma nucleare; affermazione questa che non merita di essere manco smentita essendo ridicolizzata direttamente dal trascorrere degli anni e dei decenni senza che Teheran si doti di armi nucleari. E che dire poi delle disamine  di esperti del livello di Massimo Zucchetti che hanno definito le ipotesi che il programma nucleare iraniano sia finalizzato alla costruzione di bombe nucleari come “sterminati branchi di castronerie”!

Se questa è la situazione non ci rimane che provare a dipanare il Nodo di Gordio delle reali motivazioni che stanno spingendo in guerra il Medio Oriente utilizzando la tecnica dell'analisi del contesto generale, delle motivazioni e degli interessi che muovono i protagonisti diretti e soprattutto quelli più o meno occulti.

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metis

Otto note sulla guerra Israele-Iran

di Enrico Tomaselli

Superata la settimana di guerra tra Israele e Iran, analizziamo la situazione – e i suoi possibili sviluppi – focalizzando l’attenzione sui vari aspetti più significativi, al fine di inquadrare il conflitto nella sua dimensione più ampia, propriamente strategica e geopolitica

1536x864 cmsv2 348b9a9a 02fc 5c02 88c5 8c59cb5c44fa 9327092La trattativa

La questione della trattativa avviata dagli USA con l’Iran, che precede l’avvio del conflitto, è alquanto controversa, e secondo molti analisti – soprattutto dell’area dell’informazione alternativa – si sarebbe trattato di una mossa coordinata tra Washington e Tel Aviv, finalizzata a ingannare Teheran. Sappiamo che, in effetti, ha almeno in parte ottenuto questo risultato – anche se ciò non dimostra che fosse questa l’intenzione. In effetti, il Maggiore Generale dell’IRGC Mohsen Rezaei ha recentemente dichiarato che “fin da marzo, eravamo certi che ci sarebbe stata una guerra con Israele. Ci eravamo preparati in modo esaustivo a questo scenario. Tuttavia, non ce lo aspettavamo prima della fine dei negoziati; è stata una sorpresa”.

Contrariamente a quella che sembra essere la lettura di area, sono portato a ritenere che l’avvio del negoziato con l’Iran fosse – coerentemente con la linea politica pacificatrice di Trump – finalizzata a prevenire la situazione conflittuale (poi invece concretizzatasi), ma che sia stata vanificata, già prima che dall’attacco israeliano, dalla confusione con cui è stata affrontata.

Il punto di partenza, necessario, è che tutti – letteralmente – sapevano e sanno che l’Iran non ha armi nucleari, non è sul punto di realizzarle e, cosa non da poco, non ha intenzione di farlo (almeno sino a oggi). La decisione di non dotarsi di armamento nucleare può, ovviamente, essere criticabile – anche con validissimi argomenti – ma ciò nonostante è indubbio che è stata presa, e che l’Iran vi si sia attenuto strettamente. Il fatto stesso che sia stata emessa una fatwa in merito (cioè una sorta di ordinanza giuridico-religiosa) attesta che il dibattito interno relativo abbia a un certo punto richiesto di essere risolto definitivamente, al massimo livello.

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giubberosse

Ucraina e Iran, due fronti di una guerra mondiale a pezzi

di Thomas Fazi

La guerra in Ucraina e il conflitto tra Israele e Iran non sono crisi separate, ma fronti interconnessi in una guerra mondiale a pezzi, che vede gli Stati Uniti contrapporsi a un’alleanza di fatto tra Russia, Iran e Cina

Immagine 37.jpgSecondo la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, gli Stati Uniti hanno annullato il prossimo round di colloqui con la Russia per il ripristino delle relazioni diplomatiche. Resta da vedere se questo segnerà la fine dei colloqui di pace o se si tratterà solo di una pausa temporanea mentre gli Stati Uniti concentrano le loro energie altrove, ovvero sul conflitto israelo-iraniano in rapida escalation. Ma una cosa è chiara: finora i negoziati sono falliti.

Il tentativo di Donald Trump di mediare un accordo di pace in Ucraina è fallito non solo a causa di una diplomazia imperfetta, ma anche a causa di una convergenza di vincoli politici, resistenze istituzionali e interpretazioni errate della natura del conflitto. Quella che era stata presentata come un’iniziativa coraggiosa per porre fine alla guerra ha invece messo a nudo i limiti dell’istinto di politica estera di Trump, lasciando gli Stati Uniti più invischiati che mai.

Fin dall’inizio, Trump ha sottovalutato quanto un compromesso sarebbe stato politicamente insostenibile sia per l’Europa che per l’Ucraina. Per i leader europei, la guerra è diventata una forza legittimante, che giustifica sacrifici economici, una governance centralizzata e politiche sempre più autoritarie. Qualsiasi accordo che riconoscesse i guadagni territoriali russi equivarrebbe a un’ammissione politica di fallimento, rafforzando l’opposizione interna. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si trovava di fronte a una posta in gioco ancora più alta. Un accordo di pace, in particolare se visto come una capitolazione, potrebbe significare la fine della sua presidenza o persino minacce alla sua sicurezza personale. Queste realtà interne rendevano improbabile qualsiasi serio negoziato, a meno che gli Stati Uniti non esercitassero una pressione schiacciante, cosa che hanno scelto di non fare.

Eppure, anche se Trump avesse insistito di più, i suoi sforzi si sarebbero comunque arenati sugli scogli della politica americana. A Washington, l’apparato di sicurezza nazionale – compresi molti membri della stessa amministrazione Trump – rimane fermamente impegnato a prolungare il conflitto.

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lantidiplomatico

La guerra non è più il mezzo, è diventata il fine

di Luca Busca

dnorbgnjlIl 15 giugno scorso La Repubblica on line titolava: Iran, il fisico Cotta-Ramusino: “Senza un accordo arriveranno alla bomba”. Com’è ormai consuetudine nel mainstream, il titolo è totalmente disconnesso dal contenuto dell’articolo che, in questo caso, consiste in un’intervista a Paolo Cotta-Ramusino che “è stato per decenni professore alla Statale di Milano, dove ha tenuto anche un corso sulle armi atomiche. E fino al primo gennaio scorso ha ricoperto il ruolo di Segretario generale delle Pugwash Conferences on Science and World Affairs, movimento di scienziati pacifisti fondato nel 1957 da Joseph Rotblat e Bertrand Russell e premiato con il Nobel per la Pace nel 1995. Ora è membro del Gruppo di lavoro per la Sicurezza Internazionale e il Controllo degli Armamenti dell’Accademia dei Lincei, presieduto dal fisico Luciano Maiani. Ma continua a viaggiare per Pugwash.” (repubblica-paolo-cotta-ramusino-attacco-israele).

Lo scienziato italiano ha evidenziato di non aver avuto problemi durante la recente visita e che “L’Iran è un grande Paese e ha molte anime: noi abbiamo parlato soprattutto con i rappresentanti dell’attuale governo. E l’establishment iraniano era preoccupato.” In maniera piuttosto esplicita poi Cotta-Ramusino sentenzia: “Il solo modo per impedire che l’Iran costruisca ordigni atomici è fare un accordo analogo a quello stipulato nel 2015 con l’Amministrazione Obama. Attaccando l’Iran lo si induce a costruirsi la bomba. È il contrario dell’obiettivo dichiarato. E poi: Israele è l’unico Paese che possiede armi nucleari senza dichiararle. E prende questa posizione nei confronti dell’Iran perché ha paura di essere aggredito?”

Ora risulta evidente anche ai bimbi delle elementari che, se vogliono ottenere un accordo amichevole con il proprio compagno di classe, come il farsi passare il compito in classe di aritmetica, l’ultima cosa da fare è picchiarlo e per giunta davanti ai maestri. Il bambino picchiato può fare solo due cose: o decide di difendersi o si rivolge all’autorità preposta per farsi proteggere. Se i maestri si comportano come il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con uno di loro che, essendo il padre padrone del bambino picchiatore, pone il veto alla risoluzione per la sospensione del bambino, reo palese di violazione del diritto scolastico, all’alunno bullizzato non resta altro che reagire.

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analisidifesa

Bomba o non bomba l’Iran deve cadere

di Gianandrea Gaiani

AP25097724156875 e1748312172281Il dibattito sulla possibilità che l’Iran possa dotarsi in breve tempo di armi nucleari rischia di trascinare nella guerra gli Stati Uniti guidati da Donald Trump, che appare sempre più confuso. Dopo essersi prodigato e illuso di risolvere in pochi giorni le più gravi crisi del pianeta per passare alla Storia come pacificatore, ora chiede all’Iran la “resa incondizionata” prima ancora di aver deciso se entrare o meno direttamente nel conflitto al fianco di Israele.

La risposta alla domanda “bomba o non bomba?” va cercata, a fatica, nei diversi rapporti d’intelligence e dell’Agenzia dell’ONU per l’energia atomica (AIEA) oltre che nella volontà politica di Trump e Benjamin Netanyahu.

Da quanto emerge negli ultimi giorni l’Iran non era vicino a dotarsi di armi atomiche prima dell’attacco israeliano del 12 giugno, come riferiscono da settimane la community delle 17 agenzie d’intelligence statunitensi e come ha precisato ieri l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), che pure la scorsa settimana aveva evidenziato reticenze iraniane a far ispezionare lo stato di arricchimento del suo uranio.

L’agenzia delle Nazioni Unite “ritiene che le numerose inadempienze dell’Iran nel rispettare i suoi obblighi dal 2019, di fornire all’Agenzia una cooperazione completa e tempestiva in merito al materiale nucleare non dichiarato e alle attività in molteplici siti non dichiarati in Iran… costituiscano un’inadempienza ai suoi obblighi ai sensi dell’Accordo di Salvaguardia con l’Agenzia”.

Come riportava la Reuters il 12 giugno, il rapporto dell’AIEA del 31 maggio ha rilevato che tre delle quattro località “facevano parte di un programma nucleare strutturato non dichiarato, portato avanti dall’Iran fino all’inizio degli anni 2000, e che alcune attività utilizzavano materiale nucleare non dichiarato”.

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Lo Stato di Israele sta implodendo

di Giacomo Gabellini

Un conflitto permanente, senza via d’uscita: da Gaza alla Cisgiordania, il progetto sionista affronta la sua crisi più profonda

Jews pray in the Western Wall 1 resultTribalismo etnico-religioso, degenerazione coloniale, perdita della deterrenza, isolamento internazionale: Giacomo Gabellini analizza le dinamiche che stanno minando la tenuta di Israele. Dall’illusione di supremazia alla catastrofe annunciata, passando per l’uso strumentale del «caos controllato» in Medio Oriente, l’Operazione al-Aqsa Flood, lanciata da Hamas il 7 ottobre 2023, ha solo accelerato un processo di implosione già in atto. Nella conclusione del suo ultimo libro, «Scricchiolio – Le fragili fondamenta di Israele», l’analista sostiene che il destino dello Stato ebraico è segnato non dalla forza dei nemici, ma dalla cecità strategica della sua leadership.

* * * *

Nel 2012, Henry Kissinger confidò a una giornalista che, a suo avviso, «tra 10 anni, Israele non esisterà più» 1. Un vaticinio sbalorditivo, che scaturiva con ogni probabilità da alcune delle valutazioni contenute all’interno di un rapporto coevo dell’ente supremo che coordina le attività delle 16 agenzie di intelligence statunitensi.

Nel documento si sosteneva che «la leadership israeliana, con il suo crescente sostegno ai 700.000 coloni insediati in Cisgiordania, sta perdendo ogni contatto con le realtà politiche, militari ed economiche del Medio Oriente»2 . Il rapporto proseguiva spiegando che «la coalizione del Likud è profondamente complice in quanto influenzata dal potere politico e finanziario dei coloni, e sarà chiamata ad affrontare conflitti interni di intensità crescente».

Di conseguenza, «in un contesto contrassegnato dal “risveglio islamico”, dall’ascesa dell’Iran e dal declino egemonico degli Stati Uniti, l’impegno degli Usa nei confronti di Israele sta diventando impossibile da sostenere e conciliare con politiche coerenti con la tutela dei fondamentali interessi nazionali, che includono la normalizzazione delle relazioni con i 57 Paesi islamici».

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lafionda

Eutanasia di un impero: le guerre alla Russia, all’Iran e (domani?) alla Cina

di Alberto Bradanini

guerreUsa.jpg1. Le oligarchie americane perennemente belliciste, insieme al cagnolino da passeggio israeliano, hanno deciso di incendiare il Medio Oriente, in una strategia che non riguarda solo tale regione, ma include l’Europa (Ucraina) e l’Estremo Oriente (Taiwan-Cina). Proviamo a indagare. Innanzitutto, Biden o Trump, questo è il nostro avviso, non fa molta differenza. I due fronti, Rep o Dem, sono entrambi lucciole elettorali che si spengono quando gli attori principali o le comparse diventano presidenti, deputati o senatori.

A dispetto delle indecenti rappresentazioni che sfidano da tempo la legge di gravità, e che i potenti della terra fanno digerire a una popolazione alienata da consumismi televisivi e intontimenti cellularici, è ben evidente che senza la luce verde della corrotta plutocrazia statunitense – è una noia ripeterlo, ma repetita iuvant – i criminali sionisti potrebbero al più acquistare il carburante per rientrare in casa al termine delle loro sataniche riunioni ministeriali, non certo aggredire un paese grande cinque volte l’Italia e abitato da quasi cento milioni di persone.

Il G7, riunitosi in Canada il 16 e 17 giugno, pur nella confusione che ormai caratterizza i potenti dell’Occidente (non più della terra), ha rilasciato un testo in cui si afferma l’usuale invereconda litania che Israele ha diritto di difendersi e che l’Iran non potrà mai possedere un’arma nucleare. Le signorie loro, se la domanda è lecita, hanno la testa a posto o no? Avremmo infatti piacere di comprendere l’essenza di quell’imperativo categorico per il quale a Israele è concesso possedere l’arma atomica e all’Iran no. E in tal caso, da quale autorità superiore (Nazioni Unite, Congresso Mondiale dei Popoli, il Padreterno o altri) tali svalvolati hanno ricevuto il mandato di adottare cotanta equilibrata decisione. Prego.

Nel merito e a contrario, non pochi rinomati analisti ritengono che se l’Iran davvero acquisisse l’atomica, (sebbene abbia sempre dichiarato di non volerla e non vi siano prove che la stia acquisendo, come certificato dall’Aiea[1] e dal vertice dell’Intelligence americana Tulsi Gabbard[2]), il Medio Oriente potrebbe finalmente conoscere pace e stabilità, esattamente ciò che i terroristi sion-americani vedono come il fumo negli occhi.

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lafionda

La NATO in guerra

Paolo Cornetti intervista il gen. Fabio Mini

Dedalo Mini cover 1.jpgIl Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano Fabio Mini ha comandato tutti i livelli di unità Bersaglieri e ricoperto incarichi dirigenziali presso gli Stati Maggiori dell’Esercito e della Difesa. È stato Direttore dell’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI) presso il Centro Alti Studi e ha prestato servizio negli Stati Uniti, in Cina e nei Balcani. È stato Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo.

Negli ultimi anni è stato diverse volte ospite in varie televisioni in qualità di opinionista e ha già scritto, pubblicato e curato numerosi libri sui temi della difesa e della geopolitica. Inoltre, collabora con le riviste Limes e Geopolitica.

Grazie alla disponibilità del Generale e della casa editrice Dedalo abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo in merito al suo ultimo libro La NATO in guerra – dal patto di difesa alla frenesia bellica, parte della collana Orwell diretta da Luciano Canfora.

* * * *

La Fionda: Nel Suo testo viene rimarcato spesso un divario tra la NATO in quanto organizzazione e il trattato costitutivo della NATO. Si può dire che la NATO ha tradito sé stessa? E quali sono, secondo Lei, i punti di maggiore divergenza tra ciò che la NATO è e ciò che dovrebbe essere negli intenti della sua carta fondamentale?

Generale Fabio Mini: La Nato ha effettivamente tradito sé stessa e tutti coloro che hanno servito nella Nato per decenni. O almeno tutti coloro che avevano conosciuto il Patto atlantico dalle sue origini e vissuto professionalmente la sua evoluzione.

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analisidifesa

Israele – Iran: la guerra continua

di Gianandrea Gaiani

Aggiornato alle ore 17,00 del 17 giugno

1404032616392433033167894.jpgLe operazioni iraniane contro Israele “continueranno tutta la notte, non permetteremo all’entità sionista di godere di pace e stabilità”, ha affermato nella tarda serata di ieri un comunicato del Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica dell’Ian (IRGC) annunciando di aver lanciato la nona ondata dell’Operazione Vera Promessa 3 contro Israele, impiegando missili e droni. I pasdaran hanno precisato che “nelle ultime 72 ore sono state effettuate 545 operazioni con droni” contro obiettivi israeliani.

L’attacco è stato confermato dalle forze di difesa israeliane IDF che ha reso noto di aver individuato una raffica di missili balistici lanciati dall’Iran verso Israele dove le autorità hanno dato istruzioni alla popolazione di entrare nei rifugi.

“Abbiamo preso di mira la base da cui è partito l’attacco all’edificio dell’IRIB, la televisione di Stato iraniana colpita da Israele mentre le IDF hanno riferito del lancio di 10/20 missili balistici, in “buona parte” intercettati o caduti in aree disabitate.

Ma i lanci di missili e droni iraniani sono continuati tutta la notte bersagliando soprattutto le aree di Tel Aviv (colpiti secondo Teheran i comandi di Mossad e intelligence militare) e Gerusalemme e il centro-nord. L’ultimo allarme per il lancio di missili dall’Iran è stato diramato da IDF questa mattina.

In mattinata le IDF hanno reso noto di aver abbattuto nella notte circa 30 droni lanciati verso Israele, molti intercettati oltre i confini israeliani mentre altri sono stati abbattuti sulle alture del Golan.

Ieri sera l’Iran aveva attivato i sistemi di difesa aerea attendendosi evidentemente nuove incursioni aeree israeliane che nella giornata del 16 giugno si sono accanite su diversi obiettivi in diverse città e nella notte hanno colpito soprattutto l’ovest del paese dove le IDF affermano di aver distrutto decine di siti militari e di aver colpito centri di comando appartenenti alla Forza Quds del corpo dei Guardiani della Rivoluzione islamica.

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intelligence for the people

Israele attacca l’Iran, in Occidente prevale il partito della guerra

di Roberto Iannuzzi

Pressato da Israele e dal “partito interventista”, Trump potrebbe finire per scatenare in Medio Oriente una guerra regionale dai risvolti imprevedibili

45c783a0 385f 4671 84a5 be0e77e26ca6 1280x853La guerra mossa da Israele contro l’Iran nelle prime ore del 13 giugno era per molti versi annunciata. All’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, il premier israeliano Benajmin Netanyahu aveva dichiarato che Tel Aviv avrebbe “cambiato il Medio Oriente”.

Il governo israeliano ha sfruttato quel sanguinoso evento per infliggere colpi durissimi ai propri avversari regionali riuniti nel cosiddetto “Asse della Resistenza” filo-iraniano.

Gaza, l’enclave palestinese controllata da Hamas, è stata rasa al suolo. Una violenta campagna di bombardamenti in Libano ha portato alla decapitazione della leadership di Hezbollah in Libano, e all’uccisione del suo segretario generale Hassan Nasrallah.

Dopo la caduta del presidente siriano Bashar al-Assad in Siria, Israele ha smantellato le infrastrutture militari del paese con una serie di attacchi aerei. Dominando ormai i cieli siriani, e con lo spazio aereo iracheno controllato dall’alleato americano, per Israele la strada verso l’Iran era aperta.

A seguito di quegli eventi, nel dicembre 2024 avevo scritto che:

per il governo Netanyahu il trofeo finale resta l’Iran, rimasto più isolato a seguito dell’indebolimento dell’asse della resistenza.

Alla vigilia del cessate il fuoco in Libano, il premier israeliano aveva dichiarato che accettava l’accordo per tre ragioni: rifornire gli arsenali israeliani ormai svuotati, aumentare la pressione su Hamas, e concentrarsi sull’Iran.

Sulla stampa israeliana si sono moltiplicati gli articoli che parlano di una “finestra di opportunità” per colpire le installazioni nucleari iraniane alla luce dello stato di debolezza in cui si troverebbe Teheran.

La tesi è che l’Iran, isolato a livello regionale, potrebbe puntare a costruire l’arma atomica se i suoi impianti nucleari non verranno distrutti. Perciò l’aeronautica israeliana si starebbe preparando per un possibile attacco.