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intelligence for the people

Gaza, USA e Cina: il futuro della guerra e la fine della civiltà

di Roberto Iannuzzi

La tendenza a reinterpretare le leggi di guerra è destinata ad avere serie conseguenze sulla distruttività dell’azione militare nei futuri conflitti. Gaza rappresenta un pericoloso precedente

https substack post media.s3.amazonaws.com public images b1ab8164 517b 4145 ac66 e08b5c47c319 2400x1600.jpegAvevo scritto più volte in precedenti articoli che la portata della tragedia di Gaza va ben al di là degli angusti confini di questa martoriata striscia di terra sulle coste del Mediterraneo:

Ciò che sta avvenendo a Gaza non resterà confinato a Gaza, si potrebbe dire, perché è il sintomo di un malessere più generale che sta erodendo la civiltà occidentale.

Avevo scritto già in passato che

Sotto le macerie di Gaza rischiano dunque di rimanere sepolti anche l’ordine internazionale che l’ONU ha rappresentato dal 1945, e il ruolo di garante della legalità internazionale di cui gli USA si sono sempre fregiati.

Ora un’inchiesta della rivista americana The New Yorker dal titolo “What’s Legally Allowed in War”, passata perlopiù sotto silenzio, aiuta a chiarire meglio la pericolosità del “precedente” rappresentato dallo sterminio in corso a Gaza.

Il reportage a firma di Colin Jones racconta come gli esperti giuridici dell’esercito americano si stiano confrontando con l’operazione militare israeliana nella Striscia, considerandola una sorta di “prova generale” per un possibile conflitto con una potenza come la Cina.

L’articolo esordisce descrivendo due visite compiute nella Striscia da Geoffrey Corn, professore di legge presso la Texas Tech University ed ex consulente senior delle forze armate USA sulle leggi di guerra, altresì note come Diritto Umanitario Internazionale (DIU) o Diritto Internazionale dei Conflitti Armati (DICA).

Per spiegare il livello di distruzione di cui è stato testimone a Gaza, Corn lo ha paragonato a quello di Berlino al termine della seconda guerra mondiale. Egli non è stato né il primo né l’unico a proporre un simile confronto.

Già nel dicembre 2023, ad appena due mesi dall’inizio del conflitto, esperti militari consultati dal Financial Times avevano equiparato la distruzione di Gaza nord a quella di città tedesche come Dresda, Amburgo e Colonia a seguito dei bombardamenti alleati.

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giubberosse

Smascherata la truffa NATO: l'Europa è indifesa senza la "cavalleria americana"

di Kit Klarenberg

1 6 1024x576Il 23 aprile, Politico ha pubblicato uno straordinario articolo, “La cavalleria americana non arriva”, che documentava con dovizia di particolari quanto la pianificazione e le infrastrutture di difesa europee siano state per decenni esclusivamente “costruite sul presupposto del supporto americano” e “accelerare l’invio di rinforzi americani in prima linea”. Ora, “la prospettiva che ciò non accada sta gettando nel caos i piani di mobilità militare” e il continente “si trova solo”, indifeso, senza una direzione e privo di soluzioni ai disastrosi risultati della sua prostrazione per molti decenni all’egemonia statunitense.

L’articolo inizia con un tentativo mediocre di fantasy, tratteggiando uno scenario da incubo che si scatena nel marzo del 2030. “Nella nebbia di inizio primavera”, un attacco russo su più fronti inizia contro Lituania e Polonia, costringendo i soldati stranieri di stanza lì a cercare riparo, mentre “i paesi alleati si affrettano a rispondere”. Ma mentre Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e i paesi nordici mobilitano i loro eserciti per l’impresa, “c’è una netta assenza”:

Leader e soldati guardano a ovest, verso l’oceano, sperando nelle navi da guerra che sono sempre accorse in soccorso dell’Europa nell’ultimo secolo. Ma il mare offre solo silenzio. Gli americani non arrivano. La seconda presidenza di Donald Trump ha posto fine all’impegno degli Stati Uniti per la difesa europea.

Certo, Trump non ha ancora disimpegnato Washington dalla NATO. “Ma cosa succederebbe se l’America abbandonasse l’Europa?”, riporta Politico, è una domanda inquietante che riecheggia con crescente urgenza nei corridoi del potere occidentali. La risposta evidenzia una “realtà scomoda”: “senza il supporto degli Stati Uniti, spostare truppe in Europa sarebbe più lento, costoso e ostacolato da una serie di colli di bottiglia logistici”. In caso di guerra totale, queste carenze “potrebbero non solo creare inefficienze”, ma “potrebbero rivelarsi fatali”.

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giubberosse

Gli Stati Uniti ascoltano la posizione della Russia

Veronica Romanenkova per tass.ru/ intervista Sergei Shoigu

In un’intervista con la TASS, il segretario del Consiglio di sicurezza russo Sergei Shoigu ha parlato dei successi dell’NMD, del dialogo tra Mosca e Washington, del pericolo di scoppio di una terza guerra mondiale a causa dei piani della “coalizione dei volenterosi” e delle condizioni affinché la Russia riprenda i test nucleari

Immagine 2025 04 27 182917.jpgSergey Kuzhugetovich, è trascorso quasi un anno dalla sua nomina alla carica di Segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa. Come valuta la situazione nell’ambito della sicurezza nazionale e i cambiamenti in questo ambito? Quali questioni vengono decise dal Consiglio di sicurezza?

La situazione nell’ambito della sicurezza nazionale della Federazione Russa rimane difficile. Gli Stati ostili sono consapevoli di non essere riusciti a infliggere una sconfitta strategica alla Russia, a minare la sua autorità internazionale, a distruggere la sua economia o a indebolire la sua stabilità politica interna. La Russia sta resistendo con successo alla crescente pressione politica, militare, economica e informativa esercitata su di essa. L’incapacità dell’Occidente collettivo di raggiungere i propri obiettivi si accompagna a un aggravamento delle contraddizioni tra i suoi membri, dei loro problemi socio-economici interni e delle differenze ideologiche, nonché a una divisione nelle élite dominanti. Allo stesso tempo, i paesi che non hanno aderito alle sanzioni anti-russe sono sempre più convinti dell’incompetenza di coloro che, fino a poco tempo fa, cercavano di costringere il mondo intero a vivere secondo le proprie regole determinate unilateralmente. 

Questo sviluppo inaspettato degli eventi costringe l’Occidente a cercare nuovi modi per mantenere il suo dominio. La vittoria sulla Russia, se non sul campo di battaglia, almeno diplomaticamente – preservando l’Ucraina come “anti-Russia”, il principale antipodo del nostro Paese – rimane la priorità più importante per le élite occidentali. Allo stesso tempo, si stanno compiendo sforzi significativi per provocare instabilità interna nella Federazione Russa, negli stati vicini, soprattutto in Transcaucasia e Moldavia, per preparare “rivoluzioni colorate” nei paesi del Sud del mondo che lottano per una vera indipendenza: in Africa, Medio Oriente e America Latina. 

Tutto ciò è accompagnato da un cambiamento nella natura della manifestazione delle minacce alla sicurezza nazionale della Federazione Russa, dalla formazione di nuove sfide e rischi, nonché di opportunità per il nostro Paese. 

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italiaeilmondo

Sovranità nazionali e divergenza dei populismi

di Emmanuel Todd

Apro questa rivista con la trascrizione di una conferenza tenuta a Budapest, in Ungheria, all’inizio di aprile, a Várkert Bazár, nell’ambito della Conferenza Eötvös organizzata dall’Institut du XXIe Siècle. Poiché questo viaggio non è passato inosservato, ho voluto renderlo pubblico il più possibile, in modo che tutti potessero farsi una propria opinione. In un’epoca in cui è facile trovarsi di fronte a calunnie e fantasie, ritengo sia importante garantire che le informazioni possano circolare liberamente e in modo trasparente in Europa [Emmanuel Todd, 29 aprile 2025].

https substack post media.s3.amazonaws.com public images b8a5fa39 95de 480c 8e23 7aa2d04d4012 994x843Il mio debito con l’Ungheria

Grazie per questa introduzione molto gentile e lusinghiera. Devo confessare subito che sono piuttosto emozionato di essere a Budapest per parlare della sconfitta, della dislocazione del mondo occidentale, perché la mia carriera di autore è iniziata dopo un viaggio in Ungheria. Avevo 25 anni, ci andai nel 1975, entrai in contatto con studenti ungheresi, parlammo e mi resi conto che il comunismo era morto nella mente della gente. Ho avuto una visione intuitiva della fine del comunismo a Budapest nel 1975. Poi sono tornato a Parigi e, un po’ per caso, nelle statistiche dell’Istituto nazionale di studi demografici ho trovato i dati sull’aumento del tasso di mortalità infantile in Russia e Ucraina, nella parte centrale dell’URSS, e ho avuto l’intuizione dell’imminente crollo del sistema sovietico. Avete appena visto la copertina del mio primo libro (La chute finale: Essai sur la décomposition de la sphère soviétique). Tutto è iniziato a Budapest e sento di avere un debito di gratitudine nei confronti dell’Ungheria. È commovente e impressionante trovarsi in questa bella sala, dopo aver incontrato ieri il vostro Primo Ministro, e tenere una conferenza quando, mezzo secolo fa, sono arrivato qui in treno, all’ostello della gioventù, come un misero studente che non sapeva cosa avrebbe trovato a Budapest.

 

L’umiltà necessaria

L’esperienza di questo primo libro e il crollo del comunismo mi hanno reso cauto. Naturalmente la mia previsione era corretta, ero molto sicuro di me: l’aumento della mortalità infantile è un indicatore molto, molto sicuro. Ma poi, circa 15 anni dopo, quando il sistema sovietico è crollato, devo umilmente ammettere che non avevo compreso appieno ciò che stava accadendo. Non avrei mai potuto immaginare gli effetti di questa disgregazione sulla sfera sovietica nel suo complesso. Il facile adattamento delle ex democrazie popolari non mi ha sorpreso più di tanto. Nel mio libro, La caduta finale, ho notato le enormi differenze di dinamismo che esistevano tra Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia, ad esempio, e la stessa Unione Sovietica.

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comedonchisciotte.org

Sul filo del rasoio: "pace", capitolazione, guerra. O Thawra!

Le trattative Usa/Iran

di Lo Sparviero

Iran12.jpgProseguono le trattative “sul nucleare” iraniano fra i delegati della Repubblica islamica e i negoziatori statunitensi guidati da Steve Witkoff il quale Witkoff, miliardario immobiliarista ebreo americano “prestato alla politica” e presentato dai media come un “feroce negoziatore” nel senso della feroce e concreta attitudine di costui nel concludere proficuamente gli affari, è l’incaricato di Trump anche per le trattative “di pace” sul fronte russo-ucraino/NATO. Anche questo fatto di dettaglio indica come siano intrecciate le vicende degli attuali fronti di guerra aperti e della possibile “pace” che si sta contrattando. In questa nota ci preme dire unicamente di un paio di punti che riguardano lo scenario di guerra in Asia occidentale. Un paio di punti (a nostro avviso) fermi di carattere generale, attorno ai quali ruotano le molteplici e imprevedibili variabili della lotta per la vita o per la morte cioè della lotta suprema in corso.

Scriviamo sopra di possibile “pace” fra virgolette perché essa per l’imperialismo è concepibile a una non contrattabile condizione: la capitolazione politica e operativa delle forze combattenti dell’Asse della Resistenza. La capitolazione di Hamas, quella di Hezbollah, delle milizie popolari irakene, degli Houthi yemeniti. Tutte forze che sono sotto continua e feroce pressione strangolatoria nel mentre che fra Usa e Iran “si tratta”.

“Si tratta” in perfetto stile imperialista, cioè con la pistola puntata alla tempia del governo di Teheran e dell’intero popolo iraniano. Un imponente dispositivo militare imperialista è infatti e intanto schierato, pronto a colpire qualora i negoziati fallissero secondo il criterio che lo sceriffo americano riterrà valido. Da parte del regime di Teheran che è fatto da uomini dalla tempra fortissima a cominciare dalla Guida Suprema Alì Khamenei, niente affatto disposti alla sottomissione, si accetta il terreno della trattativa pur sotto evidente scacco per cercare di evitare o procrastinare il più possibile uno scontro militare diretto con il tandem Usa/Israel, forse cercando di spezzarlo. Un tandem criminale che non ha nessunissimo scrupolo a usare il suo armamento nucleare se decide per la guerra, che in ogni caso sarebbe guerra devastante per l’Iran.

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krisis.png

Il matrimonio di interessi tra Stati Uniti e Cina è saltato

Dalla Chimerica alla competizione globale: si rompe l’asse economico che ha segnato un’epoca.

di Giacomo Gabellini

copertina65.jpgL’idillio è finito. Per decenni Washington e Pechino avevano condiviso un rapporto di interdipendenza economica senza precedenti, fondato sulla delocalizzazione produttiva e sul finanziamento del debito americano. Ma l’era del matrimonio di interessi volge al termine. Le recenti dichiarazioni di J.D. Vance, le tensioni commerciali e l’ascesa tecnologico-industriale della Cina raccontano la fine di un equilibrio che ha dominato la globalizzazione post Guerra fredda. Ecco la prima puntata di una serie di approfondimenti di Krisis dedicati all’ascesa e al declino della Chimerica.

Parte I – Ascesa e declino di Chimerica

«Prendiamo in prestito denaro dai contadini cinesi per comprare i beni che quegli stessi contadini cinesi producono». Con questa sintesi, il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance ha spiegato le conseguenze, per gli Stati Uniti, della cosiddetta economia globalista. Lo scorso 10 aprile, nel corso di un’intervista rilasciata a Fox News, Vance ha difeso strenuamente la decisione del presidente Donald Trump di imporre dazi (quasi) a 360 gradi, e sferrato un attacco frontale all’assetto liberoscambista in vigore ormai da diversi decenni. Vance ha spiegato che la globalizzazione si è tradotta nel «contrarre un debito enorme per acquistare beni che altri Paesi producono per noi».

La reazione cinese è giunta pressoché istantaneamente. Il portavoce del Ministero degli Esteri Lin Jian ha dichiarato che «è allo stesso tempo sconcertante e deplorevole sentire questo vicepresidente fare commenti così ignoranti e irrispettosi». Hu Xijin, ex caporedattore del quotidiano Global Times, ha invece alluso alle origini che Vance, un hillbilly (contadino montanaro, ndr) ha sempre rivendicato per affermare che «questo vero “contadino” venuto dall’America rurale sembra mancare di prospettiva. Molte persone lo stanno esortando a venire a visitare la Cina di persona».

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ottolinatv.png

Xi e Huawei asfaltano pacificamente Trump. Lui reagisce riempiendo di missili il Pacifico

di OttolinaTV

trump e xi large.jpgE meno male che Trump doveva riportare un po’ di sano realismo alla Casa Bianca: prima ha dichiarato una guerra commerciale al resto del mondo che, però, ha scatenato una delle più massicce fughe di capitali dagli USA di sempre e l’ha costretto a una rovinosa ritirata, poi ha rilanciato la guerra tecnologica contro la Cina, vietando l’esportazione anche di chip di vecchia generazione, per ritrovarsi, però, il giorno dopo con Huawei che annunciava l’uscita di nuove macchine e processori pensati ad hoc per l’intelligenza artificiale che hanno lasciato gli analisti a bocca aperta; e ora, per concludere, sembra si sia messo l’anima in pace e sia tornato ai cari vecchi metodi da cowboy. L’hanno ribattezzato il super bowl delle esercitazioni del Pacifico: si chiama balikatan, spalla a spalla, ed è un’esercitazione marina congiunta tra forze armate statunitensi e filippine che va regolarmente in scena da quasi 40 anni, ma che a questo giro, stando ad Asia Times, “è la più grande mai condotta”. “Più che un super bowl, è un super troll” rispondono i cinesi dalle pagine del Global Times: “un’esercitazione che trabocca di provocazioni nei confronti della Cina”.

Durante l’esercitazione, in corso da lunedì scorso e che prevede la partecipazione di circa 15 mila effettivi tra statunitensi e filippini, verrà infatti dispiegato, per la prima volta in assoluto nell’area, il sistema missilistico NMESIS, dotato di missili d’attacco navali in grado di interdire il passaggio di imbarcazioni cinesi nello stretto di Luzon, il tratto di mare che separa le isole settentrionali delle Filippine da Taiwan; ma, soprattutto, verrà schierato un secondo Typhon, il lanciatore di missili a lungo raggio Tomahawk e SM-6 che, con una gittata massima di poco inferiore ai 2 mila chilometri, permetterebbero all’impero di raggiungere sostanzialmente tutte le principali aree metropolitane del dragone. Il primo sistema era stato dispiegato nelle Filippine l’anno scorso, sempre durante un’esercitazione, e sarebbe dovuto essere rimosso; oggi, si raddoppia!

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intelligence for the people

Una gigantesca partita a scacchi si sta giocando fra USA, Russia e Iran

di Roberto Iannuzzi

Il negoziato ucraino e quello sul nucleare iraniano rientrano in una più ampia battaglia per la ridefinizione degli equilibri mondiali. Mosca e Teheran hanno piena consapevolezza della posta in gioco

guerra conflitto e crisi in portogallo e russia le bandiere nazionali i re degliIn mezzo a continui colpi di scena, smentite, dichiarazioni contraddittorie, accuse e controaccuse, i contorni generali del piano di pace che l’amministrazione Trump offre a Kiev e Mosca sono alla fine emersi.

Nel frattempo, l’inviato speciale del presidente americano, Steve Witkoff, oltre a giocare un ruolo di primo piano nel negoziato con la Russia è impegnato in un’altra trattativa cruciale e piena di incognite con l’Iran.

Non è esagerato dire che dall’esito dei due tavoli negoziali dipende una porzione rilevante degli equilibri mondiali e la pace in due regioni strategiche come Europa e Medio Oriente.

Esiste inoltre un legame fra le due partite diplomatiche, sebbene si giochino su scacchieri differenti.

Entrambe fanno parte del (disperato) tentativo di Washington di preservare un ruolo egemone, sebbene ridimensionato rispetto a quello della tramontata era unipolare americana, in un mondo che è sempre più chiaramente multipolare.

 

Ambiguità e incertezze del piano Trump 

Che il piano di pace USA per risolvere il conflitto ucraino risulti appetibile anche ad uno solo dei contendenti è tutto da dimostrare. Esso chiede dolorose concessioni a entrambe le parti, ed è già stato definito essenzialmente inaccettabile dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Ma soprattutto, il piano sembra andare in direzione di un congelamento del conflitto, e non di una rimozione delle cause che lo hanno provocato.

In concreto, dunque, esso potrebbe risultare inammissibile anche per Mosca, sebbene i negoziatori russi, diplomaticamente più accorti di quelli ucraini, abbiano per ora evitato di sbilanciarsi.

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analisidifesa

Ultima chiamata per la pax americana: il no di Ucraina ed Europa

di Gianandrea Gaiani

1443273.jpg“Putin deve perdere in Ucraina”.
“Non è il momento di negoziare, Kiev può vincere la guerra e vincerà”.

Boris Johnson, primo ministro britannico, 30 maggio e 26 giugno 2022

“Penso di aver raggiunto un accordo con la Russia. Dobbiamo raggiungere un accordo con Zelensky … ma finora è stato più difficile”.

Con queste parole il presidente statunitense Donald Trump ha sintetizzato nella tarda serata di ieri (ora europea) la situazione al termine di una giornata convulsa caratterizzata dal rinvio degli incontri previsti a Londra per la pace in Ucraina a livello di ministri degli Esteri a causa delle profonde divergenze tra l’Ucraina e gli alleati occidentali circa il piano di pace proposto dagli Stati Uniti.

Il Foreign Office ha precisato che si è tenuto comunque un incontro a livello inferiore e che “i colloqui a livello ufficiale proseguiranno” ma il fallimento del summit è apparso a tutti evidente dopo che il Segretario di Stato americano Marco Rubio e l’inviato speciale della Casa bianca Steve Witkoff avevano annunciato nella mattinata di ieri che non sarebbero andati a Londra.

Decisione assunta, secondo il New York Times, in seguito alle dichiarazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che aveva chiarito che Kiev “non riconoscerà legalmente l’occupazione della Crimea” da parte dei russi.

Nei giorni scorsi Rubio aveva dichiarato che gli Stati Uniti erano pronti ad abbandonare i negoziati se non ci fossero stati progressi tangibili verso una soluzione della crisi. Dopo il forfait di Rubio anche i ministri degli Esteri di Francia e Germania hanno annullato il viaggio a Londra.

A spiegare implicitamente le ragioni del fallimento del summit ha provveduto la Presidenza francese con un comunicato che spiega che “il rispetto dell’integrità territoriale e della vocazione europea dell’Ucraina sono esigenze molto forti degli europei” aggiungendo che “l’obiettivo resta quello di costruire un approccio comune che gli Stati Uniti potrebbero presentare ai Russia“.

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crs

La lotta di classe con l’arma dei dazi

di Alfonso Gianni

C’è del metodo nella follia di Trump, che con i dazi punta a riconquistare il baricentro dell’economia e della politica mondiale. La consonanza ideologica con la nostra Presidente del Consiglio non ci aiuterà. L’Europa deve rendersi indipendente dal disegno USA spezzando il sistema di guerra che gli è proprio e aprendosi al Sud Globale

dazi 1jgu.jpgChe il viaggio a Washington della presidente Giorgia Meloni potesse portare a risultati concreti sul fronte della guerra commerciale era davvero difficile pensarlo, specialmente dopo che la proposta di “zero dazi” tra USA e Europa era stata respinta nettamente dall’Amministrazione statunitense e ribadita al Commissario europeo per il commercio, Maros Sefcovic. Allo stesso tempo supporre che Donald Trump potesse assumere posizioni sostanzialmente diverse da quelle brutalmente aggressive, appena temperate dalla tregua dei 90 giorni, per di più alla vigilia di importanti riunioni del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale era altrettanto impensabile. Oltre tutto la natura della visita della Meloni era stata messa in dubbio da più parti, se si trattava di una missione per conto della UE – non bastavano le telefonate con Ursula von der Leyen per accreditarla – o di un bilaterale Italia-USA, come i suoi fedelissimi nel Governo italiano avevano prudentemente detto alla vigilia della su partenza. Cosicché l’incontro si è svolto in un’aura di indeterminatezza che in fondo faceva comodo alla Meloni, potendo in questo modo vendere nel modo più favorevole qualunque tipo di esito, evitando le strette di una valutazione sui risultati concreti, avendo avvolto nel fumo gli obiettivi di partenza. La risposta di Trump all’invito a venire a Roma è rimasta indeterminata nei tempi e negli scopi e, secondo la stessa Meloni, non si sa se in quel caso intenderà farne sede di trattativa con la UE. Non a caso l’incontro con la stampa italiana, previsto prima della partenza da Washington, è stato sconvocato e la Meloni ha risolto con un whatsapp che definiva, in termini del tutto rituali e burocratici, l’incontro con il Presidente USA come un “confronto ideale e costruttivo”.

Il timore di una brusca accoglienza da parte di Trump è stato volutamente ingigantito per potere poi presentare come una vittoria i sorrisi e le parole di encomio che Trump non ha lesinato alla ospite italiana. Anche qui non c’è da stupirsi, dal momento che la Meloni poteva vantare un feeling di vecchia data con The Donald, avendolo sostenuto nelle sue accuse di brogli elettorali nel 2020.

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laboratorio

I dazi possono fermare la decadenza degli Stati Uniti?

di Domenico Moro

Dazi e decadenza Usa immagine.jpegL’atteggiamento del presidente Trump riguardo ai dazi appare ondivago: in una serie ininterrotta di dichiarazioni i dazi vengono messi, poi tolti e rimessi ancora. Il 2 aprile, il “giorno della liberazione” secondo la retorica trumpiana, sono stati annunciati dazi elevati per quasi tutti gli stati mondiali. Alla Ue sarebbero stati applicati dazi del 20%. Qualche giorno dopo, Trump li ha sospesi per 90 giorni, ma ha mantenuto dazi al 10% per tutte le merci e i dazi sull’acciaio e sull’alluminio al 25%. Inoltre, ha innalzato i dazi contro la Cina al 145%, salvo qualche giorno dopo esentare dall’aumento tutta una serie di prodotti elettronici provenienti dal paese asiatico.

La ragione di questo passo indietro sta nel fatto che Big tech, che ha appoggiato Trump, sarebbe stata penalizzata dai dazi alla Cina, visto che da lì provengono molti componenti e prodotti finiti delle multinazionali statunitensi, come l’iPhone della Apple. Inoltre, prima della pausa di 90 giorni, Barclays aveva stimato un calo di tutti i fondamentali economici. Il Pil per il terzo trimestre era previsto in contrazione dell’1,5% e nel quarto dello 0,5%, cosa che avrebbe provocato una recessione. L’inflazione sarebbe passata dal 3,4% della fine del 2024 al 4% di fine 2025, mentre la disoccupazione sarebbe aumentata.

Secondo alcuni, dentro il campo trumpiano ci sarebbe una spaccatura tra, da una parte, il segretario al Tesoro, Scott Bessent, e il segretario al commercio, Howard Lutnik, che premevano per un approccio più morbido e, dall’altra parte, il consigliere di Trump per il commercio e la manifattura, Peter Navarro, e il capo dei consiglieri economici, Stephen Miran, che hanno una posizione più dura. In particolare Stephen Miran rappresenta la vera eminenza grigia che sta dietro la politica dei dazi, avendo teorizzato il loro uso in A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System.

 

La decadenza degli Usa secondo Todd

La spiegazione della politica dei dazi sta nella situazione di decadenza, politica, culturale ed economica, in cui versano gli Usa.

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lantidiplomatico

"La NATO è ormai un'alleanza di guerra"

intervista al generale Fabio Mini

Pubblichiamo la trascrizione completa dell'intervista al generale Fabio Mini del 4 aprile uscita in anteprima esclusiva per i nostri abbonati

nasvòoribsglIl 18 aprile esce il suo libro sulla NATO. Come giudica l'atteggiamento di Trump nei confronti dell'Alleanza?

Questo è un periodo di crisi, anche per la NATO, e potrebbe anche peggiorare. Guardando l'organizzazione e le sue recenti decisioni, vorrei sottolineare che, finché ci sono stati Stoltenberg e Biden, la NATO era completamente schierata contro la Russia e si dichiarava pronta alla guerra.  Nel mio libro "La NATO in guerra" (ed. Dedalo, NdR) ho cercato di analizzare come mai la NATO si sia degradata rispetto all'idea iniziale di Alleanza Atlantica. L'organizzazione è diventata un'istituzione prettamente bellica, orientata verso un nemico specifico, non ipotetico. Durante l'ultima sessione del vertice di Madrid nel 2022, la NATO ha riconosciuto la Russia e il terrorismo come nemici attuali e imminenti. Questo era l'atteggiamento quando Rutte è intervenuto, e Trump non aveva ancora preso il controllo degli Stati Uniti. 

Dopo che Trump ha iniziato a negoziare con Putin, Rutte è rimasto tranquillo e non ha alimentato le tensioni in modo pubblico e plateale. Secondo me, sta facendo un lavoro simile a quello di Stoltenberg, ma in modo più discreto. Questo dimostra che la NATO è ancora dietro queste iniziative, sostenute da paesi come la Francia e la Gran Bretagna, che ora vogliono unire le forze.  Alcuni sognano un esercito europeo, ma si rendono conto che attualmente non esiste un'Europa in grado di avere un proprio esercito. Se la prendono con il fatto che si spendono molti soldi per riarmare i paesi, sostenendo che questo creerà un esercito efficiente contro la Russia. Secondo me, questo è un discorso sbagliato. 27 eserciti non fanno un esercito europeo, e 32 ancora meno. Penso che la NATO debba essere riformata dal punto di vista istituzionale: bisogna rivedere il trattato e alcuni punti, ma non distruggere tutto. La NATO non è solo il Trattato del Nord Atlantico, è anche un'organizzazione importante: dal punto di vista militare, escludendo la parte politica, la NATO è senza pari.

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Recensione del libro di Emmanuel Todd, La défaite de l’Occident

di Gennaro Scala

aaa nIl libro in oggetto che è uscito in Francia lo scorso gennaio, fornisce al mondo occidentale forse la descrizione più completa della sua reale condizione. Il libro parte dal conflitto tra Ucraina e Russia, che, naturalmente, Todd descrive quale esso è, cioè un confronto tra l’Occidente e la Russia, ma poi il discorso si allarga a un’ampia analisi della condizione reale degli Usa e dell’Occidente di carattere economico, sociale, antropologico, e anche filosofico, visto il ruolo centrale che ha nel libro il concetto di nichilismo.

Vi sono state varie analisi critiche della politica occidentale, ma il pregio del libro, unico nel panorama attuale, è quello di fornire un quadro generale delle condizioni reali dell’Occidente che sono agli occhi di Todd disastrose. Per questo non esito a dire che si tratta di un libro fondamentale, e mi auguro che il libro scritto da un intellettuale del livello di Todd possa cambiare il dibattito in corso, e riportarlo a termini più realistici, poiché i grossolani errori di valutazione nel caso di un conflitto con una potenza nucleare come la Russia possono essere molto pericolosi, ma non c’è molto da sperare, dato lo stato pietoso del mondo politico, mediatico e culturale occidentale.

Non a caso nell’Introduzione vi è un sentito omaggio a John Mearsheimer, a cui si riconosce di aver coraggiosamente denunciato la follia del comportamento degli Usa, veri responsabili della guerra, ma secondo Todd è necessario andare oltre e capire proprio le ragioni di tale irrazionalità. Per dare una spiegazione delle ragioni “profonde” di alcuni comportamenti irrazionali sia degli Usa, sia per quanto riguarda l’Ucraina che l’Europa, il libro avanza talvolta delle ipotesi piuttosto ardite. Ma l’attenzione alla totalità delle società occidentali, e l’attitudine ad avanzare ipotesi e voler spiegare, diversamente da quanti propongono piatte analisi, presunte obiettive, fatte dal punto di vista di un “osservatore” distaccato dai fatti, sono i pregi di questo libro che fonda le basi per una diversa autocoscienza occidentale, lo dico senza timore di esagerare, e che può e dovrebbe essere di stimolo per ulteriori analisi, che partano dalla stessa consapevolezza di un sostanziale declino o meglio, disfacimento del sistema occidentale.

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ottolinatv.png

Come la Cina di Xi ha umiliato gli USA di Trump e tutti i suoi scagnozzi

di OttolinaTV

dazi 59841704.jpgSembrava una rivoluzione: si sta trasformando nella solita vecchia zuppa riscaldata. Alla prova dei fatti, il terremoto Trump sembra essersi ridotto sostanzialmente alla più prevedibile delle strategie: l’impero in declino che dichiara guerra alla nuova potenza emergente, a prescindere da quanto sia pacifica; un obiettivo che nell’Occidente suprematista sembra mettere d’accordo un po’ tutti, a partire dai progressisti e dai sinceri democratici come Stefano Massini. Ce l’avete presente? E’ diventato uno dei punti di riferimento della sinistra ZTL grazie ai suoi monologhi a Piazza Pulita: ha passato mesi e mesi a sfrucugliarci le palle tessendo le lodi dei cantori del Serrapiattismo e con invettive di ogni genere contro Trump per poi scoprire, all’improvviso, che su quello che conta davvero la sintonia col tycoon è totale. Ed ecco, così, che mentre Trump dichiarava la sua guerra commerciale per tentare di impedire a Pechino e al popolo cinese di portare a termine il suo processo di emancipazione anticoloniale, il nostro agitatore culturale ha dedicato il monologo della settimana al vero nemico del mondo libero, del progresso e della libertà: Xi Jinping che, come dice Massini, non solo ha deciso che “rimarrà presidente a vita”, ma che addirittura avrebbe imposto che “non c’è pensiero, non c’è cosa che egli pensi o dica, che non diventi automaticamente parte della costituzione cinese”. Giuro eh, non è una perifrasi: ha detto proprio letteralmente così. Caro Stefano, te lo dico io cosa è: una puttanata, ecco cos’è. Una puttanata di un suprematista che pensa di essere democratico, ma è democratico come erano democratici i greci: democratici aspiranti proprietari di schiavi, e quando lo schiavo si ribella si indignano e gli danno del selvaggio. Sapesse, contessa, non sapeva nemmeno come si apve un’avagosta…

Carissime e carissimi ottoliner, ben ritrovati; dopo essere stati un po’ frastornati dal terremoto Trump, finalmente possiamo tornare ai nostri vecchi cavalli di battaglia: la lotta senza quartiere al partito unico della guerra e degli affari al servizio dell’imperialismo e alla sua guerra, con ogni mezzo necessario, al mondo nuovo, al multipolarismo e alla grande lotta anticoloniale.

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mondocane

Oltre la pirotecnica dei dazi ----- Trump, pupi e pupari verso l'Armageddon

di Fulvio Grimaldi

Trump Gaza hotel rendering.jpegMondocane video”, canale Youtube di Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=0t5YSGydgJQ&t=53s

https://youtu.be/0t5YSGydgJQ

Apro questo articolo sul quadro geopolitico determinato dalla comparsa di Trump, con un aggiornamento relativo ai fatti di Ucraina.

La tragedia dei 30 morti e oltre 100 feriti di Sumy, colpita, secondo quanto comunicato da Kiev, da due missili russi, è metaforicamente un ordigno nucleare piombato sui negoziati di pace avviati da Trump e Putin e ferocemente avversati da leader europei che puntano a un colossale riarmo “per difendersi dall’aggressione russa”. Che nessun russo pare immaginare, ma che è data per scontata.

Andrebbe subito precisato che, se ignoriamo la legge fuorilegge dei due pesi e due misure, che detta la linea del complesso politico-mediatico occidentale, Sumy sta a Gaza come un temporale sta a un sisma del 7° grado. La strage di un giorno contro un genocidio di 18 mesi. Quanto di orribile successo a Sumy nella Domenica delle Palme, a Gaza, e ora anche in Cisgiordania, succede ogni giorno, ogni ora. Vedere la differenza di trattamento dei due eventi e considerare l’integrità dei comunicatori. E’ brutto fare confronti, ma con quelli dei due pesi e due misure è indispensabile.

Le urla di indignazione e raccapriccio per le vittime di Sumy si accompagnano alle voci fredde e frettolose sulla normalità dell’ultimo ospedale, dei 37 rasi al suolo di Gaza, distrutto con tutte le vite dentro e che si sommano alle 180.000 vite azzerate, calcolate dalla rivista Lancet, comprendendovi scomparsi, seppelliti sotto le macerie, vittime di ferite ed epidemie.

Mentre scrivo, i due missili su Sumy trovano in Trump l’attenuante dell’“errore”. Dichiarazione evidentemente finalizzata alla salvezza della trattativa sulla fine della guerra su cui il neopresidente si è impegnato e che qualcuno, in Europa e in Ucraina, vuole impedire a tutti i costi. Il pretesto a costoro, per fare di peggio della Domenica delle Palme è stato fornito.