Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 7859

L’urlo di rabbia
di Luca Busca
Un “urlo” questo che prolunga l’urlo di dolore, un post pubblicato su Facebook circa un mese fa in cui piangevo la scomparsa della mia amata compagna di vita. Un grido di sofferenza che esprimeva l’impotenza nei confronti dell’ingiustizia di veder morire chi è ancora troppo giovane per andarsene. Un dolore che stravolge con forza l’intera sfera privata soprattutto in virtù della condivisione di una figlia di appena tredici anni. Il poco tempo passato è del tutto insufficiente a placare il dolore, ma è stato abbastanza per indurmi ad urlare di nuovo al fine di manifestare, però, una diversa emozione, l’ira. Una rabbia profonda che valica i confini del privato per irrompere nella sfera sociale, luogo dove il senso di impotenza assume caratteristiche diverse, ma altrettanto devastanti. Nel piano personale l’incapacità di affrontare l’impari lotta metafisica con la morte è comune all’intero genere umano. Anche chi si appella a vite ultraterrene o a reincarnazioni cicliche finisce per soffrire la perdita dei propri cari, né più né meno degli atei come me. Sul piano pubblico, però, per chi non crede in alcuna forma postuma di giustizia divina, perdere la battaglia contro l’iniquità sociale non è sopportabile, e per questo genera collera, ira, indignazione.
Per comprendere bene l’entità e le ragioni di questa rabbia è necessario ripercorre il percorso della malattia di mia moglie. La prima diagnosi di tumore alla mammella arrivò a fine settembre del 2011. Il percorso fu quello classico dell’epoca: chemioterapia neo-adiuvante, intervento chirurgico (aprile 2012) e lunga radioterapia postoperatoria. Sono seguiti anni di terapia ormonale, molto pesanti in virtù della giovane età (34 anni). Proprio in considerazione di questa l’equipe medica preferì effettuare un intervento conservativo.
- Details
- Hits: 7859

Recensione a Per un nuovo materialismo di Roberto Finelli
di Nicolò Galasso
Roberto Finelli: Per un nuovo materialismo. Presupposti antropologici ed etico-politici, Rosenberg & Sellier 2018
Il percorso teorico «delle pagine che seguono prova a ricongiungere vita e politica» (p. 9). Così, nella Premessa, Roberto Finelli presenta il suo ultimo lavoro. Il tentativo, tanto ambizioso quanto accurato e rigoroso, è quello di elaborare una nuova antropologia, di orientamento materialista ma non prigioniera del riduzionismo meccanicistico ottocentesco, con cui pensare una nuova forma di politica, coerente con le esigenze dell’oggi e, allo stesso tempo, non immemore della vis emancipativa della migliore tradizione marxista. Vita e politica da non intendere, pertanto, nell’accezione inflazionata di biopolitica, bensì focalizzando l’attenzione sul nesso strutturale che le lega, essendo la seconda la condizione di possibilità e di fioritura della prima: la politica quindi non ridotta a tecnica di funzionamento delle istituzioni, bensì pensata nel suo valore trascendentale di condizione di possibilità sia dell’agone politico sia dell’individuo che vi partecipa. Una volta sgombrato il campo dai possibili equivoci terminologici, risulta chiara la valorizzazione della psicoanalisi di matrice freudiana che Finelli propone come base del suo discorso.
I primi due capitoli del libro sono, infatti, dedicati a Freud. Nel primo si ripercorre, con acribia e singolare sensibilità critica, il percorso intellettuale del medico austriaco da L’interpretazione delle afasie (1891) a il Progetto di una psicologia (1895). L’interesse che questo periodo della ricerca di Freud suscita in Finelli non si giustifica solamente con la costatazione che questi sono gli anni decisivi per la svolta psicoanalitica la quale, infatti, si manifesterà di lì a poco.
- Details
- Hits: 7832

Crisi finanziaria e governo dell'economia
Alberto Bagnai
«L'obscurité n'est pas un défaut quand on parle à des bons jeunes gens avides de savoir, et surtout de paraître savoir.»
Stendhal, Promenades dans Rome, 17 mars 1828.
1. Introduzione
Accolgo con vivo piacere l’invito a contribuire a questo numero dedicato al governo del sistema monetario europeo e internazionale. Se posso permettermi un po’ di leggerezza, mi solleva il fatto che qualcuno sia ancora interessato a raccogliere le opinioni di un economista, in un periodo nel quale la scienza economica è particolarmente discreditata per non aver saputo prevedere lo scoppio della crisi, e per non averne saputo scongiurare le conseguenze. Non credo che questi rilievi siano del tutto corretti: esempi illustri di analisi “profetiche” non mancano. Ammetto però che da qualche tempo gli scambi più proficui su questo tema mi capita di averli con studiosi esterni alla mia professione: storici, geografi, giuristi. Questo dipende in parte dal mio percorso, che mi rende insofferente verso l’omodossia economica (non chiamerei “ortodossia” il cosiddetto pensiero mainstream, che è certamente unanime - omos - ma, visti i risultati, probabilmente non del tutto corretto - orthos). I benefici di questi scambi interdisciplinari dipendono però soprattutto dal fatto che essi costringono a riorganizzare le proprie categorie, a cercare nuove strade di trasmissione del proprio sapere “tecnico”, a reagire a stimoli imprevisti. Un esercizio utilissimo, da compiere con umiltà e con quel senso di responsabilità che deriva dal costituirsi rappresentante della categoria verso un mondo “esterno”. Il che obbliga a porsi due domande ben precise: in che modo posso aiutare la riflessione dei colleghi che hanno seguito altri percorsi (e farmi aiutare nella mia)? E in che modo posso fornire loro una rappresentazione critica ma non distorta dei risultati e delle aporie della mia disciplina?
Rinuncio fin da ora al secondo obiettivo: vivrò senza sensi di colpa la mia faziosità, sapendo di rivolgermi a un pubblico che ha gli strumenti critici per difendersi qualora le mie tesi non lo convincano, e soprattutto qualora lo convincano. Per lo stesso motivo rinuncerò al parlare oscuro (utile, come ci ricorda Stendhal, quando si parla a giovanotti ansiosi di sfoggiare il proprio sapere): parlando a un pubblico maturo sceglierò la strada della semplicità, sperando di non compromettere il rigore dei miei argomenti. Rivolgendomi a dei giuristi la linea di attacco più naturale mi sembra quella di riflettere sulle relazioni fra la crisi e le regole, scritte o non scritte, che governano il sistema finanziario internazionale.
- Details
- Hits: 7819

"Eppur si muore”
di Sergio Bologna
Io non credo che interventi legislativi o misure organizzative (come ad es. la creazione di un pool di magistrati specializzato) possano produrre effetti di una qualche rilevanza nella lotta agli incidenti mortali sul lavoro. Com’è possibile prescrivere una terapia quando non si conoscono le condizioni del paziente? Posso peccare di presunzione, ma sono quasi certo che le istituzioni non hanno presente la mappa del mercato del lavoro in Italia, nemmeno a grandi linee. E quindi non hanno la più pallida idea della mappa del rischio. Cominciamo da un dato: il differenziale di circa 2,4 punti percentuali tra l’incidenza dei morti sul lavoro in Italia rispetto al resto dell’Europa è dovuto al fatto che da noi si muore “in itinere”, cioè mentre ci si sposta per lavoro o per andare o tornare dal luogo di lavoro. Quindi “il luogo” di lavoro di per sé, concepito come luogo fisico, non sarebbe più rischioso in Italia di quanto sia quello di altri Paesi europei. E’ lo spazio della mobilità quello più rischioso. Perché?
La rivoluzione postfordista ha agito in due direzioni: 1) ha man mano “dissolto” il luogo di lavoro come spazio fisico separato mischiandolo sempre più al luogo di vita privata e lo ha dilatato nello spazio (despazializzazione del rischio), 2) ha – come in nessun altro Paese d’Europa – affidato la gestione del rischio a un’entità particolarissima, quella che forma la caratteristica più tipica dell’Italia, cioè la microimpresa. E quando intendo microimpresa intendo un’entità talmente piccola che stento a riconoscere in quella le caratteristiche istituzionali di un’impresa – cioè di qualcosa che ha bisogno almeno di tre ruoli sociali, il capitale, il manager e l’operaio.
Io vorrei prendere per mano il Ministro Damiano, il dottor Epifani e il dottor Guariniello e metterli di fronte a quella semplice tabella ISTAT che sono solito riprodurre in tutte le mie presentazioni. Da cui risulta che più di 6 milioni di persone – su un totale di 24 - lavora in unità impropriamente chiamate “imprese” la cui dimensione media è 2,7 addetti. Ma c’è qualcosa di più recente. Il 29 ottobre 2007 l’ISTAT pubblicava una nuova serie di dati, cito: “Nelle microimprese (meno di 10 addetti), che rappresentano il 94,9 per cento del totale, si concentra il 48,0 per cento degli addetti, il 25,2 per cento dei dipendenti, il 28,3 per cento del fatturato ed il 32,8 per cento del valore aggiunto. In esse il 65,1 per cento dell’occupazione è costituito da lavoro indipendente”.
- Details
- Hits: 7815
La Russia sta perdendo la guerra dell'informazione?
di Laura Ruggeri - Strategic Culture
Il 10 marzo, quando il direttore della CIA Bill Burns si è rivolto al Senato degli Stati Uniti e ha dichiarato che "la Russia sta perdendo la guerra dell'informazione sull'Ucraina", ha ripetuto un'affermazione che era già stata amplificata dai media angloamericani dall'inizio delle operazioni militari russe in Ucraina. Sebbene la sua affermazione sia effettivamente vera, non ci dice perché e riflette principalmente la prospettiva dell'Occidente. Come al solito la realtà è molto più complicata.
L'abilità nella “guerra dell'informazione” degli Stati Uniti non ha eguali: quando si tratta di manipolare le percezioni, produrre una realtà alternativa e conseguentemente armare le menti del pubblico, gli Stati Uniti non hanno rivali. Anche la capacità, da parte degli USA, di dispiegare strumenti di potere non militari per rafforzare la propria egemonia e attaccare qualsiasi stato intenda metterla in discussione, è innegabile. Ed è proprio per questo che alla Russia non è rimasta altra scelta che quella dell'utilizzo dello strumento militare per difendere i propri interessi vitali e la propria sicurezza nazionale.
La guerra ibrida - e la guerra dell'informazione come parte integrante di essa - si è evoluta nella dottrina standard degli Stati Uniti e della NATO, ma non ha reso la forza militare ridondante, come dimostrano le guerre per procura. Con capacità di guerra ibrida più limitate, la Russia deve invece fare affidamento sul suo esercito per influenzare l'esito di uno scontro con l'Occidente che Mosca considera esistenziale. E quando la propria esistenza come nazione è a rischio, vincere o perdere la guerra dell'informazione nel metaverso occidentale diventa piuttosto irrilevante. Vincere a casa e assicurarsi che i propri partner e alleati comprendano la posizione e la logica dietro le proprie azioni ha, inevitabilmente, la precedenza.
- Details
- Hits: 7808
L’attacco agli enti locali è sistemico
Il braccio operativo è Cassa Depositi e Prestiti
di Marco Bersani
1. Uno dei nodi cruciali della guerra alla società, dichiarata dalle lobby finanziarie con la trappola della crisi del debito pubblico, vedrà nei prossimi mesi al centro gli enti locali, i loro beni e servizi, il loro ruolo. Infatti, poiché l’enorme massa di ricchezza privata prodotta dalle speculazioni finanziarie, che ha portato alla crisi globale di questi anni, ha stringente necessità di trovare nuovi asset sui quali investire, è intorno ai beni degli enti locali che le mire sono ogni giorno più che manifeste.
2. Già nel rapporto “Guadagni, concorrenza e crescita”, presentato da Deutsche Bank nel dicembre 2011 alla Commissione Europea, si scriveva a proposito del nostro Paese : “ (..) I Comuni offrono il maggior potenziale di privatizzazione. In una relazione presentata alla fine di settembre 2011 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze si stima che le rimanenti imprese a capitale pubblico abbiano un valore complessivo di 80 miliardi di euro (pari a circa il 5,2% del PIL). Inoltre, il piano di concessioni potrebbe generare circa 70 miliardi di entrate. E questa operazione potrebbe rafforzare la concorrenza. (..) Particolare attenzione deve essere prestata agli edifici pubblici. La Cassa Depositi e Prestiti dice che il loro valore totale corrente arriva a 421 miliardi e che una parte corrispondente a 42 miliardi non è attualmente in uso.
- Details
- Hits: 7772

C'è una nuova superpotenza
di Marco d'Eramo
È nata una nuova superpotenza. Non è la Cina. Non è neanche uno stato sovrano. Non ha eserciti, eppure ci ha appena dimostrato che è capace di piegare anche la nazione che possiede il più devastante arsenale nucleare. Questa nuova superpotenza è un'agenzia di rating, cioè una ditta privata che valuta il livello di rischio rappresentato dall'investire in un'azione, in una valuta, in un'obbligazione. Più basso il voto (il rating), più alto il rischio e quindi più alta deve essere la remunerazione (il rendimento dei Btp per esempio).
Sapevamo già che il posto di lavoro di un insegnante greco, la pensione di un'infermiera spagnola o il ticket sanitario degli italiani dipendeva dai giudizi di queste agenzie, Moody's o Standard & Poor's (S&P's). Ma dubitavamo che potessero soggiogare anche gli orgogliosi Stati uniti, anche la «nuova Roma». E invece ci sbagliavamo.
Quando venerdì sera S&P's ha declassato il debito statunitense dalla tripla A (AAA) a AA+, un'era si è conclusa. Fino a pochissimi anni fa le agenzie di rating erano considerate, a ragione, il braccio armato del Tesoro statunitense nell'arena dell'economia mondiale. Come tali agirono per esempio durante la crisi messicana (1994), prima e durante quella asiatica (1997). Più di recente assecondarono la politica Usa di lasciare briglia sciolta alla bolla immobiliare Usa, dando voti altissimi non solo ai pacchetti finanziari in cui erano confezionati i mutui subprime, ma anche alla banca Lehman Brothers fino a poco prima che fallisse clamorosamente nel settembre 2008, innescando così la grande crisi.
- Details
- Hits: 7759

Il moderno non è mai finito
Carlo Formenti
All’amico Alberto Abruzzese «alfabeta2» proprio non va giù. In un lungo articolo (Pensare e fare politica nel tempo delle reti) pubblicato a puntate sulla rivista «gli Altri», si è dichiarato profondamente irritato per i «vertici di politichese marxista, leninista, idealista» che, a suo parere, si toccherebbero su queste pagine, infestate dai «fantasmi» del comunismo e della rivoluzione non meno di quelle della vecchia alfabeta. Del resto – questo lo dice Marx, non Alberto, ma è chiaro che anche lui lo pensa – si sa che nella storia le tragedie, se e quando si ripetono, assumono veste farsesca. Replicare alle invettive con le invettive serve a poco, se non a sfogare il cattivo umore. Quindi mi guarderò bene dal farlo, anche perché le invettive di Alberto arrivano solo alla fine di una serie di argomentazioni «serie» che meritano di essere trattate come tali, e sulle quali mi è impossibile tacere, visto che vengo in più occasioni tirato in ballo in quanto membro di una confraternita di autori accusati di aver contribuito a definire e analizzare il tempo presente in quanto «società delle reti». Una definizione, commenta amaramente Abruzzese, che ha sortito l’effetto «di trascinare la soggettività delle reti dentro l’economia politica invece di spingere la società stessa a sciogliersi dentro le reti».
Ovviamente prendo l’accusa come un complimento, dato che la mia ambizione dichiarata è quella di contribuire a una critica dell’economia politica del capitalismo delle reti. Al tempo stesso devo subito sottolineare due elementi di dissidio radicale relativi al linguaggio stesso con cui l’accusa viene formulata:
– Si dice che a trascinare la soggettività delle reti dentro l’economia politica sarebbe la definizione in quanto tale di società delle reti, attribuendo alle parole uno smisurato potere evocativo, degno dei versetti della Genesi: basta nominare le cose in un certo modo perché la loro realtà si adatti al nome;
– Si pone come obiettivo la necessità-possibilità di «sciogliere» la società nelle reti.
- Details
- Hits: 7758

Catastrofe o rivoluzione1
di Emiliano Brancaccio
L’ex capo economista del Fondo monetario internazionale ha sostenuto che per scongiurare una futura “catastrofe” serve una “rivoluzione” keynesiana della politica economica. La sua tesi viene qui sottoposta a esame critico sulla base di un criterio di indagine scientifica del processo storico definito «legge di riproduzione e tendenza del capitale». Da questo metodo di ricerca scaturisce una previsione: la libertà del capitale e la sua tendenza a centralizzarsi in sempre meno mani costituiscono una minaccia per le altre libertà e per le istituzioni liberaldemocratiche del nostro tempo. Dinanzi a una simile prospettiva Keynes non basta, come non basta invocare un reddito. L’unica rivoluzione in grado di scongiurare una catastrofe dei diritti risiede nel recupero e nel rilancio della più forte leva nella storia delle lotte politiche: la pianificazione collettiva, intesa questa volta nel senso inedito e sovversivo di fattore di sviluppo della libera individualità sociale e di un nuovo tipo umano liberato. Una sfida che mette in discussione un’intera architettura di credenze e impone una riflessione a tutti i movimenti di lotta e di emancipazione del nostro tempo, tuttora chiusi nell’angusto recinto di un paradigma liberale già in crisi
Prologo
Per scongiurare una futura “catastrofe” sociale serve una “rivoluzione” della politica economica. Così parlò Olivier Blanchard, già capo economista del Fondo monetario internazionale, in occasione di un dibattito e un simposio ispirati da un libretto critico a lui dedicato (Blanchard e Brancaccio 2019; Blanchard e Summers 2019; Brancaccio 2020). Che un grande cardinale delle istituzioni economiche mondiali adoperi espressioni così avventuristiche è un fatto inusuale. Ma l’aspetto davvero sorprendente è che tale fatto risale a prima del tracollo causato dal coronavirus. Tanto più dopo la pandemia, allora, diventa urgente cercare di capire se l’evocazione blanchardiana del bivio “catastrofe o rivoluzione” sia mera voce dal sen fuggita o piuttosto segno di svolta di uno spirito del tempo che inizia a muovere da farsa a tragedia. A tale interrogativo è dedicato questo scritto.
A chi intenda cimentarsi nella lettura, sarà utile lanciare un avvertimento. Sebbene intessuto di fili accademici, questo saggio risulterà estraneo alle pratiche discorsive dell’ordinario comunicare scientifico. Qui si cercherà infatti di rinnovare un antico esercizio, eracliteo e materialista: di intendere logos come scienza. Scienza non parziale ma generale, per giunta, quindi inevitabilmente colma di vuoti come un formaggio svizzero. Su questi vuoti, prevediamo, gli specialisti contemporanei avvertiranno insofferenza mentre sarà indulgente l’osservatore avvezzo alla critica e alla crescita della conoscenza (Lakatos e Musgrave 1976). Costui è consapevole che solo una visione generale consente di visualizzare quei vuoti, e quindi crea le premesse per tentare di perimetrarli e superarli.
- Details
- Hits: 7744

Errorismo di Stato
Sergio Bologna
Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, Terrore rosso. Dall’autonomia al partito armato. Laterza, Bari 2010.
Nemmeno i negazionisti erano arrivati a tanto. Si erano limitati a dire che i campi di sterminio non erano mai esistiti, ma non si sono spinti a dire che gli ebrei avevano gasato i nazisti. I tre autori di questa nuova prova della miseria italiota vanno oltre il negazionismo. L’arresto di Toni Negri e di molti suoi compagni il 7 aprile 1979 è stato il primo atto di una persecuzione giudiziaria e di un linciaggio mediatico che non aveva precedenti nella storia d’Italia dal 1945 ad allora e non ha avuto eguali nei trent’anni successivi. Nel libro in questione Toni Negri appare invece come un criminale dal volto ancora sconosciuto, grazie alla “copertura” dei servizi di Stato deviati e golpisti. “Getti la maschera” continua a gridargli Calogero, “scopra finalmente il suo volto”, “esca dal suo nascondiglio”! E questo lo grida a un uomo bersagliato per mesi da titoli cubitali dei giornali come l’ispiratore di 17 omicidi (così recitava il primitivo mandato di cattura stilato da Calogero), a un uomo del quale sono stati gettati in pasto alla folla affetti personali e appunti sul notes, agende telefoniche e abitudini quotidiane.
- Details
- Hits: 7740

L’uscita dall’euro trasformerebbe il deficit pubblico in un surplus
Intervista a Gennaro Zezza
Forexinfo intervista Gennaro Zezza, professore associato presso l’Università di Cassino, e ricercatore presso il Levy Economics Institute degli Stati Uniti.
Tempo fa, abbiamo pubblicato sul nostro sito il suo contributo presente all’interno dell’ebook "Oltre l’austerità", dal titolo, Crisi dell’euro: invertire la rotta o abbandonare la nave?.
Oggi vi proponiamo l’intervista che abbiamo realizzato con il professore di Cassino.
1) Nel suo interessante contributo sulla crisi dell’euro, Lei parla di un’ideologia "neoliberista" che è alla base della suddetta crisi appunto. Ci può spiegare in cosa consiste?
R. Quando parlo di “ideologia neoliberista” mi riferisco alle idee politiche che hanno ottenuto consenso elettorale prima con Margaret Thatcher, nel Regno Unito alla fine degli anni ’70, e poi con Ronald Reagan negli Stati Uniti.
- Details
- Hits: 7731

Potrebbe andare peggio, potrebbe piovere
Riccardo Bellofiore
Intervento al convegno L'Europa verso la catastrofe?
Come hanno detto i relatori che mi hanno preceduto, la situazione in cui viviamo è una situazione invernale, gelida. Penso che alcuni di voi, certamente i più anziani come me, abbiano visto il film Frankenstein Junior e quindi si ricorderanno la scena in cui il giovane Frankenstein e il gobbo Igor vanno a scavare in un cimitero per esumare il cadavere del mostro e Frankenstein jr dice “che lavoro schifoso” e Igor risponde “potrebbe andare peggio”. Frankenstein jr chiede “come?” e Igor risponde “potrebbe piovere”. Subito si sentono tuoni e inizia una pioggia violenta. Questa è la situazione in cui sono convinto da tempo che ci troviamo a vivere. E in effetti ho intitolato “Potrebbe piovere” uno scritto ormai di due dicembre fa firmato con Joseph Halevi.
Cercherò di rispondere alle sollecitazioni avanzate da Raparelli e Casarini, oltre che dai relatori che mi hanno preceduto. Non è facile da farsi in così breve tempo. Cercherò sostanzialmente di svolgere tre argomenti, dandovi soltanto una sorta di schema di un ragionamento possibile. Primo: cercherò di chiedermi in che tipo di crisi del capitalismo globale ci troviamo, e su questo sarò veramente telegrafico. Dopo, cercherò di discutere dell’euro, dell’euro così come si è costruito nella realtà, non come spesso ce lo raccontiamo, e del tipo di crisi dell’euro e dell’Europa che viviamo adesso. In terzo luogo, cercherò di entrare nel terreno di discussione, complicato, delle possibili politiche economiche, e di qui svolgerò alcune considerazioni politiche. Sarò estremamente schematico. Chi fosse interessato trova lo sviluppo del ragionamento in due libretti che ho pubblicato recentemente [n.d.r. La crisi capitalistica, la barbarie che avanza e La crisi globale, l’Europa, l’euro, la sinistra, editi entrambi da Asterios, Trieste, nel 2012].
- Details
- Hits: 7730

L’Italia come “mondo atono”
Jean-Claude Lévêque
L’Italia come “mondo atono”: alcune considerazioni politico-filosofiche a partire da Alain Badiou (e non solo).
Le brevi riflessioni che seguono intendono cercare di esaminare il “ caso Italia”, così peculiare nel contesto europeo, a partire da un concetto fondamentale coniato da Alain Badiou in Logique des mondes: quello di “mondo atono”.
Nella prima parte, cercherò rapidamente di esporre questo concetto, applicandolo poi concretamente alla situazione di chiusura propria della politica e della società italiane; nella seconda, farò dialogare provocatoriamente Badiou con Costanzo Preve e con Domenico Losurdo perché risulti più chiaro che, di fronte alla crisi italiana, di tutto abbiamo bisogno tranne che di interpretazioni “moralistiche” o paranoiche.
So che citare Preve non è certo “politicamente corretto”, ma penso anche che sia necessario e filosoficamente adeguato citarlo, giacché si tratta di uno studioso serio che argomenta con chiarezza, al di là della condivisibilità o meno di certe sue letture del marxismo (ma anche della politica italiana).
1. Mondi “atoni” e soggetti “reattivi”
Chi conosca almeno parzialmente il testo di Badiou, non avrà difficoltà a comprendere il senso di quest’accostamento; tuttavia è necessario precisare prima i due concetti per non incorrere, dopo, in spiacevoli fraintendimenti.
Per Alain Badiou, un mondo “atono” è un mondo in cui “il suo proprio trascendentale non ha alcun punto”, ovvero in cui non è possibile che si dia alcun cambiamento profondo attraverso la fedeltà a un evento.
Siccome il concetto di trascendentale in Badiou ha un significato non-kantiano, sarà bene chiarire perché è così e che cosa ne consegue: il trascendentale di un mondo “indica la capacita costitutiva propria di ogni mondo di attribuire a ciò che ‘sta’ in quel mondo delle intensità variabili”.
- Details
- Hits: 7725

Il default è un disastro ma è il male minore
di Guido Viale
Di quale crescita parliamo? Di rilanciare la produzione di suv, lavatrici e navi da guerra, o di tav, mose e ponti? Le ricette che hanno ucciso la Grecia ci preciterebbero nel baratro. Una polemica con Felice Roberto Pizzuti
«Un default azzererebbe il risparmio che i singoli cittadini/lavoratori, direttamente o indirettamente, hanno affidato allo stato, anche a fini pensionistici (...). Riguarderebbe anche le istituzioni del welfare, cioè il sistema pensionistico obbligatorio, gli ammortizzatori sociali e l'assistenza, il sistema sanitario nazionale, l'istruzione (...). Si estenderebbe alle banche e sarebbero colpiti anche i singoli correntisti (...). Priverebbe il sistema produttivo non solo del risparmio nazionale, ma anche del suo sistema bancario, con l'effetto di estendere la crisi all'economia reale (occupazione, consumi, prestazioni sociali, ecc) (...). Genererebbe seri rischi di altri fallimenti a catena nell'economia europea e mondiale. L'euro e la stessa Unione europea avrebbero molte difficoltà a sopravvivere (...). Bisognerebbe mettere in conto inevitabili reazioni, rivalse e un grave deterioramento delle relazioni internazionali (...). Sarebbe poi pressoché impossibile praticare politiche autonome che privilegiassero obiettivi sociali e ambientali».
Queste frasi, estratte da un articolo di Felice Roberto Pizzuti sul manifesto del 4 novembre, vorrebbero scongiurare il rischio di un default; e persino diffidare dal parlarne troppo, per paura che l'idea si diffonda per contagio. L'autore non sembra rendersi conto che quello che prospetta come conseguenza di una scelta politica per lui da evitare (blocco del welfare, paralisi di scuola e sanità, contrazione del circuito economico, disoccupazione, isolamento internazionale, azzeramento delle politiche ambientali, ecc.) non è molto diverso da quello che succede in Grecia con le misure imposte dalla cosiddetta troika. O dalla strada che l'Italia è destinata a percorrere se darà attuazione alle prescrizioni di Draghi e Trichet. Tutti sanno che la Grecia non si risolleverà per anni dallo stato di prostrazione economica e civile a cui la condannano quelle misure: la aspetta come minimo un «ventennio perso», come quello che il Fmi aveva imposto ai paesi dell'America latina alla fine del secolo scorso - e dal quale si sono risollevati solo quando ne hanno rigettato le prescrizioni.
- Details
- Hits: 7720

Di fronte alla quarta guerra mondiale1
di Claudia Pozzana e Alessandro Russo
Una guerra globalizzata prolifera nell’attuale “disorientamento del mondo”, come lo chiama Alain Badiou,2 e al tempo stesso lo riduce all’impotenza, perfino alla complicità. Assistiamo ai prodromi di una guerra, di cui cominciamo appena a valutare la peculiare novità in termini di distruttività e di estensione, destinata a perdurare e aggravarsi per molti anni, perfino decenni. Per ritrovare il filo di un orientamento, cioè per pensare politicamente questa guerra, occorre ampliare l’orizzonte a nuovi riferimenti intellettuali, e riconsiderare le precedenti idee sulla guerra e sui suoi inestricabili rapporti con la politica.
La guerra nel mondo umano ha una specifica storicità. Sorge in una fase cruciale dello sviluppo dell’umanità, il neolitico, e ha come condizioni fondamentali l’appropriazione privata, inclusa quella delle donne nella famiglia, e la formazione di apparati statali separati che detengono il monopolio della violenza. Gli argomenti di Engels su questo punto restano preziosi.
Le guerre hanno sempre avuto come obbiettivo l’assoggettamento di un nemico al quale sottrarre una proprietà, o impedire di estendere la sua. Che nella mitologia omerica la guerra per antonomasia abbia come posta in gioco la proprietà di una moglie mostra quanto intricate, e al tempo stesso brutalmente semplici, siano le radici della guerra.
Cionondimeno la guerra non deriva da una presunta natura umana, tanto meno da una sua “animalità”. Essa ha una portata infinitamente più distruttiva e sproporzionata di tutte le forme di aggressività che strutturano, da sempre, il mondo degli esseri viventi. La guerra, invece, ha avuto un inizio e può avere una fine, a condizione che l’umanità riesca a inaugurare un’era completamente nuova.
- Details
- Hits: 7720

Europa, occupiamo lo spazio comune
di Ugo Mattei
Non c'è timoniere, né punto d'arrivo nell'attuale "rotta" d'Europa, cresciuta con il motto implicito "meglio che niente". L'alternativa è radicale: uscire dall'egemonia privatistica, mettere al centro della scena la lotta per un diritto del comune e contro l’accumulo istituzionalizzato della ricchezza
Tenere una rotta è possibile qualora si configurino due condizioni. Deve esserci un timoniere e il timoniere deve tener presente un punto d’arrivo cui tendere in modo il più possibile coerente. Ne segue che la metafora della rotta mal si addice all’Europa per mancanza dell’una e dell’altra condizione. Non si può escludere che nell’immediato secondo dopoguerra i c.d. padri fondatori dell’Europa, da Shuman a Spinelli da Monet ad Adenauer, avessero in mente un obiettivo, sostanzialmente quello di evitare rigurgiti di aggressività militare tedesca attraverso misure di mercato. Quello scopo, certo importantissimo, è stato raggiunto ma la sconfitta politica del manifesto di Ventotene (almeno nella sua interpretazione più ambiziosa e avanzata) ha semplicemente tramutato la cifra dell’aggressività tedesca da militare a economica, come ampiamente dimostrato inter alia dalla recente vicenda greca. Conseguenza politica del prestigio dei “padri fondatori” è stata l’ideologia, diffusasi soprattutto a sinistra, del “meglio che niente”.
In tempi recenti Delors e Prodi sono stati gli esponenti più prestigiosi della nutrita schiera di quanti sostengono la desiderabilità intrinseca del lavoro politico rivolto all’obiettivo della maggior integrazione. Dall’Atto unico europeo al Trattato di Maastricht, dall’elezione diretta del Parlamento europeo all’euro, ci si è proclamati spesso con orgoglio “europeisti” senza mai davvero fare i conti con il problema di “quale integrazione”.
- Details
- Hits: 7720

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Lettera a un giovane morto invano per una pace che non ci sarà
Restiamo Umani
Vik da Gaza city
Caro Vittorio,
da uno dei tanti inutili uffici pace messi su nei comuni d’Italia (per salvarsi la coscienza e continuare intrighi e politica di piccolo cabotaggio), l’amica Ornella ha fatto spuntare oggi sul video del mio PC, un comunicato di Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, nel quale si annuncia che «il 29° Seminario nazionale» di tale organizzazione «che si apre oggi ad Assisi sarà dedicato a Vittorio Arrigoni». Chissà, ti dedicheranno pure strade, scuole, parchi!
Che ipocrisia!
Trovo indecente, subdola, viperina la prontezza con cui si gioca d’anticipo su ogni possibile concorrente e ci si appropria della tua morte. La lobby pacifista italiana ti vuole “santino pacifista subito”! Guai se, ragionando sulla tua uccisione, si uscisse dal piagnisteo! La spiegazione da far circolare nel “mercatino della pace” è una sola ed è già pronta: Lotti ha detto che la tua uccisione è «assurda». E chiude così qualsiasi interrogativo più scomodo.
Rassegniamoci, dunque?
È una buona, consolidata, abitudine italiota non andare a fondo sui “fatti di sangue”.
- Details
- Hits: 7705

Fu davvero BlackRock a ispirare il "cambio di scena" del 2011 in Italia?
Maria Grazia Bruzzone
La RocciaNera negli opachi intrecci fra fondi di investimento e megabanche che si stanno comprando tutto
Il nuovo Limes su Chi ha paura del Califfo? è in edicola, puntualissimo e subito ripreso da tv e social media. Meno attenzione è stata data al numero precedente dedicato a Moneta e Impero (l’impero del dollaro, naturalmente) che proponeva, fra gli altri, un pregevole pezzo su “BlackRock, il Moloch della finanza globale”: un “fondo di fondi” americano con 30mila portafogli e $4,100 miliardi di asset ($4,652 secondo l’ultimo dato SEC, dic 2014) che non solo non ha rivali al mondo, ma è una delle 4-5 ‘istituzioni’ che ricorrono tra i maggiori azionisti delle principali megabanche americane, come vedremo. E non solo di queste: era anche il maggior azionista di DeutscheBank - la banca tedesca che nel 2011 ritirò per prima i suoi capitali investiti in titoli italiani, spingendo il nostro paese sull’orlo del ‘baratro’ e nelle braccia del governo Monti - rivela Limes – nonché grande azionista delle prime banche italiane, e di altre imprese. Sull’ influenza politica della RocciaNera non solo a Wall Street ma nella stessa politica di Washington insiste del resto l’articolo (di Germano Dottori, cultore di studi strategici alla Luiss).
Ma chi è, cos’è BlackRock, a cui l 'Economist ha dedicato una copertina? Come si colloca nel paesaggio finanziario globale?
IL CONTESTO. E’ quello della finanziarizzazione e globalizzazione dell’economia.
Il valore complessivo delle attività finanziarie internazionali primarie è passato dal 50% al 350% del Pil globale dal 1970 al 2010, raggiungendo i $280mila miliardi – solo il 25% del quale legato agli scambi di merci. Mentre il valore nozionale dei ‘derivati’ negoziati fuori dalle Borse ( Over The Counter) a fine giugno 2013 aveva raggiunto i 693mila miliardi di dollari. Una gran parte sono legati al mercato delle valute. E al Foreign Exchange Market o Forex, si scambiano mediamente 1.900 miliardi di dollari al giorno. Fin qui Limes.
- Details
- Hits: 7704
La filosofia politica di Giorgio Agamben1
Concetti, metodi e problemi
di Jacopo D’Alonzo
0. Considerazioni preliminari
Agamben è divenuto negli ultimi anni uno dei filosofi italiani più in vista a livello internazionale2. Il progetto Homo sacer (HS), inaugurato nel 1995 con la pubblicazione del volume omonimo, si può senz’altro considerare come la ricerca che ha riscosso maggior successo di pubblico3. Le ra-gioni sono da ricercare anzitutto nello stile: conciso ed essenziale nell’apparato bibliografico ma allo stesso tempo ricco di riferimenti eruditi – che ne costituiscono spesso il marchio di fabbrica – illustrati attraverso un vocabolario minimale e una prosa piana. Molto più vicino alla critica letteraria che alla saggistica accademica, ogni libro di Agamben si rivolge ad un pubblico ben più vasto di quello dei soli specialisti.
A ciò si aggiunga l’attenzione prestata da Agamben ad alcune tematiche di stringente attualità: per esempio il significato delle misure d’emergenza, della decretazione d’urgenza, delle carceri e dei campi d’internamento per immigrati, il confine sempre più labile fra cittadino e potenziale criminale, la costante minaccia del terrorismo, e ancora la crisi della rappresentatività, della sovranità nazionale, oppure la centralità della finanza, dell’economia, il ricatto del debito, il valore politico assegnato a questioni che sembrano esulare dall’orizzonte della cosa pubblica (fine-vita, suicidio assistito, salute pubblica, etc.). L’opera di Agamben, forse più di altre, sembra cogliere il cuore problematico del nostro presente.
- Details
- Hits: 7685

Idee per una sinistra nazionale e popolare
Ugo Boghetta, Carlo Formenti, Mimmo Porcaro
Quella che segue è la traccia per la discussione dell’assemblea autoconvocata “Per una sinistra nazionale e popolare”che, su iniziativa degli autori, si terrà a Bologna il 15 aprile 2018, presso l’Hotel Allegroitalia, viale Masini 3 / 4, alle ore 10
1
Le elezioni del 4 marzo ci hanno consegnato un quadro politico davvero nuovo. Il disagio, il rancore, la rabbia prodotta dalle politiche liberiste hanno rotto i vecchi equilibri e premiato M5s e Lega, ovvero quei populismi dati frettolosamente già per già spacciati. Tuttavia, la scomposizione e ricomposizione delle forze è solo agli inizi. Qualunque soluzione venga data al rebus della formazione del governo, essa non potrà che acuire i problemi. Un’ improbabile riedizione del patto del Nazareno approfondirebbe il solco tra l’elettorato ed il vecchio sistema politico. Un governo Lega-M5S farebbe esplodere le contraddizioni con Bruxelles, oppure le sposterebbe all’interno del governo e di ciascuno dei due partner. Un qualche governicchio di transizione, premessa di turbolenze future, sarebbe comunque schiacciato tra le urgenze dell’Unione europea e le impazienze popolari. Non c’è soluzione alla “questione italiana” perché nessuna delle forze in campo ha la volontà o la capacità di metter mano all’ormai ineludibile programma di ripubblicizzazione dell’economia e di piena occupazione, e di scontrarsi su questi punti definitivamente con Bruxelles, fino alla rottura. Non il PD né Forza Italia, ovviamente. Ma nemmeno il M5S a guida Di Maio, che ha già rassicurato gli investitori internazionali; e neppure la Lega, che vuol sostituire il liberismo bavarese con quello lombardo. Non si può uscire fruttuosamente dall’Unione europea (posto che lo si voglia) se si riduce il ruolo della politica alla lotta agli sprechi, se si vuole la spesa pubblica per appropriarsene privatamente, se si continua a volere la flat tax, le privatizzazioni, lo stato minimo.
- Details
- Hits: 7678

Marx 1881, il marxismo creativo e i “quattro enigmi” della storia contemporanea
di Roberto Sidoli, Massimo Leoni, Daniele Burgio
Un carteggio sull'Effetto di sdoppiamento. In calce a questo scritto le domande rivolte agli autori
Caro Fabio, nel rispondere al tuo scritto – fin troppo generoso nei nostri confronti – vogliamo per il momento concentrarci solo su due distinte tematiche, e cioè:
- Il rapporto tra marxismo e teoria dell’effetto di sdoppiamento, con il derivato primato della sfera politica (Lenin, “Che fare?”, 1902 e sulla successiva polemica contro Trotsky e Bucharin, nel 1920/21);
- Quale sia l’utilità politica, a cosa serve concretamente la tesi dell’effetto di sdoppiamento, con la sua analisi dell’epoca “sdoppiata” del surplus dal 900 a.C. fino a i nostri giorni.
- Sulla prima questione, sottolineiamo subito che il primo e finora ignorato precursore della teoria dell’effetto di sdoppiamento è stato Karl Marx, in un suo geniale lavoro del 1881 che semi-marxisti russi quali Plechanov, Axelrod e Vera Zasulich occultarono e nascosero vergognosamente per quasi quattro decenni e che venne invece pubblicato in Unione Sovietica nel 1924.
Infatti all’interno della bozza e stesura provvisoria della sua lettera del marzo 1881 indirizzata a Vera Zasulich, il geniale rivoluzionario tedesco analizzò anche la dinamica generale di sviluppo delle millenarie comuni rurali (la “comune agricola”, nella terminologia usata da Marx), notando tra le altre cose che «come… fase ultima della formazione primitiva della società, la comune agricola… è nello stesso tempo fase di trapasso alla formazione secondaria e, quindi, di trapasso dalla società basata sulla proprietà comune alla società basata sulla proprietà privata.
- Details
- Hits: 7667

BCE versus Costituzione italiana
di Gaetano Bucci*
Le politiche “neoliberiste” imperniate sul mix stabilità istituzionale - stabilità economico-finanziaria stanno ormai compromettendo le forme del vivere civile, la coesione sociale e gli stessi livelli di sicurezza dell’unità nazionale. Sussiste una correlazione stretta tra il declino della democrazia e la crescita delle diseguaglianze e, più in generale, tra la crisi del costituzionalismo e l’involuzione delle forme - dirette e indirette - di redistribuzione del reddito. Questa situazione di decadenza generale è stata provocata dalla disapplicazione del nucleo profondo della Costituzione, ossia dei Principi fondamentali e, in specie, di quelli contenuti negli articoli 1 e 3. La Costituzione è, infatti, la forma giuridica di un patto di convivenza sociale, la cui vigenza dipende dall’esistenza di un congruo equilibrio nei rapporti di forza tra i soggetti sociali in conflitto, che - nel corso dell’ultimo trentennio - è stato manomesso duramente.
L’epicentro della regressione subita dal nostro Paese è, tuttavia, ben oltre i confini nazionali e, specificamente, negli sconvolgimenti della globalizzazione trascinata dai mercati finanziari e coadiuvata da politiche economiche che, sin dalla metà degli anni Settanta, hanno incentivato, sulle due sponde dell’Atlantico, il varo di indirizzi legislativi volti a rimuovere i vincoli alla circolazione dei capitali, a promuovere le attività speculative delle banche e la formazione di una rete inestricabile di dipendenze reciproche tra i sistemi industriali e finanziari dei diversi Paesi, in cui è stata prodotta una massa di strumenti derivati complessi e sempre meno tracciabili.
L’Italia e l’Europa sono entrate in una fase estremamente critica, che pone a rischio i risultati di mezzo secolo di storia. I dati economici dell’ultimo decennio dimostrano come l’andamento del Pil sia caratterizzato da una stagnazione ininterrotta, gli indicatori fondamentali della produttività (innovazione tecnologica; ricerca; istruzione; efficienza delle istituzioni) risultino in picchiata e l’ammontare del debito pubblico ci esponga, costantemente, agli assalti distruttivi della speculazione.
Il trattato di Maastricht
Il meccanismo di funzionamento della moneta unica ha impedito l’utilizzo di due strumenti essenziali di intervento pubblico, ossia la possibilità di determinare il livello e la composizione della spesa pubblica e quella di scegliere le forme più idonee di tassazione e, dunque, di composizione fiscale [Pivetti p. 4].
- Details
- Hits: 7662
Pensioni: l’estremismo di Bankitalia e Corte dei Conti
di Vincesko
Pur nel quadro delle compatibilità neo-liberiste, c’è davvero bisogno di tanto rigore?
Il governo ha da poco varato la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF) sposando le considerazioni di Bankitalia e Corte dei Conti sulle pensioni. “Le ultime proiezioni sulla spesa pensionistica mettono in evidenza l’importanza di garantire la piena attuazione delle riforme approvate in passato, senza tornare indietro”, osserva palazzo Koch, mentre i magistrati contabili evidenziano che “non si tratta, evidentemente, di rispondere alle nuove evidenze con ulteriori restrizioni dei parametri sottostanti al disegno di riforma completato con la legge Fornero; si tratta invece di cogliere ancor meglio il senso della delicatezza del comparto e confermare i caratteri strutturali della riforma, a partire dai meccanismi di adeguamento automatico di alcuni parametri (come i requisiti anagrafici di accesso alla evoluzione della speranza di vita e la revisione dei coefficienti di trasformazione). Ogni arretramento su questo fronte, esporrebbe il comparto e quindi la finanza pubblica in generale a rischi di sostenibilità”.
Parole pesanti che chiudono la porta ai Sindacati che avevano chiesto un ammorbidimento del meccanismo introdotto dalla riforma Sacconi dell’adeguamento all’aspettativa di vita, che dovrebbe far scattare un altro aumento di ben 5 mesi a decorrere dal 2019, portando così l’età di pensionamento di vecchiaia esattamente a 67 anni per tutti.
- Details
- Hits: 7635
Mondi della differenza
di Figure
1. Nel mondo anglosassone sono conosciute come identity politics e i gruppi cui sono rivolte sono detti identity groups. In Italia non c’è un vero e proprio corrispettivo: a volte si usa “politiche dell’identità”, altre volte “politiche della differenza”. Esse identificano tutti quei discorsi politici che ragionano attorno alla disuguaglianza degli individui o di alcuni gruppi, nel momento in cui questa disuguaglianza deriva da una loro differenza propria. Le due differenze che storicamente hanno fornito il modello apripista per le altre, e per le rispettive politiche, sono quella di genere e di razza.
La necessità di un fronte politico che faccia perno sulle questioni della differenza è figlia delle lotte di liberazione delle colonie, delle lotte per i diritti dei neri e delle lotte femministe degli anni Sessanta e Settanta. Attraverso questa nuova conflittualità sono andati in frantumi i modelli e le norme che si volevano universalistici nella modernità. Diventa palese come l’Uomo, la Libertà, l’Uguaglianza e tutti i valori cardine della migliore cultura occidentale fossero costruiti anche sull’esclusione. A destra come a sinistra, tutti hanno dovuto fare i conti con le questioni che sono state poste da soggetti storicamente esclusi e discriminati nell’esercizio del potere non solamente per una differenza strettamente socio-economica – come vuole la vulgata comunista – ma per elementi che si posizionano su piani diversi.
Fra i due valori cardine di liberté ed égalité, le politiche della differenza aprono alcune contraddizioni: è davvero possibile coniugare l’uguaglianza dei soggetti alla rivendicazione della libertà di essere differenti? Se è possibile, come lo si realizza nella pratica? La complessa portata dei soggetti in campo e dei loro rapporti con la società pone infatti le politiche della differenza in perenne oscillazione tra due alternative: la volontà di essere ricondotti alla norma combattendo per politiche di non discriminazione e di pari opportunità, e un rifiuto della norma escludente unito alla rivendicazione di uno spazio altro e di un diritto differenziale.
- Details
- Hits: 7623

INFLAZIONE: IL TEMPO DEGLI AVVOLTOI!
Andrea Mazzalai
Come abbiamo spesso sottolineato in passato, come ha scritto lo storico Nial Ferguson, nel suo libro Soldi e Potere "l'esperienza del venir meno al debito mediante l'inflazione è per molti aspetti universale "....oserei dire forse storicamente ineccepibile.
Come ha ricordato in una recente intervista al Corriere della Sera nel dicembre dello scorso anno, l'attuale numero due di Morgan Stanley in Europa, Domenico Siniscalco, ricordato anche come ministro dell'economia, l' inflazione..."sottotraccia, è la soluzione a cui molti pensano...":
Dunque niente ondata internazionale di inflazione? «E' sempre una soluzione, quando c' è un' enorme massa di debito pubblico o privato. Sarebbe un rimedio pessimo, ma forse meno degli altri due possibili: l' insolvenza o il ricorso a prelievi di fatto forzosi. Sottotraccia, è la soluzione a cui molti pensano, ma finché non riprenderà la domanda nelle nostre economie e la disoccupazione non calerà, un rapido aumento dei prezzi nel 2010 mi pare difficile. Senza domanda non c' è inflazione».
- Details
- Hits: 7604
Giovanni Arrighi, dalla critica dell’imperialismo alla teoria dell’egemonia1
di Giulio Azzolini*
Da Materialismo Storico, Rivista Di Filosofia, Storia E Scienze Umane, V. 13 N. 2 (2022)
1. La critica all'imperialismo (1963-1969)
Tra il 1963 e il 1969 Arrighi è in Africa, dove insegna prima all’Università di Harare, allora Rhodesia oggi Zimbabwe, e poi all’Università di Dar es Salaam, in Tanzania. L’Africa subsahariana è in bilico tra decolonizzazione e neocolonialismo. E lui lavora su due piani, scientifico e politico, come attesta il suo primo libro, Sviluppo economico e sovrastrutture in Africa, che, pubblicato nel 1969 per la serie viola di Einaudi, raccoglie tutti i suoi primi saggi di africanista.
Arrighi, nato a Milano nel 1937, aveva studiato economia alla Bocconi, formandosi in un ambiente improntato alle dottrine neoclassiche, sordo al keynesismo e tanto più al marxismo. Ma Veconomics gli parve da subito inadeguata ad affrontare il problema economico-politico che l’Africa gli spalancò sotto gli occhi: le disuguaglianze indotte dall’estensione del capitalismo o, per usare la formula coniata all’epoca da Andre Gunder Frank, la «sviluppo del sottosviluppo»2. In altre parole, il giovane Arrighi è impegnato nella critica al neoimperialismo, inteso, secondo l’indicazione di Paul Sweezy, non tanto come ampliamento del mercato aperto alle merci prodotte dagli Stati dominanti, bensì come rafforzamento degli investimenti diretti all’estero da parte delle corporations legate alla potenza statunitense.
Ma il periodo africano è determinante anche per la formazione politica e personale di Arrighi. Nato in una famiglia borghese antifascista, egli partecipa alle lotte di liberazione nazionale, lotte che nel 1966 gli costano il carcere e l’espulsione dalla Rhodesia. A quella fase risale inoltre l’amicizia con esponenti di rilievo della New Left, come Samir Amin, Immanuel Wallerstein, Walter Rodney e John Saul.
- Details
- Hits: 7599

Alcune ipotesi contro-fattuali sulla presente crisi[1]
Luigi Pasinetti
Investimenti, profitti, crescita e distribuzione dei redditi
In un ormai famoso articolo nella «Review of Economic Studies» del 1956, Nicholas Kaldor aveva presentato una rassegna delle teorie della distribuzione del reddito.
Cominciava dai classici (Adam Smith e soprattutto David Ricardo), per poi proseguire con Marx, e quindi arrivare ai marginalisti neoclassici (con una lunga sintesi che includeva Walras/Wicksell/Mar-shall/Wicksteed). Ci si sarebbe aspettato che terminasse qui. Ma Kaldor aggiunse a questo punto anche una teoria kaleckiana basata sul grado di monopolio e soprattutto, a se stante e con inaspettata evidenza, una teoria «keynesiana» della distribuzione del reddito. Ciò destò sorpresa, perché nella Teoria Generale di Keynes (1936) non si trova alcuna esplicita formulazione di una teoria della distribuzione del reddito. In effetti, Kaldor aveva concepito una teoria di stampo keynesiano sì, ma nuova ed originale, che combinava e legava il concetto classico della «domanda effettiva», dovuta per la verità a Malthus più che a Ricardo, con le esigenze delle condizioni per il conseguimento della piena occupazione, cioè coi temi di cui si era essenzialmente occupato Keynes.
Il ragionamento di Kaldor era molto semplice, ma ricolmo di radicali conseguenze. Metteva in relazione la distribuzione del reddito tra profitti e salari con le esigenze della effettuazione di quegli investimenti che – incorporando il progresso tecnico e la disponibilità dell’aumento della popolazione lavoratrice – sono necessari per mantenere la piena occupazione in un processo di crescita economica: con questo, introduceva la distribuzione del reddito all’interno di un contesto teorico «keynesiano».
- Details
- Hits: 7591
L’errore filosofico della decrescita
Antonio Allegra
Sostenere la «qualità» contro la quantità significa proprio solo questo: mantenere intatte determinate condizioni di vita sociale in cui alcuni sono pura quantità, altri qualità.
(Antonio Gramsci, Quaderno 10)
Il libro di Giovanni Mazzetti, dal titolo Critica della decrescita, Edizioni Punto Rosso 2014, benché sia stato scritto da un economista, porta a segno una critica al progetto politico della decrescita che non ricorre ad argomentazioni economiche ma filosofiche. Per essere più precisi, quella di Mazzetti si presenta come una «critica alla prospettiva culturale» dei sostenitori della decrescita (Latouche, Pallante), mettendone in evidenza contraddizioni oggettive e soggettive (intendendo con le prime quelle che sorgono dal confronto con la realtà storica, con le seconde quelle che sorgono dall’interno delle tesi di tale prospettiva). A nostro avviso le prime sono più importanti delle seconde, anche perché sono quelle quantitativamente e qualitativamente più consistenti.
La prima osservazione è di natura metodologica. Poiché, secondo la definizione datane dai suoi sostenitori, la decrescita non è una teoria ma un progetto politico che intende modificare una realtà, Mazzetti sostiene che, per capire cosa sia necessario fare e come cambiare tale realtà, occorre «verificare se, grazie al proprio sistema di orientamento, si è realmente in grado di individuare correttamente dove ci si trova e come [vi] si è giunti». Insomma, siamo sicuri di capire con le nostre categorie interpretative la realtà su cui si vuole intervenire politicamente?
- Details
- Hits: 7579
Kit di pronto soccorso antifascista contro il nuovo lasciapassare. Un segnale importante che vale la pena amplificare
di Wu Ming
Clicca per ingrandire/scaricare l’infografica di Antifasciste contro il pass. Prima, però, ti chiediamo di leggere il testo qui sotto.
- Details
- Hits: 7578

Dalla crisi di plusvalore alla crisi dell'euro
di Guglielmo Carchedi
Data la rapida sequenza degli avvenimenti, questo articolo sarà regolarmente aggiornato
Aggiornato all’11 Gennaio 2012
I. Una delle caratteristiche della crisi finanziaria scoppiata nel 2007 - e ancora irrisolta - è il suo intreccio con la crisi dell’euro. In sintesi, la tesi di questo articolo è che la crisi dell’euro è la manifestazione nella eurozona della crisi dei derivati. Questa, a sua volta, affonda le sue radici nella caduta secolare del tasso medio di profitto nei settori produttivi degli USA. Questa tesi è stata sviluppata in Dietro e Oltre la Crisi.1 Questo articolo prosegue su quella linea di indagine. A tal fine, sarà necessario riprodurre alcuni argomenti già presentati in Dietro e Oltre la Crisi, ma solo quelli strettamente necessari e in versione accorciata.
Consideriamo, per incominciare, i settori che producono beni materiali negli USA che per approssimazione possono essere considerati come rappresentanti di tutti i settori produttivi.
Page 13 of 515













































