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Il falò delle vanità
di Alastair Crooke
L’arroganza consiste nel credere che una narrazione artificiosa possa, di per sé, portare alla vittoria. È una fantasia che ha attraversato tutto l’Occidente, soprattutto a partire dal XVII secolo. Recentemente, il Daily Telegraph ha pubblicato un ridicolo video di nove minuti in cui si sostiene che “le narrazioni vincono le guerre” e che le battute d’arresto in uno scenario bellico sono un fatto accidentale: ciò che conta è avere un filo narrativo unitario articolato, sia verticalmente che orizzontalmente, lungo tutto lo spettro – dal soldato delle forze speciali sul campo fino all’apice del vertice politico.
Il succo è che “noi” (l’Occidente) abbiamo una narrativa irresistibile, mentre quella della Russia è “goffa”, quindi, è inevitabile che gli Stati Uniti vincano.
È facile deriderla, ma possiamo comunque riconoscere in essa una certa sostanza (anche se questa sostanza è un’invenzione). La narrazione è ormai il modo in cui le élite occidentali immaginano il mondo. Che si tratti dell’emergenza pandemica, del clima o dell’Ucraina, tutte le “emergenze” sono ridefinite come “guerre”. E tutte sono "guerre” che devono essere combattute con una narrazione unitaria e obbligatoria di “vittoria”, contro la quale è vietata ogni opinione contraria.
L’ovvio difetto di questa arroganza è che richiede di essere in guerra con la realtà. All’inizio il pubblico è confuso, ma, man mano che le menzogne proliferano e si stratificano, la narrazione si separa sempre di più dalla realtà, anche se le nebbie della disonestà continuano ad avvolgerla. Lo scetticismo del pubblico si fa strada. Le narrazioni sul “perché” dell’inflazione, sul fatto che l’economia sia o no sana, o sul perché dobbiamo entrare in guerra con la Russia, iniziano a perdere colpi.
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Siamo marxisti, oltre il produttivismo c’è di più
di Fabio Ciabatti
Kohei Saito, Marx in the Anthropocene: Towards the Idea of Degrowth Communism, Cambridge University Press, 2023, edizione Kindle, pp. 278, € 25,48
Il rapporto tra ecologia e marxismo non è mai stato molto semplice. I verdi si sono spesso cullati nell’illusione di uno sviluppo sostenibile compatibile con il capitalismo o hanno pensato l’ambientalismo come una sorta di terza via tra capitalismo e comunismo. Ci sarebbe bisogno di una buona dose di critica dell’economia politica per svegliarsi da questi pallidi sogni, ma la diffidenza ha spesso prevalso nei confronti del pensiero di Marx perché considerato intriso di produttivismo e dunque una sorta di gemello diverso del moderno sviluppo ecologicamente devastante.
La domanda sorge spontanea: Marx era davvero un produttivista? La risposta potrebbe sembrare scontata perché per il materialismo storico, comunemente inteso, lo sviluppo delle forze produttive rappresenta il lato positivo della storia che, arrivato ad un certo punto, rompe la gabbia dei rapporti di produzione e consente di passare ad un modo di produzione più progredito. Questo è accaduto con il passaggio dal feudalesimo al capitalismo e lo stesso accadrà quando il capitalismo sarà soppiantato dal comunismo. È incontrovertibile che Marx abbia sostenuto queste posizioni. Ma è tutto qui?
Kohei Saito, marxista giapponese che ha goduto di una inaspettata fama tra il grande pubblico del suo paese, sostiene che oltre il produttivismo c’è di più. Nel suo Marx in the Anthropocene: Towards the Idea of Degrowth Communism, argomenta che nella biografia intellettuale del rivoluzionario tedesco è possibile trovare le tracce di uno sviluppo teorico che pone le premesse, come indica il titolo del libro, di un comunismo della decrescita. Una tesi senz’altro originale e radicale che vale la pena di conoscere, anche al di là dei suoi possibili aspetti problematici.
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L'UE non riesce a sganciare l'America Latina dalla Russia per portarla nella sua orbita
di Fabrizio Verde
Il sud globale ha una visione del mondo nettamente differente dal nord come si è visto plasticamente dalle differenze emerse rispetto al conflitto in Ucraina nel vertice UE-Celac.
L’Europa trascinata nel conflitto contro la Russia da Washington e che al contempo ha iniziato a rivaleggiare anche con la Cina, ancora per volontà degli Stati Uniti, ha un disperato bisogno di alleati.
Per questo motivo la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha fatto del suo meglio per "catturare il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva nella sua rete" lunedì mattina a Bruxelles, come evidenzia la Süddeutsche Zeitung.
Nel corso di una conferenza stampa congiunta, la von der Leyen non ha lasciato dubbi sul fatto che consideri il brasiliano "uno dei più stretti amici dell'Europa" e sulla sua soddisfazione per il fatto che dal gennaio di quest'anno Lula sia tornato alla guida del Brasile al posto del populista di destra Jair Bolsonaro. Il capo della Commissione Europea "ama sostenere grandi parole con grandi somme di denaro", quindi ha "messo sul tavolo" 45 miliardi di euro, ovvero quanto l'UE intende investire in America Latina e nei Caraibi entro il 2027. Ciò avverrà nell'ambito di un'iniziativa chiamata Global Gateway, attraverso la quale l'UE intende promuovere progetti infrastrutturali in tutto il mondo ed espandere così la propria influenza.
Lula ha ringraziato e sorriso affabilmente. "Ma è rimasto davvero colpito?”, si chiede la pubblicazione tedesca.
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L’ideologia nelle bolle
Giulio Pignatti intervista Damiano Palano
Cosa ne è delle ideologie all’epoca del populismo, della disintermediazione e del dissolvimento dei partiti di massa? Un recente convegno, Cosa resta dell’ideologia? Concetti, teorie, metodi di ricerca, organizzato dagli Standing group “Teoria Politica” e “Politica e Storia” della Società Italiana di Scienza Politica e tenutosi alla sede di Brescia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore il 4 e 5 maggio 2023, ha discusso, tramite l’apporto di metodi e discipline differenti, la permanenza e l’evoluzione delle ideologie politiche nei contesti contemporanei. Dopo l’intervista a Manuel Anselmi dedicata alle ideologie politiche e al loro rapporto col populismo, qui di seguito l’intervista a Damiano Palano, co-organizzatore del convegno, professore ordinario di Filosofia politica e direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Le sue linee di ricerca più recenti vertono sulle trasformazioni delle democrazie contemporanee e sull’ascesa dei populismi. Tra le ultime pubblicazioni: Animale politico. Introduzione allo studio dei fenomeni politici (Scholé 2023), Democracy and disintermediation. A dangerous relationship (EduCatt 2022, curato con Antonio Campati), Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione (Scholé 2020) e La democrazia senza partiti (Vita e Pensiero 2015).
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Il contesto politico in cui si muovono le nostre società occidentali è quello che, in un fortunato libro del 2020, lei ha definito “bubble democracy”. Che cosa si intende con questa categoria?
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ChatGPT e model collapse. AI che si addestrano su dati generati da AI
di Redazione
Modelli AI che si addestrano su dati raccolti in rete generati da precedenti modelli AI: uno studio mostra come il conseguente ‘collasso del modello’ porterà a distorsioni della realtà
“Fino a oggi, la maggior parte del testo online è stato scritto da esseri umani. Ma questo testo è stato usato per addestrare GPT-3 e GPT-4, che sono apparsi come assistenti di scrittura nei nostri strumenti di editing. Quindi sempre più testo sarà scritto da grandi modelli linguistici (LLM). Dove porta tutto questo? Cosa succederà a GPT-{n} quando gli LLM contribuiranno alla maggior parte del linguaggio trovato online?” Se lo domanda Ross Anderson, professore di security engineering all’Università di Cambridge e all’Università di Edimburgo, sul suo blog (1), e continua: “E non si tratta solo di testo. Se si addestra un modello musicale su Mozart, ci si può aspettare un risultato che assomiglia un po’ a Mozart ma senza la sua brillantezza – chiamiamolo ‘Salieri’. E se Salieri addestra la generazione successiva, e così via, come suonerà la quinta o la sesta generazione?”
Anderson è uno degli autori del paper The Curse of Recursion: Training on Generated Data Makes Models Forget pubblicato il 27 maggio scorso nell’archivio open access ArXiv (2). E sottolinea nel suo blog: “Nel nostro ultimo lavoro, dimostriamo che l’utilizzo nell’addestramento di contenuti generati da un modello precedente provoca difetti irreversibili. Le code della distribuzione originale dei contenuti scompaiono. Nel giro di poche generazioni, il testo diventa spazzatura, poiché le distribuzioni gaussiane convergono e possono persino diventare funzioni delta. Chiamiamo questo effetto model collapse (collasso del modello). Così come abbiamo disseminato gli oceani di rifiuti di plastica e riempito l’atmosfera di anidride carbonica, stiamo per riempire Internet di blah. […] Dopo aver pubblicato questo articolo, abbiamo notato che Ted Chiang aveva già commentato l’effetto a febbraio, osservando che ChatGPT è come una jpeg sfocata di tutto il testo presente su Internet, e che le copie delle copie peggiorano. Nel nostro articolo analizziamo la matematica, spieghiamo l’effetto in dettaglio e dimostriamo che è universale”.
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Ritorno al futuro (anteriore)
di Vincenzo Di Mino
In questo contributo Vincenzo Di Mino discute due libri: Finalmente è giovedì! 8 ragioni per scegliere la settimana corta di Pedro Gomes (Laterza, 2022) e Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita di Francesca Coin (Einaudi, 2023)
Lo spirito del tempo, spesso e volentieri, si cristallizza negli elementi della cultura pop. Negli ultimi mesi i canali mediatici sono stati affollati di contenuti da parte di un «creator» che, presentando in maniera cinica e sarcastica le quotidiane disavventure sul posto di lavoro, ha rimesso sul piatto un tema di stretta attualità. Attraverso la comicità, infatti, queste immagini descrivono le attuali condizioni della forza-lavoro e della prestazione lavorativa e propongono come alternativa la fuga dal lavoro. E, nella società globale dello spettacolo continuo, egli è riuscito a veicolare un messaggio tanto sconvolgente (per l’opinione pubblica) quanto semplice: rifiutare il lavoro, inteso come vera e propria «schiavitù». Prima di essere un messaggio politico, questi sketch invitano a riprendersi la vita, a uscire fuori dalla routine e dallo stress delle tempistiche intensive e continuative del lavoro. Cum grano salis si può dire che essi sono il manifesto di una generazione che, lontana dalle ideologie e ancora più lontana da un sentire politico, vuole rimettere al centro del discorso i propri bisogni e non le esigenze della società. Può diventare dunque utile, interessante e necessario riportare questo tipo di discorsi entro il perimetro della critica politica, e rapportarla alle dimensioni materiali della composizione di classe. Da venti e passa anni, infatti, il piagnisteo delle corifee di sinistra sulla precarietà, sulle fughe di cervelli e sullo smantellamento del welfare state hanno completamente perso di vista il terreno soggettivo della composizione, omettendo sia la loro partecipazione attiva- via governo o via opposizione- all’implementazione di questi processi legislativi, e neutralizzando le potenzialità del conflitto.
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Alle origini del capitalismo
di Paolo Tedesco
Jairus Banaji ricostruisce la genealogia del modello di produzione basandosi sulla sfera commerciale. È una prospettiva che ci aiuta a capire meglio la globalizzazione e che ci mette al riparo da modelli semplicistici e unilineari
Il libro di Jairus Banaji A Brief History of Commercial Capitalism, pubblicato per la prima volta nel 2020, si propone di scoprire le profonde radici storiche dello sviluppo capitalista. Il libro tocca importanti dibattiti teorici, soprattutto all’interno della tradizione marxista, sulle origini del capitalismo.
Il lavoro di Banaji mette in discussione diverse narrazioni radicate sulla storia economica globale, tra cui la visione di un Medioevo economicamente regressivo e l’idea di una transizione lineare verso la modernità. Le immagini che Banaji tratteggia attraverso una serie mozzafiato di casi esemplari da tutto il mondo che abbracciano quasi un millennio, sollevano molte questioni fondamentali per chiunque voglia capire come è nato il sistema economico mondiale e come potrebbe continuare a svilupparsi in futuro.
A Brief History of Commercial Capitalism ha già avuto un grande impatto nel mondo della ricerca e ha attirato molte risposte dai colleghi storici di Banaji. Ma dovrebbe essere di grande interesse anche per i non specialisti. In questo testo, prima di analizzare la discussione che il libro ha provocato, farò un breve riassunto del background intellettuale di Banaji e degli argomenti chiave che attraversa.
Capitalismo commerciale
Jairus Banaji è nato a Poona nel 1947, l’anno in cui l’India ha ottenuto l’indipendenza, e ha studiato in Inghilterra prima di tornare nel suo paese natale per diventare un attivista politico.
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Vincere la pace
di Alfonso Gianni
Parafrasando un detto tratto dal mondo dello spettacolo possiamo purtroppo dire che “the war goes on”, la guerra continua con il suo carico crescente di morti, di distruzioni, di barbarie rendendo il pericolo di una guerra nucleare generalizzata sempre più prossimo. Le lancette del Doomsday Clock – l’orologio della apocalisse, l’orologio virtuale nato da una iniziativa degli scienziati di Chicago nel 1947 per misurare quanto manca alla fine del mondo – stanno per sovrapporsi, solo 90 sono i secondi che le separano. Ma non tutto continua nello stesso modo, anche se siamo ben lontani dal profilarsi di una via d’uscita dal conflitto russo-ucraino. Tra gli elementi di novità che, qualunque sia la valutazione che se ne vuole dare, costringono ad ulteriori riflessioni, se ne pongono in evidenza due, che più diversi tra loro non potrebbero essere, “riuniti” solo dalla sostanziale contemporaneità temporale con la quale si sono manifestati. La ribellione – per comodità chiamiamola così – di Evgenij Prigozhin contro i ministri della guerra di Putin, da un lato e, dall’altro, la missione del Cardinale Matteo Zuppi, su mandato di papa Francesco, sia in Ucraina che in Russia. Entrambi gli eventi sono sottoposti a diverse e contrastanti interpretazioni sia per quanto riguarda i loro reali intenti che i loro effettivi esiti, nonché sulle conseguenze che ne verranno.
La “marcia” su Mosca della Wagner
Dubito che possa esistere, allo stato dei fatti, un’interpretazione univoca di quali fossero le reali intenzioni di Prigozhin e sul perché le cose siano andate in un certo modo. Come sempre in questi casi fioriscono le letture più svariate, le dietrologie più fantasiose, le previsioni più azzardate.
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Guerra in Europa e “ordine internazionale” NATO
di Gaetano Colonna
Presentiamo qui di seguito il testo dell’intervento che Gaetano Colonna ha tenuto, il 12 luglio 2023, all’incontro Pace e Guerra in Europa, ospitato dall’Associazione Liberamente, tenutosi a Montemiele (PU). Buona lettura
Ringrazio gli organizzatori non solo per avermi invitato ma anche per avere proposto questo tema. È un ringraziamento non formale il mio, perché oggi ci vuole del coraggio ad organizzare iniziative di questo genere, dove appunto si parla di temi scomodi. Questo già di per sé distingue chi ha organizzato questo evento da tutto il resto, ed è un fatto fondamentale perché, lo abbiamo provato nelle scuole, lo abbiamo provato in altre occasioni, si fa veramente una gran fatica a contrastare il sistema mediatico, che continua a non raccontarci la verità o addirittura a propinarci menzogne.
Io parto dal fatto che ieri, 11 luglio 2023, la NATO, nella riunione di Vilnius, ha emanato un lungo comunicato, quindi una posizione politico-strategica, di circa 22 pagine: un Comunicato (che potete leggere qui) che francamente mi ha fatto una certa impressione, perché è a mio avviso quella che possiamo definire una dichiarazione di guerra vera e propria.
Credo che sia un fatto molto importante, dal momento che il nostro è un Paese inserito nella NATO fino dal 1949, ed io non ho difficoltà a dire che gran parte della responsabilità di quello che sta accadendo nell’Europa orientale è legata all’attività di questo organismo internazionale, che, proprio nel comunicato di Vilnius, dice una cosa che, se è una novità solo fino a un certo punto per i cosiddetti addetti ai lavori, è una novità fondamentale in senso più generale: la NATO sta in questo momento costruendo un collegamento con le analoghe organizzazioni di indirizzo anglosassone, in particolare statunitense, presenti in aree strategiche mondiali come l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico.
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DIARIO DELLA CRISI | Sulla presunta crescita dell’economia italiana. Guardare la luna o il dito?
di Andrea Fumagalli e Roberto Romano
In questa tredicesima puntata del “Diario della crisi” – progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi ed El Salto – Andrea Fumagalli e Roberto Romano analizzano i fattori che hanno trainato l’economia italiana negli ultimi due anni per capire se si tratta di percorsi di crescita sostenibili frutto della ristrutturazione strategica dell’economia o se sono dovuti all’impatto di specifiche misure economiche, alcune delle quali (reddito di cittadinanza, aiuti all’edilizia sostenibile) sono in fase di smantellamento da parte del governo di Giorgia Meloni. A fare da sfondo a questo quadro è l’incapacità dei governi di trovare modelli di sviluppo minimamente adeguati alla gravissima crisi sociale e ambientale sistemica e al permanere di gravissime e intrattabili situazioni di disuguaglianza.
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Premessa
Negli ultimi mesi, i giornali mainstream e pro-governo hanno più volte sottolineato come a partire dalla ripresa post-sindemia l’economia italiana abbia avuto un andamento di gran lunga migliore dei principali partner europei, a partire dalla Germania e della Francia. Più recentemente, la prima ministra Meloni ha affermato con tono trionfale davanti alla platea di Assolombarda che l’economia italiana ha raggiunto livelli di crescita e occupazionali come mai negli anni precedenti. L’occupazione ha addirittura raggiunti i livelli del 2009.
Marco Fortis, in più articoli fotocopia, pubblicati a distanza di poche settimane, su Il Riformista e su Il Sole 24 ore, si lascia andare a manifestazioni di puro entusiasmo: “Negli ultimi tre anni l’economia italiana ha letteralmente battuto ogni previsione e spiazzato ogni genere di “gufi” e di profeti di sventura, salvo qualche ostinato irriducibile.
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Filosofie della simulazione: le “più realtà” di Chalmers
di Roberto Paura
Il filosofo della mente David Chalmers sul tema della realtà virtuale e l’argomento della simulazione
Sono trascorsi esattamente trent’anni tra l’uscita del ponderoso tomo di David Chalmers Più realtà (2022 nell’edizione originale) e due testi che nel 1992 provarono a riflettere sulle conseguenze filosofiche e sociali della realtà virtuale: Reale e virtuale di Tomás Maldonado e Mondi virtuali di Benjamin Woolley. Lettrici e lettori ci scuseranno dunque se nella prima parte di questo articolo, anziché entrare da subito nel discorso dell’ultima fatica di Chalmers, noto filosofo della mente che già da tempo lavora sul tema della simulazione, cercheremo innanzitutto di capire cosa sia successo in questi trent’anni nel discorso sulla realtà virtuale (VR).
Le estati e gli inverni della VR
Nel discorso tecnologico possiamo usare per la VR alcuni elementi caratteristici del discorso sull’intelligenza artificiale (IA). Entrambi sono caratterizzati dal succedersi di cicli di hype e di “inverni”: gli studiosi riconoscono due “inverni dell’IA”, rispettivamente negli anni Settanta e nel periodo a cavallo tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima metà dei Novanta, in cui a facili entusiasmi seguirono altrettante delusioni e frenate; i cicli di hype sono stati invece, finora, tre: quello inaugurato dalla celebre conferenza di Dartmouth (1956), in cui si credeva di poter risolvere i principali problemi dell’IA entro “un semestre”, sulla scorta del già da tempo scricchiolante edificio della logica simbolica; quello degli anni Ottanta, con lo sviluppo dei sistemi esperti e i primi esperimenti di reti neurali; quello a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, con la rivoluzione del machine learning consolidata poi dall’accesso all’immenso oceano dei Big Data per addestrare gli algoritmi evolutivi (Russell e Norvig, 2021).
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Zelensky alle corde ed Europa umiliata: a Vilnius trionfano Erdogan e Biden
di Gianandrea Gaiani
Il summit della NATO a Vilnius ha evidenziato i possibili sviluppi del conflitto in Ucraina e ha fornito un quadro brutale ma realistico dell’assetto strategico che si sta configurando in Europa le cui conseguenze saranno misurabili nel tempo.
Nella capitale lituana la NATO ha “congelato” l’ingresso dell’Ucraina rimandandolo a data da destinarsi, come volevano gli USA e la gran parte degli Stati membri contrastati in parte dai britannici e soprattutto da polacchi e baltici che avrebbero preferito la definizione di un preciso percorso di adesione di Kiev oltre a un più rapido e massiccio invio di aiuti militari (nella foto sotto un autobus di Vilnius).
“Saremo in grado di estendere un invito all’Ucraina ad aderire all’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte” si legge nella dichiarazione conclusiva del vertice. Un esito previsto, voluto dagli Stati Uniti ma anche da quasi tutti i membri della NATO che non intendono imbarcare l’Ucraina finché è in guerra con la Russia, neppure con una road-map che stabilisca i tempi per l’ingresso di Kiev.
In conferenza stampa il segretario generale, Jens Stoltenberg, ha provato a spiegare che l’Ucraina porta a casa un successo rispetto alla dichiarazione di Bucarest del 2008, quando la NATO aprì sulla carta le porte a Kiev (ma la guerra con la Russia non era immaginabile) perché oggi è previsto un avvicinamento all’Alleanza Atlantica basato sui passi avanti che farà l’Ucraina in termini di riforme politiche, sociali ed economiche e di interoperabilità militare con le forze armate dei paesi della NATO.
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Due città, due insurrezioni e la profezia di List che si realizza
di Alastair Crooke per Strategic Culture
Il caos che gli "esperti" occidentali si aspettavano, "con libidinosa eccitazione", si sarebbe scatenato in Russia ("con la certezza che i russi... avrebbero ucciso i russi" e con Putin "probabilmente nascosto da qualche parte") – è arrivato.... ma è esploso in Francia - dove non era previsto - con Macron e non Putin alle corde.
C'è molto da riflettere da questa interessante inversione delle aspettative e degli eventi – da un racconto di due insurrezioni molto diverse:
Sabato pomeriggio, dopo che Prigozhin aveva raggiunto Rostov, negli Stati Uniti si è diffusa la notizia che il leader della Wagner aveva raggiunto un accordo con il Presidente Lukashenko per porre fine alla sua protesta e andare in Bielorussia. Si è così conclusa una vicenda sostanzialmente incruenta. Non c'è stato alcun sostegno per Prigozhin, né da parte della classe politica né da parte dell'esercito. L'establishment occidentale è rimasto sbigottito; le sue aspettative sono state inspiegabilmente distrutte nel giro di poche ore.
Altrettanto scioccanti per l'Occidente sono stati i video provenienti da Parigi e dalle città di tutta la Francia. Auto in fiamme, stazioni di polizia ed edifici comunali in fiamme, polizia attaccata e negozi ampiamente saccheggiati. Erano scene, come se fossero state prese dalla "Caduta di Roma imperiale".
Alla fine, anche questa insurrezione è svanita. Tuttavia, non è stato come l'ammutinamento di Prigozhin, conclusa con una dimostrazione di sostegno allo Stato russo in sé e al Presidente Putin in persona.
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Un anatema per il femminismo
di Clare Daly
«Il femminismo è stato spietatamente cooptato dal complesso industriale militare…. Ma la guerra e il militarismo sono un anatema per il femminismo…. Chiunque sostenga un “militarismo femminista” sta abusando del femminismo, sta sfruttando spietatamente gli anni di lavoro e impegno femminista…. La Nato sembra aver preso una decisione molto calcolata di commercializzarsi in modo diverso, e il linguaggio dell’uguaglianza di genere era proprio ciò di cui aveva bisogno…. Ma non esiste militarismo femminista. Puoi incollare un paio di pinne a un cane e chiamarlo pesce, ma è pur sempre un cane, anche se ha un aspetto piuttosto stupido…. Tutto questo è profondamente, profondamente distruttivo. È anche incredibilmente cinico, assolutamente osceno. Ma è quello che fanno i capitalisti. Prendono tutto ciò che è buono e lo riducono in polvere…. Quindi non possiamo essere timide su questo….». Dal discorso di Clare Daly, parlamentare europea irlandese (gruppo Gue/Ngl), durante le giornate di protesta internazionale promosse a Bruxelles dal 6 al 9 luglio dalle Donne globali per la pace.
Le giornate di protesta internazionale promosse dalle Donne globali per la pace, che si sono svolte a Bruxelles dal 6 al 9 luglio, hanno preso avvio dalla presentazione della Dichiarazione al parlamento europeo da parte di Skevi Koukouma (Segreteria generale del movimento delle donne POGO) e di Ulla Klotzer (Women for Peace Finland). Nelle pagine che seguono si può leggere in traduzione italiana il discorso della deputata irlandese Clare Daly del gruppo Gue/Ngl (a sinistra nella fotografia), dedicato al tema della inconciliabilità del militarismo con il femminismo. Un puntuale resoconto degli eventi dei giorni successivi sarà pubblicato su Comune-info a breve. [Bruna Bianchi]
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L’insostenibile pesantezza del non essere
di Fosco Giannini
Morte di Milan Kundera: l’egemonia della cultura liberale rilancia il più insipiente dei romanzi: “L’insostenibile leggerezza dell’essere”
“De mortuis nihil nisi bonum” (dei morti niente si dica se non il bene) è una famosa frase idiomatica contenuta nell’opera “Vita e opinioni di filosofi eminenti” che lo storico greco Diogene Laerzio, autore dell’opera, attribuisce a Chilone, uno dei sette saggi di Sparta. La locuzione è importante poiché, assieme, svolge sia il ruolo di rivelazione di una già vigente cultura, di un senso comune, volti alla venerazione, al rispetto dei morti (siamo circa a 200 anni dopo Cristo) che quello di propagazione del culto e persino dell’enfatizzazione della vita e delle opere dei morti. Un’enfatizzazione spesso così tanto vicina alla distorsione della realtà da spingere il giornale “Vita cattolica.it”, il 20 maggio 2016, in relazione alla morte di Marco Pannella a scrivere: “Non sempre «De mortuis nihil nisi bonum». A volte è meglio tacere”.
Lo scorso 11 luglio, a Parigi, a 94 anni, è morto lo scrittore ceco Milan Kundera, autore – come hanno ricordato tutti i media attraverso una grancassa mediatica rivolta ad una nuova, acritica, celebrazione dell’opera – de “L’insostenibile leggerezza dell’essere”. Diversi giornali e telegiornali (tra i più enfatici il TG La7) hanno proclamato sul campo Milan Kundera “uno dei più grandi scrittori della seconda metà del ‘900 e “L’insostenibile leggerezza dell’essere” “tra i più grandi romanzi dell’intero ’900”. Rilanciando in pieno, attraverso questo discutibile stile di lavoro, la retorica insita nell’asserzione apodittica “de mortuis nihil nisi bonum” dell’antico Chilone. Un’asserzione apodittica, lo abbiamo già visto, per la quale anche la cultura cattolica contemporanea chiede più sorveglianza etica e culturale.
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Cronache marsigliesi /8: la guerra civile in Francia. Un tentativo di bilancio
Emilio Quadrelli intervista M. R.
La rivoluzione è un’ideologia che ha trovato delle baionette. (N. Bonaparte)
I fuochi della rivolta si sono, almeno momentaneamente, sopiti. Con questo articolo cerchiamo di comprendere che cosa i sei giorni di rivolta hanno determinato e quali scenari si vanno delineando. L’articolo si compone di tre interviste rilasciate da attori sociali, già ascoltati in precedenza, che in virtù della loro militanza politica possono vantare un qualche legame con il “popolo dei quartieri”. La nostra interazione con le interviste è stata minima ripromettendoci, in un successivo articolo, di tentare una lettura politica di quanto andato in scena. Una lettura che, senza una base empirica, diventa puro esercizio retorico. “Solo chi fa inchiesta, ha diritto di parola” e a partire da Mao, ma si potrebbe aggiungere tranquillamente da tutta la storia dello “operaismo”, abbiamo cercato in tutti i nostri articoli di mantenere questa “linea di condotta”.
Diamo pertanto, senza fronzoli di troppo, la parola a M. R., operaio precario dell’edilizia attivo nel Collectif Chomeurs Precaries.
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Che percezione c’è nei “quartieri” a Marsiglia dopo la rivolta?
Allora, in linea di massima, c’è un senso di soddisfazione abbastanza generalizzata. Questo è ampiamente comprensibile perché, almeno per sei giorni, i “quartieri” sono stati in grado di riversare, e con gli interessi, ciò che abitualmente subiscono. Questo è un fatto che puoi facilmente constatare attraversando una qualunque zona ghetto. La polizia, almeno per il momento, sta tenendo un profilo basso il che rafforza l’orgoglio della banlieue anche se questa calma, più che essere la ratifica di un mutamento dei rapporti di forza, appare come la classica calma che precede la tempesta.
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La democrazia dei signori
Recensione di Alessia Franco
Luciano Canfora: La democrazia dei signori, Laterza, Roma/Bari 2022, 88 pp., Isbn 9788858147405.
L’agile volume di Canfora tenta di offrire una analisi della deriva politica (e culturale) italiana, precisando quanto sia complessa la congiuntura che la determina: trasformazioni strutturali ed economiche, nonché di autopercezione da parte dei differenti e compositi strati sociali; equilibrismi istituzionali tra la dimensione delle singole sovranità nazionali e di quanto, più in alto, l’Europa “ci chiede”; la presunta esigenza di snellire le normali procedure costituzionali tendendo, attraverso eccezioni sempre più frequenti e consolidate - complice la prolungata situazione di emergenza determinata dalla pandemia di Covid-19 - di accentramento di potere legislativo nelle mani dell’esecutivo; l’intreccio amaro di propositi e necessità, come far funzionare l’apparato dello Stato e tutti i settori pubblici mentre, nel contempo, ci viene imposto di tagliare la spesa pubblica e smantellare quanto resta dello Stato sociale, considerato insieme alla Costituzione un asfittico residuo di altre epoche. La chiave di lettura che Canfora tiene presente e sovente ricorda a chi legge, è la complessa relazione tra la dimensione nazionale e quella internazionale del problema politico; la causa occasionale dell’analisi è offerta dal governo Draghi, e dall’anomalia, gravida di implicanze e conseguenze, che esso ha costituito rispetto al nostro quadro costituzionale.
Tra le categorie politiche che Canfora mette in discussione teoricamente e poi dimostra insufficientemente realizzate nella pratica contemporanea, c’è quella del “suffragio universale”.
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La diplomazia russo-cinese riporta la Pace laddove gli USA avevano seminato la guerra
Russia e Cina hanno avviato una vera e propria rivoluzione diplomatica
di Francesco Cappello
Mentre la diplomazia dell’Unione europea, per bocca di Joseph Borrell, che aveva definito le autorità di Mosca “regime fascista”, dichiara l’Europa un “giardino” e il resto del mondo una “giungla”, nel resto del mondo Russia e Cina hanno avviato una vera e propria rivoluzione diplomatica.
Ecco la dichiarazione di Borrell proferita nel corso dell’inaugurazione a Bruges del nuovo programma di studi dell’Accademia diplomatica europea che dovrebbe formare i futuri diplomatici della Ue:
«Sì, l’Europa è un giardino. Abbiamo costruito un giardino. Tutto funziona. È la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità sia riuscita a costruire: le tre cose insieme (…) La maggior parte del resto del mondo è una giungla e la giungla potrebbe invadere il giardino. I giardinieri dovrebbero occuparsene, ma non proteggeranno il giardino costruendo muri. Un bel giardinetto circondato da alte mura per impedire l’ingresso della giungla non sarà una soluzione (…) I giardinieri devono andare nella giungla. Gli europei devono essere molto più coinvolti con il resto del mondo. Altrimenti il resto del mondo ci invaderà, in modi e mezzi diversi (…) questa guerra è stata un’occasione per l’Unione europea di essere più assertiva e di spingere per la creazione di una posizione europea – dal lato della politica estera e anche dal punto di vista militare e di difesa».
e la Dichiarazione congiunta sulla cooperazione UE-NATO del 10 gennaio:
L’Occidente unito «mobiliterà ulteriormente l’insieme degli strumenti a nostra disposizione, siano essi politici, economici o militari, per perseguire i nostri obiettivi comuni a beneficio del nostro miliardo di cittadini».
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Come spiegare la guerra in Ucraina?
di Sergio Farris
Come sappiamo, il 24 febbraio 2022 la Federazione russa ha dato inizio a un’invasione militare dell’Ucraina.
Fin dal principio, la visione prevalente del conflitto diffusa dai politici e dai mezzi di comunicazione occidentali ha abbracciato una teoria che si sposa con il liberalismo. Entro un certo limite, questo è comprensibile. Era persino prevedibile. Come abbiamo già scritto sulle pagine di questo sito, un sistema di valori e di istituzioni tende naturalmente a ricercare conferma della propria bontà, ponendosi magari in controluce rispetto a sistemi che deve considerare alteri.
Nelle considerazioni che seguono, si cercherà di dar conto dell’interrogativo in oggetto alla luce di due fra le maggiori scuole di pensiero delle relazioni internazionali: liberalismo e realismo. (1)
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Il liberalismo connota le cosiddette ‘democrazie occidentali’.
La locuzione liberal-democrazia definisce un sistema-paese dove si tengono periodicamente elezioni ‘libere’ dei rappresentanti politici e dove sussistono garanzie giuridiche dei diritti individuali. Lo stato è considerato invasivo della sfera personale, pertanto il potere pubblico deve soggiacere al diritto e non deve essere esercitato in modo arbitrario.
Se si prova ad applicare il liberalismo alle relazioni internazionali, anche in tale disciplina emerge la sua matrice individualistica.
Nell’ambito delle relazioni internazionali, il liberalismo si riferisce al modo mediante il quale le istituzioni, i comportamenti e i legami economici temperano e contengono il potere degli stati.
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“Ur dei Caldei” e il prestito del Tempio. Cronache marXZiane n. 12
di Giorgio Gattei
1. Dove eravamo rimasti? Che prima dei Babilonesi in quello stesso lembo di terra tra il Tigri e l’Eufrate avevano abitato i Sumeri e sono stati costoro ad aver dato il via, 5000 anni fa, ad una intera economia centrata sul prestito ad interesse. Insomma, ai Sumeri non spetterebbe soltanto quella “rivoluzione urbana” che ha attribuito loro Gordon Childe nel 1950 (a fare il paio con la successiva Rivoluzione industriale britannica del XVIII secolo), ma ben di più se, insieme alle città, essi avrebbero inventato addirittura la finanza (O. Bulgarelli, La finanza… esisteva già nel III millennio a. C.?, in Bancaria”, 2015, n. 12 e più in dettaglio Moneta ed economia nella antica Mesopotamia (III-I millennio a.C.), in “Rivista trimestrale di diritto dell’economia”, 2009, n. 3, supplemento). Le condizioni ambientali c’erano tutte: un territorio alluvionale particolarmente fertile per cereali e bestiame, una produttività del lavoro in aumento, una popolazione in crescita che progressivamente si trasferiva dall’insediamento sparso dei villaggi in agglomerati urbani in cui le attività economiche si specializzavano facendo coesistere le abitazioni private con le botteghe artigiane e commerciali. Storicamente la città più famosa ritrovata dagli archeologi è stata «Ur dei Caldei» (come viene impropriamente chiamata nella Bibbia) che, se non proprio la prima che sembra che sia stata Uruk peraltro non distante) è stata certamente la più importante e dove ha vissuto il patriarca Abramo prima di trasferirsi, con famiglia e mandrie al seguito, nel “paese di Canaan”, ossia in Palestina.
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Una lunga estate calda
di Enrico Tomaselli
La NATO si riunisce a Vilnius, a ridosso dei confini russi, ma non può celebrare – come sperato – alcun successo ucraino; al contrario, l’incontro porta alla luce le reciproche diffidenze e divisioni e produce un nulla di fatto. Perché è sì la politica a condurre la guerra, ma ciò che accade sul campo la determina. E da lì non viene alcuna buona notizia per l’Alleanza Atlantica. Al contrario della narrazione propagandistica, si avvertono i primi scricchiolii che ne minano la stabilità.
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Uomini e munizioni
A 5 settimane dall’avvio della controffensiva ucraina, ed entrati ormai pienamente nell’estate, possiamo provare a tracciare, se non un bilancio, certamente un quadro dei trend principali.
Al netto delle solite sparate propagandistiche (“19 basi russe distrutte”, “Bakhmut sotto controllo”…), la situazione sul campo non presenta mutamenti sostanziali, come era del resto prevedibile. In mancanza della supremazia aerea, qualunque offensiva è ovviamente un azzardo, ma per quanto riguarda gli ucraini ci sono da considerare altri due fattori non meno importanti; il primo, è il deficit di artiglieria, e segnatamente di munizionamento (1), il secondo è l’insufficiente rapporto numerico tra attaccanti (ucraini) e difensori (russi).
Normalmente si considera che – a parità delle altre condizioni – sia necessario un rapporto 4:1, in favore di chi attacca. Ma attualmente la situazione lungo la linea di combattimento è diversa.
Le forze russe dislocate nelle quattro regioni ex-ucraine contano circa 250/280.000 uomini – ovviamente non tutti schierati in prima linea – mentre le forze ucraine ne schierano circa 400.000. Complessivamente, lungo i quasi 1000 km di fronte, il rapporto effettivo è di 2:1, con punte di 3:1 (nel settore di Bakhmut-Artyomovsk).
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Capitale e lavoro: un conflitto di struttura
di Roberto Romano
La relazione tra capitale e lavoro varia nel tempo e a seconda dei Paesi. Negli ultimi anni il nostro è l’unico Paese tra i fondatori dell’Unione europea in cui il risultato lordo di gestione (cioè i profitti) è sistematicamente più alto del reddito da lavoro in rapporto al Pil
Il conflitto capitale-lavoro ha una storia molto lunga. Nel tempo è cambiato il contenuto di sapere e saper fare di capitale e lavoro1; sostanzialmente il primo come il secondo sono figli della società che evolve nei diritti, nella percezione del ben-essere e, soprattutto, dei diritti di seconda generazione descritti da Norberto Bobbio2. Questi diritti sono ancora oggi un asse importante della società moderna. Certamente sono indeboliti, ma la spesa pubblica per i cosiddetti “beni di merito” (scuola, sanità, previdenza e assistenza in caso di perdita del posto di lavoro) sono una parte cospicua della spesa pubblica. I “beni di merito” dovrebbero e potrebbero essere più elevati se passasse l’idea (giusta) che le tasse sono un diritto, ma l’attuale dimensione della spesa pubblica rimane comunque importante.
Il capitale ha tratto certamente giovamento dell’intervento pubblico; anche il lavoro ha beneficiato dell’attivismo dello Stato, almeno storicamente, ma la recente struttura del capitale nazionale ed europeo registra una difficoltà di sistema importante.
La contabilità nazionale
La contabilità nazionale è fondamentale per analizzare il flusso del reddito sia dal lato della domanda e sia dal lato dell’offerta, così come è fondamentale per studiare la ripartizione dello stesso reddito tra i diversi soggetti economici. La contabilità nazionale, inoltre, permette di osservare la ripartizione del reddito. Il reddito nazionale è costituito dalla somma dei redditi da lavoro (salari e stipendi – W – al lordo dei contributi sociali), dalla rendita (R) per l’affitto di proprietà (terreni, case, ecc.), dai profitti (P) che comprendono tutte le remunerazioni non altrove classificate (interessi, dividendi, ecc.):
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Ecosistemi cognitivi
Ovvero l’individuo come rete autopoietica
di Raffaele Guarino
“Il mondo è come te lo metti in testa”
Nel film Everything everywhere all at once, la protagonista scopre l’esistenza di alcuni universi paralleli generati dopo ogni scelta avvenuta nel corso della sua vita. Ognuno di questi rappresenta una versione di lei che ha preso esattamente la decisione opposta. Attraverso una tecnologia sviluppata in uno di questi universi, Michelle Yeoh ha la possibilità di fare visita alle diverse versioni di sé e acquisirne le capacità e le competenze. Le sliding doors, come il trasferimento della mente in corpi diversi, rappresentano uno dei topoi più diffusi nel panorama fantascientifico e sono, per questa ragione, perfette rappresentazioni sia delle fantasie più diffuse che del metodo scientifico maggiormente affermato basato sulla separazione tra soggetto e oggetto. In questo caso, la trama del film è un utile stratagemma per mettere in risalto quei caratteri del pensiero che riguardano i concetti di individuo e degli universi spazio-temporali che questo attraversa. La possibilità di trasferimento della propria individualità in corpi diversi presuppone, infatti, la possibile separazione tra il processo cognitivo, affidato dall’immaginario collettivo al cervello, e la macchina motrice, ovvero il corpo. Non è un caso che nel film la tecnologia che consente il trasferimento sia un dispositivo da indossare proprio sulla testa. Da questa prospettiva, il sistema nervoso è la sede del governo centrale dell’individualità e può essere ospitato da diverse macchine corporee da utilizzare in base alle informazioni in suo possesso. In questa visione si presuppone anche che i prodotti dei processi cognitivi, come per esempio le abilità nella lotta, siano codificati in una sequenza di informazioni acquisibili da chiunque sia in grado di decifrarla.
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«Non più parole ma piogge di piombo»1. Il labirinto degli anni Settanta in libreria
di Alessandro Barile (Università “La Sapienza” di Roma)
Vi è ancora un bisogno di verità che ruota attorno al lungo Sessantotto italiano. Ne è prova la persistenza editoriale del tema, che vede storia e testimonianza - sovente uno strano ibrido tra le due - catalizzare l’attenzione di un discreto pubblico di studiosi e appassionati. A conferma dell’esistenza di un significativo interesse pubblico appaiono soprattutto le numerose ristampe e riedizioni di opere di difficile reperibilità: ad esempio i ricordi di Prospero Gallinari (Un contadino nella metropoli, Pgreco 2023, I ed. 2006) o l’operaismo di Romolo Gobbi (Com’eri bella, classe operaia, Derive Approdi 2023, I ed. 1989), che si vanno ad aggiungere ai lavori “laterziani” di Valentine Lomellini (La diplomazia del terrore, 2023; Il “lodo Moro”, 2022), al lavoro di Monica Galfrè (Il figlio terrorista, Einaudi 2022), nonché alla vasta ricostruzione di Miguel Gotor (Generazione Settanta, Einaudi 2022). Vogliamo qui concentrare l’attenzione sui ricordi di Guido Viale (Niente da dimenticare, Interno 4 edizioni 2022), e soprattutto sul discusso lavoro di Roberto Colozza (L’af- faire 7 aprile, Einaudi 2023), letto alla luce di un altro libro importante e scomparso e meritoriamente rieditato da Chiarelettere, La generazione degli anni perduti, di Aldo Grandi (2023, I ed. 2003).
I confini “politico-cronologici” degli anni Settanta si dilatano o si contraggono a seconda delle interpretazioni (e delle convenienze). Se Miguel Gotor li allunga non senza valide motivazioni («1966-1982»), Guido Viale li “decentra” con giustificazioni meno comprensibili ed esplicite («dal 1962 al 1976», p. 15). Possiamo giocare con le genealogie: se ne può individuare una di lungo respiro (il 1956 come crisi e scomposizione del marxismo italiano)2; oppure il 1962 (gli scontri di piazza Statuto a Torino, la nascita della rivista «Quaderni rossi»)3.
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Fed e BCE nel vicolo cieco della politica monetaria
di Tomasz Konicz
Breve storia delle aporie della politica borghese di crisi nella fase di transizione dell'economia globale, dalla crisi pandemica alla crisi bellica
Dalla pandemia alla guerra: l'economia mondiale non ha più pace. Sul suo sito web, "Tagesschau" vede l'economia mondiale minacciata addirittura da «crisi multiple» [*1] Ma quando si tratta di parlare delle conseguenze economiche causate dalla rapida erosione del sistema capitalistico globale, quel che ora ci si pone è la questione di sapere se abbia un qualche senso parlare di crisi economica pandemica o di crisi economica bellica; o se piuttosto non sia invece più appropriato comprendere gli shock economici che si susseguono come delle fasi di quello che è un solo e unico processo di crisi sistemica. In ogni caso - nella sua ultima analisi dell'economia globale - la Banca Mondiale ha dovuto rivedere, in maniera significativa e al ribasso, le sue precedenti previsioni di crescita [*2]. Secondo le ultime previsioni, quest'anno l'economia globale dovrebbe crescere solo del 2,9%, mentre invece a gennaio, l'attesa per la Banca Mondiale, corrispondeva ancora al 4,1%. Se così fosse, ciò significherebbe arrivare quasi a dimezzare lo slancio economico globale, il quale, nel 2021, grazie alle gigantesche misure di stimolo economico finanziate dal debito di molti Stati, era arrivato a registrare un enorme aumento del 5,7%. Per molti Paesi in via di sviluppo ed emergenti, i quali possono arrivare ad avere stabilità sociale solo attraverso alti tassi di crescita, un tale rallentamento economico è già di per sé pericoloso, soprattutto se visto in un contesto di impennata dei prezzi dei generi alimentari. Inoltre, la Banca Mondiale ha messo in guardia a proposito del crescente rischio di un periodo prolungato di stagflazione, simile alla fase di crisi avuta negli anni '70, allorché la stagnazione economica veniva a essere accompagnata anche da un'inflazione a due cifre (a tal proposito si veda anche: "Ritorno alla stagflazione?" [*3]).
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E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
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A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
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Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
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Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
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Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto