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TAV fra debito pubblico e profitto privato
di Marco Cedolin
Se esiste un campo nel quale l’Italia da sempre eccelle, questo è costituito dal foraggiare la grande imprenditoria privata sovvenzionandola a vario titolo ed in varia misura per mezzo del denaro pubblico. Praticamente la totalità delle grandi imprese italiane, FIAT su tutte, sono diventate tali grazie alle sovvenzioni statali che hanno permesso loro di sbaragliare la concorrenza non sovvenzionata ed accumulare profitti altrimenti impensabili.
L’esempio del Gruppo Benetton che da tempo sta ottenendo cospicui utili tramite la gestione disinvolta di parte della rete autostradale italiana, costruita per mezzo del denaro dei contribuenti, sembra destinato ad essere ricalcato anche in ambito ferroviario.
Il Presidente delle FS Innocenzo Cipolletta, durante la registrazione del programma tv “Economix” di Rai Educational, si è espresso in maniera adamantina lasciando intuire al di là di ogni ragionevole dubbio quale sarà il futuro del sistema ferroviario italiano.
Cipolletta, dopo avere affermato che gli aumenti dei biglietti ferroviari continueranno anche in futuro, ha precisato che il gettito derivante da tali aumenti non si tradurrà in miglioramenti del servizio, bensì sarà destinato in larga parte a compensare il disavanzo, pagare gli interessi alle banche e sanare i buchi di bilancio del passato.
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Nuovo municipalismo e vecchi merletti
di Cosimo Scarinzi
L'esperienza del movimento No-Tav a confronto con quella del sindacalismo di base e dei nuovi movimenti sociali. Una riflessione necessaria
Mi è sovente capitato di rilevare che ogni accadimento sociale rilevante è interpretato da ogni soggetto politico in qualche misura coinvolto, e la considerazione vale, questo va da sé, anche per chi scrive, sulla base di paradigmi sedimentati nel tempo oltre che, ovviamente, di personali propensioni, pregiudizi, convincimenti non necessariamente pienamente consapevoli.
Non voglio, sulla base di questa banale considerazione, negare la funzione di rottura, innovazione, produzione, in senso positivo o negativo, di crisi dei movimenti sociali stessi, al contrario, ma porre l'accento su di una dialettica complessa ed interessante che contribuisce alla trasformazione e ridefinizione della prassi intesa, compiutamente, come attività volta alla trasformazione e, perché negarlo?, al sovvertimento dell'esistente.
Credo che quanto ho sinora affermato valga in maniera evidente, per stare all'oggi, per il movimento No Tav. Una mobilitazione di massa, fortemente legata ad una vicenda locale ma capace di porre problemi generali, nella quale si è intrecciata la difesa dell'ambiente e quella delle libertà politiche e sindacali, la discussione su chi avesse titolo per decidere sulle scelte che riguardano una popolazione e quella sulla struttura della spesa pubblica è, nei fatti, un vero e proprio laboratorio sociale che suscita passioni, energie, speranze, reti di relazioni a livello nazionale ed internazionale.
Per me, senza attribuire troppo peso ai miei convincimenti ed alle mie vicende, è stato assolutamente rilevante l'occasione che ho avuto di riflettere sulla dialettica fra settori della comunità scientifica e movimenti, sul rapporto fra contraddizioni interne alla classe politica e spazi che si aprivano all'azione di massa, sull'intreccio fra movimento dei lavoratori e questione ambientale, sul nesso fra rivendicazione di tradizioni ed identità locali e apertura al confronto con soggettività ed esperienze diverse.
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La questione palestinese. La tragedia di essere vittima delle vittime
di Danilo Zolo
E.W. Said, The Question of Palestine, Vintage Books, New York 1992, trad. it. La questione palestinese. La tragedia di essere vittima delle vittime, Gamberetti Editrice, Roma 1995, ISBN 88-7990-038-2
La questione palestinese di Edward W. Said è un libro bello e utile, al pari di Orientalismo, l'opera che ha reso celebre questo professore statunitense di origine palestinese che insegna letteratura comparata alla Columbia University di New York. Si tratta di una delle pochissime 'interpretazioni palestinesi' della storia della Palestina di cui la cultura occidentale disponga.
Scritto circa vent'anni fa, il libro continua ad offrire elementi di riflessione di grande rilievo e di una sorprendente attualità. Ci aiuta a cogliere in profondità le ragioni storiche di ciò che oggi sta accadendo in Palestina: il definitivo fallimento degli accordi di Oslo e della 'mediazione' statunitense, l'esplosione della nuova Intifada che ha ormai come obiettivo l'indipendenza di tutto il popolo palestinese, la devastazione di ciò che resta di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme-est dopo trentacinque anni di occupazione militare, lo smantellamento dell'Autorità nazionale palestinese, la strage senza fine di ebrei e di palestinesi innocenti.
Ciò che a mio parere rende prezioso il contributo di Said è il suo tentativo di ricostruire la 'questione palestinese' da un punto di vista palestinese - non genericamente arabo o islamico - e di farlo a partire dagli inizi dell'intera vicenda: la nascita del movimento sionista, l'affermazione della sua ideologia nel contesto della cultura colonialista europea degli ultimi decenni dell'Ottocento, l'avvio del fenomeno migratorio verso la Palestina.
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L'inflazione non si batte più con la moderazione salariale
Joseph Halevi
Un ulteriore esempio del vicolo cieco in cui si trovano le banche centrali proviene dal conflitto tra il loro comportamento attuale - volto a rifinanziare la bolla speculativa - e l'obiettivo di controllare l'inflazione. L'inflation targeting, il mirare cioè ad un tasso di inflazione desiderato, costituisce ormai da parecchi anni il principale scopo di queste istituzioni. Si è detto che le politiche di Reagan e di Thatcher abbiano dimostrato che combattere l'inflazione mirando al controllo della massa monetaria - la cui quantità è del tutto inafferrabile - si traduce in una forte instabilità nei saggi di interesse. Sarebbe pertanto preferibile fissare un obiettivo inflazionistico da non oltrepassare, usando invece il saggio di interesse come strumento regolatore.
Nel 1993 l'economista statunitense John Taylor formulò la regola di comportamento della banca centrale. Essa consiste nel far dipendere il tasso di interesse dalla somma ponderata della deviazione del pil e del saggio di inflazione rispetto ai valori obiettivo di ciascuno, con l'aggiunta di un termine inteso a catturare lo shock monetario. A prima vista, la formula include anche il valore desiderato del pil e, indirettamente, dell'occupazione. E' stato però osservato che la regola di Taylor gravita prevalentemente verso il differenziale inflazionistico a scapito del pil.
L'idea di inflation targeting, adottata per prime dalla Nuova Zelanda e dall'Australia, si è mostrata estremamente efficace nell'istituzionalizzare la deflazione salariale e nel premiare l'inflazione da rendite immobiliari e finanziarie (asset price inflation).
L'intera economia viene mobilitata contro i salari, in quanto l'inflazione è essenzialmente definita in modo tale da essere estrapolata in relazione ad eventuali aumenti strutturali dei costi nei quali, appunto, i salari assumono un ruolo chiave. A tutti gli effetti, le politiche successive alle «terapie d'urto» di Reagan e Thatcher sono state delle operazioni controllo della popolazione salariata e pensionata in favore dell'inflazione da bolle, plusvalenze e cartacce.
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La destabilizzazione del Pakistan
di Michel Chossudovsky
L'assassinio di Benazir Bhutto ha generato circostanze tali da contribuire alla destabilizzazione ed alla già avviata frammentazione del Pakistan come nazione. Il processo di “cambiamento di regime” sponsorizzato dagli Stati Uniti, il quale è costituito solitamente dalla ricomposizione di un governo con una nuova investitura con nuovi capi, è stato interrotto. Screditato agli occhi dell'opinione pubblica pakistana, il Generale Pervez Musharaf non può rimanere nella sede del potere politico. Ma allo stesso tempo, le elezioni farsa sostenute dalla “comunità internazionale” previste per gennaio del 2008, anche se dovessero svolgersi, non verrebbero accettate come legittime, generando quindi un'impasse politica.
Ci sono indicazioni secondo cui l'assassinio di Benazir Bhutto sarebbe stato previsto dai funzionari degli Stati Uniti: "Si sapeva da mesi che la gestione Bush-Cheney ed i loro alleati stavano manovrando per rinforzare il loro controllo politico del Pakistan, al fine di aprire la strada all'espansione ed al rafforzamento della "guerra al terrorismo" nella regione. I vari programmi americani di destabilizzazione, conosciuti da tempo da funzionari e analisti, prevedevano il rovesciamento dei militari in Pakistan..
L'assassinio di Bhutto sembra che sia stato previsto. C’erano perfino rapporti inerenti "chiacchiere" fra funzionari degli Stati Uniti riguardo i possibili assassini di Pervez Musharraf o Benazir Bhutto, ben prima che gli attuali attentati avessero luogo. (Larry Chin, Global Research, 29 Dicembre 2007)
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Intervista a Robert Kurz
di Sonia Montano
1. Cosa vuole affermare la "critica radicale del valore"?
Com'è noto, i marxisti tradizionali del movimento operaio accusavano il capitalismo soltanto di privare le salariate e i salariati del famoso plusvalore del quale i proprietari dei mezzi di produzione si appropriavano come fosse un "potere di disposizione". Questa é una critica mutilata del capitalismo, che lascia fuori e ontologizza la forma sociale del valore. Di conseguenza, secondo questo pensiero, la società socialista postcapitalista dovrebbe continuare a basarsi sulla forma del valore e a funzionare come un sistema produttore di merci "pianificato". Come trasformazione della società questa concezione è naufragata. Il problema può essere spiegato solo storicamente: lo stesso movimento operaio e lo stesso socialismo statale facevano ancora parte della storia del "modo di produzione basato sul valore" (Marx). Si trattava di una "lotta per il riconoscimento" nell'ambito di questa forma di società non indagata. Ora, il plusvalore può essere soppiantato solo insieme al valore, e non come pianificazione e "giusta distribuzione" del valore. Questa non è una questione meramente teorica. Nella nuova crisi del sistema unificato a livello planetario, lo stesso valore é disvalorizzato dalla terza rivoluzione industriale, nella misura in cui il "lavoro astratto" si scioglie come sua sostanza.
A queste condizioni occorre criticare e abolire il valore come forma basica e, di conseguenza, la produzione di merci come tale.
2. Cosa caratterizza una società mercantile? Cosa si deve intendere per "merce"? Che relazioni proprie stabiliscono le merci?
Il termine "mercantile" si riferisce solo al comprare e al vendere. Una società mercantile nemmeno esiste. Il capitalismo é essenzialmente un modo di produzione e non un semplice modo di circolazione. Perciò l'espressione "economia di mercato" induce in errore. Marx già dimostrò che la riduzione della modernità a circolazione delle merci costituisce l'eldorado dell'ideologia capitalista, perché nel mercato appaiono solo proprietari "eguali" e "liberi" di merci e denaro. Però la merce ha da essere oggetto di produzione prima di diventare oggetto di circolazione.
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Incenerire è un po' morire
Guido Viale
L'inceneritore è una macchina due volte tossica. In primo luogo è tossica perché rilascia scorie pericolose che vanno sotterrate in discariche ad hoc, mentre il resto (quattro quinti) se ne va in fumo. Non sparisce, ma si disperde nell'aria e poi ricade sui nostri polmoni, sulle cose che mangiamo, sul terreno dove passeggiamo o giochiamo. È vero che un inceneritore ben gestito produce meno inquinanti di uno svincolo autostradale o di un ingorgo automobilistico.
Ma i rifiuti sono un materiale poco omogeneo, con grandi variazioni di potere calorifico: basta uno sbalzo di temperatura e l'abbattimento degli inquinanti va in tilt. Sempre nella speranza che nel materiale conferito non siano state nascoste sostanze tossiche, cosa ormai verificata per le «ecoballe» della Campania.
Affidereste voi il funzionamento di una macchina così pericolosa a chi ha gestito i rifiuti campani negli ultimi decenni? Ma l'inceneritore è tossico soprattutto perché inquina il cervello di molti amministratori locali e governanti nazionali, che aspettano da quella macchina, e non dalla riorganizzazione del ciclo dei rifiuti attraverso la partecipazione e il coinvolgimento diretto dei cittadini - cioè di coloro che i rifiuti li producono - una miracolosa soluzione del problema.
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Equità schizofrenica
di Vandana Shiva
Sono capitalisti su ricchezza e risorse. Ma diventano socialisti quando si parla di inquinamento e delle sue conseguenze
Il 27 novembre il Programma sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) ha pubblicato un rapporto sullo sviluppo umano dal titolo "Fighting climate change: human solidarity in a divided world". Il compito di presentarlo è stato affidato a Montek Singh Ahuluwalia, vicepresidente della Commissione di pianificazione indiana, che lo ha di fatto sconfessato.
Lo studio Undp, presentato prima dell’incontro di Bali, sottolinea la necessità di ridurre del 50% le emissioni di gas serra, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2025. Per ottenere questo risultato prescrive che per quella data i paesi industrializzati dovranno aver attuato una riduzione delle proprie emissioni tra il 70 e l’80%, mentre per il 2020 la riduzione deve aver raggiunto il 20-30%. Per i paesi in via di sviluppo responsabili di notevoli emissioni, come l’India, l’Undp non prescrive abbattimenti prima del 2020, ma per il 2050 prescrive riduzioni del 20%.
Montek Singh Ahuluwalia, fondamentalista del libero mercato impegnato nelle politiche neoliberiste dell’India, ha utilizzato l’argomentazione dell’equità per criticare il rapporto Undp.
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Eurotunnel un disastro economico caduto nell’oblio
di Marco Cedolin
Tutte le volte che gli uomini politici di ogni risma e colore iniziano a suonare le grancasse dell’informazione, sostenendo attraverso l’uso di aggettivi roboanti la necessità di una nuova grande opera infrastrutturale che porterà sviluppo e benessere economico, sarebbe bene ricordare loro la triste vicenda del tunnel che collega Parigi e Londra correndo sotto la Manica.
L’Eurotunnel è il più lungo tunnel sottomarino del mondo, con i suoi 50 km dei quali 39 corrono sotto il fondale marino alla profondità media di 45 metri, la sua costruzione è durata 7 anni impegnando circa 15.000 lavoratori, con un tributo di 10 morti e 1300 feriti. L’opera, inaugurata nel 1994, è costituita da tre gallerie parallele, due ferroviarie ed una di servizio nella quale possono circolare i mezzi su gomma preposti alla manutenzione e alle operazioni di soccorso.
La società Eurotunnel offre complessivamente quattro tipi di servizio: i treni passeggeri Eurostar ad alta velocità, i treni navetta per passeggeri, autoveicoli, camion e autobus con autisti a bordo, i treni navetta che trasportano camion su vagoni aperti senza gli autisti a bordo dei mezzi, i treni merci convenzionali che trasportano le merci in vagoni o container.
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Cosa può un corpo?
di Girolamo De Michele
Gilles Deleuze, Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, a cura di Aldo Pardi, Ombre Corte, Verona, 2007, pp. 202, euro 18.50
Ci sono molte ragioni per regalarsi la lettura delle lezioni su Spinoza di Gilles Deleuze, sino a ieri disponibili solo on line e adesso tradotte e curate col titolo Cosa può un corpo? da Aldo Pardi, autore di un densissimo saggio prefatorio, all’interno di una la felice congiuntura editoriale: sono da poco disponibili il Meridiano delle Opere di Baruch Spinoza, prima traduzione integrale dei testi spinoziani (qui l'ottima recensione di Toni Negri), e il primo dei due volumi che raccolgono tutti gli scritti brevi di Deleuze: L’isola deserta e altri scritti – 1953-1974. Tre testi che, letti in contaminazione, evidenziano come nel pensiero di Gilles Deleuze si esprima oggi la forma di spinozismo più adeguata al tempo presente.
La prima, fondamentale ragione è l’aspetto terapeutico che oggi riveste l’opera di Spinoza: in un’epoca caratterizzata dal governo politico delle passioni tristi, la sua lettura è liberatoria per la sua capacità di andare alla radice delle servitù che imprigionano le menti e i corpi. Ma attenzione: non si tratta di una fuga nell’intellettualismo, né di una riabilitazione dell’aspetto consolatorio della filosofia che lo stesso filosofo olandese disdegnava. La conoscenza dei rapporti tra mente e corpo è, per Spinoza come per Deleuze, sempre pratica: ciò che è in gioco è sempre un concreto incrociarsi e scontrarsi di rapporti di potere, affetti, costruzioni sociali. Lo stesso corpo individuale è una costruzione sociale, un progetto politico: la sua espressione (lo mette bene in luce Pardi nella Prefazione) e la sua interpretazioni sono impensabili senza la comprensione adeguata delle stabilizzazioni imposte dai dispositivi di assoggettamento e dalle forme di riproduzione del potere.
La prassi spinoziana (degli spinozisti come del cittadino Baruch Spinoza) era (ed è) affermazione, nel pensiero come nella vita, di un’altra società, di uno scarto rispetto al grado di esistenza e di libertà concesso dal potere: «una società dove il diritto si potesse compiutamente esprimere come potenza collettiva» (Pardi, p. 31).
Ma la potenza del pensiero spinoziano comporta un rischio: che lo spinozismo, magari proprio nella sua versione deleuziana, scada a riproposizione di affermazioni filosofiche con valore di slogan a fronte della crisi dei movimenti e dell’attuale inadeguatezza delle loro prassi.
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Francia, cattivo esempio
Rossana Rossanda
Non è serio ridurre la questione della legge elettorale alla solita rissa fra notabili. Quali che siano i limiti della democrazia rappresentativa, considerare il problema come inesistente è una frivolezza che non ci possiamo permettere.
Il sistema elettorale «alla francese», al quale inclina Walter Veltroni, è il peggiore nei dintorni. Un presidenzialismo secco, vera e propria monarchia, senza neanche un'adeguata informazione degli elettori: Nicolas Sarkozy, scelto dal suo partito nel giro di due sedute a 2007 già avanzato, era presidente della Repubblica quattro mesi dopo. Peggio che negli Usa.
Nel sistema statunitense come in quello francese l'obiettivo è ridurre più che si può la complessità delle espressioni politiche in una società complessa. Cosa che negli Usa è, molto parzialmente, corretta da una divisione dei poteri, in Francia assai meno. E non penso a quella elementare divisione che dovrebbe darsi fra presidenza, governo e parlamento; già era poca cosa dopo la costituzione di De Gaulle del 1958, adesso sarà ancora meno, dato che secondo la commissione nominata da Sarkozy se finora toccava al presidente e al governo decidere la linea della Repubblica, d'ora in poi questo toccherà soltanto al presidente.
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Imprese, politici e camorra: ecco i colpevoli della peste
di Roberto Saviano
Gli ultimi dati dell'Oms parlano di un aumento vertiginoso, oltre la media nazionale, dei casi di tumore a pancreas e polmoni.
È un territorio che non esce dalla notte. E che non troverà soluzione. Quello che sta accadendo è grave, perché divengono straordinari i diritti più semplici: avere una strada accessibile, respirare aria non marcia, vivere con speranze di vita nella media di un paese europeo. Vivere senza dovere avere l'ossessione di emigrare o di arruolarsi.
E' una notte cupa quella che cala su queste terre, perché morire divorati dal cancro diviene qualcosa che somiglia ad un destino condiviso e inevitabile come il nascere e il morire, perché chi amministra continua a parlare di cultura e democrazia elettorale, comete più vane delle discussioni bizantine e chi è all'opposizione sembra divorato dal terrore di non partecipare agli affari piuttosto che interessato a modificarne i meccanismi.
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Sei un ponte sconnesso, ma sei il solo ponte...
di Rossana Rossanda
Rossanda si rivolge alla grande “S” cioè alla Sinistra fatta dai 4 partiti
Caro Sansonetti, se la grande S si è impantanata su una legge elettorale darebbe ragione a chi ci ha creduto poco. Non è la prima volta che il tema “elezioni” manda in tilt qualsiasi progetto sui tempi medi. Ne ha fatto esperienza il manifesto nel 1972, poi nel 1976. E’ per questo che Rifondazione ha mandato a picco la Camera di consultazione di Asor Rosa. E su questo adesso l’inciampo viene dal Pdci.
Nel caso di piccoli partiti non è misera voglia di poltrone: è il timore di diventare invisibili, cessare di esistere come i grandi partiti non nascondono di sperare. La stessa base militante esige una lista, dimostrando quanto sia ancora contraddittorio il bisogno, teorizzato al meglio da Tronti, di “andare oltre la democrazia”, che è poi quella “rappresentativa”. E sarà così, penso, finché non sarà chiaro come “andare oltre” senza riprodurre i “socialismi reali”; perché, oggi come oggi, altro non conosciamo.
Intanto nessuno dei quattro partiti in campo si fida che l’altro ne garantisca le ragioni di esistenza. Soltanto Rc è ragionevolmente certa di passare lo sbarramento di una proporzionale; toccherebbe ad essa dunque di garantire le altre, facendo qualcosa di comprensibile dell’attuale slogan “unità plurale”.
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Banca del Sud e BCE. Due modelli a confronto?
Gianluca Bifolchi
Almeno sulla carta la Banca del Sud è nata. Come da protocollo ieri, alla Casa Rosada, i presidenti Néstor Kirchner, Argentina, Evo Morales, Bolivia, Inácio Lula da Silva, Brasile, Rafael Correa, Ecuador, Nicanor Duarte, Paraguay, Hugo Chávez, Venezuela, ed un rappresentante del governo uruguayano (il presidenteTabaré Vázquez si recherà a Buenos Aires soltanto oggi per l'insediamento del nuovo presidente, Cristina Fernández de Kirchner) , hanno apposto le loro firme in calce all'atto fondativo.
Le incognite sull'effettiva riuscita di questo grande progetto di integrazione latinoamericana sono di due ordini. Il primo riguarda la capacità di reperire i fondi necessari agli ambiziosi obiettivi statutari. I sette miliardi di dollari di conferimento iniziale da parte degli stati membri non sono ovviamente sufficienti per una attività creditizia di portata subcontinentale, e il nuovo ente dipenderà dal successo di attività di raccolta del risparmio attraverso depositi ed obbligazioni, come qualunque altra banca.
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Sinistra arcobaleno. Inutile, dannosa o arretrata?
di nique la police
E' terminata ieri la convention della Sinistra arcobaleno, nome imposto dai media e dall'uso comune dopo che le mediazioni tra i gestori dei quattro cartelli elettorali che la compongono avevano partorito una sigla simile ma meno diretta e più bizantina.
Con la massima benevolenza d'analisi, e con la convinzione che a sinistra tutti possono servire, non possiamo però non rilevare che l'inconsistenza politica di questo nuovo cartello elettorale, nato come affluente di quattro più piccoli, segua quella ampiamente mostrata dal partito democratico. E qui l'etimologia del termine "politica" ci aiuta a capire il problema meglio di altri punti di osservazione: la provenienza dal greco del vocabolo "politica" indica questa come l'amministrazione della cosa pubblica suggerendo però anche una profonda incertezza e una continua oscillazione del significato di cosa pubblica.
Visto che la retorica fondativa della sinistra arcobaleno non difetta di richiami alle mutazioni storiche in atto la cronica incapacità, mostrata da ogni oratore in campo, a definire quali siano queste mutazioni rivela come questa retorica non riesca ad elevarsi sul piano dell'eloquenza figuriamoci quindi se riesce ad arrivare a quello dei contenuti.
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Il ritorno della politica
Intervista a Toni Negri
di Marianna Canavese e Bruno Fornillo
Il saggista italiano annuncia la fine della postmodernità, almeno nel suo aspetto politico di indifferenza innanzitutto del bene comune. Dice che ricomincia la narrazione di un processo di liberazione. In questa chiacchierata analizza la situazione attuale del capitalismo e le sue derivazioni nel lavoro. Le sue posizioni hanno conosciuto le obiezioni di Laclau, Dri e Boròn, tra gli altri, che lo accusano di un eccesso di utopismo e di non tener conto delle dimensioni nazionali della lotta politica.
Suole dire che l'Italia della fine degli anni '60 e gran parte degli anni '70 era immersa in un grado di mobilitazione collettiva che operò come una sorta di laboratorio della politica di emancipazione. In Argentina, dopo aver visitato la Bolivia e il Venezuela, il filosofo Toni Negri - uno degli animatori di quel ciclo della rinnovazione di quel discorso - annuncia il tempo di una nuova narrazione delle pratiche politiche. Soggetto a multiple letture, interpreta che la ricezione locale della suo opera è stata "negativa e limitata" rispetto alle discussioni che determinò in altre regioni del continente.
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La guerra statunitense nel Darfur
di Keith Harmon
Black Agenda Report
La regione del Darfur nel Sudan possiede giacimenti di rame e uranio, terzi e quarti rispettivamente in ordine di grandezza nel mondo, oltre ad una localizzazione strategica e a significative riserve di petrolio. Il movimento statunitense "Save Darfur" sta raccontando balle sulla natura fondamentale del conflitto in Sudan? Sono il "Save Darfur" e la prevenzione di un genocidio i convenienti pretesti per il prossimo turno di guerre per il petrolio e le risorse nel continente africano?
La regione del Darfur nel Sudan occidentale è stata un covo di attività clandestine, di contrabbando d’armi e di indiscriminata violenza per decenni.
"La tragedia umanitaria nel Darfur verte sulle risorse naturali…. Date le attuali realtà, nessun intervento potrebbe continuare e se fosse effettuato fallirebbe."
Così pensavano nel settembre 2006 gli autori OPED "Keeping Peacekeepers out of Darfur" [Tenere le forze di pace fuori dal Darfur] (DHG, 15/9/06). Adesso (più di un anno dopo) la situazione in Sudan è truce più che mai, il conflitto nel Darfur rimane indefinito, e molte delle previsioni di quell’Oped si sono rivelate vere.
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Il gran burattinaio del mercato
Christian Marazzi
«L'era della turbolenza» di Alan Greenspan. La guerra compiuta dalla Federal Reserve per far prosperare il capitalismo neoliberista ovunque nel mondo
Le memorie di Alan Greenspan, il mitico e odiato ex-presidente della Federal Reserve, L'era della turbolenza (Sperling & Kupfer), sono presentate al pubblico in settembre, il giorno prima della riunione della banca centrale americana nella quale il suo successore, Ben Bernanke deve decidere cosa fare per gestire la crisi dei prestiti ipotecari subprime, iniziata il 9 agosto. Sembra quasi che Greenspan voglia esortare la Fed a tagliare i tassi di interesse rapidamente e in modo aggressivo, come lui ha sempre fatto nei momenti di crisi finanziaria negli anni della sua presidenza, tra il 1987 e il 2006.
Ma la situazione è cambiata, dice Greenspan in un'intervista al Financial Times del 17 settembre: «Siamo in un periodo molto più difficile di quando ero io presidente. In quegli anni non eravamo preoccupati di una rinascita inflazionistica, ma ora bisogna esserlo. Occorre essere molto più prudenti nell'abbassare i tassi in risposta alle crisi».
E infatti il titolo del suo libro avrebbe potuto essere L'era della disinflazione, perché il tema centrale di questo lavoro riguarda il modo in cui il capitalismo liberista dell'ultimo quarto di secolo è riuscito, tra euforia e paura, tra crescita e bolle speculative sempre più ricorrenti, a sconfiggere l'inflazione, a ridurre i tassi di interesse e a prosperare nel mondo.
Una guerra per il libero mercato
Greenspan non attribuisce a se, né al suo predecessore Paul Volker o ad altri banchieri centrali, il merito della vittoria sull'inflazione degli anni del fordismo e delle lotte operaie sul salario, ma alle forze intrinseche e impersonali del capitalismo, dall'integrazione economica globale, alla deregolamentazione dei mercati, alla rivoluzione tecnologica.
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La passione del fare politico
Rossana Rossanda
Rigore e semplicità. Le qualità de «Principia Iuris». Un'opera che interroga il secolo breve senza ritrarsi di fronte ai nodi che ha lasciato in eredità
Coloro che hanno seguito sia pur da lontano Luigi Ferrajoli nella stesura dei Principia Iuris sanno quanta fatica gli sia costato non l'impianto dell'opera, così radicato nella sua formazione intellettuale, quanto la determinazione a renderla come un pane da spezzare per qualsiasi cittadino che si interroghi sulle relazioni interindividuali e fra individui e società. Come darsi un sistema di regole al fine di garantire la reciproca libertà e sicurezza dei diritti? Antico problema, ma rivisto alla fine di un secolo che ha messo in causa sia le forme della democrazia, sia quello che si voleva un suo superamento in senso comunista. Ne è venuto un lavoro imponente e semplice, rigoroso e comunicante senza nulla togliere allo spessore dell'argomentazione, ai riscontri del e nel sistema, e alla genesi storica e teorica dei concetti.
Sembra impossibile che un titolo così severo e la mole delle pagine costituiscano un'opera che chiunque può prendere in mano senza sentirsi allontanato. Si deve certo all'eleganza della scrittura, ma soprattutto, credo, alla convinzione morale e politica di Ferrajoli che urge ricostruire un sistema di rapporti umani ormai a rischio di imbarbarimento. Bisogna e si può. È poi il fondamento del politico, una posta alta, il contrario d'un esercizio accademico. In questo Luigi Ferrajoli è proprio un illuminista, ne possiede (è posseduto da) quella passione di capire, dirimere e spiegare che si fonda sulla convinzione che la specie umana ha la capacità di darsi un senso e delle regole che ne consentano una terrena sopravvivenza.
Si potranno fare altre accuse all'illuminismo, non quello di non averci restituito la possibilità di quella salvezza, nei limiti della vita, che le religioni negano, rimettendo il nostro destino nelle nostre mani. Filo d'Arianna l'uso della ragione, strumento da usare e verificare nella sua struttura logica e fin matematica. Questa non è una fede, è una scelta. Controcorrente, a stare agli ormai trentennali assalti alla ragione tacciata di imperialismo occidentalista, astrazione, pretesa universalistica, misconoscenza delle differenze. E' proprio la sigla di Ferrajoli - si ricorderà Diritto e ragione - e non perché ignori quanto l'irrazionalità sia costituente dell'umano, ma per la persuasione che non è possibile fondare sull'irrazionale una rete di rapporti che garantisca la libertà. Libertà «di» e libertà «da».
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Disturbatori di attenzione
A cura del Telefono viola di Bologna
[Lo scorso sabato 24 novembre Bologna ha ospitato un convegno sul cosiddetto “disturbo di attenzione e iperattività", una nuova “malattia” che colpirebbe i bambini troppo vivaci. Alcuni membri del Telefono viola di Bologna hanno distribuito volantini informativi su questa pseudo-sindrome e sugli psicofarmaci di riferimento, tra cui spicca il Ritalin. Sul luogo si erano raccolti altri contestatori e mentre la tensione saliva sono volati un po' di spintoni. I “disturbatori” sono stati condotti fuori mentre sul luogo arrivava la polizia, che procedeva alla denuncia per concorso in violenza privata di due volontari del telefono Viola di Bologna e di una terza persona. Vista l'importanza della critica dei trattamenti farmacologici dell'alienazione e del disagio, riproduciamo il volantino sul Ritalin redatto dal Telefono viola.]A.P.
Il ministero della salute nel 2002 ha autorizzato la sperimentazione del RITALIN, un farmaco "dedicato" ai bambini che si appresta entro sei mesi a invadere il mercato italiano.
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La città e la metropoli
di Giorgio Agamben
Permettetemi di cominciare con qualche ovvia considerazione sul termine “metropoli”. Esso significa in greco “città-madre” e si riferisce al rapporto fra la polis e le sue colonie. I cittadini di una polis che partivano per fondare una colonia erano, come si diceva, in apoikia – letteralmente in “allontanamento dalla casa”- rispetto alla città, che, nella sua relazione alla colonia, veniva allora chiamata metropolis , città-madre. Questo significato del termine è rimasto fino ai nostri giorni per esprimere il rapporto fra il territorio della patria, definito appunto metropolitano, e quello delle colonie.
Il termine metropoli implica quindi la massima dis-locazione territoriale e, in ogni caso, un’essenziale disomogeneità spaziale e politica, qual è appunto quella che definisce il rapporto città-colonie. Ciò fa nascere ben più di un dubbio sull’idea corrente di metropoli come tessuto urbano continuo e relativamente omogeneo. L’isonomia spaziale e politica che definisce la polis è, almeno in via di principio, estranea all’idea di metropoli.
In questa comunicazione mi servirò, pertanto, del termine “metropoli” per designare qualcosa di sostanzialmente eterogeneo rispetto a ciò che siamo abituati a chiamare chiamiamo città. Vi propongo, cioè, di riservare il termine metropoli al nuovo tessuto urbano che si viene formando parallelamente ai processi di trasformazione che Michel Foucault ha definito come passaggio dal potere territoriale dell’ Ancien régime al biopotere moderno, che è, nella sua essenza, un potere governamentale.
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Sudan: gli sviluppi interni
Alberto Grossetti
Dopo la firma nel 2005 del Comprehensive Peace Agreement (CPA) che ha messo fine ad una guerra civile durata 22 anni, il paese sta difficilmente affrontando le sfide della ricostruzione e della pacificazione nazionale. L’implementazione dell’accordo è caratterizzata da rallentamenti ed incomprensioni che potrebbero causare un ulteriore irrigidimento dei già precari rapporti tra Khartoum e Juba creando tensioni destabilizzanti. Il governo di El Bashir è inoltre sotto stretta sorveglianza dalla comunità internazionale per la sua condotta in Darfur: durante le negoziazioni di ottobre in Libia il presidente dovrà assumersi impegni e responsabilità precise per riacquistare credibilità internazionale, anche per rafforzare la sua leadership interna, in vista delle elezioni del 2009.
Il perdurare delle tensioni
A 2 anni dalla firma del CPA, il controverso rapporto tra nord e sud del paese è ancora continuo motivo di preoccupazione.Era preventivabile che la firma di un accordo di pace non sarebbe stata sufficiente a curare le profonde ferite derivanti da 22 di guerra civile, e che le sfide maggiori avrebbero riguardato il periodo post-bellico. Le relazioni tra Khartoum e Juba sono gelide, con il Sudan People's Liberation Movement (SPLM) che accusa il presidente El Bashir e il National Congress Party (NCP) di ostacolare volontariamente la realizzazione delle disposizioni del CPA e di prendere decisioni politiche chiave di interesse nazionale unilateralmente, mettendo in discussione il principio “comprensivo” di condivisione del potere stabilito dall’accordo.
Tra i motivi di frattura a cui il CPA doveva mettere rimedio vi è la gestione del petrolio e l’utilizzo dei suoi proventi. Il settore estrattivo ha avuto uno sviluppo molto rapido negli ultimi anni, passando dai 1.500 barili di produzione giornaliera nel 1999 ai 500.000 odierni, che potrebbero aumentare sensibilmente in futuro e si prevede che le entrate petrolifere quest’anno raggiungeranno i 4 miliardi di dollari, portando ad una crescita del PIL superiore al 10%.
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Stato e mercato
Sole 24 Ore, il «momento Minsky» e il liberismo impossibile
Riccardo Bellofiore
Valentino Parlato ha invitato il Sole 24 Ore all'apertura di un dibattito. L'invito è stato raccolto da Fabrizio Galimberti. L'occasione è il salvataggio della Northern Rock da parte dello stato, ma la discussione investe spazio e ruolo del liberismo. Vorrei proporre un punto di vista inusuale, forse intrigante anche per i giornalisti del Sole, che sono di buone letture.
La crisi dei subprime, in incubazione da tempo, si è fatta seria a marzo, ed è esplosa a luglio. Proprio a marzo e a luglio George Magnus, senior economic advisor dell'Ubs di Londra, in due rapporti ha avvertito che si avvicinava un «momento Minsky». L'espressione è circolata nei blog finanziari, ed è diventata una valanga. Non ha risparmiato il Financial Times o il Wall Street Journal, il Guardian e Le Monde Diplomatique, da noi persino Repubblica. Di che si tratta?
Hyman P. Minsky è un economista eterodosso americano, morto nel 1996. Una Cassandra che ricordava sempre che la «stabilità è destabilizzante». La crescita capitalistica degenera ineluttabilmente in instabilità finanziaria. Quando le bolle scoppiano, la deflazione da debiti è dietro l'angolo. I suoi libri sono tradotti, in italiano da editori prestigiosi. Ma nessuno se ne ricordava più. Come mai tanta notorietà, ora?
La risposta è facile: Minsky ha avuto fastidiosamente ragione. La sua visione è semplice e potente.
Nel capitalismo, produzione e investimento devono essere finanziati, e al centro del sistema dei pagamenti ci sono le banche. Dopo una grave crisi, il ciclo riparte con una crescita «tranquilla». Gli operatori sono in posizione coperta»: le entrate di cassa coprono le uscite. Le cose vanno bene, l'ottimismo si diffonde, debitori e creditori riducono la stima del rischio.
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La feconda eredità di un pensiero materialista proiettato sul presente
Il Meridiano delle «Opere» di Baruch Spinoza. Una raccolta e una bella traduzione di tutti gli scritti unita a una efficace nota che scandisce la vita del filosofo olandese. L'interpretazione di Spinoza è stata in perenne rinnovamento, anche se non mancano ancora studiosi che cercano di neutralizzare un pensiero la cui eredità permette di uscire dalla crisi della cultura della sinistra italiana
Toni Negri
In una recente intervista Pierre-François Moreau (oggi punto di riferimento degli studi francesi su Spinoza) ha notato che l'Italia è forse il paese nel quale si pubblica di più sull'opera di Spinoza. Paradossalmente, nel nostro paese non c'era tuttavia un'edizione di riferimento che, in buon italiano, comprendesse l'intera opera del grande autore seicentesco. Oggi, questa Opera finalmente c'è: pubblicata da Mondadori nei Meridiani, a cura e con un saggio introduttivo di Filippo Mignini (che ha anche lavorato alle traduzioni ed alle note con Omero Proietti). Quest'edizione è importantissima perché raccoglie, come s'è detto, tutta l'opera di Spinoza, perché la traduce bene, perché contiene un'utile introduzione teorica, un accurato accenno storico alla fortuna di Spinoza e soprattutto perché offre un'accurata cronologia ragionata sulla vita di Spinoza e sull'ambiente olandese nel quale la sua filosofia si è formata.
(A proposito chi ne ha il tempo può ancora visitare a Parigi, nel Musée d'Art et d'Histoire du Judaisme, una ricchissima ed appassionante esposizione sull'Amsterdam ebraica di Rembrant e Spinoza). Era ora che questo strumento essenziale fosse messo a disposizione degli studiosi italiani.
Un autore azzerato
Come ben si segnala nell'introduzione, l'interpretazione di Spinoza e la sua fortuna sono state in perenne rinnovamento. Anche a chi scrive è richiesto di prendere posizione su questo terreno e di misurare in che prospettiva mettersi nello spendere o forse, meglio, nell'investire le fortune lasciateci da Spinoza.
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La nouvelle vague della decrescita
Alcune riflessioni critiche sull'ultimo libro di Serge Latouche edito da Feltrinelli presentato come «un vero e proprio manifesto per la Società della decrescita» da realizzare attraverso un programma che punti alla diminuzione delle merci prodotte Il crollo prossimo venturo La proposta dello studioso francese di trasformare la società attraverso comportamenti virtuosi è espressione di una «pedagogia delle catastrofi» in cui la denunci
Luigi Cavallaro
Da quando il tracollo dell'esperimento sovietico è sembrato riportare le lancette della storia all'epoca del «trionfo della borghesia», per dirla col titolo del celeberrimo libro di Eric J. Hobsbawm, una nuova idea ha cominciato a farsi strada tra gli orfani irreconciliati dell'idea «crollista». L'idea, molto in sintesi, è che il capitalismo, assai più gravemente che da un antagonismo di classe nel frattempo annacquatosi, sarebbe minato da un rapporto contraddittorio addirittura con la «natura»: la sua propensione alla «crescita illimitata», infatti, prima o poi dovrebbe indurlo a sbattere il muso contro la finitezza del pianeta Terra e delle sue risorse.
È stata la legge dell'entropia a offrire il pilastro teorico su cui edificare una narrazione ancor più fosca del declino irreversibile del modo di produzione (nuovamente) dominante. La presa di coscienza del fatto che tutti i tipi di energia sono destinati prima o poi a trasformarsi in calore non più utilizzabile e che il sistema solare tutto tende verso una «morte termodinamica» ha indotto, infatti, i «neocrollisti» a formulare critiche «radicali» all'idea che il processo economico potesse essere descritto in termini circolari e a esigerne con forza una rappresentazione in termini unidirezionali, rispettosa della «freccia del tempo».
La catastrofe annunciata
La termodinamica, in tal modo, è diventata la «fisica del valore economico» e la legge dell'entropia «la radice della scarsità economica», come scrisse l'economista e statistico di origine rumena Nicholas Georgescu-Roegen.
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