Gli Usa all’assalto diplomatico della Confederazione degli Stati del Sahel
di Mario Colonna
Le batoste prese della Francia (ultima in ordine di tempo, il ritiro delle truppe dal Senegal) e dell’Unione europea devono aver fatto pensare a Washington che un ritorno statunitense nelle grazie dei Paesi del Sahel sia effettivamente possibile.
Sono diversi mesi che si registra infatti un incremento delle visite yankee ad alto livello verso quegli Stati dell’Africa subsahariana che stanno provando a scrivere una storia di riscatto ed emancipazione non solo della regione, ma del continente intero.
La Confederazione degli Stati del Sahel
Parliamo della Confederazione degli Stati del Sahel, organizzazione regionale istituita nel settembre 2023 da Mali, Burkina Faso e Niger per garantire la sicurezza e la stabilità dei suoi membri, contrastando il terrorismo – soprattutto di matrice islamica – e il neocolonialismo.
Tale cooperazione è stata poi estesa a settori come finanza, economia, infrastrutture, sanità e educazione, ponendosi così come un’alleanza strategica a tutto tondo e fornendo un esempio di reazione al colonialismo e all’imperialismo per il mondo intero.
La Confederazione rompe con gli organismi filoccidentali
Una delle prime misure intraprese dall’alleanza è stata la rottura con la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), considerata come un’estensione degli interessi occidentali nell’area, segnando d’altra parte una discontinuità importante con la storia anche recente dei tre Paesi.
Per gli Stati Uniti, i colloqui vorrebbero riprendere la cooperazione nell’ambito della difesa e della sicurezza, presentandosi come un partner affidabile contro la sempre più intensa attività jihadista nella regione.
La visita in Mali
Come riassunto dal sito specializzato Nigrizia, a inizio luglio il vicedirettore generale per l’Antiterrorismo della Casa Bianca Rudolph Atallah ha visitato ufficialmente Bamako, incontrando nella capitale maliana il ministro degli Esteri e il ministro della Sicurezza.
Sul tavolo, la proposta di una “cooperazione rinnovata e costruttiva” per la ripresa del controllo di tutto il territorio da parte delle autorità maliane (una parte è sotto il controllo deli jihadisti), il rafforzamento delle forze armate e la denuncia da parte di Bamako del sostegno esterno, in particolare di matrice ucraina, ai gruppi armati attivi nella regione.
Il messaggio recapitato al Burkina Faso
A fine maggio invece il sottosegretario di stato per l’Africa occidentale americano Will Stevens ha consegnato a Ouagadougou in Burkina Faso un “messaggio del presidente Donald Trump” al ministro degli Esteri burkinabé, Karamoko Jean Marie Traoré.
Nell’incontro bilaterale, gli Stai Uniti hanno discusso di una cooperazione che “rispetti la sovranità” del Paese africano. Da notare come Stevens abbia riconosciuto le critiche del Burkina Faso sulle restrizioni occidentali all’acquisizione di equipaggiamento militare, contro cui ha promesso di lavorare per la loro rimozione.
Le relazioni con il Niger
Sempre a maggio, dal Kenya il comandante generale dell’Africom Michael Langley ha sottolineato l’aumento degli attacchi terroristici nel Sahel provenienti dal Niger dopo il ritiro statunitense dal Paese nel 2024, ribadendo il sostegno americano ai partner saheliani e nigerini attraverso servizi di intelligence, addestramento e supporto materiale.
Un mese prima, ancora la diplomazia yankee aveva ricevuto a Washington il primo ministro del Niger Ali Mahamane Lamine Zeine. L’incontro con l’ambasciatore Troy Fitrell ha messo al centro la ripresa delle relazioni Usa-Niger, dopo che Niamey, al momento dell’insediamento della giunta militare, aveva gradualmente fatto ritirare le truppe a stelle e strisce dalla base di Agadez.
Il Sud Globale abbandona il sogno amerikano
Le manovre diplomatiche statunitensi si inseriscono nel più generale rientro in varie aree del mondo deciso dall’amministrazione Trump, vuoi manu militari come in Medio Oriente o in Europea orientale, o più sobriamente per ora in Africa occidentale.
Tuttavia, l’Occidente bianco colonizzatore e imperialista sembra aver finito le cartucce a sua disposizione per “mettere le mutande al mondo” e far coincidere gli interessi del Sud Globale con i propri, come testimoniano plasticamente le votazioni in sede Onu sui più disparati temi (sanzioni, guerra in Ucraina, Cuba, Palestina ecc.).
Inoltre, in ambito militare l’abbrivio preso dalle collaborazioni tra Russia, Cina e Stati africani sembra difficilmente rovesciabile in breve tempo, tema questo legato a doppio filo all’appartenenza geopolitica di un Paese.
Il bluff del Piano Mattei non cambierà gli equilibri
Né per “parte nostra” il bluff del Piano Mattei potrà minimamente scalfire gli equilibri politici e commerciali nella regione, intriso com’è di retorica eurocentrica e coloniale a fronte di una scarsità di risorse imbarazzante se confrontato per esempio con gli investimenti cinesi.
Nubi nere si addensano sui cieli delle potenze euroatlantiche. Lavorare alla danza della pioggia qui, in una cittadella dell’impero, non può che aiutare il mondo multipolare a rompere la gabbia degli imperialismi occidentali.