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Speculazione finanziaria: quelli che “è brutta e cattiva”
di Alberto Bagnai
Quando le cose vanno male, un colpevole bisogna trovarlo. Sì, lo so, mi direte voi, la realtà è complessa, le cause sono molteplici. Ma volete mettere quanto fa comodo dare la colpa a una sola persona, soprattutto se esercita un mestiere che nell’immaginazione collettiva è soggetto a un marchio d’infamia! Ci si mette così l’animo in pace, e si evitano spiegazioni complesse e imbarazzanti.
Questa riflessione non particolarmente brillante mi ha traversato la mente leggendo l’intervista che George Soros ha rilasciato ad Eugenio Occorsio del quotidiano “La Repubblica”, organo di stampa noto per la sua difesa senza se e senza ma dell’attuale regime europeo, il Pude (Partito Unico Dell’Euro). Soros dice una cosa ovvia: nel 1992 bastava saper leggere la realtà per capire che c’erano opportunità di profitto da sfruttare in modo perfettamente legittimo.
Questa, del resto, è l’attività speculativa. Cosa dice il dizionario?
Speculativo: “Portato all’indagine filosofica” (Devoto Oli), ma anche “Che ha scopo di guadagno” (Zingarelli). L’etimologia è sempre la stessa: il latino speculari, “guardarsi intorno”, da cui viene anche il francese speculer,che dal 1801 prende significato borsistico (questo ce lo ricorda il dizionario etimologico di Battisti e Alesio).
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“I dirigenti europei non sopportano più la democrazia”
Grégoire Lalieu* intervista Pierre Levy
Che cosa ci riserva l’Unione europea? Ex sindacalista in una grande azienda, oggi giornalista, Pierre Levy, in particolare, ha cercato di rispondere a questa domanda attraverso il suo ultimo libro, “L’Insurrection”. Un libro fortemente politico che spazia nei campi dell’economia, del sociale e della geopolitica. Il sottotitolo del libro, “il favoloso destino dell’Europa all’alba dell’anno di grazia 2022”, non è un puro prodotto della fantasia di Pierre Lévy, ma ci rinvia ad una inquietante attualità e solleva una questione: bisogna restare nell’Unione europea? L’argomento è tabù, tuttavia merita un vero dibattito che viene aperto su Investig'Action
Il suo romanzo ci fa piombare nel 2022, e dalle prime righe questo futuro non troppo lontano ci appare insieme assurdo e spaventoso. Ma, cosa ancora più spaventosa, ci si accorge subito che questo mondo non è puro frutto della sua immaginazione, ma si basa su elementi attuali decisamente realistici…
Questo è lo spirito del libro. Anche se questo è un libro molto politico, ho preferito una forma insolita per un saggio. Volevo ridere di cose che non sono affatto divertenti, portando all’assurdo ed estremizzando le logiche attuali. L’idea era quella di capire cosa sta succedendo oggi in campo economico, politico, sociale e geopolitico, andare fino in fondo. Sperando che tutto ciò faccia riflettere.
La grande paura, in ultima analisi, è che la realtà raggiunga la finzione. A Cipro, per esempio, la BCE e il FMI avevano previsto di attingere direttamente dai risparmi dei cittadini, compresi anche i più modesti. Alla fine sono stati costretti a rivedere parzialmente i loro piani. Ma abbiamo assistito a qualcosa che difficilmente si poteva immaginare solo qualche mese fa.
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L'allegra brigata degli europeisti anti-tasse
Leonardo Mazzei
Sogni e realtà del governo Letta il nipote
(con alcune annotazioni sul DEF che oggi arriva in parlamento)
Puntuali come le piogge di primavera, le prime capocciate le hanno già battute. E sono arrivate dall'amata Europa. Per la quale si deve soffrire, sempre essendo disponibili a morire, come esplicitato nel titolo di un libro del 1997 - «L'euro sì. Morire per Maastricht», Laterza 1997 - scritto dall'attuale capo del governo.
La novità delle «larghe intese» è anche piaciuta a Berlino, ma non al punto da lasciarsi commuovere. Dalla Merkel il giovane Letta ha avuto più che altro l'incoraggiamento a proseguire la strada del rigore. E non è andata meglio a Bruxelles. E nemmeno a Parigi, dove si blatera di crescita ma non si vuol nemmeno sentir parlare di quella unità politica in cui sembrano credere ormai soltanto gli ectoplasmi dei defunti partiti italiani.
Fatto sta che la temuta parola che gli illusionisti avevano appena rimosso - «manovra» - ha conquistato le prime pagine dei giornali a neanche una settimana dal giuramento del nuovo esecutivo. Che vita breve hanno certe illusioni!
Eppure si erano dati un gran daffare: via l'IMU sulla prima casa, no all'aumento dell'IVA, slittamento della TARES, riduzione delle «tasse sul lavoro», cioè sgravi alle imprese e contentino sull'IRPEF ai lavoratori dipendenti.
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La trappola dell’euro
di Enrico Grazzini
È necessario ricominciare a discutere in profondità dell'euro e delle sue conseguenze, partendo innanzitutto da un fatto: criticare l'euro non significa affatto essere anti-europei. Anzi è vero il contrario. L'euro sta spaccando l'Europa, mettendo i paesi del Nord contro i paesi del Sud e viceversa. Ma è possibile uscire dalla moneta unica una volta che ci siamo entrati?
Enrico Letta ha appena ottenuto la fiducia bipartisan da parte della destra e del centrosinistra in nome della necessità di uscire dalla crisi seguendo la strada fallimentare tracciata dall'euro a guida tedesca. La sinistra ha invece (per fortuna) rifiutato questa politica economica negando il voto di fiducia al governo. Letta è un appassionato seguace della moneta unica. Già nel 1997 scrisse per Laterza un saggio intitolato (purtroppo profeticamente) “Euro sì. Morire per Maastricht”. Oggi il suo governo promette di farci uscire dalla crisi ma “morire per l'euro”, come recita il saggio di Letta, potrebbe essere il vero risultato. Letta sosteneva già nel 1997 che gli italiani devono essere pronti a sacrificarsi in nome di Maastricht, la cittadina che ha dato i natali all'euro tedesco. Il dilemma insolubile che si porrà di fronte al governo Letta è abbastanza semplice: è impossibile rilanciare l'economia e l'occupazione e contemporaneamente ridurre drasticamente il debito pubblico, come obbligano i vincoli dettati dalla moneta unica euro-tedesca. Da Keynes in poi sappiamo che in tempi di crisi è puro populismo promettere di tagliare la spesa pubblica e rilanciare l'economia.
Letta ha ricevuto dal presidente Giorgio Napolitano il mandato esplicito di fare rimanere a tutti i costi l'Italia nell'eurozona, ma sa perfettamente che l'euro, la moneta unica di marca tedesca, è la causa principale della attuale crisi italiana ed europea. Nutre la speranza, o meglio l'illusione (come del resto prima Pier Luigi Bersani), di avere sufficienti margini di manovra all'interno di questa eurozona guidata dal governo di centrodestra di Angela Merkel. Negozierà lievi modifiche al patto di stabilità: ma la Merkel e la Bundesbank spingono l'acceleratore verso l'austerità, non verso il rilancio dell'economia.
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Germania 4 Europa 0
di Sebastiano Isaia
Ubaldo Villani-Lubelli scopre le non poche magagne sociali che affliggono la Germania e se ne esce con una considerazione che la dice lunga sulla comprensione della società capitalistica da parte dell’intelligenza borghese: «Da un sistema sociale ed economico considerato un modello, ci si sarebbe aspettato una distribuzione più equa della nuova ricchezza» (La Germania non è un paese per poveri, Limes, 10 aprile 2013). Ora, proprio perché la società tedesca ha i problemi denunciati da Villani-Lubelli essa può in effetti venir considerata come un buon modello di sistema capitalistico, visto che quei problemi rappresentano un lato della stessa medaglia. L’astratta richiesta di una «distribuzione più equa della ricchezza» non tiene conto della natura sociale, appunto capitalistica, del modello tedesco, come di ogni altro modello esistente su questo pianeta, e accompagna da sempre i piagnistei dei riformatori sociali, quelli che, per dirla col solito ubriacone di Treviri, accettano il Capitalismo salvo piagnucolare sulle sue necessarie contraddizioni. Chi accetta la causa e ne ricusa “solo” gli effetti indesiderati e imprevisti, merita il disprezzo di coloro che quegli effetti sperimentano sulla propria pelle. «Lo scopo che si proponeva in primo luogo il genio sociale che parla per bocca di Proudhon, era di eliminare quanto c’è di cattivo in ogni categoria economica, per avere solo il buono» (K. Marx, Miseria della filosofia). Separare il «lato buono» della prassi capitalistica (espressa nelle categorie dell’economia politica) da quello «cattivo»: è l’eterna chimera riformista.
La Germania è dunque «un modello imperfetto»: questa l’epocale scoperta che dovrebbe afflosciare gli entusiasmi di non pochi economisti, sindacalisti e politici nostrani: da Romano prodi a Fabrizio Barca, da Tremonti alla Camusso, che fino a qualche mese fa individuavano nell’«economia sociale di mercato» di quel Paese «l’unica alternativa credibile ai modelli di crescita americano e cinese».
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OCSE, Olli e Letta arretrano per prendere la rincorsa
L'euro verso la "soluzione finale"
di Quarantotto
Fresco di giornata questo articolo di Reuters intestato all'OCSE che, in realtà, riporta le ultime dichiarazioni di Padoan sulla situazione economica italiana e le politiche del nuovo governo.
Il suo contenuto è importante per capire come il PUD€ intenda mantenere la sua presa facendo le concessioni minime indispensabili per lasciare intatto il suo disegno: cioè l'euro, lo smantellamento "emergenziale" dello Stato sociale, la deflazione salariale.
Le "concessioni" saranno chiaramente il fulcro dei "buoni risultati", nel senso di un ingannevole "cambiamento di rotta" che sarà sbandierato dai media in modo da concedere il tempo al nuovo governo per rimuovere l'ostacolo più grande: la Costituzione.
Questa con la sua impalcatura di diritti fondamentali incentrati sulla tutela del lavoro, vede il pareggio di bilancio al suo interno come un corpo spurio incompatibile, inoculato come un virus distruttivo dalla logica dei trattati e dei suoi corollari, cioè il fiscal compact. Per ora.
Quindi nei prossimi mesi assisteremo al massimo sforzo congiunto della grancassa mediatica PUD€ per raccontarci: a) che la crisi è superabile e che l'euro è in sè, sostenibile, utilizzando con ragionevolezza...le regole disfunzionali e ideologicamente connotate che lo caratterizzano; b) che nel frattempo, la Costituzione deve comunque essere cambiata, perchè il paese ha bisogno di "ammodernamento" e nuovi principi istituzionali devono essere introdotti come indispensabili.
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Un altro passo verso il precipizio
di Jacques Sapir
L'area Euro, sotto l'effetto combinato delle politiche di austerità, sta sprofondando nella crisi. Eppure il dibattito sulla politica economica non è mai stato così intenso. Rimane il fatto che si scontra con la capacità di immaginazione dei leader politici, sia in Germania che in Francia o in altri paesi, che rimane profondamente strutturata attorno al discorso dell’austerità.
Le radici dell'austerità erano finora ritenute inconfutabili. Ma un recente lavoro consente di mostrare che, dietro l'apparenza di seria accademia, c'era un sacco di ideologia.
La disoccupazione ha recentemente raggiunto il 12% della popolazione attiva, ma con picchi di oltre il 25% in Spagna e Grecia. L’attività economica continua a regredire in Spagna, Italia e Portogallo e, ora, è il consumo che inizia a sgretolarsi in Francia, annunciando, come previsto in questo blog, un ulteriore deterioramento della situazione economica a breve termine.
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Crisi dell'€uro: tre scenari
di Georges Berthu*
Riflessioni sulla fine dell'euro
L'economista Patrick Artus, capo economista della Banca Natixis, lo stesso che nel 2008 annunciava la fine della crisi1 , ha recentemente pubblicato un nuovo libro in cui mostra - anche brillantemente – quel che tutti ormai capiscono: l'unificazione monetaria europea non reggerà se non sarà rapidamente integrata da istituzioni federali. Il federalismo è necessario "per evitare una crescita stagnante e l'esplosione dell'euro"2.
Il guaio è che non riesce a spiegare in modo convincente né come si possa passare al federalismo, né in cosa consista questa formula. Questo libro porta a un pozzo senza fondo.
Conosciamo già la dimostrazione di base: i paesi della zona euro erano troppo eterogenei fin dall'inizio per essere una '"area valutaria ottimale" e inoltre, invece di armonizzare le economie, come alcuni avevano inizialmente sperato, l'unificazione monetaria ha solo creato una ancora maggiore eterogeneità. In effetti i tassi direttori unici della BCE, e i tassi di cambio estero unici non sono veramente adatti a nessun paese (anche se lo sono un po' di più per la Germania) e, alla fine, stanno danneggiando tutti.
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Attacco alla Costituzione
La via italiana al risanamento della crisi che non c'è
Quarantotto
Avevamo parlato della sentenza della Corte costituzionale portoghese che aveva dichiarato la illegittimità di 4 su 9 delle misure di austerity imposte, nella legge finanziaria approvata a fine anno, dal memorandum della trojka.
Le misure ritenute incostituzionali tagliavano pensioni e sussidi di disoccupazione (in Italia alle prime ci ha pensato la Fornero, senza colpo ferire, e ai secondi...pure: ora dovranno reperire un miliardo, ma naturalmente da tagli e tasse aggiuntivi, perchè in Costituzione c'è il pareggio di bilancio).
Ora, la situazione, come abbiamo altrettanto visto, è che la Commissione UE non demorde e neppure il FMI: i tagli in qualche modo vanno fatti e poco importa se attiveranno il moltiplicatore fiscale negativo, acuendo la recessione. Il FMI a livello di Blanchard-ufficio studi dice una cosa, ma quando poi si esprime ufficialmente conta la determinazione della Lagarde a tutelare la "stabilità finanziaria" e gli "investitori esteri", formule riassuntive di "banche straniere creditrici, essenzialmente franco-tedesche".
Insomma, "Pedro Passos Coelho, il primo ministro portoghese di centrodestra,doveva comunque tagliare, ai primi d'aprile, la spesa pubblica di 4 miliardi per adeguarsi al programma di "bail out" per 78 miliardi imposto dal memorandum della trojka. Ora, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, deve operare tagli per 5,3 miliardi per tenere fede alle scadenze del memorandum fissate per la fine di maggio.
La decisione della Corte ha innescato a livello negli "investitori" il dubbio che si debba ricorrere a un secondo bail-out" (cioè a una procedura concordata che implica un default guidato)".
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Un piano B per il dopo-euro?
di Riccardo Achilli
Bagnai e Rampini all’alba
Per puro caso, alle 3 di mattina ho potuto vedere, su Sky, una interessante discussione fra Alberto Bagnai e Federico Rampini, sul tema dell’euro, che naturalmente viene trasmessa a quell’ora affinché nessun italiano abbia contezza del dibattito su un tema così strategico. Come al solito, ammiro, nel professor Bagnai, la chiarezza espositiva, la civiltà con cui espone le sue tesi, ed anche una dose di modestia personale. La sua tesi fondamentale è che il prelievo forzoso imposto a Cipro, con il connesso obbligo di restrizione ai movimenti di capitale, abbia di fatto collocato tale Paese al di fuori dell’area-euro, creando un euro di serie B, non liberamente circolante al di fuori del Paese, quindi di minor valore rispetto agli euro che circolano negli altri Paesi dell’area. Inoltre, sostiene che, con la dichiarazione del capo dell’Eurogruppo, l’olandese (specializzato in allevamento di suini) Jeroen Dijsselbloem, secondo cui il prelievo forzoso avrebbe potuto essere esteso anche ad altri Paesi, in caso di crisi bancaria, vengono meno due pilastri fondanti dell’area-euro, ovvero il paradigma della libera mobilità dei capitali e quello della fiducia nell’inviolabilità del risparmio bancario.
Sulla prima affermazione, che peraltro riprende quanto sostenuto anche dalla Morgan Stanley, occorre semplicemente tener presente che Cipro continua a stare dentro all’eurosistema, la sua politica monetaria continua ad essere dettata dalla Bce, e che quindi non sta più fuori dall’euro di quanto non ci stesse fino ad oggi: fino ad oggi, infatti, il sistema bancario cipriota, pur se formalmente “compliant” con tutte le regole di vigilanza europee, era di fatto un buco nero che si autogestiva con regole non proprio prudenziali (che hanno condotto le due principali banche del Paese al fallimento).
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Crisi dell'eurozona
La fine dell'euro in quattro passi
Piero Valerio
Mentre in Italia il peggiore presidente della storia della nostra Repubblica, Giorgio Napolitano, sta facendo i salti mortali per mantenere lo status quo e preservare la fallimentare classe dirigente eurista, fuori dai palazzi il processo di frantumazione dell’area euro procede a grandi passi. Il recente caso di Cipro ha fatto finalmente emergere a livello mondiale tutti i difetti di costruzione dell’unione monetaria più disastrata del pianeta ed ormai sarà impossibile per la tecnocrazia agire soltanto con la mistificazione e la propaganda mediatica per coprire e nascondere le magagne. In particolare il collasso di Cipro ha evidenziato due aspetti su cui si fondava il tentativo disperato dei menestrelli di regime di cambiare la realtà dei fatti: la crisi dell’eurozona non è una crisi di debito pubblico ma privato (bancario nella fattispecie, visto che in Europa i rapporti di debito-credito, risparmio-investimento sono intermediati principalmente dalle banche) e la liberalizzazione selvaggia e deregolamentata della circolazione dei capitali alla lunga crea insostenibili squilibri fra i paesi coinvolti. Adesso, soltanto i cialtroni patentati o gli analisti finanziari da bar dello sport potranno sostenere sfacciatamente in pubblico il contrario, senza essere zittiti con una sola parola: Cipro.
Ad ogni modo, chiunque voglia informarsi e capire cosa sta accadendo oggi in Europa e in Italia non può di certo affidarsi alla stampa e televisione nostrana, che si tiene ancora ben alla larga dalla tentazione di spiegare onestamente e criticamente agli italiani gli eventi che si succedono dentro e fuori i nostri confini, prefigurando dei possibili scenari futuri.
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Conseguenze italiche del metodo Cipro
(anche senza oligarchi russi)
di Quarantotto
Contr'ordine compagni: il Soviet UE ha deciso che non si fida e che le tranches di pagamento di 20 miliardi di crediti alle imprese, programmate per il 2013 e il 2014, non si possono fare.
Questo perchè, non sia mai, potremmo superare il 3% del deficit (dato che nonostante FMI e studi della stessa BCE, il moltiplicatore non esiste) e non potremmo così accedere alla deduzione dal futuro deficit di altrettanto futuri investimenti pubblici aggiuntivi, c.d. golden rule. La quale si applicherebbe solo se non sia più pendente una procedura di infrazione del limite del 3%, attivata sull'Italia per il deficit 2011 al 3,9.
Inutile dire che la Francia, per il 2011, per il 2012 e giacchè ci sta anche per il 2013 con deficit sopra al 4%, (e probabilmente sopra il 3% fino al 2015, secondo i calcoli di Sapir), non solo se ne frega ma addirittura fa nuove assunzioni pubbliche, sussidia le imprese nazionali e chiede l'innalzamento del contributo "de minimis", quello che non costituisce aiuto di Stato, da 200.000 a 500.000 euro.
Cioè, come avevamo anticipato, per Olli Rehn, si paghi pure l'arretrato ma con manovre di corrispondente copertura: con tutti gli effetti immaginabili sulla recessione in atto. Perchè, non lo ripeterò mai abbastanza, il moltiplicatore fiscale esiste...e "loro" lo sanno benissimo e anzi ci contano, ormai.
Insomma, non attendiamoci solo manovre di copertura per tali pagamenti ma anche niente c.d. "golden rule", dato che la recessione ci porterà, adottando tali misure di copertura, comunque a sforare autonomamente il limite del deficit.
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La crisi di Cipro e la svolta "darwiniana" della BCE
di Emiliano Brancaccio
Nella crisi di Cipro la BCE si è resa protagonista di un'ingerenza politica senza precedenti che potrebbe dare l'avvio a un processo di ristrutturazione bancaria di tipo "darwiniano". Se così fosse i paesi periferici dell'Unione potrebbero vedersi costretti ad abbandonare la moneta unica per mantenere il controllo sui capitali bancari
Ancora non conosciamo i suoi esiti, ma dalla crisi bancaria di Cipro possiamo già trarre qualche indicazione per il futuro. Molti commentatori ne hanno tratto spunti per valutare le possibili conseguenze di una tassazione dei depositi bancari. Per Donato Masciandaro la decisione di coinvolgere i depositanti nei salvataggi “sta facendo fare all’Unione europea una pessima figura” [1] . Per Marco Onado, un prelievo forzoso sui depositi ciprioti solleverebbe dubbi sul valore atteso dei conti correnti di tutta l’Unione e potrebbe quindi generare “un disastroso effetto valanga” per l’intero sistema bancario europeo [2]. Queste valutazioni colgono dei rischi reali. Ma vi sono anche altre minacce all’orizzonte. La crisi di Cipro crea infatti un precedente per certi versi ancora più pericoloso: mi riferisco a una nota diramata ieri mattina con la quale il Consiglio direttivo della BCE ha dichiarato che la liquidità di emergenza a favore della Banca centrale di Cipro sarà fornita solo fino a lunedì prossimo. Dopo quella data, l’erogazione di liquidità da parte della BCE sarà condizionata all’avvenuta ratifica di un accordo tra il governo di Cipro, l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale, atto a garantire la solvibilità degli istituti di credito colpiti dalla crisi [3].
Il comunicato di Francoforte verte sull’idea che il banchiere centrale sia preposto a intervenire solo nel caso di una crisi di liquidità definibile di “breve periodo”, mentre non sia mai autorizzato a fornire ossigeno a istituti di credito che abbiano problemi di solvibilità di “lungo periodo”.
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La BCE torna in cattedra
In 15 slide Draghi mostra l'agenda all'Europa
Clash city workers
Ci risiamo: ancora una volta ci troviamo a commentare un intervento del presidente della Banca Centrale Europea. Sono ormai anni che seguiamo con una certa attenzione i contributi di Mario Draghi: sin da quando, da governatore della Banca d’Italia, segnando una discontinuità con i suoi predecessori, si distingueva per la capacità di rappresentare pienamente il punto di vista e gli interessi del grande capitale europeo fuori da logiche di tipo nazionale. Una capacità di sintesi e di raccordo che lo ha portato a presiedere la Bce, l’istituzione comunitaria che di fatto in questi anni ha scalzato tutte le altre, avviando un processo di centralizzazione delle funzioni esecutive e d’indirizzo politico inimmaginabile fino a pochi anni fa.
La crisi dell’Eurozona e la conseguente necessità di interventi di politica monetaria, tesi a stabilizzare i mercati e in particolare a difesa dei debiti sovrani, ha posto la Bce nella possibilità di poter imporre ai governi dei singoli Stati europei la propria “agenda” condizionando così la propria azione di tutela all’applicazione di determinati provvedimenti.
La lettera inviata il 5 agosto 2011 dalla Bce al governo italiano (che ha imposto misure durissime come l’anticipo del raggiungimento del pareggio di bilancio al 2013 e che successivamente ha determinato le dimissioni di Berlusconi e la nomina di Mario Monti alla guida dell’esecutivo con il compito di riformare pensioni, mercato del lavoro e di tagliare il welfare) è esemplificativa del nuovo ruolo assunto dalla Banca Centrale Europea.
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Che fare dell'Euro?
di Mimmo Porcaro
Quasi un’introduzione
Il compito che oggi sta di fronte a quel che resta della sinistra italiana è dei più difficili. La situazione è chiara, per chi sappia guardarla: ma per affrontarla è necessaria, dopo tante piccole innovazioni più predicate che praticate, una netta e dolorosa rottura con l’europeismo dogmatico che da troppo tempo ci accompagna. E’ chiaro infatti che ogni libera espressione elettorale della volontà degli elettori sudeuropei rende inattuabile il patto che ha consentito finora la sopravvivenza dell’euro, perché impedisce di fatto la tranquilla attuazione delle restrizioni previste dal Fiscal Compact, anche in eventuale versione light. E’ chiaro quindi che l’euro, come moneta che unisce nord e sud Europa, è ormai irreversibilmente finito, perché anche se restasse in vita ciò avverrebbe contro il volere di una massa crescente di cittadini europei. Ma è altrettanto chiaro che la sinistra italiana e continentale non è capace di un pensiero che sia all’altezza della situazione, perché non è capace di prendere atto della fine della globalizzazione e del riemergere degli stati nazionali (o meglio degli stati nazionali più forti) come attori principali della politica. Non è capace di capire che l’Europa è ancora fatta di nazioni, che le nazioni più forti dettano la direzione di marcia e che, anche a causa della persistente crisi economica, questa marcia conduce ad un gioco in cui il nord vince ed il sud perde. E che quindi una coerente difesa dei lavoratori italiani si identifica, oggi, con la costruzione di un discorso che sappia legare in maniera inedita questione di classe e questione nazionale.
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