Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 5509

Riforme dei Trattati, l’occasione mancata
di Sergio Bruno
La speculazione che investe l’Europa è un “gioco”, politico e ideologico. Servono giocatori all’altezza, per riformare la governance europea, partendo dalla Bce
Il vertice europeo dell’8 dicembre si è concluso massimizzando la propria futilità, prigioniero dei fantasmi della Signora Merkel e delle lobbies che la tengono in ostaggio, nonché delle indecisioni compromissorie del Signor Sarkozy, che pure avrebbe consiglieri dalle idee più chiare. È un peccato, perché finalmente si parlava di un mutamento di quadro che lambiva il testo dei Trattati, dove in effetti risiedono i nodi che impediscono stabilità, difesa dalla speculazione e ripresa della crescita.
Distinguere l’urgenza dalla governance a regime
La confusione deriva dall’incapacità di distinguere tra problemi che occorre risolvere urgentemente e che derivano dalle regole e dai fatti passati, e problemi che riguardano invece i comportamenti futuri. I primi riguardano la difesa dagli attacchi speculativi, i secondi quale configurazione dare alla governance europea del futuro, per fare dell’Eurozona un polo competitivo mondiale, che si sviluppi e non tema nuovi attacchi speculativi. Il nodo che i due ordini di problemi hanno in comune è quello della configurazione da dare ai meccanismi di creazione di moneta e al governo della parte reale dell’economia, nonché alle relazioni tra tali sfere, oggi vincolate dall’Art.101 del Trattato. Che impedisce alla Bce di partecipare, come avviene nel resto del mondo, alle aste per la collocazione di titoli del debito pubblico, oggi degli Stati membri, domani – si spera – di un bilancio federale europeo.
In pratica, per il futuro, si tratta di eliminare le anomalie dell’assetto di governo dell’area.
- Details
- Hits: 6733

La grande crisi, la Germania e gli Stati Uniti
Miguel Martinez
In questi giorni, una quantità impressionante di persone si sta improvvisando economista.
Fanno benissimo, visto che quella che chiamano “crisi economica” sta trasformando il futuro sociale di tutti noi, e quindi è una crisi propriamente politica.
La crisi del 1929, semplificando, ha portato al collasso degli Stati liberali, alla sostituzione dell’impero britannico con quello americano, al nazismo e alla Seconda guerra mondiale, che non è poco.
Il problema, oggi come allora, è capire quali sono le grandi linee di questa crisi, e i parametri cui ci ha abituati la politica simbolica e spettacolare non servono a niente; occorre occuparsi anche di cose di cui pochi ci capiscono davvero. E quei pochi sono decisamente parte in causa.
Intuiamo sullo sfondo della crisi anche qualcosa che riguarda nomi di paesi: Germania, Inghilterra, Francia, Grecia, Stati Uniti…
Diciamo nomi di paesi, perché è difficile, almeno per me, capire dove inizia e dove finisce una economia nazionale – le aziende che conosco io hanno sede a Milano, la produzione in Cina e investono i soldi in banche di proprietà francese che li reinvestono in pension fund statunitensi. Chi, in questo intricato giro, prende le vere decisioni?
- Details
- Hits: 7488

La crisi del debito sovrano nell’Eurozona
da un dibattito sulla lista "Marxiana"
a cura di Francesco Macheda
Quali margini possiede la banca entrale europea (BCE) per arginare la crisi del debito sovrano che sta mettendo in serio pericolo l’esistenza stessa dell’eurozona? Che efficacia potrà avere un ipotetico ‘fondo europeo’ volto a garantire gli investimenti degli acquirenti dei titoli a rischio dei paesi maggiormente indebitati? Inoltre, quali potrebbero essere le possibili conseguenze di una politica maggiormente orientata a frenare la speculazione da parte della Bce e quali sono le resistenze politiche che ne frenano l’azione? In ultima istanza, il comportamento della banca entrale europea è minato da una pura cecità politica, oppure vi sono limiti strutturali che ne frenano l’azione?
Il dibattito sottostante svoltosi sulla lista “Marxiana” tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 2011 cerca di fare luce su queste problematiche.
Incipit del dibattito: articolo del Wall Street Italia dal titolo “Citigroup: senza l’intervento della Bce, l’Europa rischia il collasso” - 17 novembre
Se la Bce non mette mano al portafoglio, si rischia la catastrofe finanziaria. Potrebbe essere una questione di settimane o addirittura di pochi giorni, ma molto presto rischiamo di assistere inermi al default di Spagna e Italia.
E’ lo scenario delineato da Willem Buiter, capo-economista di Citi, in un’intervista concessa a Bloomberg Tv. “La Bce deve agire in fretta, ignorando le pressioni della Germania. Farsi carico dei debiti sovrani è l’unica strada per evitare un terremoto finanziario che finirebbe per trascinare nel baratro il sistema bancario europeo e, insieme, quello americano”.
- Details
- Hits: 5738
.jpg)
Alimentare la bolla o sgonfiarla?
La crisi apre crepe nel fronte occidentale
di Nicola Casale
Prendo spunto dall’articolo di Paolo Giussani “Vizi privati, pubbliche virtù” (settembre 2011) per cercare di fare il punto sulla crisi.
Partire da Giussani è molto utile, perché svolge un’analisi della crisi non impressionistica e critica in modo appropriato due tendenze presenti a sinistra, quella keynesiana (o neo-keynesiana), e quella che fa ruotare tutto intorno a una lettura, spesso superficiale, della “caduta del saggio di profitto”. Due critiche centrate, ma monche in alcuni aspetti essenziali, come, spero, si evincerà dall’insieme di quel che segue.
La premessa dell’articolo di Giussani è dedicata al Marx di Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, di cui viene sottolineato il parere positivo sul ricorso alla bancarotta dello stato nella Francia di metà ‘800. La citazione è collegata in linea diretta con la conclusione dell’articolo: “Una crisi che voglia essere seria deve imperativamente togliere di mezzo l’indebitamento, portare al fallimento un’enorme quantità di capitale, ridurne il valore contabile complessivo innalzando proporzionalmente il saggio del profitto e, alla fine, spingere più o meno automaticamente i capitali sopravvissuti a riprendere l’accumulazione”.
È bene precisare subito una cosa. La tesi di Giussani non ha nulla da spartire con la tesi del default di un singolo stato.
- Details
- Hits: 5894

La rotta d'Europa, tre riflessioni urgenti
Rossana Rossanda
Valutazione della crisi, che fare di fronte alla sua precipitazione e il problema delle forme politiche sono i nodi venuti al pettine del convegno di Firenze
La giornata di Firenze, il 9 dicembre, organizzata su "La Rotta d'Europa" merita qualche riflessione più seria di quella che le abbiamo dedicato sabato scorso. Essa incrocia alcuni temi maggiori della vicenda delle sinistre negli ultimi anni, noi inclusi.
La prima è la valutazione della crisi: perché, da quando, da chi e come essa viene giocata. La chiamiamo "crisi del capitalismo": se con questo si vuol dire che è una crisi "nel capitalismo", va bene ma se sottintediamo che il capitalismo è in crisi non va bene affatto. Su questo c'è stata fra i convenuti una certa chiarezza. Il sistema attraversa le crisi senza perdere la sua egemonia se non si scontra con una soggettività alternativa, o rivoluzionaria, al suo livello. Oggi questa non c'è. È vero che il 99 per certo delle popolazioni è vittima di questa crisi, ma più di metà di questo 99 per cento non lo sa. E si tarda a individuare perché, nel rapporto di forze sociali, siamo tornati indietro di un secolo. E anche le più generose reazioni puntuali - operaie quando, come nel caso della Fiat, il lavoro è direttamente attaccato, o sui beni comuni che si vogliono sottomessi al profitto privato, o contro la corruzione - ma anche le più vaste e giovanili, del tipo "Indignatevi", sono destinate a essere travolte se non individuano chiaramente il meccanismo di dominio avversario.
Questo non è facile. Una delle carte vittoriosamente messe in campo dal capitale è la tesi di Fukujama che, con la caduta dei "socialismi reali", ai quali erano direttamente o indirettamente legate le organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio, si era alla "fine della storia". Naturalmente non è così, la storia non finisce. Ma è certo che il capitale ha reagito prima di noi alla crescita di un anticapitalismo diffuso culminato dalla fine dei colonialismi al '68, e la sua aggressività ha cambiato l'organizzazione del lavoro, mondializzato a sua immagine e somiglianza il pianeta, dilatato le inuguaglianze, ribaltato la cultura politica del secondo dopoguerra.
- Details
- Hits: 6455

Uscire o non uscire dall’euro?
di Michel Husson
È possibile riassumere in maniera semplicissima l’andamento della crisi: nel corso degli ultimi due decenni il capitalismo si è riprodotto accumulando una montagna di debiti. Onde evitare il tracollo del sistema, gli Stati si sono assunti il grosso di questi debiti che, da privati, sono diventati pubblici. Di qui in poi, il compito di questi Stati è quello di farne pagare la fattura ai cittadini, sotto forma di tagli dei bilanci, di aumento delle imposte più inique e di congelamento dei salari. In sintesi: la maggioranza della popolazione (lavoratori e pensionati) deve garantire la concretizzazione di profitti fittizi accumulati in lunghi anni.
Nel frutto c’era il verme. Voler costruire uno spazio economico con una moneta unica ma senza bilancio era un progetto incoerente. Un’unione monetaria monca si trasforma allora in una macchina per fabbricare eterogeneità e divaricazione. I paesi con inflazione più elevata della media perdono competitività, sono stimolati a basare la propria crescita sul sovraindebitamento.
Retrospettivamente, la scelta dell’euro non aveva del resto una giustificazione evidente rispetto a un sistema di moneta comune, con un euro convertibile nei rapporti con il resto del mondo e monete riadeguabili all’interno. L’euro, in realtà, era concepito come uno strumento di disciplina di bilancio e, soprattutto, salariale. Ricorrere all’inflazione non era possibile, per cui il salario diventava la sola variabile adeguabile.
Ad ogni modo, il sistema ha, bene o male, funzionato grazie al sovra indebitamento e, perlomeno nel primo periodo, al calo dell’euro rispetto al dollaro. Questi espedienti, però, erano destinati a esaurirsi e allora le cose hanno cominciato a guastarsi, con la politica tedesca di deflazione salariale che ha portato la Germania ad aumentare le sue quote di mercato, per il grosso all’interno dell’eurozona.
- Details
- Hits: 5851

L'euro è salvo. Almeno per qualche giorno
di Vincenzo Comito
Un accordo dell’ultima ora forse salva l’euro, almeno per ora. Ma politici e “tecnici” non sembrano in grado di far uscire il mondo dalla trappola in cui esso è stato spinto
“…anche se questo accordo funziona, …non c’è niente che risolva il problema di competitività che tocca i paesi più deboli dell’eurozona o che offra loro qualcos’altro che molti anni di dura austerità…” H. Stewart. “…questa, nella sostanza, è una crisi delle bilance dei pagamenti…” M. Wolf. “…noi non stiamo salvando i greci o gli italiani… noi stiamo salvando le nostre banche (quelle tedesche), noi stessi e le nostre poltrone… la questione è tutta qui…” F.-W. Steinmeier, leader della Spd tedesca. “...la percezione della minaccia di un disastro non sempre è sufficiente a impedire che esso poi accada…” The Economist, a.
Premessa
Appare ormai possibile, anche se non è certo, dopo le misure prese dal governo Monti, nonché gli accordi del vertice europeo del 9 dicembre, la nuova disponibilità ad ampliare i suoi interventi manifestata inoltre dalla Bce e infine la stessa stanchezza degli operatori, che il sistema dell’euro, almeno per il momento, non vada a pezzi e che la partita sia rimandata per qualche tempo. Certamente, comunque, ha probabilmente ragione Claude Junker quando afferma, appena conclusi i lavori, “…non penso che questo sia l’ultimo vertice per salvare l’euro…”.
- Details
- Hits: 6122

«Salva Italia»? Salvabanche
Leonardo Mazzei
L'omino della Trilateral lo ha implorato: lo si deve chiamare «Salva Italia». Ma il suo decreto passerà alla storia più prosaicamente come «Salvabanche». Per uno che è stato messo lì proprio per questo non è poi così disdicevole. Che poi le salvi veramente è tutto da vedere, diciamo che si sta impegnando. Tuttavia è questa la sostanza che va afferrata. Il decreto della domenica sera non salverà né l'Italia, né l'euro, tanto meno le condizioni di vita degli italiani. Di certo non quelle del popolo lavoratore. Cercherà invece di dissetare i vampiri della City e di Wall Street, i sadici banchieri di Francoforte, i quasi coniugi Merkozy. E darà un po' di respiro, non sappiamo per quanto, alle grandi banche del Belpaese, più o meno tutte con l'acqua alla gola, a partire da quella Banca Intesa che ha «prestato» al governo il signor Passera e la signora Fornero. A proposito del famoso conflitto d'interessi tanto evocato, ma oggi dimenticato, dagli antiberlusconiani alla Scalfari...
Da domenica sera anche i più duri di comprendonio dovrebbero avere inteso alcune cosette. Primo, che il governo Monti è il governo più classista ed antipopolare della storia repubblicana. Secondo, che la sbandierata «equità» altro non era che una scadente mercanzia propagandistica ad uso dei gonzi. Terzo, che il massacro sociale iniziato con le manovre d'estate ha compiuto un decisivo salto di qualità. Quarto, che il disastro che si dice di voler evitare è in realtà già iniziato.
La luna di miele del commissario Monti volge già al termine. Le sue carte sono ormai scoperte, ma questo non vuol dire che la stagione degli inganni sia finita. Anzi, il dibattito parlamentare alle porte ce ne offrirà un campionario vasto quanto non appassionante.
- Details
- Hits: 7222

La BCE deve agire
intervista a Vladimiro Giacchè
Secondo la tesi prevalente nelle istituzioni europee per uscire dalla crisi del debito sovrano in Europa sono essenziali rigorose manovre di austerity. E’ vero?
No. “Il momento giusto per effettuare manovre di austerity sono i periodi di espansione, non quelli di recessione”. Queste parole di buon senso, scritte da John Maynard Keynes nel 1937, sono valide ancora oggi. Le manovre di austerity hanno adesso, come unico effetto certo, quello di deprimere la domanda e dunque di rallentare la crescita del prodotto interno lordo o addirittura di portarlo in negativo. E quindi quello di peggiorare il rapporto debito/pil. È la lezione della Grecia, che dopo misure draconiane ha visto crescere il rapporto debito/pil di oltre il 20% in un solo anno.
Il Fondo Europeo salva Stati può essere la soluzione?
No. Sono gli stessi ritardi nell’approntare questo Fondo che lo rendono ormai del tutto inservibile. Avrebbe potuto funzionare quando in crisi era soltanto la Grecia, ma ormai la sua dimensione (440 miliardi di euro) è insufficiente per coprire i vari fronti di crisi, e lo sarebbe anche una dotazione molto superiore. Oltretutto il Fondo, essendo finanziato dagli stessi Stati europei, finisce per rappresentare una gigantesca partita di giro.
Gli Eurobond possono essere la soluzione?
Gli Eurobond sono titoli di Stato emessi a livello europeo e garantiti congiuntamente dai diversi paesi che fanno parte della zona dell’euro. Quindi essi avrebbero un rating (ossia un merito di credito) superiore a quello degli Stati in difficoltà, e di conseguenza potrebbero rendere meno oneroso il servizio del debito (ossia il pagamento degli interessi) per gli Stati in crisi.
- Details
- Hits: 6357

Vi sbagliate, stampare denaro può fermare la crisi europea
di Ambrose Evans-Pritchard
Farò arrabbiare molti lettori, specialmente gli attenti “austriaci” internettiani, ma lo devo proprio dire.
Si è diffusa una convinzione quasi universale che la crisi dell’Europa possa essere risolta solamente dalle politiche fiscali e governative, con vari spunti sul giusto dosaggio di sofferenze da applicare.
Mi si consenta di dissentire. Questa è una crisi monetaria, causata da scialba banca centrale che ha abortito una fragile ripresa alzando quest’anno i tassi di interesse, provocando un collasso a ritmi vertiginosi della quantità di moneta in Europa meridionale e una recessione totalmente innecessaria, e si parla di una recessione pesante, giudicando dal crollo dei nuovi ordini del PMI a novembre.
Non è necessario ripetere che la drastica austerità fiscale sta peggiorando molto le cose. Non si può spingere due terzi dell’eurozona in una sincronizzata contrazione fiscale e monetaria senza patire conseguenze.
Va notato che per l’Italia gli spread di break-even a cinque anni sono andati sotto zero, e ciò significa che i mercati stanno prezzando per una deflazione categorica. Per un paese con uno stock di debito pubblico del 120 per cento del PIL, si tratta di una condanna a morte.
- Details
- Hits: 8203

Keynes vs Tabellini
di Alberto Bagnai
Non sarò breve (mi scuso).
Il professor Guido Tabellini interviene sul Sole 24 Ore sostenendo che le politiche di rigore sono necessarie ma non saranno sufficienti perché “le fondamenta stesse dell’euro sono viziate”. Un vizio determinato da due “difetti costitutivi”: primo, la Bce può svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza solo rispetto alle banche (rifinanziandole), ma non rispetto agli Stati (acquistando i loro titoli); secondo, la politica monetaria è centralizzata, ma la vigilanza è rimasta nazionale. Quali conseguenze avrebbero questi difetti? Senza un acquirente di ultima istanza dei titoli pubblici i paesi ad alto debito “sono lasciati in balia dei mutamenti di umore dei mercati”. Il decentramento della vigilanza invece porta a una segmentazione dei mercati, perché le autorità nazionali, diffidando di quelle dei paesi vicini, impedirebbero alle banche di prestare all’estero, e questa situazione “non può durare”.
Meglio tardi che mai
L’ammissione di errore deve essere accolta senza facili ironie e con grande rispetto. Dallo scoppio della crisi, in Italia gli economisti ortodossi hanno spesso testimoniato una profonda e sincera volontà di rimettere in discussione le proprie certezze. A sinistra non c’è stato niente di simile, per un semplice motivo: economisti e politici di “sinistra” hanno rivendicato per due decenni la scelta dell’euro come un loro grande successo. Il tatticismo politico ora impedisce loro di comprendere e di ammettere che questa scelta è contraria agli interessi del loro elettorato.
- Details
- Hits: 6469

Europa: Tempesta perfetta. Quando la Possibilità Incontra la Realtà
di William Oman
Un lungo articolo su Economonitor che vale la pena di leggere: in una prospettiva storica mette in luce la incredibile inadeguatezza delle proposte politiche del mostro europeo franco-tedesco a due teste. La testa italica farà la differenza? Mah...
"Che tu possa vivere in tempi interessanti".
Quale miglior frase di questa maledizione Cinese apocrifa per catturare l'essenza delle settimane, dei mesi e degli anni a venire? Più precisamente, quanto interessanti saranno i tempi a venire ? La storia suggerisce che dovremmo stare attenti a ciò che desideriamo. La crisi del debito in Europa costituisce un rischio enorme per il futuro del continente, eppure essendo materia tecnica, questi rischi non vengono indicati chiaramente come dovrebbero. Una ragione è la natura elusiva del rischio.
Il 4 agosto 1914, il giorno in cui è scoppiata l'ostilità tra Francia e Germania, il filosofo francese Henri Bergson ha descritto come, fino al giorno dello scoppio effettivo della guerra tra la Francia e la Germania, la guerra appariva "allo stesso tempo probabile e impossibile: una nozione complessa e contraddittoria che è durata fino alla fine". Slavoj Žižek spiega questa tensione tra possibilità e realtà: un evento può essere vissuto come impossibile e non realistico, o come realistico, e non più impossibile. "L'incontro del Reale e dell'Impossibile è quindi sempre mancato", scrive Žižek. Lo spazio tra ciò che sappiamo può accadere e ciò che noi crediamo che accadrà - il paradosso brillantemente identificato da Bergson - è al centro della attuale mancanza di visione e coraggio dei leaders Europei. Anche se nessuno di loro sembra disposto ad accettare che la zona euro possa crollare, la probabilità di questo evento devastante aumenta ogni giorno che passa. Come i politici ritardano la resa dei conti, il costo economico e sociale della crisi aumenta, così come il rischio di un finale di partita caotico per l'euro e una fine violenta e catastrofica per lo stesso progetto Europeo.
- Details
- Hits: 8261

Come evitare il suicidio dell'Europa*
di Riccardo Bellofiore e Jan Toporowski**
La Grecia non è responsabile della crisi europea. Se l’euro fosse ristretto a Germania e ‘satelliti’ la crisi poteva scoppiare in Belgio (rapporto debito pubblico/PIL al 100%). La variabile chiave non è il debito, in rapporto al PIL o in assoluto, ma quanto la banca centrale si rifiuta di rifinanziare. L’ideologia per cui le banche centrali dell’UE devono acquistare titoli privati, persino tossici, non titoli di stato, è stata incrinata: ma troppo timidamente. La BCE ha aderito a fondi di stabilizzazione, ampliato la durata delle concessioni di liquidità, esteso la gamma dei titoli che accetta, e rifinanzia i titoli di stato sui mercati secondari. Si dovrebbe però garantire stabilmente la liquidità del mercato dei titoli pubblici: anche solo sui mercati secondari, con un intervento annunciato, credibile e continuo.
Il default non dovrebbe essere un problema. Parte della sinistra ne pare convinta e propugna il diritto al default. Si suggerisce anche di uscire dall’euro per guadagnare competitività. Bisognerebbe chiedersi cosa succederebbe al sistema bancario se ciò che si desidera accadesse. Il default unilaterale lo fa crollare:il governo si rifiuta di pagare le proprie banche, dovendo tornare a chiedergli prestiti; per le banche svanisce il valore dei titoli di stato, e finiscono insolventi. L’uscita dalla moneta unica aggrava le cose, per una previa fuga dei depositi in euro, seguitadal valore delle passività che schizza verso l’alto nella nuova valuta. L’accordo di giovedì mattina è ingannevole. Si è concordata con i creditori della Grecia una sorta di bancarotta dentro l’euro. Può a prima vista avere il merito di ‘tagliare’ buona parte di crediti inesigibili, evitando di uccidere il malato con i salassi. L’haircut è però finanziato in modo improbabile da un fondo di stabilizzazione su cui (oltre Halevi sul manifesto) vale quanto profeticamente scrive Münchau lunedì scorso sul Financial Times: moltiplica fittiziamente le munizioni per il soccorso costruendo un effetto leva e una ‘assicurazione’ sui prestiti di tossicità pari all’opaco meccanismo sottostante i subprime. A termine amplifica, non risolve, la crisi.
- Details
- Hits: 2638
Quell'integrazione fallita in un'economia globalizzata
Joseph Halevi
Fin dai referendum sul trattato di Maastricht, approvato per un soffio dall'elettorato francese e bocciato da quello danese, la prova delle urne ha messo sistematicamente in crisi l'Europa istituzionale. Le bocciature dei trattati europei sono viste come un attaccamento anacronistico agli stati nazionali mentre, si dice, la globalizzazione li svuota di significato.
La realtà è ben diversa. Sul piano dell'integrazione economica l'Europa è pienamente inserita nel processo mondiale sia sul piano reale che su quello finanziario. La stessa Irlanda ne costituisce un esempio. Nella fase cumulativa gli aiuti da Bruxelles e la detassazione dei capitali hanno trasformato il paese in una base per multinazionali farmaceutiche ed elettroniche proiettate verso il mercato europeo ed oltre.
Oggi, dopo aver raggiunto i più alti livelli dell'Unione europea, Dublino è in fase decrescente, con perdite di aziende verso i paesi dell'est, tra i quali l'altrettanto piccola Estonia emerge come una base offshore dell'elettronica scandinava in diretta contrapposizione all'Irlanda. Nel frattempo poli di avanzata tecnologia globale come Grenoble in Francia si stanno svuotando per le rilocalizzazioni in Cina. È l'integrazione politica che è da tempo fallita in Europa impedendo quindi di affrontare la globalizzazione.
A differenza dell'integrazione economica che, dal Piano Marshall in poi, ha coinvolto l'intera Europa occidentale dalla Norvegia alla Grecia, il cuore dell'integrazione politica si basa su un nocciolo di paesi continentali. In particolare sulla Germania, sulla Francia e sull'Italia.
- Details
- Hits: 3021
Certo che ci vuole più Europa, ma non questa Europa.
di Giulietto Chiesa
Tre referendum popolari, tre bocciature. L'Irlanda ha detto "no" al trattato che fu firmato dai capi di Stato e di Governo europei il 13 dicembre 2007 nel monastero di Jeronimos, a Lisbona. Esattamente come i francesi dissero "no", insieme agli olandesi, al "Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa", che era stato presentato solennemente a Roma il 18 luglio 2003. Poichè la differenza tra i due documenti era ed è praticamente nulla, i tre "no" popolari hanno lo stesso significato: una Costituzione Europea fatta in quel modo, con quei contenuti, non va bene, non è vendibile alle opinioni pubbliche, non ha un'anima decente. Per non dire che ha un'anima pericolosa per la democrazia. E quell'anima che ha è meglio mandarla all'inferno per crearne un'altra.
Dico subito che il colpo d'arresto che il referendum irlandese non è cosa che possa entusiasmare chi guarda ai destini del mondo. L'Europa (tutta l'idea europea, quella buona e quella cattiva) ne esce ridimensionata, frenata, indebolita. E, in una situazione di crisi internazionale gravissima, multipla, senza soluzioni
Page 75 of 75