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collettivolegauche

Andrea Fumagalli e lo studio della bioeconomia e del capitalismo cognitivo

di Collettivo Le Gauche

1. Introduzione

Nel suo libro Bioeconomia e capitalismo cognitivo. Verso un nuovo paradigma di ac71AIgFaPiLL. AC UF10001000 QL80 .jpgcumulazione Andrea Fumagalli caratterizza l’economia capitalista come un sistema monetario di produzione e non come di semplice scambio. Questo approccio sottolinea la preminenza della produzione e dell’accumulazione rispetto allo scambio e alla realizzazione del valore. Il motore della produzione è l’investimento che rappresenta l’accumulazione privata di capitale e dipende dalle decisioni imprenditoriali capaci di influenzare dinamicamente il progresso tecnologico e l’uso dei fattori produttivi determinando il successo del processo di accumulazione e la distribuzione della ricchezza, sia in termini quantitativi che qualitativi. L’investimento per Fumagalli non si limita a determinare il livello di consumo e risparmio. Esso assume la forma di un biopotere che condiziona il lavoro e, di conseguenza, il controllo sui corpi e sulle menti degli individui. Non si tratta però di un potere assoluto per via del vincolo prodotto da fattori come le modalità di finanziamento e le aspettative sulla domanda finale dei beni. Mentre il finanziamento è un fattore noto a priori, le aspettative sono formulate in condizioni di incertezza e non sono completamente quantificabili, nonostante i tentativi di teorizzarle matematicamente. Queste aspettative, influenzate da variabili psicologiche, sono cruciali per le decisioni imprenditoriali. L’obiettivo dell’accumulazione capitalistica è la generazione di plusvalore monetario, ciò rende l’economia capitalista intrinsecamente monetaria. La moneta, in particolare come moneta-credito, svolge un ruolo centrale in questo processo. Lo studio del capitalismo, quindi, deve considerare i meccanismi di finanziamento, i modi di produzione e la fase di realizzazione, riflettendo il ciclo del capitale monetario descritto da Marx e ripreso da interpretazioni eterodosse keynesiane.

 

2. Il biopotere della finanza

Nel 1975 gli Stati Uniti avviarono un processo di liberalizzazione delle commissioni finanziarie con l’obiettivo di potenziare il finanziamento dell’economia attraverso i mercati azionari.

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sinistra

Il rapporto tra spontaneità e coscienza nell’epoca dello “sdoppiamento”

di Eros Barone

lenin vladimir ilyich ulyanov 22 4 1870 21 1 1924 politico russo a meta della durata del discorso durante un incontro disegno circa 1940 ddt06p.jpg1. Il rapporto tra classe sociale e organizzazione politica

La storia dell’epoca borghese dimostra che l’analisi teorica e l’organizzazione pratica della lotta di classe tanto più tendono ad avvicinarsi e a fondersi, quanto più diviene stretto il nesso fra spontaneità e coscienza, fra classe sociale e organizzazione politica. Può accadere allora - come accade nella fase attuale - che il rapporto fra classe sociale e organizzazione politica, tanto per la borghesia quanto per il proletariato, anche se in termini radicalmente diversi, essendo per l’una un problema vitale di conservazione del potere e per l’altro un problema vitale di conquista del potere, diventi un nodo storico che deve essere sciolto politicamente nel breve periodo, a partire sia dallo stato presente dei rapporti sociali sia dal grado attuale di sviluppo delle forze soggettive. Nell’epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie, nel periodo del revisionismo e del crollo dei regimi socialisti da esso diretti, ma anche, per quanto concerne l’Italia, nel momento attuale, in cui si manifestano i tipici connotati di una crisi organica delle classi dominanti, un discorso sul partito capace di coniugare il rigoroso modello leniniano con le soluzioni organizzativi offerte dal presente può incidere con forza sulla coscienza politico-ideologica del proletariato e sulla stessa disarticolazione del potere borghese.

La premessa da cui occorre muovere nell'inverare la prospettiva generale, che emerge dalla crisi mondiale del capitalismo, è la distinzione, stabilita da Lenin, tra la lotta economica (che è la lotta contro i singoli capitalisti o contro i singoli gruppi di capitalisti per migliorare le condizioni di lavoro degli operai) e la lotta politica (che è la lotta contro il governo per affermare ed estendere i diritti delle masse lavoratrici). Tale premessa teorica è stata poi concretizzata, attraverso la prassi marxista-leninista della lotta di classe, in una unità indissolubile tra i due momenti.

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economiaepolitica

Lo Stato del potere

di Salvatore D'Acunto

Oltre il Neoliberismo. Considerazioni in margine a un libro sulle recenti mutazioni del ruolo dello Stato

business industry 1068x580 1.jpg1. Sebbene il dibattito sulle torsioni subite dalla forma di Stato nell’ultimo quarantennio nei Paesi a capitalismo maturo sia stato intenso, non si può dire che abbia fatto ancora chiarezza circa la configurazione dei poteri emersa all’esito di queste trasformazioni. Resistono, infatti, nella letteratura scientifica così come nell’opinione pubblica, un certo numero di luoghi comuni sul tema duri da sradicare. Pertanto, fa molto piacere trovare in libreria un volume come Lo Stato del potere. Politica e diritto ai tempi della post-libertà di Carlo Iannello,[1] in cui si cerca con pazienza di tracciare un filo conduttore tra i fatti che hanno segnato questo processo di trasformazione, di rendere quindi analiticamente trattabile la magmatica materia di cui questa storia è composta, e infine di fare i conti con le questioni interpretative ancora aperte nel dibattito.

Per comodità espositiva, conviene preliminarmente riassumere la tesi proposta nel libro in poche proposizioni chiave: (1) Nell’esperienza dello Stato sociale, incardinata nello schema del costituzionalismo novecentesco, si è incarnata l’aspirazione della società a mettere sotto controllo il capitale, a limitarne le potenzialità eversive dell’ordine economico e sociale manifestate nella prima metà del secolo e a orientarne la straordinaria capacità di generazione di ricchezza materiale verso obiettivi e modelli di allocazione delle risorse democraticamente scelti dai cittadini; (2) Questa esperienza si interrompe grosso modo all’inizio degli anni 80 del secolo scorso, quando il capitale reagisce all’erosione della profittabilità, egemonizza il dibattito pubblico con una lettura della crisi del decennio precedente che mette il focus sull’inflazione delle aspettative redistributive della classe lavoratrice, e capovolge il ruolo dello Stato, funzionalizzandolo a un progetto di sottomissione dell’intera società alla logica mercantile.

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sinistra

Osservazioni ai lucidi del prof. Adriano Paolo Morando* sulla storia e sulla epistemologia delle scienze elettromagnetiche

di Eros Barone

Page1 1 2.jpgLa fisica deve dirigere la sua rotta tra Scilla, l’astratto, e Cariddi, il concreto…

James Clerk Maxwell

I

Circa la categoria storiografica di “rivoluzione scientifica” (d’ora in avanti RS) integrerei l’elenco dei protagonisti aggiungendo a Galilei, Descartes e Newton, per quanto riguarda la biologia, il massimo rappresentante della RS in campo medico, ossia l’inglese William Harvey (1578-1657), il cui merito è stato quello di aver avuto per primo una chiara visione della circolazione del sangue.

Ancora una volta, è Galileo che ha sintetizzato nel binomio delle “sensate esperienze” e delle “certe dimostrazioni” i caratteri del metodo scientifico moderno, che è costituito dall’uso sistematico del cosiddetto “metodo sperimentale” fondato sull’applicazione della matematica e sull’osservazione scrupolosa dell’esperienza. Il problema della conoscenza consisteva dunque nel determinare la via per giungere alla scienza oltrepassando il campo delle mere opinioni e le sole discipline, in cui fu conseguito per giudizio unanime questo scopo, furono la matematica, applicata all’astronomia, e la logica formale. La filosofia della scienza (d’ora in avanti FDS), che mosse i suoi primi passi tra ’600 ed ’800 per iniziativa degli stessi scienziati (Galileo Galilei, Isaac Newton), di alcuni filosofi come Gottfried Leibniz (1646-1716) e Immanuel Kant (1724-1804), protagonista della cosiddetta “rivoluzione copernicana” in filosofia, e del fondatore del positivismo, Auguste Comte (1798-1858), si concentrò pertanto sia sull’analisi dei fondamenti e dei metodi della matematica sia sull’analisi del metodo sperimentale. Il contatto con l’esperienza nelle teorie fisiche fu perciò ritenuto fondamentale, cosicché nei trattati di fisica moderni le proposizioni primitive (assiomi e postulati) devono possedere una loro evidenza, ma anche un aggancio con l’osservazione, come accade nel trattato di A. M. Ampère, Teoria matematica dei fenomeni elettrici unicamente dedotta dall’esperienza (1826).

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 machina

Innovazione tecnologica ed educazione sentimentale

di Franco Piperno

Estratto da Sentimenti dell'aldiqua (DeriveApprodi, 2023)

0e99dc dbc0d35be2054f889c3bca1f133ff372mv2Per ricordare Franco Piperno, pubblichiamo oggi un suo meraviglioso scritto, estratto da Sentimenti dell'aldiqua (nuova edizione DeriveApprodi, 2023). Nel testo Franco analizza con profonda lucidità i cambiamenti imposti dalla macchina informatica alla conoscenza, alle capacità cognitive umane, ai modi di pensare e comunicare. Processo che non va vissuto con la nostalgia verso una supposta natura umana immutabile, ma con la voglia di «osare stipulare un nuovo significato della parola lavoro, un altro calendario, un diverso tempo collettivo».

Le riflessioni di Franco sul rapporto tra innovazione tecnologica e capacità umane erano al centro di un altro testo che abbiamo pubblicato su Transuenze, Ascesa e crisi della tecnoscienza del capitale.

* * * *

Marx e Turing

Se, per gioco, per scrollarsi di dosso il tedio della sconfitta, scegliessimo il Frammento sulle macchine di Marx come un passo biblico, un luogo nel quale la parola risuona profetica, allora il commentario adeguato di quel testo sarebbe una esposizione concisa della teoria degli automi, ovvero la descrizione, a grandi linee, della macchina generale di Turing. L’applicazione della macchina informatica al processo produttivo conferisce a quest’ultimo il carattere della scienza naturale, di processo naturale scientificamente riprodotto; e, a un tempo, riduce il lavoro del corpo umano, il lavoro vivo a un semplice elemento di questo processo: l’organo cosciente, l’osservazione volta a evitare l’interruzione. Marx, nel Frammento, avanza la congettura che l’applicazione sistematica del sapere tecnico-scientifico alla produzione avrebbe conseguito l’esito di liberare l’operaio dalla fabbrica, rendendo così vano il misurare la ricchezza con il tempo di lavoro umano.

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lanatra di vaucan

Villaggi globali: alla ricerca di una utopia concreta in tempi di smarrimento

di Massimo Maggini e Franz Nahrada

Villaggio globale 1.jpgCome noto, la Wertkritik (it. Critica del Valore) è stata spesso accusata, ripetutamente e da più parti, di trascurare gli aspetti “pratici” e “propositivi” nella sua lettura del momento storico che stiamo attraversando, limitandosi a descriverne la crisi strutturale e a metterci in guardia rispetto alla catastrofe in corso – secondo questa lettura estremamente tragica, pericolosa e irreversibile.

Questa obiezione non è campata in aria, e la questione non è di lana caprina. La Wertkritik, pur capace di analizzare con rara profondità e attenzione il periodo che altri chiamano “Capitalocene”I, corre effettivamente il rischio di assumere una sorta di posizione passiva nei confronti dei problemi che questo solleva, quasi da mera “spettatrice” in attesa del cadavere portato dalla corrente. Ma da questa posizione, che potremmo definire “contemplativa”, il rischio è che finisca essa stessa risucchiata dal fiume in piena, nella misura in cui il capitalismo, mentre rovina, porta con sé il mondo intero.

Questa problematica sta in qualche modo emergendo all’interno del Krisis-Kreis, cioè della cerchia di coloro che si rifanno alle istanze di fondo formulate da questa corrente di pensieroII.

È vero che, per citare Robert Kurz, “…Nessuno può dire di conoscere una via règia che ci conduca fuori da questa situazione desolante, né può estrarre dal cilindro, come per incanto, un programma per l’abolizione della merce moderna” ma, aggiunge subito dopo lo stesso Kurz, “Drammatico è però il fatto che, fino ad ora, non sia neppure iniziata una discussione in questo senso”III.

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Le rivoluzioni di Kuhn e i molti mondi della scienza

di Roberto Paura

“L’incommensurabilità della scienza” chiarisce il pensiero del filosofo delle rivoluzioni scientifiche

in rilievo letture kuhn A.jpgPer quanto possa apparire un’ovvietà, vale sempre la pena ricordare che in nessun’epoca della storia gli uomini si sono sentiti “antichi”. Poteva accadere – ed è accaduto quasi sempre finché la moderna ideologia delle “magnifiche sorti e progressive” non si è affermata – che ci si percepisse in un’epoca di decadenza; ma ogni generazione si considera moderna e attribuisce alle precedenti errori e concezioni superate, anche se questo può farci sorridere se pensiamo a coloro che credevano nella fissità della Terra o nell’etere luminifero. Di quest’ovvietà si rese conto Thomas S. Kuhn nell’estate del 1947 quando, giovane dottorando venticinquenne, meditando sul testo della Fisica di Aristotele, all’improvviso ebbe una illuminazione:

“Improvvisamente i frammenti nella mia testa si sono riordinati in modo nuovo e ognuno è andato al proprio posto. Sono rimasto a bocca aperta, perché tutto d’un tratto Aristotele mi sembrò davvero un ottimo fisico, ma di un tipo che non avevo mai sognato fosse possibile”

(Kuhn, 2024).

Era accaduto che Kuhn, chiedendosi come fosse possibile per il più grande filosofo dell’età antica credere nell’inesistenza del vuoto e in generale a tutta una serie di concezioni scientifiche del tutto errate rispetto alle nostre conoscenza moderne, comprese che la fisica di Aristotele si reggeva su concetti che avevano per lui significati del tutto diversi da quelli che hanno oggi e che, all’interno di quella tassonomia, la fisica aristotelica era non solo perfettamente sensata, ma corretta. Quell’epifania aveva proiettato per un attimo Kuhn nel mondo di Aristotele, vale a dire che gli era riuscito di vedere il mondo esattamente nello stesso modo in cui lo vedeva lo Stagirita, e non piuttosto – come sempre avviene – con gli occhi di noi “moderni” di oggi. Nell’opus magnum di Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), questa idea è trattata nel capitolo decimo, intitolato Le rivoluzioni come mutamenti nella concezione del mondo. Il cambio di paradigma che rappresenta, nell’opera di Kuhn, il processo con cui si verifica una rivoluzione scientifica, è un vero e proprio cambiamento di mondo:

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collettivomillepiani

Il “punto di vista di classe”, la dialettica e il partito

di Jacques Bonhomme

94B1FA21 AD18 49CC 8C8E 1047ED278AD9.jpeg1. Tra passato e presente: “il punto di vista di classe”

Le locuzioni che fanno parte del vocabolario marxista novecentesco, di quel marxismo che è stato la lingua parlata e accomunante – pur con tutti i suoi dialetti – delle Rivoluzioni che vi hanno preso avvio, si usano spesso con timida circospezione, con molta esitazione e quasi chiedendo il permesso. La formula “punto di vista del proletariato” entra subito e facilmente in questo repertorio. E quindi, per poterla recuperare, per poterla incorporare in una “lingua ritrovata”, in una lingua che articoli le pratiche delle lotte sociali e politiche, serve, ineludibilmente, uno sforzo di traduzione. In prima istanza, traduzione da un libro cruciale, da Storia e coscienza di classe di György Lukács, del quale il concetto di “punto di vista del proletariato” è l’architrave filosofico. In seconda istanza, traduzione dai contesti in cui quella teoria di Lukács e importanti forze storiche si sono vicendevolmente rispecchiati e più o meno direttamente sostenuti.

Qualunque sforzo è tuttavia un prezzo sempre troppo basso in proporzione all’importanza dei problemi, dei contenuti teorici e delle prospettive pratiche che l’espressione e, inseparabilmente, il concetto di “punto di vista del proletariato” hanno seminato durante un lungo tempo storico, dalla Terza Internazionale all’emergere del cosiddetto “marxismo occidentale”, dai movimenti studenteschi a Fanon. Infatti, le traduzioni sono avvenute attraverso le pratiche, poiché le continuità hanno beneficiato delle critiche e le situazioni hanno incessantemente riconvertito le idee. Comunque, non è mai crollato il ponte filosofico tra il “punto di vista di classe”, che altro non è che il modo di conoscere il mondo sociale nella sua storicità - la coscienza di esso -, e la classe antagonistica della borghesia imperialista; per quanto quella classe non abbia più il volto del proletariato della guerra civile rivoluzionaria degli anni Venti, delle Repubbliche dei Consigli in Germania e in Ungheria e del Biennio Rosso in Italia.

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collettivolegauche

Gli strateghi del capitale: uno stimolo pessimista per ripensare la transizione

di Collettivo LeGauche

Il libro di Gianfranco La Grassa Gli strateghi del capitale. Una teoria del conflitto oltre Marx e Lenin rappresenta il punto di arrivo della lunga parabola intellettuale di La Grassa e del suo personale ripensamento della teoria marxista

18 321. Ripensare il marxismo

Per La Grassa la scienza disantropomorfizza e per questo motivo le scienze naturali si sono dovute liberare di ogni forma di animismo. Concetti come forza o magnetismo possono portare ad alcuni errori perché fanno credere all’esistenza di qualità intrinseche alla materia di cui sono costituiti i corpi fisici. Si tratta, invece, di caratteristiche delle funzioni che esercitano in determinate condizioni di intreccio e interazione reciproca. La matematica aiuta, esattamente come il linguaggio, a sfuggire da ogni punto di vista sostanziale. Esiste una fondamentale unitarietà di metodo tra tutte le scienze, incluse quelle sociali. Concetti come formazione sociale o modo di produzione non fanno eccezione. Lo scienziato deve limitarsi alle funzioni di dati soggetti e descriverne i caratteri per costruire l’intelaiatura della società. La scienza non serve a rispondere alle domande essenziali che l’uomo si pone circa la sua esistenza o i fini ultimi della sua vita ma deve forgiare strumenti per orientare le nostre azioni in una realtà complessa come la società umana. Quindi la scienza non risponde a domande sull’essenza umana e neanche deve porsi simili questioni ma allo stesso tempo lo scienziato sociale non deve indagare la realtà per imbrigliarla in schemi teorici che orientano l’interpretazione e l’azione nella società con lo stesso spirito che guida il lavoro degli scienziati che interpretano la natura. Analizzare le forme storiche delle relazioni sociali ha bisogno di strumentazioni teoriche tanto quanto l’analisi del moto degli astri o delle reazioni chimiche ma lo spirito che muove le analisi nei vari rami delle scienze non è uguale.

In Marx è sempre stata presente una pulsione all’oggettività scientifica che nasceva dal suo essere un rivoluzionario e dal non volersi limitare ad analizzare il mondo in cui viveva ma a trasformarlo. Per conseguire un simile scopo non era sufficiente l’adesione morale ad un progetto politico ma studiare le sue condizioni di possibilità attraverso l’analisi della struttura interrelazionale e interazionale tra le varie classi.

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antiper

Il capitalismo è incapace di auto-espansione?

di Anwar Shaikh

Tratto da Anwar Shaikh, Introduzione alla storia delle teorie sulla crisi, in U.S. Capitalism in crisis, U.R.P.E New York, 1978, Traduzione 2012 a cura di Antiper

borsa nySin dall’inizio, la visione del laissez-faire di un capitalismo armonioso e privo di crisi è stata tormentata da una altrettanto vecchia e persistente visione di un capitalismo strutturalmente incapace di accumulazione. [In questa visione] si assume che le forze interne del sistema possano al più riprodurlo in modo stazionario: ma, se stagnante, il capitalismo degenera rapidamente. La competizione mette gli uni contro gli altri, e non c’è crescita che qualcuno possa realizzare se non a discapito di qualcun altro. Capitale contro capitale, lavoratore contro lavoratore, classe contro classe. O l’antagonismo diventa troppo intenso e il sistema esplode oppure degenera in una società (come la Cina di una volta) nella quale una ristretta élite di potere grava su una condizione di povertà di massa e di miseria umana. In entrambi i casi, un capitalismo che non accumula non dura a lungo.

È interessante osservare come questo argomento a confutazione si basi sullo stesso assunto originario della teoria che attacca. La teoria ortodossa ha sempre sostenuto infatti che lo scopo finale di tutta la produzione capitalistica è quello di produrre per il consumo: ciò che non viene consumato viene ora reinvestito nella produzione allo scopo di garantire un consumo futuro. In tutti i casi è il consumo che detta legge. Nell’oscurità della teoria sotto-consumista, questa stessa nozione dovrebbe diventare un’arma per attaccare il capitalismo.

Attraverso la lunga e complessa storia di questo ramo di teoria della crisi, ricorre di continuo il seguente argomento: sì, il regolatore finale di tutta la produzione è nei fatti il consumo, attuale o futuro; d’altra parte, la produzione capitalistica non risponde ai bisogni, ma al potere di acquisto; non alla domanda, ma alla domanda “effettiva” (cioè a dire, la domanda solvibile). E tale è la natura contraddittoria della produzione capitalistica che, ove lasciata a sé stessa, è incapace di generare sufficiente domanda effettiva per supportare l’accumulazione. I meccanismi intrinseci del sistema, in altre parole, tendono a condurlo verso la stagnazione: esso necessita pertanto di fonti esterne di domanda effettiva – esterne ai suoi meccanismi fondamentali – al fine di continuare a crescere.

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poliscritture

Marx e la Crisi della Fisica

di Paolo Di Marco

crisi fisicaa) Tecnica e lotta di classe

In una intervista/dibattito su YouTube con Varoufakis, David Wengrow, archeologo e uno dei due autori de ‘L’alba di tutto’ (v. 1), porta una critica radicale alla teoria dell’evoluzione umana basata sui salti della tecnologia (bronzo, ferro, agricoltura…) che non è compatibile, dice, coi dati che abbiamo accumulato negli ultimi vent’anni.

Le svolte vere sono state invece nelle forme di organizzazione sociale, da ventimila anni fa in poi; e la cosa interessante, sottolinea, è il fatto che non hanno seguito un percorso lineare (come nella vulgata sette-ottocentesca: dai cacciatori primitivi poveri e malaticci agli agricoltori col surplus e di qui a salire trionfalmente fino al capitalismo..) ma hanno seguito tanti rami diversi, spesso anche in modo ciclico (un ramo viene abbondanato da un parte e ripreso da un’altra).

Solo in epoca moderna questo va a coincidere con l’affermazione di Marx, ‘la storia è storia delle lotte di classe’, il che se da una parte è una conferma dall’altra mostra il depauperamento della storia stessa, il suo appiattimento in termini di gradi di libertà.

Ed è proprio la fase capitalistica che vede il più stretto legame tra rapporti sociali di produzione e scienza e tecnica: se la lunga fase dell’accumulazione primitiva crea la forza-lavoro libera per le fabbriche, è la macchina a vapore che crea il dominio dell’industria; anche se con un piccolo aiutino imperiale, dato che la concorrenza delle tessiture bengalesi viene eliminata non grazie alla ‘mano invisibile del mercato’ ma tagliando il pollice dei capifamiglia. Questo connubio forza tecnica-forza militare è carattere precipuo del capitalismo, seppure in dosi diverse in periodi diversi. Rispetto alla tecnica la scienza è insieme madre e figlia: le conoscenze scientifiche generano le tecniche, la tecnica propone le domande di cui la scienza si alimenta; anche se per tutto l’ottocento c’è un vortice continuo che mescola scienziati, inventori, artigiani arrivando solo a fine secolo ad una chiara distinzione dei ruoli e delle sedi.

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collettivolegauche

Introduzione al pensiero di Gianfranco La Grassa

di Collettivo Le Gauche

hq720 11. Introdurre La Grassa a chi non lo conosce

Per introdurre il pensiero di Gianfranco La Grassa è utile prendere in mano Il meccanico del marxismo. Introduzione critica al pensiero di Gianfranco La Grassa scritto da Piotr Zygulski. Il termine “meccanico del marxismo” è di Costanzo Preve e serve a descrivere il lavoro dell’economista veneto come un tentativo orientato non alla rianimazione della teoria di Marx bensì alla sua analisi per provare a smontare e rimontare, anche con pezzi nuovi, questa dottrina politica che avrebbe bisogno più di un nuovo motore che di nuovi autisti. Questa operazione richiede di individuare con precisione le parti difettose per poi apporre delle modifiche efficaci che possono produrre un risultato poco lontano dall’originale o la creazione di una vettura del tutto nuova e difficilmente distinguibile dal punto di partenza. Per capire come e perché è stato realizzato tutto ciò è bene presentare qualche dato biografico. Gianfranco La Grassa nasce nel 1935 a Conegliano da una famiglia di origini siciliane che possedeva un’azienda in Veneto specializzata nella produzione di vini e vermut. Nel 1953 approda al marxismo e si avvicina al PCI dopo una vacanza a Palermo dove scopre i libri di Marx e di Stalin. Dopo il diploma presso la scuola enologica di Conegliano si iscrive all’Università Ca’ Foscari di Venezia e inizia a partecipare alle riunioni del PCI pur non prendendo la tessera del partito. Nel 1959, dopo uno scambio epistolare, il suo maestro italiano, Antonio Pesenti, lo convince a trasferirsi all’Università di Parma dove aveva la cattedra di Scienza delle Finanze e di Diritto Finanziario. Nello stesso periodo inizia a prendere le distanze dal PCI e dalla “via italiana al socialismo” di Togliatti e non accetta le conclusioni del XX congresso del PCUS colpevole, secondo La Grassa, di incolpare dei crimini dello stalinismo unicamente la figura di Stalin e per questo iniziò ad avvicinarsi al maoismo. Nel 1963 rompe in maniera definitiva con il PCI dopo una complicata riunione di partito con il Comitato Federale di Treviso a cui fa seguito l’inizio della scrittura di una serie di ciclostilati di analisi politica tramite cui accusava di “neorevisionismo” sia il PCUS che il PCI.

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citystrike

Braverman, il capitale monopolistico e l’IA: il lavoratore complessivo e la riunificazione del lavoro

di John Bellamy Foster

Screenshot 2024 05 28 alle 10.12.19 300x186.pngNota Redazionale. Questo testo è stato originariamente pubblicato su Monthly Review dal direttore John Bellamy Foster nel dicembre 2024. E’ stato poi ripubblicato, tradotto in italiano da Antropocene.org. Lo riprendiamo in quanto rientra nel dibattito centrale sull’introduzione delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, con particolare riferimento al dibattito sull’intelligenza artificiale. Riprendendo un vecchio testo di Braverman, Bellamy Foster mette in evidenza come l’introduzione della tecnologia informatica nel lavoro sia il compimento di un lavoro che il capitalismo ha introdotto fin dall’inizio del suo percorso attraverso il meccanismo della divisione del lavoro.

In tal senso, il capitalismo ha introdotto la scienza al servizio della produzione con l’unico scopo di produrre di più e a minore costo, aumentando il profitto. In perfetta concordanza con gli obiettivi descritti nel Capitale di Marx. Ovviamente, tale scelta, ha portato in dono alcuni elementi fondamentali tra cui l’aumento dei beni prodotti.

Contemporaneamente, il compimento di questo lavoro ha portato a livelli sempre maggiori di alienazione nei lavoratori.

Di particolare interesse, nell’analisi qui sviluppata, la ripresa dei concetti di “general intellect” e di “lavoratore complessivo”. Nella analisi giovanile di Marx, il frammento sulle macchine presente nei “Grundrisse” è stato generalmente interpretato come la previsione di Marx sul fatto che lo sviluppo delle tecnologie e dell’automazione avrebbero, in qualche modo, abolito la legge del valore.

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coku

Le ragioni del cuore e l’uomo borghese

di Leo Essen

lutero 1220x600.jpgLutero ha un problema, e questo problema si chiama Peccato. Ciò che cerca è la Salvezza, una via che lo porti verso una vita giusta.

Secondo i più è stato il viaggio di Lutero nella Città Eterna, compiuto nel 1510, che condusse allo scisma dalla chiesa di Roma.

Cosa vide Lutero a Roma? Vide Babilonia maledetta, le sue cortigiane, i suoi sgherri, i suoi ruffiani, il suo clero simoniaco, i suoi cardinali senza fede e senza moralità. Vide che la via della pace prevedeva il pagamento di un pedaggio.

Quando ritornò in Germania, portò in cuore l’odio inestinguibile verso la grande prostituta. Gli eccessi, quegli eccessi che la cristianità unanimemente bollava d’infamia, egli li aveva visti, incarnati, vivere e prosperare insolentemente sotto il cielo romano. Soprattutto, lo aveva colpito lo scandalo dei soldi raccolti attraverso la politica delle indulgenze e spesi per alimentare la corruzione delle anime e delle menti.

Era la spaventosa miseria morale della Chiesa che gli si era mostrata nella sua nudità e che lo aveva turbato. Abusi materiali: commercio di beni sacri, traffico di benefici in urgenze, vita licenziosa del clero, rapida dissoluzione dell’istituto monastico; e, dall’altra parte, dissolutezza nel campo morale: decadenze, miserie di una teologia che riduceva la fede viva a un sistema di pratiche morte.

Questo è quello che si racconta di Lutero, dice Lucien Febvre (Martin Lutero). Ma le cose non andarono in questo modo. I problemi di Lutero non erano la lussuria della Chiesa e la vendita delle indulgenze, non erano la decadenza di Roma e la perdita di una purezza primitiva. Per Lutero non c’era un’origine intatta da ripristinare, un’unità con Dio prima della caduta di Roma. Per Lutero c’era il Peccato, e il tormento di non riuscire a trovare la via dal peccato alla salvezza.

Come posso, con le mie gambe, con le mie mani, con questo mio misero corpo, tendermi verso Dio e toccarlo, partecipare della sua grazia? Come posso io, misero peccatore, piccolo verme strisciante, ammasso finito di pelle o ossa, cloaca di peccati e miserie pretendere di innalzarmi a Lui, il puro, il vero, l’infinito?

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mondorosso

Prefazione al libro "Metalibro su logica dialettica e l'essere del nulla" di V. Melia e A. Pascale

di Alessandro Pascale

0c9fd6c0 f063 4d87 aa7a f41366728a3c.jpgHo accolto con piacere la proposta di Vanna Melia di collaborare a questo metalibro di riflessione e rafforzamento dell’opera Logica dialettica e l’essere del nulla recentemente pubblicata dai compagni Sidoli, Burgio e Leoni, per la primaria constatazione della natura profondamente politica, oltre che teoretica, dell’argomento.

Il tema potrebbe in effetti sembrare a molti compagni e militanti secondario in un contesto caratterizzato dalla guerra e dalle urgenze organizzative dettate dalla crisi del movimento comunista occidentale, ma in realtà occorre ribadire il nesso profondo che lega la crisi del marxismo occidentale proprio alla perdita dei fondamentali della teoria filosofica rivoluzionaria elaborata oltre 150 anni fa da Marx ed Engels, via via sviluppati da altri importanti maestri del socialismo. In tal senso ho ribadito più volte in altre sedi (rimanderei al recente Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari, L’AntiDiplomatico 2023) l’importanza basilare, anzitutto per i quadri dirigenti, ma non secondariamente anche per i militanti e i simpatizzanti, della necessità di recuperare una forma mentis alternativa rispetto alla rigida logica “metafisica” prevalente nel senso comune. Ribadire, come fa la logica formale, che A = A, e fermarsi a questo, appiattisce la realtà percepita a una razionalità che appare inamovibile, statica, eterna, rendendo vano non solo lavorare per una realtà diversa, ma perfino riuscire a concepirla mentalmente, tale realtà diversa. La logica dialettica apre quindi il campo alla possibilità di pensare a una realtà in divenire continuo, obbligando i singoli e le organizzazioni a lavorare continuamente all’aggiornamento della propria analisi e della propria proposta cercando di infilarsi nelle contraddizioni che caratterizzano costantemente, costitutivamente, l’intera realtà, compresa la società in cui viviamo. Contraddizioni in cui sono già presenti, seppur spesso appena accennati o invisibili, i germi della società futura che vorremmo costruire. Contraddizioni che non scompariranno mai del tutto, nemmeno nella società socialista e comunista, obbligandoci a uscire da visioni dogmatiche e definitive del percorso rivoluzionario e di una ipotetica “fine della storia” che non potrà mai caratterizzare né alcuna società capitalista, né comunista.