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kamomodena

FOTTUTI! La formazione del rivoluzionario: Lenin e i bolscevichi

di Guido Carpi

la formazione del rivoluzionario1Non si fa la rivoluzione senza rivoluzionari e rivoluzionarie.

È la lezione, ancora oggi tutta da conquistare, dei bolscevichi, che con l’Ottobre sovietico incendiarono il Novecento. Lenin ha speso l’intera propria opera a formare questo tipo di nuovo militante politico. Ogni sua riga è rivolta ai militanti, anche quando essi erano ancora di là da venire. Ipocriti e professori, invece, li voleva fuori dai piedi.

È questo il Lenin di cui abbiamo voluto parlare, nel secondo incontro del ciclo MILITANTI: giovane e sovversivo, audace e sognatore, pieno di intelligenza e odio di parte, lucida rabbia e realismo rivoluzionario, dentro il proprio tempo ma contro di esso, con gli stessi problemi, errori e contraddizioni da affrontare dei militanti di oggi – tra guerra, sfruttamento, mancanza di un orizzonte di trasformazione e l’urgenza del “Che fare?”. Un Lenin quindi ancora vivo, perché non mummificato dalle tristi parrocchie (e spesso inquietanti sette) “marxiste-leniniste-trozkiste-maoiste-sinistre” e chi più ne ha più ne metta, che hanno finito per renderlo inoffensivo.

L’idea-prassi centrale di Volodja, il nucleo della sua forza, è infatti l’«attualità della rivoluzione», la sua declinazione e articolazione concreta in ogni passaggio, momento, sia tattico che strategico, della militanza comunista: dall’inchiesta in fabbrica all’insurrezione nelle strade, dalla stesura di un volantino alla guerra civile. Una rivoluzione che scoppia e vince in Russia non perché fossero mature le condizioni storiche ed economiche del suo capitalismo, ma perché lì era più forte la lotta di classe e l’organizzazione politica degli operai. La lezione leniniana ci dice insomma che c’è da cogliere l’occasione quando si presenta – non solo: l’occasione c’è da prepararla.

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between

L'Europa di Gramsci

di Luca Mozzachiodi

Lelio La Porta e Francesco Marola (eds.): L’Europa di Gramsci. Filosofia, letteratura, traducibilità - “Per Gramsci”, Roma, Bordeaux, 2022, 272 pp.

cover issue 214 en USIl volume L’Europa di Gramsci. Filosofia, letteratura e traducibilità, a cura di Lelio La Porta e Francesco Marola, è il primo volume della nuova serie della collana “Per Gramsci” della International Gramsci Society, che prosegue le sue pubblicazioni con l’editore Bordeaux, peraltro segnalatosi in questi anni per una robusta ripresa delle pubblicazioni di area marxista sia in campo politico che critico-letterario.

Quello degli studi gramsciani a livello mondiale (figurano del resto tra gli autori e autrici nomi di assoluto rilievo come Derek Boothman, Guido Liguori, Giuseppe Guida e Lelio La Porta) non è però il solo contesto in cui si inserisce questa raccolta. Esiste indubbiamente una filiazione diretta con un precedente volume di saggi ispirati al pensatore sardo: Il presente di Gramsci: letteratura e ideologia oggi, edito da Galaad nel 2018; ciò non solo perché nell’e­lenco degli autori ritroviamo, assieme al co-curatore Marola, Paolo Desogus, Lorenzo Mari, Mimmo Cangiano e Marco Gatto (ai contributi da parte dei due gruppi menzionati vanno aggiunti quelli di Pietro Maltese, Noemi Ghet­ti, Lavinia Mannelli e Fortunato Maria Cacciatore per comporre il ricco affre­sco di L’Europa di Gramsci), ma soprattutto perché del libro del 2018 il volume qui recensito fonda criticamente, arricchendole con varietà di riferimenti, una parte delle tesi allora date per presupposte. Se Il presente di Gramsci era nel suo intento un libro di posizionamento, non privo di qualche aspetto che lascia perplessità, inteso a riportare in auge uno sguardo di tipo estetico, critico e politico, questo è un volume scritto per saggiare e approfondire quei nessi politico-estetici e per radicare ulteriormente il pensiero gramsciano nel panorama critico contemporaneo.

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tempofertile

Carlo Formenti “Guerra e Rivoluzione”

di Alessandro Visalli

marxriveraSchema

Il libro di Carlo Formenti è diviso in due testi, la prima parte, “Le macerie dell’impero[1], introduce una profonda rilettura della tradizione marxista, in particolare guidata da una rilettura di autori come Costanzo Preve, Lukacs ed Ernst Bloch. Quindi ricostruisce sinteticamente quegli scenari di guerra di classe dall’alto che nel ventennio abbondante dagli anni Ottanta alla crisi finanziaria aperta (ma non chiusa) nel 2007-8 hanno profondamente ristrutturato il campo dei conflitti sociali in Occidente e nel mondo. Termina il secondo capitolo un bozzetto della ‘mobilitazione totale’ che chiude, per ora, il quindicennio della crisi di sistema degli anni Dieci con la rapida successione della mobilitazione pandemica, prima, e militare, poi. Il primo volume definisce, infine, i “nemici”: il liberalismo tutto, l’impero e le ‘sinistre de capitale’.

Il secondo volume, “Elogio dei socialismi imperfetti[2], parte con gli esempi (come il primo aveva chiuso con i ‘nemici’): la rivoluzione paziente cinese, il socialismo reale e la sua damnatio memoriae, il postneoliberalismo dell’America Latina. Nella seconda parte entra finalmente nel tema della costruzione di un partito di classe, muovendo dall’enorme problema di definire la composizione di questa e passando per una serrata discussione sui fenomeni morbosi del presente, il populismo e sovranismo, le tante facce della ‘libertà’.

Completano il testo una postfazione di Vladimiro Giacché, e alcune appendici affidate a Onofrio Romano (“Un’alternativa di civiltà”), Alessandro Somma (“Il mercato delle riforme. Come l’Europa è divenuta un dispositivo neoliberale irriformabile”), Alessandro Visalli (“Le teorie e la realtà della dipendenza. Una panoramica storica”).

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lantidiplomatico

“Il transumanesimo è erede dei progetti nazisti”

Giulia Bertotto intervista Paolo Ercolani

image 5be40f06a9e9bPaolo Ercolani insegna filosofia all’Università di Urbino. Fra i suoi ultimi saggi “The West Removed. Economics, Democracy, Freedom: A Counter-History of Our Civilization” (2016), “Contro le donne. Storia e critica del più antico pregiudizio” (2016), “Figli di un io minore. Dalla società aperta alla società ottusa” (2019), “Nietzsche l'iperborea. Il profeta della morte dell'uomo nell'epoca dell'intelligenza artificiale” (2022). Le sue riflessioni non restano “imbalsamate” nel mondo accademico, ma si calano nell'attualità per cercare di interpretare i cambiamenti della nostra società.

Ercolani si definisce portatore di “Un pensiero critico, rompipalle, contro”: proprio per questo lo abbiamo intervistato.

* * * *

Professore, parliamo di uno dei temi più complessi e destabilizzanti del nostro presente: L'intelligenza artificiale. Di recente lei ha scritto che questo potentissimo -e in fin dei conti sconosciuto mezzo- deve servire l’uomo, non distruggerlo: “La specie più evoluta comparsa su questo pianeta – rischia di estinguersi a causa di (...) un’intelligenza in grado di soppiantare quella umana”. Secondo il suo ultimo saggio “Nietzsche l'iperboreo” il filosofo che demolisce idoli con il martello è ancora tra noi e c'è il suo zampino se siamo passati dall'aspirazione alla vita eterna all'affidarla ad un dispositivo artificiale.

L'intelligenza artificiale, con la sua capacità di creare immagini fittizie e notizie totalmente false sembra realizzare quel concetto nietzschiano per cui “non esistono verità ma solo interpretazioni”.

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linterferenza

Esistono guerre “giuste”?

di Norberto Fragiacomo

346109413 190358737253133 6924456327154727611 nIspirato da recenti e buone letture torno su un tema che in un articolo di qualche mese fa (https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24326-norberto-fragiacomo-la-difesa-e-sempre-legittima.html) avevo appena sfiorato senza debitamente approfondirlo: quello della guerra “giusta”. All’epoca mi soffermai, da un punto di vista sostanzialmente penalistico, sulla questione della difesa (contro un altro Stato) per chiedermi quando potesse dirsi legittima: oggi vorrei abbozzare un’indagine di carattere più generale per cercare di capire a quali condizioni la scelta estrema di usare le armi per risolvere una disputa (non solo) internazionale sia moralmente e giuridicamente accettabile.

Secondo il pacifismo più radicale la decisione di combattere sarebbe sempre condannabile: un paese aggredito da un altro dovrebbe subito arrendersi onde evitare inutili sofferenze al proprio popolo. Si tratta di una posizione meritevole di rispetto, perché applica l’insegnamento cristiano “porgi l’altra guancia”, ma che risulta inapplicabile in un mondo, quello reale plasmato dalla Storia, in cui le aggressioni sono eventi tutt’altro che eccezionali e manca un “supergoverno” in grado di rendere giustizia agli oppressi. Un popolo che rinunciasse a priori all’autodifesa farebbe meglio a non costituire un’entità statale e a sottomettersi liberamente al più minaccioso fra i propri vicini.

C’è poi la “provocazione” lanciata da Lenin alla vigilia della conferenza di Zimmerwald (che, come appureremo insieme, è tutt’altro che una boutade): l’unica guerra giusta è quella scatenata dagli oppressi contro i loro oppressori. Sappiamo che il grande rivoluzionario propose ai socialisti europei di adoperarsi in patria per trasformare il conflitto fra le nazioni capitaliste in un conflitto di classe “senza confini”: si tratta di un ottimo spunto per il prosieguo della nostra riflessione.

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pierluigifagan

Una civiltà in crisi

di Pierluigi Fagan

Riporto il testo di un intervento in due differenti post pubblicati sulla mia pagina fb dove ormai continuo il mio diario di ricerca che animò i primi anni di vita di questo blog, ultimamente, trascurato

romas fall2Rispetto al titolo dell’articolo, partiamo chiarendo prima il punto di vista del nostro discorso. Il nostro punto di vista è storico, osserviamo l’oggetto civiltà, quella occidentale nello specifico, dal punto di vista del corso storico. L’argomento è vasto e complesso e soffrirà della riduzione ad un paio di post.

Questa civiltà che si fa nascere coi Greci duemilasettecento anni fa, è stata per più dell’ottanta-per-cento del suo tempo, un sistema locale ed interno. Per il resto, dal XVI secolo in poi, a gli inizi del periodo che chiamiamo moderno, il sistema ha avuto un big bang inflattivo che si è esteso a livello planetario, non già assorbendo al suo interno spazio, popoli e natura, ma sottomettendoli e sfruttandoli. Va precisato che a noi qui non interessa proferire alcun giudizio morale, ci interessa solo l’analisi funzionale. In questi cinque secoli, la civiltà occidentale si è sovralimentata potendo alimentare il suo piccolo interno con un relativo dominio su un molto più grande esterno, ha potuto contare cioè su vaste e ricche condizioni di possibilità.

All’interno di questo frame temporale di cinque secoli, detto moderno, la civiltà occidentale è cambiata nel profondo. A livello di composizione, ha visto una migrazione interna del suo punto centrale che dal Mediterraneo greco e poi romano, è passato prima alla costa europea nordoccidentale, poi ha saltato la Manica ambientandosi in Inghilterra (poi Gran Bretagna, poi Regno Unito), poi ha saltato l’Atlantico ambientandosi nel Nord America. Si potrebbe anche dire che provenendo da una zona che per sua natura geografica è iperconnessa (Europa, Asia, Medio Oriente, Nord Africa), si sia progressivamente isolata prima continentalmente, poi insularmente, poi finendo addirittura in una terra al riparo di due vasti oceani.

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resistenze1

Marxismo e classe, parte 3

Analisi di classe o politica identitaria?

di Chris Nineham

Qui parte 1 e parte 2

Nel terzo articolo della serie dedicata alla classe, Chris Nineham spiega perché è necessaria un'analisi di classe per comprendere e combattere l'oppressione

1980 01 01 fiat workers 1Il marxismo concepisce la società come una totalità. Tenta di comprendere tutti gli aspetti del nostro mondo come interconnessi e plasmati dal sistema capitalista al cui interno tutti noi siamo nati. Dal momento che il capitalismo è guidato dall'incessante ricerca del profitto da parte di coloro che ci dominano, il marxismo pone la classe al centro della sua analisi. Per questa ragione, i marxisti vengono talvolta accusati di riduzionismo. Queste critiche, tuttavia, si fondano su un equivoco. Lungi dal sottovalutare le molteplici modalità in cui le persone sono oppresse nella società moderna, l'analisi di classe implica la comprensione delle specificità dell'oppressione e il tentativo di combattere ogni forma di discriminazione. Implica inoltre la capacità di integrare tutte queste specificità nel contesto complessivo della violenza e dello sfruttamento.

Per i marxisti la classe non è un'identità tra le tante. Anzi, nel contesto dell'enorme espansione dei beni di consumo, il fatto che la classe venisse considerata alla stregua di un'identità ha contribuito a oscurare le reali distinzioni di classe. I commentatori amano ripetere che la progressiva scomparsa di una caricaturale «vecchia classe operaia» in berretto di panno e cappotto ci avrebbe resi tutti quanti membri della classe media - oppure di nessuna classe. Il fatto che persone di ceto diverso indossino talvolta scarpe da ginnastica della stessa marca o utilizzino lo stesso tipo di cellulare ci viene additato come prova concreta del fatto che viviamo ormai in una società post-classista, in cui i modelli di consumo degli individui contano più della loro posizione nel mondo del lavoro.

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resistenze1

Marxismo e classe

di Chris Nineham

Parte 1: Perché non vogliono che parliamo di classe

s l1600Gli scioperi dell'estate scorsa in Gran Bretagna e l'annuncio da parte di Mick Lynch del RMT (il sindacato dei lavoratori ferroviari, navali e dei trasporti) che «La classe operaia è tornata» devono aver fatto correre un brivido lungo la schiena dell'establishment. Quest'ultimo sperava di aver seppellito definitivamente l'idea di una classe operaia combattiva. Uno dei grandi paradossi degli ultimi quarant'anni è che proprio mentre la società è diventata più diseguale di quanto lo sia stata da un secolo a questa parte, la classe è stata esclusa dal dibattito.

Questo è un risultato per il quale la classe dirigente britannica ha lavorato molto sodo sin dall'inizio del progetto Thatcher. Alfred Sherman, importante consulente dell'allora leader del Tories Margaret Thatcher, tenne una serie di lezioni nel corso degli anni Settanta con l'intento di dimostrare che la classe era «un termine marxista che è privo di significato in qualunque contesto non marxista». La Thatcher fece eco in seguito a queste affermazioni dichiarando che la classe era «un concetto comunista». E Keith Joseph, tra i più intimi confidenti della Thatcher, riteneva che il loro progetto fosse la creazione di una società in cui sarebbe stato possibile affermare «Oggi siamo tutti borghesi».1

Questi temi sono stati ripresi con entusiasmo dall'intero establishment. Nelle università i dipartimenti di studio delle relazioni industriali hanno chiuso i battenti, mentre i business studies sono fioriti. Ormai da molto tempo i giornali hanno licenziato i loro corrispondenti sindacali e si concentrano sulle quotazioni di borsa invece che sulle statistiche sugli scioperi. Ignorando le proprie radici all'interno della classe operaia, ovunque i partiti socialdemocratici hanno abbandonato ogni retorica di classe.

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SR

Storia e democrazia: alcuni nodi cruciali

di Luca Benedini

Spunti vitali per il presente e per il futuro a partire dai complessi rapporti tra antichità comunitaria e patriarcato, tra il democratico “socialismo scientifico” marx-engelsiano e i “marxismi” spessissimo fasulli e autoritari, tra l’attuale società ipercomplessa e lo sguardo di don Milani e del pensiero olistico, con alcune osservazioni di fondo sull’attuale drammatica crisi della “sinistra” e sulle vicende storiche e politico-culturali della filosofia dialettica

cop Quale democrazia Dorso 143 B page 0001I

La tensione storica tra democrazia e società patriarcale

In occasione della traduzione italiana di un’opera di Robert Eisler redatta nell’originale inglese a metà ’900 (Uomo diventa lupo, pubblicata da Adelphi nel 2019), Michelangelo Cianciosi sintetizzava nella rivista Il Senso della Repubblica dell’agosto 2020 una serie di considerazioni storico-antropologiche presentate appunto in quel testo dall’autore austriaco: in particolare, il fatto che sin dalla preistoria umana si trovano ampie ed ineludibili tracce sia di popolazioni pacifiche ed evidentemente ricche di spirito collaborativo sia di popolazioni violente e predatrici. In tal modo – concludeva Cianciosi – «Eisler ci pone in maniera quasi brutale nudi di fronte alla nostra libertà: far parte di una società di competizione spietata e di sopraffazione o costruirne una di rapporti armonici e pacifici è una scelta a portata dell’essere umano, non un destino» [1].

In pratica, quegli apporti di Robert Eisler riformulavano su altri piani osservazioni storiche precedenti come quelle esposte da Lewis Henry Morgan e da Friedrich Engels nella seconda metà dell’Ottocento e, a loro volta, sono stati approfonditi in seguito in varie direzioni soprattutto da autrici come Marija Gimbutas e Riane Eisler e più recentemente da David Reich [2]. Il fulcro della questione sta nel fatto che a partire dalla seconda metà del ’900 si sono moltiplicate le prove archeologiche (e indirettamente paleogenetiche) che indicano in un’ampia parte del continente eurasiatico l’antica presenza – fino solitamente intorno ai 5 millenni fa – di società pacifiche, solidali, non sessiste e non pesantemente classiste.

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marxdialectical

Klossowski e la moneta vivente

Considerazioni di un avvocato del diavolo1

di Roberto Fineschi

imagenkiuvcdDal mio intervento traspariranno chiaramente le mie limitate conoscenze su questo tema. Spero che mi scuserete e che considererete i miei commenti come delle note da parte di un non addetto ai lavori che cerca di entrare in un mondo con il quale non ha particolare familiarità. Questo per avvisare, da una parte, di prendere con la dovuta cautela i miei rilievi e, dall’altra, di considerarli come interventi dell’avvocato del diavolo, di qualcuno che legge e solleva delle possibili obiezioni.

Ho studiato con interesse il testo di Klossowski, trovando alcune difficoltà interpretative sulla sua articolazione complessiva. Naturalmente non posso che commentarlo alla luce della mia specializzazione, vale a dire la filosofia classica tedesca e, soprattutto, Marx, autore nel quale il tema del denaro è assolutamente centrale e in maniera trasversale, tanto nell’opera giovanile che in quella matura. Partiamo dal titolo: moneta vivente. Qui il primo dubbio: moneta o denaro? C’è infatti subito un problema di traduzione che si riscontra anche nelle edizioni francesi del Capitale; in Marx denaro e moneta sono categorie distinte e questo in francese creò problemi a lui stesso, costringendolo a spiegare in nota le sfumature di significato e le differenze categoriali tra i due termini2. La domanda per Klossowski dunque è: a quale delle due categorie sta pensando? Secondo me intende quello che, in termini marxiani, è il denaro.

L’aggettivo “vivente”, invece, immediatamente mi ha fatto pensare alla teoria del feticismo dove il punto chiave per Marx è che il denaro non è una cosa, ma un rapporto sociale che si “cosifica” in un oggetto materiale, ma non per questo cessa di essere un rapporto sociale.

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losguardo

L’algoritmo pensante

Recensione di Remo Trezza

C. Barone (a cura di), L’algoritmo pensante. Dalla libertà dell’uomo all’autonomia delle intelligenze artificiali, Il pozzo di Giacobbe, 2020

Barone a cura di Lalgoritmo pensante. Dalla libertà delluomo allautonomia delle intelligenze artificiali 350x510Il volume qui recensito, sicuramente di grande attualità, fa parte della collana dei Quaderni di Synaxis dello Studio Teologico ‘S. Paolo’ di Catania ed è stato curato da Christian Barone, docente di Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e presso lo Studio Teologico su menzionato.

Contributo ‘delicato’, che appassiona e determina una certa dose di curiositas, stimola la riflessione e cerca di scandagliare le problematiche relative all’avvento delle nuove tecnologie (I.A., algoritmi, robot, etc.…), ponendosi in un dialogo di ordo ordinans, sempre più intersezionale con i principi fideistici della cristianità e dei valori etici fondanti la cattolicità.

L’hortus conclusus, ovvero la struttura del volume, caratterizzata - secondo chi scrive - da un divenire argomentativo mai stancante, ma sempre avvincente e dinamico, può essere sintetizzato come di seguito.

La premessa (pp. 5-19), del curatore dell’intera opera, si apre con una citazione - nell’opinione di chi recensisce - lapidaria. Seppur la ‘quote’ sia di Isaac Newton ed il testo in italiano, si preferisce riportare la versione in lingua latina della frase, avente il medesimo significato, di qualcuno che di storia se n’è inteso, a motivo della più concisa rappresentazione della realtà: ‘nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes’. Ciò non fa altro che immergere il lettore in questioni novae, ma sempre veterae. Cosa c’è di notevolmente ‘nuovo’ nelle ‘nuove tecnologie’? Punto nodale della premessa è fondato sul ‘pensiero umano’, che - specie nella nuova dimensione dell’innovazione - si scontra con la possibilità di essere sostituito - in quanto homo sapiens - dai procedimenti decidenti e decisori di automi.

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machina

Complottismo e marxismo

di Alessandro Lolli

0e99dc 28a77ae156c74763a62caa8b30ccd7a2mv2Dopo l’articolo di Tobia Savoca L’anticomplottismo liberale, pubblicato in questa sezione lo scorso 14 marzo, Alessandro Lolli ha deciso di intervenire sul tema, sviluppando una riflessione critica sullo stesso concetto di complottismo. Pur condividendo alcuni dei presupposti con cui Savoca analizza le origini della teoria cospiratoria della società, nel suo articolo – che qui pubblichiamo – Lolli mette in discussione la categoria di complottismo, la cui esistenza dipende dall’individuazione di un soggetto delirante complottista. Seguendo questa prospettiva, l’autore polemizza non solo con l’anticomplottismo liberale, ma anche con la sua declinazione marxista.

* * * *

Da qualche anno mi occupo del complottismo o – come sarà più chiaro durante la lettura di questo articolo – dei discorsi che fondano un oggetto concettuale chiamato «complottismo» il quale, a modesto parere di chi scrive, non esiste. L’articolo qui pubblicato il 14 marzo a firma di Tobia Savoca, L’anticomplottismo liberale, mi ha colpito per diverse ragioni. Intanto testimonia la crescente attenzione critica verso questa categoria concettuale che per troppo tempo è stata data per scontata (negli stessi giorni è uscito un altro articolo di critica al «complottismo» su «Nazione Indiana», anche se da una prospettiva diversa). In più espone chiaramente la posizione che molti studiosi di Marx stanno cercando di raffinare nei confronti del cosiddetto «complottismo». Ma soprattutto mostra tutti i limiti di questa posizione e i motivi per cui occorre ripensarla completamente.

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sinistra

Fondamento ontico oltre i lavorismi?

di Karlo Raveli, migrante

colonna piastraRisulta che sia stato il mirabile, contraddittorio ma saggio Heidegger a proporci il concetto di fondamento Ontico come “fondamento affettivo di un mammifero, capace di trascendere persino la dimensione parentale ed essere cooptato in attività di affiliazione, amicizia, prosocialità e persino di altruismo”. Come oggi ci spiega assai bene Roberto Marchesini in ‘Intelligenza affettiva, il fondamento che unisce tutte le specie’ (https:// archiviopubblico.ilmanifesto.it/ Articolo/ 2003280233) pubblicato appunto sull’ex-quotidiano comunista. ‘Ex’ ma non ancora totalmente ossequente agli apparati infossicazione globale dei macchinari tipo BlackRock, come il ‘discreto’ concilio londinese di agenzie mondiali di stampa...

Una messa fuoco tanto più significativa e persino straordinaria se teniamo conto delle sintomatiche corrispondenze tra l’epoca ‘neoliberista’ attuale e quella per certi aspetti più brutale in cui visse il giovane Heidegger, con ascesa e assestamento istituzionale dei fascismi europei. Nel suo caso specifico il nazismo, considerando oltretutto come lo visse. Piuttosto contraddittoriamente come sappiamo, ma per certi aspetti non in modo eccessivamente diverso da come oggi subiamo i neo-fascismi assieme ai fenomeni transumanoidi del ‘grande scippo’, il programma oligarchico autistico globale ‘Riassetto 2030/2050’. Ma già comunque attualmente con reazioni di esodi, diserzioni e devianze sempre più significative, se non addirittura epocali. Per cominciare rispetto al lavoro (1) e persino, o diciamo forse tendenzialmente anche verso lo sfruttamento dell’attività altrui (2). Ormai pure evitando la stessa fondamentale riproduzione della specie - vedi le potenziali ‘madri’ dello stato italiano che rinunciano a procreare in questo Plasticene. Certo, con sempre più diffusi e profondi tormenti o smarrimenti, chiamiamoli per ora solo così. Ma nel fondo essenzialmente anti-maieutici.

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machina

Che cos’è la composizione di classe?

di Salvatore Cominu

iuyhbvrwSebbene il concetto di composizione di classe sia uno dei più importanti dell’armamentario operaista, sono pochissimi i testi in cui esso è stato formalizzato a scopo formativo. Il testo di archivio che proponiamo, che è la trascrizione dell’intervento che Salvatore Cominu ha tenuto in occasione di un seminario di autoformazione organizzato a Piacenza nel 2014, tenta di rimediare a questa lacuna ripercorrendo l’origine e lo sviluppo del concetto senza la pretesa di una formalizzazione definitiva ma con il pregio di una rara chiarezza espositiva. Come si leggerà, più che di un concetto si tratta di un metodo che va fatto funzionare tanto importante quanto, di fatto, dimenticato. La sua rilevanza deriva dalla sua capacità di offrire una lettura materialistica, ovvero calata all’interno dei rapporti sociali di produzione storicamente determinati, della produzione di soggettività, senza la quale non è possibile disporre alcun tipo di processo organizzativo. Detto in termini più semplici: senza l’uso di questo metodo difficilmente si potranno scoprire i nuovi soggetti delle lotte. A differenza del concetto di intersezionalità, oggi di moda e a cui il lettore più avveduto certamente avrà pensato, che con esso condivide l'esigenza di un'immagine disomogenea, articolata e stratificata al proprio interno della classe, il metodo operaista non è viziato da un materialismo determinista. Per esso infatti la sottomissione ad una qualche forma di dominio/sfruttamento non è una condizione sufficiente alla produzione di soggetti «rivoluzionari» perché «anche il Capitale soggettivizza». Come sostiene l'autore, all’interno della realtà capitalistica, i soggetti «subalterni» non esprimono alcuna coerenza progressiva, al contrario sono per lo più portatori di una forte «ambivalenza». La «contro-soggettivazione» antagonista non è quindi un processo necessario ma solo un esito possibile degli sforzi organizzativi.

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effimera

Pasukanis oggi: fra nuovi autoritarismi e diritto internazionale

di Fabio Simonato

2927dd 1c9c534af4f2460ca5dca875c1607420mv2L’interesse per Pasukanis non termina con quello più generale per la dottrina marxiana che ha caratterizzato gli anni ‘60 e ‘70.  Il giurista russo ha continuato ad essere interrogato sino ad oggi, in particolare nel mondo anglosassone e in quello iberico, venendo ripubblicato e studiato a fondo. In questo solco si inserisce la riproduzione anastatica della copia italiana de La teoria generale del diritto e il marxismo recentemente edita da PGreco.

Un autore che ha affrontato il tema della generale torsione autoritaria dello stato avvalendosi anche degli strumenti introdotti da Pasukanis è Antonio Negri.  Scopo principale del testo Rileggendo Pasukanis è contrastare le letture “revisioniste”[1] – caratterizzate come “istituzionali, privatistiche e sociologiche”[2] – del giurista russo per riattivarne l’attitudine rivoluzionaria. Queste interpretazioni vorrebbero Pasukanis fautore di uno “sviluppo rettilineo ed istituzionale[3] del diritto pubblico sulla base dello scambio commerciale (e quindi del diritto privato), uno sviluppo sostanzialmente pacificato in cui le contraddizioni inerenti alla forma stessa della merce e del diritto sono obliate. Ciò porta inevitabilmente ad un addomesticamento della radicalità rivoluzionaria propria dell’opera di Pasukanis, radicalità che va ricerca nel “nesso fra scambio nel mondo delle merci e capitale complessivo, – autorità, comando dello Stato”[4]. La semplice fondazione “piana” dell’ordine statuale rispetto a quello privatistico non coglie la potenzialità rivoluzionaria che si annida nella contraddizione fra organizzazione del lavoro per mezzo del diritto privato e il comando autoritario su di esso per mezzo dell’azione coercitiva dello stato. L’esposizione di questa antinomia immanente e necessaria alla forma giuridica è per Negri il vero nucleo sovversivo dell’opera di Pasukanis.