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sinistra

La necessità di eliminare il sovra-prodotto

di Luciano Bertolotto

0 0 52.jpgBisogni, consumo, surplus

Vivo. Io, come altri otto miliardi. Perché? Non lo so. Come, invece si: soddisfacendo i bisogni essenziali. Cibo, vestiti( se il clima o la morale li richiedono), un tetto. Ah, dimenticavo: un po' di sesso(se non per altro, per la riproduzione della specie...).

Il processo di civilizzazione ha reso tutto ciò un po' più complesso e sofisticato: gastronomia, moda, architettura, seduzione... Sono il fondamento del piacere o, in mancanza, della sofferenza.

A questi si aggiungono gli oneri del vivere sociale. Il prezzo della (parziale) repressione degli istinti primordiali. Trovano spazio nella psiche individuale e collettiva. Relativi e mutevoli formano, comunque, l'habitat culturale.

Hanno origine con la necessità di cooperare. Il noi ne è l'elemento fondante. In contrasto con la dottrina prevalente che esalta l'interesse individuale. Io, io, io … Fino all'ultima frontiera del neo-liberalismo: ciascuno è imprenditore di se stesso. Tutti contro tutti

Il bisogno impone di procurarsi il necessario. Non basta la natura. Siamo condannati al lavoro. Almeno quasi tutti... Grazie alla tecnologia il processo di produzione si è evoluto nel tempo. E con esso la vita umana. Mente e corpo... e, anche, le idee. Il frutto di tanto tribolare è il prodotto sociale che, pur iniquamente, viene distribuito. Ma non tutto è consumato. Quel che rimane è il sovra-prodotto (o surplus).

 

La sovrapproduzione e le forme ordinarie di eliminazione del surplus

Di questo voglio scrivere. Sostenendo, in particolare, che la sua eliminazione è stata, ed è, per i potenti (non trovo un termine più consono...), una necessità storica. La penuria di molti per il dominio di pochi.

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lafionda

Uno schema di ricerca su Operai e Capitale

di Lorenzo Serra

0e99dc 7aa60b066c054d7ab8458168ffafe69cmv2.jpgNon dovremmo più considerare Operai e capitale un testo di esclusivo attacco, puramente escatologico – ciò, infatti, continua-a-significare il fraintendimento non solo di quest’ormai classico dell’operaismo italiano, ma anche, e soprattutto, un equivoco dell’intera opera trontiana: del suo stile o carattere – o, per esprimersi in termini lukácsiani, del suo pensiero solo. Sì, Operai e capitale è stato anche questo: una possibilità esperita – un tentativo di offensiva da portare nel cuore del Capitale, che doveva esser esplorato fin dentro i suoi limiti. Ma è stato anche altro, quell’altro che costituisce, poi, la cifra stilistica del pensiero di Tronti, dai caratteri, mai abbandonati, del malinconico, della scissione, della crisi: e, cioè, un pensiero rivoluzionario, dai tratti anche eretici, che diffida di marce trionfali o progressiste – eppure, forse in virtù di questo, mantenutosi, nel profondo, sempre, comunista.

Operai e capitale, allora, si potrebbe leggere come quel momento in cui – anche grazie ad una differente Storia – queste sue differenti anime si sono avvicinate, fino a toccarsi: il carattere gioioso di un tentativo, pensiero vissuto insieme a compagni e compagne con cui non smetterà di dialogare anche in seguito, che non riesce – perché non vuole – mai, fino in fondo, a liberarsi di quel suo lato pessimista, o tragico. Una questione insieme esistenziale e storica: vi è, infatti, come vedremo, l’embrionale intuizione che siamo già alle soglie di una possibile fine, o quantomeno di un arresto, del sogno operaio, ma, al contempo, vi è anche un’altra questione, più difficile e liminare – e, cioè, il fatto che anche a rivoluzione compiuta il mondo, e la società, non avrebbero raggiunto alcun Senso definitivo, e, allora, si sarebbe dovuto continuare a camminare, insieme, impossibilitati ad abbandonare, una volta per tutte, quel mondo di malinconia.

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carmilla

Kamo, Lenin e il “partito dell’insurrezione”

di Sandro Moiso

Emilio Quadrelli, L’altro bolscevismo. Lenin, l’uomo di Kamo, DeriveApprodi, Bologna 2024, pp. 208, 18 euro

20 settembre.jpgOratori silenzio!
A voi la parola
compagno Mauser.
(Vladimir Vladimirovic Majakovskij, Marcia di sinistra)

 

Sono numerosi i contributi e le ricerche di Emilio Quadrelli sullo sviluppo e la storia dei movimenti antagonisti e rivoluzionari, così come sulle problematiche che gli stessi, anche in situazioni di riflusso sociale come quella che accompagna i nostri giorni, devono costantemente prepararsi ad affrontare. Per questo motivo si è scelto di aggiungere in coda alla presente recensione una bibliografia, certamente ancora incompleta, dell’opera e degli articoli dello studioso e, soprattutto, militante genovese che nel corso degli ultimi anni ha fornito anche alla nostra testata.

Detto e sottolineato questo, però, va detto che a giudizio di chi scrive il testo da poco pubblicato da DeriveApprodi può costituire una specie di summa dell’interpretazione data dall’autore dell’azione di classe e del rapporto intercorrente tra questa e lo sviluppo di una coerente teoria rivoluzionaria, capace di fornire ai militanti dei movimenti e al processo destinato a superare lo stato di cose presenti una cassetta degli attrezzi non permeata dall’ideologia e dai suoi evidenti limiti, ma capace di resistere alle chimere di questo tempo infame per superarlo.

Non per nulla il volume si intitola L’altro bolscevismo e rovescia, nel sottotitolo ma non soltanto, quel Kamo, l’uomo di Lenin che era stato il titolo della più celebre opera pubblicata in Italia1 sulla figura del militante, bandito e combattente irriducibile che dal 1903 al 1922, anno della sua morte per una banale caduta dalla bicicletta, avrebbe dato prova di una fedeltà totale alla causa della Rivoluzione proletaria e comunista. Motivo per cui avrebbe trascorso, in fasi e periodi diversi, una buona parte della sua vita nelle carceri zariste.

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sinistra

Un partito per unirci, per lottare e per vincere1

di Eros Barone

Death of a Commissar Petrov Vodkin.jpgLo sviluppo delle sette socialiste e quello del vero movimento operaio sono sempre in proporzione inversa. Sino a che le sette hanno una giustificazione, la classe operaia non è ancora matura per un movimento storico indipendente. Non appena essa giunge a questa maturità, tutte le sette diventano essenzialmente reazionarie.

K. Marx, Lettera a Friedrich Bolte del 23 novembre 1871.

L’unità è una grande cosa e una grande parola d’ordine! Ma la causa operaia ha bisogno dell’unità dei marxisti, e non dell’unità tra i marxisti e i nemici e travisatori del marxismo.

V. I. Lenin, Pravda, n. 59, 12 aprile 1914.

 

1. La teoria della rivoluzione comanda la teoria del partito

Da tempo è all'ordine del giorno nell’agenda dei militanti comunisti, non solo in Italia ma su scala europea e mondiale, la ricerca di una strategia rivoluzionaria atta in primo luogo a difendere gli interessi materiali del proletariato dall’attacco generale e via via crescente della borghesia e, in secondo luogo, a preparare, già nel corso di questa azione difensiva, quelle condizioni di avanzata verso il socialismo che s’identificano con la costruzione di un blocco storico alternativo al capitalismo e con la conquista del potere politico di Stato. L’esperienza del movimento operaio russo insegna, infatti, che la questione dell'organizzazione di un partito di classe può essere posta organicamente solo sulla base di una teoria della rivoluzione stessa: le ragioni della scissione del POSDR (Partito Operaio Socialdemocratico di Russia), da cui trassero origine la corrente bolscevica e la corrente menscevica, derivarono proprio dalla diversa visione del carattere della strategia di lotta di classe (coalizione con la borghesia liberale o alleanza con i contadini) e dal modo conseguente d’impostare e risolvere le questioni di organizzazione.

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machina

La «guerra civile» in Francia

di Maurizio Lazzarato

8pWng51 .jpegLa tendenza contemporanea all'alleanza tra liberali e fascisti, che abbiamo visto all'opera nel Novecento e che in questi anni è ricomparsa sotto i nostri occhi, è stata messa in discussione, in Francia, da quanto le lotte degli ultimi anni sono riuscite a sedimentare. Ma la situazione è tutt'altro che risolta: Macron, che resta Presidente della Repubblica, vuole continuare a portare fino in fondo l'espropriazione di salari, reddito e servizi, il genocidio, la guerra; Hollande e il Partito Socialista sono già pronti a pugnalare il programma del Nuovo Fronte Popolare; il Rassemblement National ha aumentato la sua forza parlamentare. In parole povere, la Francia è un paese diviso. In questa situazione, i movimenti giocheranno un ruolo decisivo: solo una lotta di classe incalzante potrà costruire rapporti di forza che ora sono in bilico e spingere La France Insoumise.

* * * *

Durante la notte dei festeggiamenti per la vittoria elettorale sui fascisti, la saggezza popolare ha scritto su un muro «Notre sursaut est un sursis» il nostro sussulto è una tregua. Più vero ancora la mattina dopo. Ma è un qualcosa di più di un sussulto e la tregua dipenderà dai rapporti di forza che si costruiranno nelle prossime settimane e mesi.

La lunga sequenza di lotta di classe senza classe e senza rivoluzione (cominciata sotto la presidenza Hollande), nonostante nessuna delle rivendicazioni dei vari movimenti (Loi travail, Gilets Jaunes, retraite, banlieues etc.) sia riuscita a imporsi, ha determinato un terremoto che sta facendo tremare le istituzioni della Repubblica, messo a terra elettoralmente il feroce blocco degli interessi del grande capitale rappresentato da Macron e aperto la strada a una prima rottura del consenso destra/ sinistra intorno alla contro-rivoluzione liberal-capitalista che ha governato praticamente dal Mitterand del 1983 fino a Macron.

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marxismoggi

Riflessioni su alcune ideologie contemporanee

di Alessandra Ciattini*

nascita delle nuove ideologie politiche origPer alcuni viviamo in una fase storica radicalmente nuova – cosa di cui era fortemente convinto, come si vedrà, l’autorevole Zbigniew Brzezinski - che ha scavato un abisso con la fase storica precedente, caratterizzata dalla presenza consistente nei paesi occidentali dello Stato del benessere, dalla crescita economica, dalla forte presenza della grande industria anche di Stato, dall’esistenza di ben radicate organizzazioni di massa (partiti e sindacati).

Con le radicali trasformazioni che si sono realizzate sul piano economico e industriale, con l’infelice dissolvimento del cosiddetto socialismo reale e la cosiddetta fine della guerra fredda, in realtà ammorbidita da fasi di coesistenza pacifica, sarebbe emersa una nuova forma di società, nella quale i suoi apologeti scorgevano promesse di maggiore libertà, di maggiore rispetto delle specificità individuali[1], di minore conflittualità tra le diverse ‹‹culture››, che si incontrano oggi più intimamente per la magnitudine del fenomeno migratorio, per la velocità degli spostamenti e per la rapidità delle comunicazioni[2].

Negli articoli che raccolgo in questo libro e che ho scritto in occasioni diverse, in parte per un giornale on line ispirato ad Antonio Gramsci, La Città futura, ho cercato di analizzare alcune tendenze che percorrono l’attuale fase e che al contempo rappresentano sia elementi di continuità che di discontinuità rispetto al passato nel quadro di una prospettiva, che non sbriciola la storia in frammenti né si fa abbagliare dalle cosiddette novità. Prospettiva che certamente non ha la pretesa di essere nuova, se non rispetto a certe forme di relativismo estremo adottate da certi ambienti intellettuali, e che riprende l’idea della contrapposizione tra aspetti sociali di lunga durata e aspetti che in cicli storici più brevi si consumano e scompaiono in maniera relativamente rapida.

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pandora

“Capitale, egemonia, sistema. Studio su Giovanni Arrighi” di Giulio Azzolini

di Paolo Missiroli

Recensione a: Giulio Azzolini, Capitale, egemonia, sistema. Studio su Giovanni Arrighi, Quodlibet, Macerata 2018, pp. 176, euro 18 (scheda libro)

Giovanni Arrighi Azzolini 1.jpgGiovanni Arrighi non è un pensatore sufficientemente valorizzato nel panorama italiano e sono pochi i luoghi che dedicano un qualche spazio a riflessioni su questo storico ed economista. Eppure Arrighi è importante nel dibattito internazionale a proposito del capitalismo e della sua storia; esempio ne sia il suo ruolo nella discussione seguita alla pubblicazione di Impero di Toni Negri e Michael Hardt. Dai post-operaisti Arrighi era considerato, pur nel forte disaccordo, un interlocutore di prim’ordine.

Per questo la pubblicazione di una monografia su Arrighi è una buona notizia. Capitale, egemonia, sistema di Giulio Azzolini, oltre a essere una novità per il solo fatto di trattare di Arrighi, ha il pregio di affrontare la sua opera dall’inizio alla fine, cogliendone i punti salienti in un numero di pagine ammirevolmente ridotto; pone con chiarezza gli elementi di contatto con altri autori, scuole e correnti di pensiero; colloca Arrighi nel suo tempo storico e anche nella sua dimensione di militante politico all’altezza degli anni Settanta. Fare una recensione di un testo simile significa quindi porsi, non senza un qualche grado di arbitrarietà, l’obbiettivo di riportare alcuni fra questi tanti elementi. L’arbitrio sta, appunto, nel fatto che non tutti potranno essere qui trattati. Il testo che discutiamo, peraltro, si presta con facilità, data anche la buona scorrevolezza che lo contraddistingue, a essere sfogliato e letto da chiunque lo voglia. Non ci concentreremo eccessivamente sugli esiti più noti del pensiero dell’Arrighi maturo, che sono già stati trattati, su Pandora, in recensioni apposite. Qui è possibile trovare la recensione a Il lungo XX secolo e qui e qui quelle ad Adam Smith a Pechino.

Può facilitarci il compito il fatto che in effetti si potrebbe dire che il senso della riflessione arrighiana è quello di dare ragione della crisi all’interno del sistema capitalistico.

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sinistra

Microfisica del capitale

di Salvatore Bravo

obj92931652 1Macchine desideranti

Il capitale si svela nei dettagli della vita quotidiana. Non è solo profitto, ma produce un modo di vivere, si tratta di una pianificazione del quotidiano con valenze politiche ed economiche. La solitudine dell’individualismo è il sostegno più solido all’economia di profitto. Uomini e donne soli consumano non solo per consolarsi, ma anche per “sentire di esserci nella lotta quotidiana” tra le solitudini, e specialmente, le scelte improntate alla “singolarità radicale” sono valutate “libertà irrinunciabili”. Tutto è nel segno della individualità. Il modo di produzione capitalistico non produce solo sfruttamento e merci, quindi, è una visione del mondo tentacolare che penetra nelle vite delle soggettività assoggettandole alla forma mentis individualista. Si è addestrati alla singolarità e la si gratifica con l’ipertrofia dei desideri che coltivano un senso infantile di onnipotenza.

L’in-dividuum è il risultato finale della penetrazione lenta e inesorabile del nichilismo passivo fondamento del capitalismo. Tutti i desideri sono leciti, purché producano effetti economici. Il PIL è il silenzioso imperatore di ogni vita.

Non si nasce individui, lo si diventa mediante un processo di desocializzazione. Si nasce comunitari, il capitale ci trasforma in atomi vaganti-migranti. Si migra da un’area geografica a un’altra come da un desiderio al successivo. Il capitale separa, per cui l’individuo è ciò che resta dopo un lungo percorso di disintegrazione delle unità: popoli e comunità evaporano dinanzi alla forza distruttrice del liberismo individualista.

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lafionda

Guerra robotica e iperrealtà psicotica

di Stefano Isola

S e I pattern 3.pngLe civiltà sono mortali, le civiltà muoiono come gli uomini, ma non muoiono alla maniera degli uomini. In esse la decomposizione precede la loro morte, mentre in noi segue la storia.

Georges Bernanos

Recentemente l’Unesco ha lanciato un allarme per le possibili deformazioni che l’intelligenza artificiale generativa potrebbe produrre sulla conservazione della memoria storica dell’Olocausto: «la facilità con cui i modelli possono generare contenuti realistici, combinata con l’ampia diffusione online, crea terreno fertile per la proliferazione di notizie false sull’Olocausto», che «potrebbero alimentare l’antisemitismo». E sollecita urgenti azioni di contrasto sulle piattaforme online e nella scuola, per il controllo della disinformazione e la preservazione della memoria1. Piuttosto che dare valore all’onestà nella narrazione storica, tali operazioni sono, al contrario e inevitabilmente, il prodotto di elaborazioni automatizzate interne a un “ambiente di scelta” predefinito e puramente operazionale. Una sorta di iper-mediazione del mondo che ambisce a costituirsi come contenitore narrativo che prende il posto del reale e della finzione, e all’interno del quale tutto ciò che si muove non significa nulla, ma nello stesso tempo agisce normativamente in modo ipermoralistico, delimitando un unico quadro di riferimento senza origine né realtà né razionalità. In tale contenitore iperreale proliferano, come germi in un brodo di coltura, anche gli emendamenti farseschi della “cultura del piagnisteo”, dove, ad esempio, insieme a certi prodotti dei modelli generativi, si esorta la censura di Shakespeare e Dante Alighieri nella scuola, perché antisemiti e islamofobici2.

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collettivolegauche

L’Antropocene e l’insostenibilità del capitalismo

di Collettivo Legauche

antropocenenbfsdebvbg1. Introduzione

Ian Angus nel libro Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema Terra, tradotto in italiano da Alessandro Cocuzza, Vincenzo Riccio e Giuseppe Sottile, tenta di far dialogare le innovazioni delle Scienze della Terra che indagano la nuova fase in cui è entrato il sistema terrestre, l’Antropocene, e le teorie ecosocialiste della frattura metabolica prodotta dal capitalismo che porta a crisi ecologiche. L’autore offre agli scienziati del sistema terrestre l’analisi socio-economica del marxismo ecologico e a quest’ultimi la centralità del concetto di Antropocene nel XXI secolo. Come fecero Marx ed Engels con L’origine delle specie di Darwin, dobbiamo gettare ponti tra scienze naturali e sociali, integrando le scoperte degli scienziati nella teoria marxista.

 

2. L’Antropocene secondo gli scienziati

A portare alla ribalta il termine Antropocene fu il chimico atmosferico Paul J. Crutzen nel 2000 a partire dalla constatazione che le attività umane erano diventate talmente rilevanti da interferire con i processi naturali. Il risultato è l’abbandono della sua naturale epoca geologica, l’Olocene, con le attività umane capaci di rivaleggiare con le forze della natura, spingendo il pianeta verso una terra incognita, con molto più caldo e molta meno vegetazione e biodiversità. Ciò è possibile perché la Terra è un sistema planetario integrato dove la biosfera si comporta come una componente essenziale e attiva e le attività umane influenzano la Terra su scala globale in maniera sempre più rapida, interattiva e complessa finendo per alterare il sistema terrestre, minacciando processi ed elementi biotici e abiotici da cui dipende lo stesso uomo.

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perunsocialismodelXXI

Luciano Canfora. Uno storico "sovversivo"

Per una lettura tendenziosa del "Dizionario politico minimo"

di Carlo Formenti

Premessa

Luciano Canfora: Dizionario Politico Minimo, a cura di Antonio Di Siena, Fazi, 2024

Canfora.jpegIl dizionario politico è un genere che l’editoria specializzata in Scienze Sociali ha proposto con una certa frequenza negli ultimi decenni, un fenomeno che può essere interpretato anche come reazione all’horror vacui generato dalla progressiva rimozione della politica - intesa come prassi orientata a cambiare lo stato presente delle cose - dall’orizzonte della realtà postmoderna, a mano a mano che viene surclassata da altre sfere dell’agire umano, a partire all’economia. Si tratta di un genere che non amo particolarmente, perché praticato perlopiù da accademici – filosofi, sociologi e politologi – che tendono a neutralizzare il carattere antagonistico del politico, “inscatolandolo” in lemmi infarciti di categorie astratte e trans-storiche (se non anti-storiche).

Ciò premesso, per i tipi di Fazi è appena uscito il “Dizionario politico minimo” di Luciano Canfora (a cura di Antonio Di Siena) (1), che ho invece decisamente apprezzato: in primo luogo, perché non si tratta di un “vero” dizionario, nel senso che il curatore, come spiega nella Introduzione, ha realizzato una lunga intervista a Luciano Canfora, articolandola su una cinquantina di parole chiave che, più che vere e proprie voci, sono “stazioni” di un percorso attraverso l’attualità storico-politica (2); in secondo luogo perché lo sguardo di Canfora, in quanto storico, si concentra sui fatti invece di perdersi in disquisizioni astratte; infine perché, grazie al lavoro del curatore (che pure attribuisce il merito alla chiarezza espositiva dell’intervistato), il testo risulta scorrevole e di gradevole lettura e - grazie anche alla lunghezza contenuta - si divora in poche ore.

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operaviva

Tradurre o tradire?

Il compito del traduttore secondo Walter Benjamin

di Afshin Kaveh

Walter Benjamin 1280x720.jpegLa recente edizione critica del breve testo di Walter Benjamin intitolato Die Aufgabe des Übersetzers, ovvero Il compito del traduttore (Mimesis, 2023, pp. 174, 14 euro) curato nella nuova traduzione italiana di Maria Teresa Costa con tanto di testo tedesco a fronte, permette di immergersi, con rinnovate possibilità rispetto alla vecchia edizione nella traduzione di Solmi, all’interno della ricchezza di uno degli scritti più stimolanti del filosofo tedesco. Composto ormai cent’anni fa, tra il 1921 e il 1923, fu pensato come introduzione alla traduzione che lo stesso Benjamin fece dal francese al tedesco dei Tableaux parisiens di Charles Baudelaire.

Il compito che Benjamin si diede, come da titolo, era quello di scandagliare il processo che permea la traduzione di un testo da una lingua a un’altra, mettendo però in discussione l’idea della traduzione come mero processo immobile che si limita al passaggio da un testo di partenza, privilegiandolo o meno rispetto alla diversa lingua in cui verrà poi tradotto, a uno di arrivo, arricchendolo o meno rispetto alla composizione della lingua originale. Contrapponendosi e anzi allontanandosi ferocemente dallo scontro dei diversi approcci tradizionali di traduzione, ovvero tra chi innalza la fedeltà contro la libertà e chi, viceversa, la libertà contro la fedeltà, le riflessioni di Benjamin si immettono da una parte sulla scia di quelle che saranno negli anni a seguire le sue teorizzazioni estetiche, in particolare de Il dramma barocco tedesco e di parte de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, così come del suo successivo confronto coi problemi filosofici hegelo-marxiani nelle Tesi di filosofia della storia, tanto da anteporre spesso il compito del «traduttore» a quello del «filosofo» e, come vedremo, ponendo quasi il problema della traduzione come fosse un problema della «filosofia della storia».

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laboratorio

Che fare? Quali sono i fattori favorevoli e sfavorevoli allo sviluppo del socialismo

di Domenico Moro

dfbcfcbh.jpgSecondo Marx ed Engels il socialismo – come fase intermedia tra capitalismo e comunismo – può affermarsi soltanto in virtù di un alto sviluppo economico del capitalismo che crei la base materiale per la sua instaurazione. Senza questo sviluppo, non si potrebbe procedere all’abbattimento della proprietà privata dei mezzi di produzione e alla affermazione della proprietà collettiva. Oggi siamo arrivati a una crescita immane della produzione capitalistica, grazie allo sviluppo esponenziale della scienza e della tecnologia. Nonostante ciò il movimento socialista, nei paesi dell’Occidente capitalista e avanzato, non è mai stato così debole e arretrato. Sorge a questo punto una domanda che non può essere elusa: perché, a fronte del prodursi delle condizioni oggettive della rivoluzione, la coscienza e l’organizzazione delle classi lavoratrici che dovrebbe guidarla è così poco diffusa? L’altra domanda che, giocoforza, dovremmo porci è la seguente: oggi nelle condizioni date che cosa possiamo fare?

Rispondere a queste domande è fondamentale ma è anche molto difficile, e sicuramente qui non possiamo che limitarci, in modo molto parziale, ad avviare il discorso, tracciando delle direttrici di interpretazione della realtà sociale attuale e quindi delle condizioni di realizzazione del socialismo. Per iniziare suddividerei la questione in quattro sezioni, premettendo, però, che l’analisi si incentrerà soprattutto sui Paesi occidentali e in particolare sull’Europa e sull’Italia e tratterà solo di sfuggita le condizioni dell’immensa periferia e semiperiferia del cosiddetto Sud-globale, dove le condizioni sono diverse e meritano una trattazione a parte.

Per comodità di analisi distingueremo tra fattori oggettivi, relativi alle condizioni strutturali, economiche e sociali, e i fattori soggettivi, relativi alle condizioni sovrastrutturali cioè allo sviluppo della coscienza e dell’organizzazione della classe lavoratrice.

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tempofertile

Ancora circa la questione dell’eurocentrismo

Glosse a un post di Roberto Fineschi

di Alessandro Visalli

5e723d862300003d1ade4a26.jpegL’autorevole interprete di Karl Marx e studioso marxista Roberto Fineschi ha scritto il 24 maggio su Facebook[1] il seguente post, che riporto integralmente:

Osservazioni in calce a dibattiti recenti su eurocentrismo, “occidente globale”, “giardini e giungle” (riprendendo alcuni passaggi da un articolo[2] su Orientamenti politici e materialismo storico).

Eurocentrismo? Anticapitalismo?

1. Nel gran parlare che si fa sul cosiddetto eurocentrismo regna a mio parere una discreta confusione nelle definizioni. In particolare quando, poi, si riferisce la questione a Marx.

Se con tale termine si intende considerare la storia del mondo universo in funzione delle prospettive ed esigenze europee, va da sé che si tratta di un pregiudizio da estirpare. Se però si entra più nel dettaglio, la questione diventa molto più scivolosa e in certi casi decisamente reazionaria.

La storia del mondo è diventata eurocentrica con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, nel senso che esso ha imposto dominio, regole, forme di sviluppo a una dinamica che prima aveva più elementi indipendenti non uniti a sistema se non per contatti marginali, mentre il capitalismo è diventata la variabile dominante che ha funzionalizzato a sé l’intero mondo. In questo senso eurocentrismo non è un mero pregiudizio intellettuale, è un processo reale di dominio e sfruttamento legato al modo di produzione capitalistico.

Tuttavia, il modo di produzione capitalistico è stato sin dall’inizio un processo contraddittorio che ha prodotto allo stesso tempo contenuti potenzialmente positivi pervertiti in forma reazionaria per la sua stessa interna dialettica. Quindi, insieme allo sfruttamento, produce anche la libertà potenziale che include produttività del lavoro, sapere razionale e scientifico, dignità universale dell’essere umano, ecc. Essere contro questi aspetti non è semplicemente insensato, è reazionario.

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paroleecose2

L’ideale della libertà e i limiti della democrazia reale: un’analisi tra Kelsen e Bobbio

di Jacopo Moretti

bobbio.jpgQuest’anno ricorrono quarant’anni dalla pubblicazione di uno degli articoli di maggior successo di Norberto Bobbio: Il futuro della democrazia, un lavoro importante dal momento che «alcune grandi questioni del nostro tempo possono utilmente essere inquadrate e affrontate a partire dal pensiero di Bobbio» nonostante egli abbia «sempre avuto verso il futuro un atteggiamento di preoccupata diffidenza» (Bovero 2011, Introduzione). Il filosofo torinese in questo che è «il suo libro forse più famoso» (Bovero 2011, Introduzione) approfondisce l’analisi degli esiti strutturali della teoria democratica, mettendo alla prova i fatti, cioè valutando se nella pratica la democrazia abbia o meno rispettato i suoi presupposti teorici. Egli individua quindi sei promesse non mantenute, che permettono di riflettere efficacemente «sul divario tra gli ideali democratici e la democrazia reale» (Bobbio 1995, 8) vale a dire quel divario tra la metafisica astratta dove abitano i nostri concetti, e la materia grezza di cui è fatto il mondo.

Il più rilevante di questi concetti, in relazione ai valori della democrazia, è l’ideale della libertà. Bobbio rintraccia gli esiti empirici dell’assorbimento di questo ideale in quella che lui chiama la rozza materia che alimenta il mondo, e che invischia le nostre idee più importanti: anche la libertà non è sfuggita a questo assorbimento ed è stata perciò in gran parte asservita dalla realtà e dalle sue regole. Comprendere queste limitazioni però sembra essere anche uno strumento positivo di consapevolezza e miglioramento della coscienza democratica, e non semplicemente una pessimistica valutazione dell’attualità politica. Per tale ragione in questo articolo metterò a confronto il lavoro di Bobbio con alcune delle riflessioni sulla democrazia svolte da Hans Kelsen in Vom Wesen und Wert Demokratie.