Il riarmo italiano impatterà sullla spesa sociale e sanitaria e sui salari pubblici
di Domenico Moro
Quando i paesi della Nato accettarono il diktat trumpiano di aumento della spesa militare dal 2% al 5% sul Pil e la Ue di conseguenza varò il piano Rearm Europe – Readiness 2030, Giorgia Meloni promise che gli aumenti della spesa militare non sarebbero stati compensati con la diminuzione di altre voci di spesa. La verità, però, è che la determinazione del governo italiano a perseguire gli obiettivi di riduzione del deficit e del debito pubblico, previsti dai trattati europei, non consente di mantenere quella promessa.
La conferma di questa situazione viene dalla recente audizione sul Documento programmatico di finanza pubblica 2025, davanti alla Commissioni Bilancio riunite della Camera e del Senato, di Lilia Cavallari, presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), e di Andrea Brandolini, capo del Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia.
In particolare, Cavallari ha affermato: “Un aumento permanente della spesa per la difesa dovrà necessariamente essere compensato da misure di riduzione della spesa in altri settori o di aumenti discrezionali delle entrate”.[i] Sulla stessa linea è Brandolini, che ricorda come la maggior parte delle risorse “andranno reperite attraverso aumenti di entrate e tagli alla spesa”.[ii] Dal momento che quello che si prospetta è un aumento permanente della spesa militare e che gli esponenti più importanti del governo, Meloni, Salvini e Tajani, hanno fatto della diminuzione dell’imposizione fiscale un punto decisivo del loro programma di governo, l’unica soluzione è la diminuzione della spesa sociale.