Vuoi iscriverti alla newsletter? - Se non ci riesci segui le istruzioni del modulo sotto questo
Impossibile iscriversi?
Quando premi invio appare un avviso?
La soluzione è disattivare le eventuali estensioni di sicurezza tipo uBlock o Adguard, ricaricare la pagina, ricompilare il modulo d'iscrizione e al termine riavviare le estensioni.
Notizie sull'operazione speciale condotta dall'esercito russo in Ucraina
Mentre la Commissione europea propone il 19° pacchetto di sanzioni contro la Russia, e continua a ripetere gli identici errori commessi in passato – armare ulteriormente l’Est della Nato e Kiev, in modo che Mosca si senta ancor più minacciata e prosegua la brutale offensiva in Ucraina – nulla di paragonabile accade sul fronte medio orientale, dove lo Stato d’Israele sta liquidando i palestinesi a Gaza, ed è pronto ad annettere quasi tutta la Cisgiordania oltre a Gerusalemme Est, occupate dal 1967. Se si eccettuano Spagna e Irlanda,...
L’agenzia statunitense di rating, Fitch, ha appena alzato il punteggio dell’Italia, portandolo da BBB (merda di cane) a BBB+(merda di vacca). Può sembrare una differenza minima, ma era dal 2021 che non succedeva. Tra le motivazioni principali c’è il fatto che il debito pubblico sta scendendo. Ora, facciamo pure finta che Fitch non sia la stessa agenzia di rating accusata, insieme ad altre agenzie come Standard & Poor e Moody’s, di aver assegnato rating eccessivamente elevati a titoli finanziari legati ai mutui subprime, contribuendo così alla...
Furfanti, canaglie, falsari: difficile raccapezzarsi nella scelta delle caratteristiche per cui si distinguono, in un pericoloso crescendo, i guerrafondai euroatlantisti e i manigoldi delle redazioni belliciste che fanno loro da portavoce. «Sfida di Putin nei cieli della NATO», è il titolone di prima pagina del Corriere della Sera dopo il presunto sconfinamento di tre jet russi nello spazio aereo estone. Ovvio che la secca smentita del Ministero della difesa russo, secondo cui non c'è stato alcuno sconfinamento, come confermato dai...
Quando ho pubblicato il mio libro, “L’Età dello Sterminio” nel 2024, non immaginavo che potesse essere così profetico quando ho notato la tendenza storica delle minoranze ad essere sterminate dai gruppi più grandi. È esattamente ciò che stiamo vedendo a Gaza. Lì potremmo presto assistere agli effetti della “sindrome da rialimentazione” che causa la morte rapida delle persone dopo un lungo periodo di fame, anche se vengono fornite loro delle provviste alimentari. È un ulteriore esempio dell'effetto Seneca espresso con la frase “La rovina è...
L’ analisi dei fatti, sempre ben riportata da Simplicius, ci sollecita sempre la domanda: dove stiamo andando? Ho già spiegato a iosa il mio punto di vista: i banksters ci stanno portando in una WW3 che avrà come sempre l’epicentro in Europa. Quindi ogni volta si tratta solo di chiederci: a che punto siamo? A questo ho risposto in altra occasione che siamo in uno “stallo”; nel momento in cui i “piani A” dei due contendenti, NATO e Russia, sono sostanzialmente falliti ma esiste ancora, in realtà esisteva fino a due settimane fa, una “finestra”...
Il Cremlino è tornato a sfidare l’Europa” titolano più o meno con questi termini quasi tutti i giornali in Italia e in Europa dopo le supposte violazioni dello spazio aereo estone da parte di 3 Mig-31 russi, “abbattuti” o forse solo “intercettati” (a seconda dei giornali e dei TG) dagli F-35 italiani basati ad Amari (Estonia) nell’ambito della NATO enhanced Air Policing (eAP) nella regione baltica dove, a rotazione con altre forze aeree NATO, difendono lo spazio aereo delle tre repubbliche prive di aerei da guerra e di difesa antiaerea...
L’attacco da parte dell’esercito israeliano deciso unilateralmente dal governo Netanyahu contro Gaza City assomiglia sempre più a una sorta soluzione finale di tragica memoria. Avviene nella totale complicità e indifferenza non solo del mondo occidentale (con sporadiche eccezioni, vedi Spagna e Irlanda) ma anche del mondo arabo. In questi giorni a Bruxelles si è riunita la Commissione Esteri della UE, che ha approvato un pacchetto di misure, che viene definito dalla stampa, “senza precedenti nei confronti di Israele: si va dalla sospensione...
Le politiche di Netanyahu hanno scavato un solco tra Israele e la base trumpiana. Una parte consistente di quest’ultima ora accusa lo Stato ebraico di complicità nell’uccisione di Kirk L’assassinio dell’attivista conservatore Charlie Kirk dà un’ulteriore accelerata alla crisi che sta disgregando il tessuto socio-politico americano. L’intensificarsi della violenza politica è un sintomo del declino statunitense. Essa ha colpito esponenti repubblicani e democratici, e non ha risparmiato neanche il presidente Donald Trump, vittima di due falliti...
Il 7 ottobre del 2023 è stata scritta una pagina di Storia da parte della Resistenza arabo-palestinese. L’Operazione Diluvio di al Aqsa è stato un atto rivoluzionario per la liberazione della Palestina, che ha mostrato come una popolazione indigena, da quasi 80 anni espropriata da una entità colonizzatrice di ogni diritto all’esistenza sociale e politica, possa tentare l’impossibile, ovvero mettere in ginocchio una potenza nucleare, avamposto dell’imperialismo occidentale. Quell’assalto “Ha insegnato che ci si può tirare fuori dalla fossa più...
Si dice che Trump non sia stato consultato e neppure avvertito dell’attacco dell’aviazione israeliana a Doha. Dato che l’attacco non avrebbe potuto avvenire senza la piena connivenza e la costante assistenza delle forze armate statunitensi, se ne dovrebbe concludere che ormai Trump sia diventato un Biden 2.0, un presidente di facciata, sempre meno capace di intendere e di volere. Ma il vero scoop relativo all’attacco a Doha è stato la notizia secondo la quale il Mossad avrebbe espresso la propria contrarietà, tanto da non partecipare...
A Gaza, capitalismo, imperialismo, colonialismo e i gruppi umani che concretamente ne incarnano e realizzano le logiche di funzionamento si mostrano per quello che storicamente sono: modi di produzione e governo che tendono a distruggere tutto ciò che ritengono inutile o di ostacolo al proprio dominio. È questo che il Governo e l’esercito di Israele, in complicità con quello degli Stati Uniti e di tutte le imprese e gli stati che con essi collaborano, stanno facendo da decenni, con un’accelerazione radicale, giunta fino alla forma del...
Io davvero non riesco a capire come siamo finiti in questo tombino dialettico permanente, fatto di dicotomie e polarizzazioni inutili, stupide, anti logiche, di timore reverenziale nei confronti della argomentazione, anzi della precisione delle parole, dell’utilizzo assennato dei loro significati, del vittimismo costante, del mal riposto riflesso d’indignazione, della sudditanza verso il vuoto conformismo del silenzio, oppure della frase di circostanza a corollario del lutto, della perdita, dello shock. Un intellettuale di nome Odifreddi dice...
E’ bastato un anno per verificare che “l’agenda Draghi” era una tigre di carta. O, più precisamente, che si trattava di mega-piano costruito sul wishful thinking, una sfilza di desideri messi nero su bianco, ma sostanzialmente privo di programmazione, direzione politica e operativa, connessione stretta tra mezzi e obiettivi. Irrealistico, insomma. Parlando di nuovo a Bruxelles, nella conferenza della Commissione Ue sul primo anno del suo report sulla competitività, ieri “superMario” ha recitato come sempre la parte del guru che saprebbe come...
Netanyahu “mi sta fottendo”. Così Trump ai suoi collaboratori dopo il bombardamento israeliano del Qatar. Lo riporta il Wall Street Journal, secondo il quale il presidente, pur frustrato per l’ennesima volta dall’iniziativa del premier israeliano, non può rompere pubblicamente. Secondo il WSJ si spiega con la sua stima per gli uomini forti. Una seconda spiegazione, più convincente, è per “l‘influenza del leader israeliano sul Congresso e sui media repubblicani“… Altra spiegazione, che potrebbe sommarsi a quest’ultima, l’ha data l’ex...
Uno degli insegnamenti fondamentali della storia è che per comprendere i destini dell'Europa bisogna guardare alla Francia. Una verità questa che probabilmente è vera sin dai tempi della nascita dello stato nazione francese, ma che è diventata sempre più vera con il passare dei secoli nei quali si sono verificati – proprio in Francia - fenomeni peculiari come l'Illuminismo, la Rivoluzione Francese e l'epopea napoleonica. Ancora oggi è così, la Francia è l'unico paese dell'UE ad avere il deterrente nucleare e a sedere nel Consiglio di...
In qualsiasi conflitto, le parole sono utilizzate per velare la realtà – se non per mistificarla. E, ovviamente, l’ennesimo divampare cinetico della lunga guerra di liberazione della Palestina non fa eccezione. Quando Netanyahu e la sua gang di fanatici messianici parlano di Grande Israele e di “ridisegno del Medio Oriente”, stanno ammantando con un linguaggio trionfalistico e ambizioso quello che è, in effetti, un disegno strategico che nasce da profonde preoccupazioni. Israele ha sempre avuto, sin dalla sua fondazione, l’imperativo di...
L’assassinio di Charlie Kirk rischia di diventare un altro 11 settembre americano, e forse mondiale se ripeterà l’effetto domino di allora. Per ora ha scatenato una reazione durissima in ambito repubblicano, dal presidente Trump in giù, contro l’estremismo cosiddetto di sinistra. Reazione che sembra poter dar vita a un maccartismo di ritorno, ma più estremo del precedente, che vedrebbe indebite convergenze tra la lotta contro i movimenti cosiddetti “antifa” a quella contro l’immigrazione clandestina e, soprattutto, quella contro la causa...
Mentre in tutto il mondo si mobilitano milioni di persone per sostenere la Sumud Flottilla e da Gaza le voci di giornalisti, militanti della Resistenza, a partire dal FPLP, medici e comuni Gazawi si levano voci a favore di questa straordinaria iniziativa, Radio Gaza, in L’Antidiplomatico, opera un’azione di sabotaggio e delegittimazione dell’impresa. Ricordando che intorno alla Flottilla , per supportarla si sono mobilitati artisti famosi, intellettuali, attivisti e cittadini sensibili alla causa palestinese, siamo sconcertati da una...
La portata del piano di riarmo tedesco è enorme. Ma altrettanto gigantesca è la sua sottovalutazione. In tanti, sottolineando giustamente la difficoltà di adeguare le dimensioni della Bundeswher alla montagna di armi di cui verrà rifornita, concludono che alla fine tutto finirà in una bolla di sapone. Più esattamente in una mera operazione economica, utile a tener su l’economia in una fase in cui boccheggia, ma del tutto inadeguata al fine di far riemergere l’antica potenza militare di Berlino. Davvero stanno così le cose? Ne dubitiamo assai....
Quando si scopre che la maggioranza (73% secondo l’ultimo poll) della civile, colta, democratica popolazione israeliana supporta una sorta di “soluzione finale” nei confronti dei palestinesi non ci si può che chiedere: com’è possibile che ciò accada? Com’è possibile che qualcuno di fronte a manifeste, continue forme di prevaricazione e violenza nei confronti di soggetti innocenti (bambini, anziani, civili) continui a difendere serenamente queste attività? La risposta è in effetti semplice: nel caso della popolazione israeliana si tratta di...
Il titolo di Oracle, in una sola seduta di Borsa, ha guadagnato il 40%, portando la capitalizzazione della società non lontana dai 1.000 miliardi di dollari. Era già salito del 45% nelle giornate precedenti. Da che cosa è dipesa una simile impennata? I numeri reali parlano di un fatturato di 57 miliardi di dollari, quattro in più rispetto al 2024 e di un utile netto di 12 miliardi, due in più dell'anno precedente. Numeri importanti, dunque, ma che forse non giustificano un'esplosione come quella registrata in pochissime sedute, su cui hanno...
Uno dei cavalli di battaglia degli atlantisti che santificano le attuali (false) democrazie liberali è spalare merda sulle opposizioni qualificandole come populiste e sovraniste. In realtà c’è una bella differenza tra forze politiche che rilanciano il sovranismo populista nel nome dei valori occidentali, e forze che ritengono che in Europa, l’UE sia una gabbia e ponga dei diktat ai parlamenti e alle popolazioni che non possono più decidere autonomamente cosa sia meglio sul piano economico e sociale, per non parlare della politica estera. Che...
Meno di un mese dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha commissionato agli Stati Uniti 90 miliardi di ordini per armi, munizioni ed altri equipaggiamenti militari che pagheranno, consenzienti, gli alleati europei, ieri il ministro della Difesa di Kiev, Denys Shmyhal (nella foto sotto), ha reso noto che l’Ucraina ha bisogno di oltre 100 miliardi di euro per finanziare la sua difesa nel 2026. A scanso di equivoci, l’ex premier del governo ucraino, ha precisato che tale somma sarà necessaria sia in caso la guerra continui sia nel...
Più di un secolo fa, il sociologo Max Weber spiegò con autorevolezza come l’individuo moderno fosse destinato al cosiddetto «politeismo dei valori». Queste riflessioni famose, anche se non necessariamente persuasive, servivano a delineare la situazione nuova di società disincantate, costrette a convivere con l’assenza di baricentri ideologici assoluti e col proliferare di dilemmi etici e normativi inevitabilmente drammatici. Nessun dramma, però, sembra affliggere l’odierno politeismo italiano, che nel 2025 ha segnato un notevole salto di...
Sumud, resilienza un cazzo, resistenza piuttosto, sforzo di perseverare o, come si diceva quando una lingua comune dell’Occidente esprimeva l’impulso rivoluzionario marrano, conatus, per cui ogni cosa in suo esse perseverare conatur, fa valere la sua essenza attuale. La lenta e un po’ scompigliata partenza della Global Sumud Flotilla e il suo avvicinamento contrastato a Gaza segnano un salto di qualità nell’impegno solidale di un movimento internazionale e anticoloniale. Un balzo di scala non solo rispetto alla passività complice dei governi...
Uno degli aspetti e tra le capacità più notevoli dell’ideologia neoliberale è non solo l’essere stata completamente interiorizzata dai subalterni, costituendo così un elemento attivo di modellizzazione dell’immaginario (con conseguente impossibilità di pensare una reale alternativa di sistema), ma anche di deviare continuamente le responsabilità dei danni prodotti dal Modello verso aspetti periferici, fuorvianti se non del tutto erronei, a salvaguardia del Modello stesso. La Scuola e la Sanità pubbliche, ossia due settori vitali per la tenuta...
«L'urgenza delle scelte» scrive il signor Danilo Taino nell'editoriale del Corriere della Sera del 11 settembre, in prima pagina sotto il titolone «Raid in Polonia, Putin sfida la NATO», che dà direttamente conto della visione del foglio di regime euro-atlantico a proposito della vicenda dei droni – addirittura privi di carica esplosiva, dice la stessa Procura polacca – caduti in territorio polacco, forse persino là dirottati da precise interferenze radioelettroniche. E, in fondo, per «quanto allarmante possa apparire» scrive la polacca...
Michel Foucault, in una conferenza tenuta a Tunisi nel 1967 e pubblicata postuma nel 1984 col titolo Des espaces autres, al fianco di “utopia” introduce il termine di “eterotopia”. Se l’utopia si configura come un “non luogo”, l’eterotopia si presenta come un luogo reale separato dal normale contesto quotidiano, “una specie di contestazione al tempo stesso mitica e reale dello spazio in cui viviamo”1. Sono svariate le eterotopie secondo l’analisi dello studioso francese: i giardini, i teatri, le prigioni, le colonie, le fiere, le biblioteche....
A 24 ore di distanza, con qualche elemento concreto in più (le dichiarazioni e la propaganda li lasciamo agli arruolati), possiamo provare a sintetizzare l’analisi dell’”incidente polacco” – i droni, forse russi, che hanno sconfinato sul confine orientale di Varsavia – e ipotizzare cosa è effettivamente accaduto. Dal che, come sempre, discende un briciolo di valutazione politica. Gli “elementi concreti” vengono forniti da fonti militari (alcune della Nato, altre bielorusse) e da analisti militari sperimentati, tipo Analisi Difesa per quanto...
La coerenza politica passa spesso per la minoranza. Se n’ebbe prova all’indomani del 7 ottobre, quando affermare il carattere resistente di quell’atto significava esporsi all’isolamento e al disprezzo di una massa compatta che ne decretava la demonizzazione come “terrorismo”. Si era in pochi, quasi invisibili. Lo si constata di nuovo oggi, dopo due anni di genocidio reso possibile dall’indifferenza occidentale e dalla complicità diretta con il sionismo: proprio mentre si coagula un consenso di massa che condanna tardivamente i massacri, si...
«A causa di una rivolta sociale il Museo d’Orsay è chiuso» e i turisti non potranno ammirare le opere di Courbet. Per questa ironica serrata, il grande pittore rivoluzionario avrebbe guardato con simpatia il movimento che ieri ha paralizzato Parigi al grido «blocchiamo tutto». Alcuni distruttori senza criterio, certo. Ma soprattutto giovani, tantissime donne, molti immigrati, e drappi rossi a volontà. Si dice che il movimento sia nato dalle file della destra sovranista attiva sui social. Sarà, ma ieri si è vista poco. I «bloccanti», li...
Bettino Craxi definiva Ernesto Galli della Loggia “intellettuale dei miei stivali”. In effetti il noto opinionista del “Corriere della Sera” basa i suoi interventi su uno schema ripetitivo e prevedibile che consiste in un mero richiamo alle vigenti gerarchie imperialistiche e antropologiche. Ormai il mainstream ha ammesso che il comportamento di Israele a Gaza ha oltrepassato il cosiddetto “diritto di difesa” e forse sta avvenendo qualche criminuccio di troppo. Qualche giorno fa Galli della Loggia ha appuntato la sua polemica sulla scelta...
L’attacco aereo israeliano contro i leader di Hamas a Doha nel settembre 2025 è stato più di un’operazione militare. È stata una rottura simbolica nell’architettura stessa della diplomazia mediorientale. Per decenni, il Qatar si è costruito l’immagine di “mediatore neutrale” ospitando negoziati tra i talebani e Washington o fungendo da piattaforma per colloqui indiretti tra Iran e Stati Uniti. L’attacco israeliano ha infranto questa percezione: l’era dei “rifugi sicuri” per la diplomazia nell’Asia occidentale è finita. La capitale del Qatar,...
Quante sono le nazioni europee disposte a inviare proprie truppe in Ucraina per garantire la sicurezza di Kiev? Valutazioni contrastanti e contraddittorie rendono arduo fornire una risposta precisa a questa domanda. Ci sono 26 Paesi dei circa 30 aderenti alla Coalizione dei Volenterosi “che formalmente si sono impegnati a dispiegare una ‘forza di rassicurazione’ in Ucraina e ad essere presenti sul territorio, nei cieli e nei mari” ha detto Macron durante la conferenza stampa all’Eliseo al fianco di Volodymyr Zelensky. “Questa forza non ha per...
Volto sorridente, voce soft, comunicazione coinvolgente che ben dispone all’ascolto. È, a detta di chi lo ascolta, una persona gradevole, gentile. Non sempre corrisponde al vero. Se la gentilezza è una qualità intima che apporta benefici e che si esprime attraverso varie esperienze e relazioni, poche persone possono essere riconosciute gentili. E’ lo stesso divario che intercorre fra forma e sostanza. ‘Sotto il vestito niente’, citando il titolo di un famoso film. Nella frequentazione la forma prende corpo nella sostanza e la gentilezza dei...
Il discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der Leyen del 2025 non ha riservato grandi sorprese. È stato il solito mix di promesse vuote, gergo tecnocratico e atteggiamenti morali ipocriti che sono il suo marchio di fabbrica. In altre parole, sempre la stessa cosa. Pronunciato nel consueto registro orwelliano, il discorso era pieno di parole come libertà, pace, prosperità e indipendenza, anche se l’UE continua a perseguire politiche che minano tutti questi valori, spingendo per la guerra e la militarizzazione, reprimendo la libertà di...
È passato un anno dalle elezioni legislative anticipate volute da Emmanuel Macron, due primi ministri da lui nominati sono nel frattempo caduti – Michel Barnier con una mozione di censura il 4 dicembre, François Bayrou con un voto di sfiducia lunedì – e ancora il Presidente non ha capito che il grande perdente è lui, nonostante le incapacità negoziali di ambedue i Premier falliti. Ieri ha nominato primo ministro un suo fedelissimo, il ministro della difesa Sébastien Lecornu. Probabilmente Macron pensa che facendo sempre la stessa cosa, e...
Questo sito è autofinanziato.
L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
Details
Hits: 906
Smascherata la truffa NATO: l'Europa è indifesa senza la "cavalleria americana"
di Kit Klarenberg
Il 23 aprile, Politico ha pubblicato uno straordinario articolo, “La cavalleria americana non arriva”, che documentava con dovizia di particolari quanto la pianificazione e le infrastrutture di difesa europee siano state per decenni esclusivamente “costruite sul presupposto del supporto americano” e “accelerare l’invio di rinforzi americani in prima linea”. Ora, “la prospettiva che ciò non accada sta gettando nel caos i piani di mobilità militare” e il continente “si trova solo”, indifeso, senza una direzione e privo di soluzioni ai disastrosi risultati della sua prostrazione per molti decenni all’egemonia statunitense.
L’articolo inizia con un tentativo mediocre di fantasy, tratteggiando uno scenario da incubo che si scatena nel marzo del 2030. “Nella nebbia di inizio primavera”, un attacco russo su più fronti inizia contro Lituania e Polonia, costringendo i soldati stranieri di stanza lì a cercare riparo, mentre “i paesi alleati si affrettano a rispondere”. Ma mentre Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e i paesi nordici mobilitano i loro eserciti per l’impresa, “c’è una netta assenza”:
Leader e soldati guardano a ovest, verso l’oceano, sperando nelle navi da guerra che sono sempre accorse in soccorso dell’Europa nell’ultimo secolo. Ma il mare offre solo silenzio. Gli americani non arrivano. La seconda presidenza di Donald Trump ha posto fine all’impegno degli Stati Uniti per la difesa europea.
Certo, Trump non ha ancora disimpegnato Washington dalla NATO. “Ma cosa succederebbe se l’America abbandonasse l’Europa?”, riporta Politico, è una domanda inquietante che riecheggia con crescente urgenza nei corridoi del potere occidentali. La risposta evidenzia una “realtà scomoda”: “senza il supporto degli Stati Uniti, spostare truppe in Europa sarebbe più lento, costoso e ostacolato da una serie di colli di bottiglia logistici”. In caso di guerra totale, queste carenze “potrebbero non solo creare inefficienze”, ma “potrebbero rivelarsi fatali”.
Chi annava a immagginà che ne la mente je ce covava er libbero pensiero, o, pe’ di’ mejo, nun ciaveva gnente?” (Trilussa)
Mentre il vecchio mondo unipolare scricchiola travolgendo la propaganda di ieri, i nostri intellettuali di servizio si danno da fare per sgombrare le macerie delle loro stesse narrazioni diventate d’un tratto un ingombro imbarazzante. Fino a ieri la democrazia partecipata era il mantra che ci distingueva dalle tirannie, ma ora che il popolo non ne vuole sapere di rischiare la pellaccia per slogan vuoti e consunti, fanno tutti dietrofront e spiegano che il popolo non capisce, che non tocca a lui decidere della guerra e della pace, di ciò che è giusto o sbagliato, morale o immorale.
All’improvviso anche la parola “liberale” va ristretta, reinterpretata, resa essenziale e stringente, direi dittatoriale. Si avvera la profezia di Trilussa: in fondo, liberale non vuol dire niente, e chi ha in testa il libero pensiero, alla fine, nun pensa gnente, o meglio si adatta a quel che serve. Come si dice in questi casi, additare le dittature altrui serviva solo a distrarre dalla propria.
Si moltiplicano i casi in cui i sinceri democratici iniziano a dubitare dell’efficacia delle elezioni, talvolta arrivando a truccarle apertamente, estromettendo gli avversari scomodi, laddove prima si imbrogliava solo un po’ per aggiustare i risultati, o persino negandole in nome della guerra che non si può fermare per colpa loro. Anche sulla nostra stampa, falsamente equilibrata, si cominciano a porre certe questioni, mentre ci si prepara al mondo di domani, quando al popolo si dovranno far ingoiare ideologie del tutto nuove, visto che quelle vecchie sono fritte.
Le reazioni del mondo occidentale alla situazione nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania sollevano una domanda inquietante: perché l’Occidente ufficiale, e in particolare l’Europa Occidentale ufficiale, è così indifferente alle sofferenze dei palestinesi?
Perché il Partito Democratico negli Stati Uniti è Complice, direttamente e indirettamente, nel sostenere la Disumanità quotidiana in Palestina, una Complicità così evidente che probabilmente è stata una delle ragioni per cui ha perso le elezioni, poiché il voto arabo-americano e progressista negli Stati chiave non poteva, e giustamente, perdonare all’amministrazione Biden il suo ruolo nel Genocidio nella Striscia di Gaza?
Questa è una domanda pertinente, dato che abbiamo a che fare con un Genocidio trasmesso in diretta che ora si è rinnovato sul campo. È diverso dai periodi precedenti in cui l’indifferenza e la complicità occidentale sono state dimostrate, sia durante la Nakba che nei lunghi anni di Occupazione dal 1967.
Durante la Nakba e fino al 1967, non era facile reperire informazioni e l’oppressione successiva al 1967 è stata per lo più graduale e, come tale, ignorata dai media e dalla politica occidentale, che si sono rifiutati di riconoscerne l’effetto cumulativo sui palestinesi.
La città autoritaria è tra di noi, essa è la premessa allo Stato autoritario. Il nuovo autoritarismo utilizza modalità banali e ordinarie per infiltrarsi che in tal modo non sono pensate. Il nuovo autoritarismo usa in modo massiccio i processi di deverbalizzazione per potersi affermare in modo discreto e lasco. È sempre attento a mostrare il vero volto, pertanto si insinua in modo da evitare, finché è possibili, scontri e opposizioni. Accoglie nel recinto dell’omologazione ogni differenza per svuotarla dei contenuti e rendenderla “eunuca presenza”.
La creatività è un baluardo contro l’autoritarismo. Creatività è osservazione critica capace di tradurre in concetto l’esperienza dialettica. Le contraddizioni e gli allineamenti all’ordine costituito sono resi concetto mediante l’esperienza dialogica che si estende dal dialogo con il proprio sé profondo al tu. La città autoritaria sta ponendo in atto una serie di disposizioni “green”, si pensi ai nuovi spazi verdi nei quali le alberature sono minime, mentre gli spazi per il gioco e per il fitness si espandono senza proporzioni. I nuovi giardini pubblici sono in larga parte organizzati secondo aiuole di poca estensione che lasciano spazio ad aree di aggregazione. L’attenzione rivolta ai bambini e ai giovani è finalizzata ad addestrare i futuri sudditi del sistema che, dunque, devono essere allevati e sorvegliati. Le aree di aggregazione sono costituite da giochi strutturati a cui i bambini devono adattarsi. Non scelgono il modo in cui giocare e non inventano nuovi giochi, essi utilizzano giochi già precostituiti. Imparano ad adattarsi al sistema fin da subito e tale comportamento è reso più solido da un sistema che accompagna all’adattamento con l’edonismo.
I dazi nella temporalità del modo di produzione capitalistico
di Algamica*
Se esaminiamo attraverso una analisi storica il fatto che l’amministrazione americana è costretta a fare e disfare al riguardo dei dazi commerciali, possiamo ricavare alcuni elementi inconfutabili sullo stato avanzato di decomposizione del modo di produzione capitalistico.
Quando le nazioni e certi mercati nazionali erano in crescita e conseguentemente cresceva la popolazione nazionale, i dazi potevano impulsare la produzione nazionale di merci favorendo il consumo delle merci prodotte localmente. Si combinava lo sviluppo sulla base di fattori economici essenziali, quali la crescita della popolazione e il volume della domanda. Così fu nella seconda metà dell’800 e oltre per le nazioni dell’Europa, Stati Uniti e Giappone.
Quando il moto unitario dell’ accumulazione giunse a una certa maturazione, il moto stesso dovette infrangere i dazi che rappresentavano un ostacolo alla accumulazione generale. Il principale elemento di strozzatura era costituito dall’insieme delle tariffe imposte dalla forma del mercato mondiale segmentato secondo i confini coloniali. Ci vollero due guerre mondiali per completare questo processo già determinato.
Oggi, dove il consumo di merce è finanziato attraverso l’indebitamento delle famiglie e delle aziende, i dazi non sono in grado di combinare l’incombinabile. Ovvero di limitare se non tagliare il consumo e l’import di merci estere per continuare a sviluppare la produzione manifatturiera nazionale. Una produzione nazionale rispetto alla quale non corrisponde più uno sviluppo della popolazione e di un volume della domanda virtuoso. Così come l’input delle singole economie nazionali è costituito da una complessa catena del valore interconnessa. Inoltre sviluppare l’economia di un dato paese richiede la sovrapproduzione di merce, perché non vi è accumulazione senza sovrapproduzione.
E così se ne è andato anche Michel Aglietta, a 87 anni, un altro degli scienziati sociali che più hanno segnato la nostra formazione.
Diplomato all’École polytechnique nel 1959, la sua sensibilità e il suo interesse per gli aspetti teorici del dibattito politico lo portano a scegliere l’ENSAE come scuola di formazione nel 1961.
Nell’ottobre 1974, Michel Aglietta ha difeso la sua tesi di dottorato all’Università di Parigi 1 Panthéon-Sorbonne, intitolata Régulation du mode de production capitaliste dans la longue période. Prendendo come esempio gli Stati Uniti (1870-1970). La commissione di laurea era composta da Raymond Barre, Hubert Brochier, Carlo Benetti, Joseph Weiller e Edmond Malinvaud.
Ha ricevuto l’agrégation (concorso pubblico nel sistema educativo francese) in economia nel 1976, primo passo per intraprendere la carriera accademica. Dopo aver conseguito il dottorato, Michel Aglietta ha tenuto seminari all’INSEE. Vengono discussi i sette capitoli della sua tesi. Ogni mese si tiene un incontro su uno dei capitoli. Si forma un gruppo di persone, tra cui Robert Boyer e Alain Lipietz, Pascal Petit provenienti dall’INSEE, dal CEPREMAP e dalle università. Sulla base di questi incontri, Aglietta scrisse il libro: Régulation et crises du capitalisme, Calmann-Lévy, 1976. Quando uscì, il libro ottenne una certa visibilità e fu tradotto abbastanza rapidamente in inglese (per Verso, Londra, 1979). Fu il battesimo della scuola francese della regolazione, che fu soprattutto portata avanti grazie al lavoro di Boyer, Lipietz, Coriat, Nadel e Petit. Aglietta ne fu l’ispiratore principale anche se non ha mai fatto parte del suo gruppo di ricerca. Di Aglietta, in italiano, sono stati tradotti solo due scritti: la postfazione alla terza edizione di Régulation et Crises du capitalisme nel 2001, accompagnata da un saggio sui compiti dello Stato di Giorgio Lunghini (Bollati Boringhieri), e Il dollaro e dopo: la fine delle monete chiave con una introduzione di Carlo Dadda, nel 1988 (Sansoni).
Gli Stati Uniti ascoltano la posizione della Russia
Veronica Romanenkova per tass.ru/ intervista Sergei Shoigu
In un’intervista con la TASS, il segretario del Consiglio di sicurezza russo Sergei Shoigu ha parlato dei successi dell’NMD, del dialogo tra Mosca e Washington, del pericolo di scoppio di una terza guerra mondiale a causa dei piani della “coalizione dei volenterosi” e delle condizioni affinché la Russia riprenda i test nucleari
Sergey Kuzhugetovich, è trascorso quasi un anno dalla sua nomina alla carica di Segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa. Come valuta la situazione nell’ambito della sicurezza nazionale e i cambiamenti in questo ambito? Quali questioni vengono decise dal Consiglio di sicurezza?
La situazione nell’ambito della sicurezza nazionale della Federazione Russa rimane difficile. Gli Stati ostili sono consapevoli di non essere riusciti a infliggere una sconfitta strategica alla Russia, a minare la sua autorità internazionale, a distruggere la sua economia o a indebolire la sua stabilità politica interna. La Russia sta resistendo con successo alla crescente pressione politica, militare, economica e informativa esercitata su di essa. L’incapacità dell’Occidente collettivo di raggiungere i propri obiettivi si accompagna a un aggravamento delle contraddizioni tra i suoi membri, dei loro problemi socio-economici interni e delle differenze ideologiche, nonché a una divisione nelle élite dominanti. Allo stesso tempo, i paesi che non hanno aderito alle sanzioni anti-russe sono sempre più convinti dell’incompetenza di coloro che, fino a poco tempo fa, cercavano di costringere il mondo intero a vivere secondo le proprie regole determinate unilateralmente.
Questo sviluppo inaspettato degli eventi costringe l’Occidente a cercare nuovi modi per mantenere il suo dominio. La vittoria sulla Russia, se non sul campo di battaglia, almeno diplomaticamente – preservando l’Ucraina come “anti-Russia”, il principale antipodo del nostro Paese – rimane la priorità più importante per le élite occidentali. Allo stesso tempo, si stanno compiendo sforzi significativi per provocare instabilità interna nella Federazione Russa, negli stati vicini, soprattutto in Transcaucasia e Moldavia, per preparare “rivoluzioni colorate” nei paesi del Sud del mondo che lottano per una vera indipendenza: in Africa, Medio Oriente e America Latina.
Tutto ciò è accompagnato da un cambiamento nella natura della manifestazione delle minacce alla sicurezza nazionale della Federazione Russa, dalla formazione di nuove sfide e rischi, nonché di opportunità per il nostro Paese.
Più che la festa dei lavoratori, la festa è stata fatta ai lavoratori.
Con più di 40 anni di riforme regressive del mercato del lavoro che hanno distrutto i diritti conquistati con un secolo di lotte e che portarono alla legge 300 del 20 maggio 1970, ovvero allo Statuto dei lavoratori.
Riforme che sono state realizzate dai Governi di tutti i colori con l’appoggio trasversale dell’intero Parlamento e la complicità dei grandi sindacati confederati (CIGL, CISL e UIL).
Riforme che ci sono state chieste e imposte (per esempio a colpi di spread e con la lettera della BCE del 5 agosto 2011) dall’Unione Europea che accusava l’Italia di avere un mercato del lavoro troppo rigido. Che poi vorrebbe dire tutelato.
E così nel 1984 è stato prima fortemente depotenziato lo strumento per adeguare automaticamente i salari al costo della vita (cioè all’inflazione), la scala mobile, col decreto del 14 febbraio del 1984 e per questo passato alla storia come decreto San Valentino, come se si trattasse di un atto d’amore. Poi nel 1992 è stato del tutto abolito dal Governo Amato.
Poi sono arrivati il pacchetto Treu nel 1997 la legge Biagi nel 2003 che hanno introdotto il lavoro interinale. Che vuol dire provvisorio (ad interim) e che consente ad aziende private di mediare la domanda e l’offerta di lavoro. Un ruolo, quello del collocamento, che prima apparteneva esclusivamente allo Stato ma che era in contrasto col Trattato che istitutiva la Comunità Economica Europea (CEE).
Mentre l'assedio israeliano alla Striscia di Gaza continua a crescere, alla stampa internazionale è vietata una copertura diretta. In questo contesto di aggressioni militari, carenze imposte e disinformazione forzata, l'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) ha chiesto che alla stampa internazionale sia consentito l'ingresso nella Striscia di Gaza, vietato da più di un anno.
L'agenzia ha ricordato che “il libero flusso di informazioni è fondamentale per la responsabilità durante i conflitti” e ha sottolineato che “Gaza non dovrebbe essere un'eccezione. È tempo che i media internazionali" entrino nella Striscia. Il divieto imposto limita tutti i reportage indipendenti, che “alimentano la propaganda, la disinformazione e la diffusione della disumanizzazione”, ha dichiarato il responsabile dell'UNRWA Philippe Lazzarini il terzo giovedì di aprile.
Allo stesso modo, Ajith Sunghay, capo dell'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati, ha ricordato le difficoltà che i giornalisti hanno sempre affrontato in Palestina. In molti casi debitamente registrati, essi hanno subito assassinii, censure e detenzioni.
Secondo l'agenzia, tra il 7 ottobre 2023 e l'11 aprile di quest'anno sono stati uccisi 209 giornalisti e operatori dei media palestinesi, tra cui 27 donne. Sunghay ha affermato che "sia a Gaza che in Cisgiordania, diversi giornalisti palestinesi sono stati arrestati.
Negli ultimi anni una delle espressioni di maggiore fascino per i commentatori di politica estera è stata quella della “mezzaluna sciita”, dall’Iran fino allo Yemen, passando per l’Iraq, la Siria e il Libano. Peccato che queste concezioni su presunti internazionalismi religiosi si scontrino con smentite piuttosto pesanti. Il maggiore alleato di Israele in Asia centrale è infatti l’Azerbaigian, di religione islamica sciita. Nel 2023 Israele, insieme con la Turchia sunnita, ha armato una guerra dell’Azerbaigian contro l’Armenia. Negli ultimi anni i rapporti militari e commerciali tra Israele e l’Azerbaigian si sono ulteriormente rafforzati.
Un episodio inquietante che ha riguardato l’Azerbaigian è la strana morte nel maggio dello scorso anno, per “incidente aereo”, del presidente iraniano Raisi e del suo ministro degli Esteri; entrambi erano di ritorno da un incontro col presidente azero Aliyev. Per quanto i persiani siano loro correligionari, gli azeri sono di lingua ed etnia turca; inoltre l’Iran ha al suo interno una minoranza azera che rappresenta oggettivamente una sponda per le velleità mini-imperialistiche dell’Azerbaigian.
Così come in Siria, sembra che vi sia, pur tra conflitti e competizioni, una convergenza quantomeno episodica tra le aspirazioni a una Grande Turchia e i sogni di un Grande Israele.
«Quei giovani (scarsi, per fortuna) che si rivolgono a me come a una specie di fratello maggiore o piccolo maestro, io devo deluderli e scoraggiarli, non per mio comodo ma per onestà. Ben poco posso insegnargli, e solo in negativo (in breve: a non diventare puttane), e niente posso dargli sul piano pratico, che poi è da sempre ciò che ai giovani soprattutto importa, animati da speranze e ambizioni più che non desiderosi di verità e giustizia.»
Piergiorgio Bellocchio, Dalla parte del torto.
E così Piergiorgio Bellocchio, fondatore e direttore dei Quaderni Piacentini e di Diario, 1 due riviste che hanno impresso un segno indelebile nella cultura di sinistra del nostro paese, ci lasciò il 18 aprile di tre anni fa, quasi in punta di piedi. Aveva novant’anni, allorché, come è stato detto da un saggio ultracentenario, finisce la vecchiaia e ha inizio l’età dei patriarchi. Orbene, sono passati più di sessant’anni, ma di avventure intellettuali come i Quaderni Piacentini è impossibile non provare la struggente nostalgia che si prova per una stagione in cui era ancora possibile la rivolta di un piccolo gruppo di intellettuali borghesi che non volevano identificarsi con la volgarità senza stile del consumismo di massa e, quindi, trasformavano il “provincialismo” in una sorta di privilegio, rifiutando le mode e riscoprendo la severa grandezza della cultura nel tramonto di una civiltà che l’aveva ridotta a un cumulo di macerie.
Apro questa rivista con la trascrizione di una conferenza tenuta a Budapest, in Ungheria, all’inizio di aprile, a Várkert Bazár, nell’ambito della Conferenza Eötvös organizzata dall’Institut du XXIe Siècle. Poiché questo viaggio non è passato inosservato, ho voluto renderlo pubblico il più possibile, in modo che tutti potessero farsi una propria opinione. In un’epoca in cui è facile trovarsi di fronte a calunnie e fantasie, ritengo sia importante garantire che le informazioni possano circolare liberamente e in modo trasparente in Europa [Emmanuel Todd, 29 aprile 2025].
Il mio debito con l’Ungheria
Grazie per questa introduzione molto gentile e lusinghiera. Devo confessare subito che sono piuttosto emozionato di essere a Budapest per parlare della sconfitta, della dislocazione del mondo occidentale, perché la mia carriera di autore è iniziata dopo un viaggio in Ungheria. Avevo 25 anni, ci andai nel 1975, entrai in contatto con studenti ungheresi, parlammo e mi resi conto che il comunismo era morto nella mente della gente. Ho avuto una visione intuitiva della fine del comunismo a Budapest nel 1975. Poi sono tornato a Parigi e, un po’ per caso, nelle statistiche dell’Istituto nazionale di studi demografici ho trovato i dati sull’aumento del tasso di mortalità infantile in Russia e Ucraina, nella parte centrale dell’URSS, e ho avuto l’intuizione dell’imminente crollo del sistema sovietico. Avete appena visto la copertina del mio primo libro (La chute finale: Essai sur la décomposition de la sphère soviétique). Tutto è iniziato a Budapest e sento di avere un debito di gratitudine nei confronti dell’Ungheria. È commovente e impressionante trovarsi in questa bella sala, dopo aver incontrato ieri il vostro Primo Ministro, e tenere una conferenza quando, mezzo secolo fa, sono arrivato qui in treno, all’ostello della gioventù, come un misero studente che non sapeva cosa avrebbe trovato a Budapest.
L’umiltà necessaria
L’esperienza di questo primo libro e il crollo del comunismo mi hanno reso cauto. Naturalmente la mia previsione era corretta, ero molto sicuro di me: l’aumento della mortalità infantile è un indicatore molto, molto sicuro. Ma poi, circa 15 anni dopo, quando il sistema sovietico è crollato, devo umilmente ammettere che non avevo compreso appieno ciò che stava accadendo. Non avrei mai potuto immaginare gli effetti di questa disgregazione sulla sfera sovietica nel suo complesso. Il facile adattamento delle ex democrazie popolari non mi ha sorpreso più di tanto. Nel mio libro, La caduta finale, ho notato le enormi differenze di dinamismo che esistevano tra Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia, ad esempio, e la stessa Unione Sovietica.
Sul filo del rasoio: "pace", capitolazione, guerra. O Thawra!
Le trattative Usa/Iran
di Lo Sparviero
Proseguono le trattative “sul nucleare” iraniano fra i delegati della Repubblica islamica e i negoziatori statunitensi guidati da Steve Witkoff il quale Witkoff, miliardario immobiliarista ebreo americano “prestato alla politica” e presentato dai media come un “feroce negoziatore” nel senso della feroce e concreta attitudine di costui nel concludere proficuamente gli affari, è l’incaricato di Trump anche per le trattative “di pace” sul fronte russo-ucraino/NATO. Anche questo fatto di dettaglio indica come siano intrecciate le vicende degli attuali fronti di guerra aperti e della possibile “pace” che si sta contrattando. In questa nota ci preme dire unicamente di un paio di punti che riguardano lo scenario di guerra in Asia occidentale. Un paio di punti (a nostro avviso) fermi di carattere generale, attorno ai quali ruotano le molteplici e imprevedibili variabili della lotta per la vita o per la morte cioè della lotta suprema in corso.
Scriviamo sopra di possibile “pace” fra virgolette perché essa per l’imperialismo è concepibile a una non contrattabile condizione: la capitolazione politica e operativa delle forze combattenti dell’Asse della Resistenza. La capitolazione di Hamas, quella di Hezbollah, delle milizie popolari irakene, degli Houthi yemeniti. Tutte forze che sono sotto continua e feroce pressione strangolatoria nel mentre che fra Usa e Iran “si tratta”.
“Si tratta” in perfetto stile imperialista, cioè con la pistola puntata alla tempia del governo di Teheran e dell’intero popolo iraniano. Un imponente dispositivo militare imperialista è infatti e intanto schierato, pronto a colpire qualora i negoziati fallissero secondo il criterio che lo sceriffo americano riterrà valido. Da parte del regime di Teheran che è fatto da uomini dalla tempra fortissima a cominciare dalla Guida Suprema Alì Khamenei, niente affatto disposti alla sottomissione, si accetta il terreno della trattativa pur sotto evidente scacco per cercare di evitare o procrastinare il più possibile uno scontro militare diretto con il tandem Usa/Israel, forse cercando di spezzarlo. Un tandem criminale che non ha nessunissimo scrupolo a usare il suo armamento nucleare se decide per la guerra, che in ogni caso sarebbe guerra devastante per l’Iran.
Papa Bergoglio un rivoluzionario o un conservatore mascherato? Né l’uno né l’altro: un papa può “salvare la Chiesa” spesso accettando compromessi più apparenti che sostanziali.
In questi giorni, ho letto molti articoli e ascoltato molte interviste di autori non solo italiani sulla figura di Papa Bergoglio e sono rimasta sorpresa per la quasi generalizzata accettazione della retorica enfatica con cui è stata affrontata la scomparsa di quest’ultimo papa, che certo si è distinto nello stile e nel gesto dai molti suoi predecessori. Lungi da me voler mostrare mancanza di rispetto verso il sentimento religioso, parte intima e nascosta degli esseri umani, legata alla nostra consustanziale precarietà, al senso della morte e del nulla, ma è bene ricordare che una cosa è questo sentimento, una cosa è l’uso che ne fanno le varie istituzioni storiche, che con atteggiamenti spesso divisivi e contraddittori lo hanno veicolato verso la sottomissione, la rassegnazione, alimentando sogni di speranze nebulose e astratte.
Nel caso della Chiesa cattolica, ricordo che si tratta di un’istituzione, che nonostante i suoi tentativi di modernizzarsi e di democratizzarsi (per es. il Concilio Vaticano II), possiede un cuore tutto medioevale; infatti, è retta da una monarchia sacra e assoluta, che si incarna nella figura di un pontefice reso infallibile, quando parla ex cathedra, da un apposito dogma (Pastor Aeternus), sostenuto dai Gesuiti, proclamato nel Concilio Vaticano I il 18 luglio 1870 sotto il Pontificato di Pio IX, che in precedenza aveva emanato il dogma dell’Immacolata Concezione. La Costituzione dogmatica su citata stabilisce che il pontefice, nella funzione di Pastore di tutti i cristiani, quando definisce una dottrina sulla fede e sui costumi, è infallibile e pertanto tutti i fedeli sono obbligati a conformarsi a quanto da lui affermato. Una minoranza di cardinali, convocati per il Concilio e provenienti dall’Europa centrale, non fu d’accordo con questa decisione e lasciò Roma per non votare.
Perché la cacciata di Waltz dalla Casa Bianca è una buona notizia per il mondo
di Davide Malacaria
La dismissione di Mike Waltz dalla carica di Consigliere nazionale è una buona notizia per il mondo. Il falco neocon è caduto vittima dello scandalo Signal, la riunione di vertice online nella quale fu impostato il piano di attacco contro gli Houti dello Yemen alla quale partecipò, da intruso, il direttore dell’Atlantic Jeffrey Goldberg.
Lo scandalo sembrava dovesse travolgere Pete Hegseth, il capo del Pentagono, sul quale si sono concentrate le critiche feroci del partito democratico, invece Trump ha salvato, almeno per ora, Hegseth e buttato alle ortiche Waltz, destinato a ricoprire la carica di ambasciatore Usa all’Onu rimasta vacante dopo il ritiro della nomina di Elise Stefanik (una pasionaria neocon anch’essa… evidentemente quello scranno è appannaggio dei falchi).
Waltz, vittima predestinata
Subito dopo lo scoppio dello scandalo, Trump aveva manifestato la sua disapprovazione verso Waltz, nonostante l’avesse difeso pubblicamente, ma ha aspettato a mandarlo ai giardinetti che arrivasse ai 100 giorni del suo mandato, scadenza che in America ha una certa valenza politica dal momento che si fa il primo bilancio della presidenza in corso così da prospettarne il futuro.
Le convergenze tra sinistra “radicale” e sinistra “liberale” a Roma
di Claudio Ursella
La novità dell’esplicitarsi di interessi diversi tra Stati Uniti ed Europa, che apre una crisi di fondo nel blocco del capitalismo occidentale, è un evento storico, ancor prima che politico, le cui conseguenze profonde potranno essere valutate dagli studiosi solo negli anni a venire.
Ma la politica si occupa del presente, anche quando il presente si mostra abbastanza misero, rispetto alla vastità degli orizzonti che i processi storici evocano. Ed è quindi opportuno ragionare sulle conseguenze che i grandi eventi storici hanno sulla politica, anche quand’essa è ridotta al teatrino che ogni giorno si rappresenta sui media, al fine di mistificare i reali processi che si producono e i concreti interessi che li alimentano.
Tale riflessione va ovviamente affrontata per comprendere la rappresentazione attualmente in scena, che in ogni singolo paese dell’Occidente, ci mostra la contrapposizione tra una destra razzista, liberticida, nazionalista, tendenzialmente protezionista, ma meno dichiaratamente guerrafondaia, che guarda a Trump come alleato e una “sinistra” liberale, che affermando i valori dell’inclusione, delle libertà civili, dell’integrazione sovranazionale europea e del libero mercato, è pronta ad affermare tali valori, con i bombardieri, i missili e i cannoni.
Ma forse è opportuno soffermarsi anche sulle conseguenze che tale rappresentazione ha nei singoli contesti, anche locali e soprattutto sulle scelte e i comportamenti che in quegli ambiti locali vengono assunti da chi vi opera, con particolare attenzione al nostro piccolo mondo, quello che possiamo genericamente definire “sinistra radicale”.
L’intelligence tedesca all’attacco dell’AfD. Il vero motivo?
di Emanuele Maggio
È allarmante constatare quante poche siano le voci che, da sinistra, hanno il coraggio intellettuale di difendere un partito di destra come AfD. Basterebbe una minima educazione costituzionale.
Ciò che sta accadendo ad AfD rientra in un più generale meccanismo standardizzato di mantenimento dello status quo, che tiene in ostaggio le democrazie occidentali. Ho descritto questo meccanismo in un mio intervento precedente (qui).
Sì, va bene, però quelli di AfD sono “nazisti” no? Le democrazie mica possono tollerare i nazisti.
Ah! Se solo i “tifosi” delle costituzioni democratiche si prendessero anche la briga di studiarle!
Brevemente, non funziona così. Le democrazie devono reprimere le intolleranze FATTUALI, non quelle “ideali”. Se si dovesse perseguitare qualsiasi “richiamo” (più o meno dissimulato) a periodi o personaggi “controversi” della storia, dovremmo chiudere l’80% dei partiti d’Europa, di destra e di sinistra.
Qualsiasi partito può essere legalmente vietato solo nel momento in cui ci sono prove evidenti di eversione (ritrovamento di armi, intercettazioni su progetti concreti di assalto militare ecc). Molti partiti sono stati chiusi per questi motivi, in Italia e in Europa, a destra e a sinistra.
Ma non si possono fare PREVENTIVI processi alle intenzioni. Chi gravita intorno a partiti comunisticheggianti non dovrebbe prendere alla leggera questo punto, perché gli si ritorcerà contro. Soprattutto se nella tecnocrazia europea ci sono forze molto influenti che equiparano nazismo e comunismo.
Al netto di tutto quello che di male si può dire di Stalin, soprattutto di come ha trattato la sua opposizione interna, quello che a Stalin l'Occidente non ha mai perdonato è quella bandiera rossa sul Reichstag del 2 Maggio del 1945, quando tutti pensavano che l'URSS sarebbe morta a Stalingrado, e soprattutto non gli hanno mai perdonato di aver dato un contributo decisivo alla decolonizzazione del mondo dominato dell'imperialismo franco-britannico in Africa, in Asia, con il sostegno alle rivoluzioni anticoloniali in Cina, India, Africa, Vietnam, Corea e al socialismo laico arabo in Medioriente.
Per esempio i britannici non sono mai stati avversari ideologici del nazismo e del fascismo italiano che hanno in realtà sostenuto nella loro affermazione (consultate a proposito le ricerche di Giovanni Fasanella e non solo). È infatti storica la simpatia della Casa Reale britannica dell'epoca per Hitler (la Casa Hannover era di origine tedesca), e che sognava forse una dominazione anglo- tedesca sull'Europa in chiave antisovietica.In questo modo andrebbe interpretato il Patto di Monaco tra Inghilterra Francia, Italia e Germania che regalò la Cecoslovacchia ad Hitler, dopo aver respinto la proposta di una grande alleanza antinazista avanzata da Stalin per difendere la Cecoslovacchia. Così fu fino al Patto Ribbentrop-Molotov e all'invasione nazista della Francia e dell'Europa, che spiazzò la Gran Bretagna temendo una alleanza tra Germania e URSS che l'avrebbe esclusa da ogni influenza geopolitica in Europa.
Il matrimonio di interessi tra Stati Uniti e Cina è saltato
Dalla Chimerica alla competizione globale: si rompe l’asse economico che ha segnato un’epoca.
di Giacomo Gabellini
L’idillio è finito. Per decenni Washington e Pechino avevano condiviso un rapporto di interdipendenza economica senza precedenti, fondato sulla delocalizzazione produttiva e sul finanziamento del debito americano. Ma l’era del matrimonio di interessi volge al termine. Le recenti dichiarazioni di J.D. Vance, le tensioni commerciali e l’ascesa tecnologico-industriale della Cina raccontano la fine di un equilibrio che ha dominato la globalizzazione post Guerra fredda. Ecco la prima puntata di una serie di approfondimenti di Krisis dedicati all’ascesa e al declino della Chimerica.
Parte I – Ascesa e declino di Chimerica
«Prendiamo in prestito denaro dai contadini cinesi per comprare i beni che quegli stessi contadini cinesi producono». Con questa sintesi, il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance ha spiegato le conseguenze, per gli Stati Uniti, della cosiddetta economia globalista. Lo scorso 10 aprile, nel corso di un’intervista rilasciata a Fox News, Vance ha difeso strenuamente la decisione del presidente Donald Trump di imporre dazi (quasi) a 360 gradi, e sferrato un attacco frontale all’assetto liberoscambista in vigore ormai da diversi decenni. Vance ha spiegato che la globalizzazione si è tradotta nel «contrarre un debito enorme per acquistare beni che altri Paesi producono per noi».
La reazione cinese è giunta pressoché istantaneamente. Il portavoce del Ministero degli Esteri Lin Jian ha dichiarato che «è allo stesso tempo sconcertante e deplorevole sentire questo vicepresidente fare commenti così ignoranti e irrispettosi». Hu Xijin, ex caporedattore del quotidiano Global Times, ha invece alluso alle origini che Vance, un hillbilly (contadino montanaro, ndr) ha sempre rivendicato per affermare che «questo vero “contadino” venuto dall’America rurale sembra mancare di prospettiva. Molte persone lo stanno esortando a venire a visitare la Cina di persona».
Trump, la svolta protezionista del capitale statunitense e la leggenda dell’Italia “colonia”
di Domenico Cortese
Donald Trump la sera del 2 aprile ha annunciato una serie di nuovi dazi, di diverso tipo, da applicare sulle merci estere: essi, secondo il Presidente americano, sono «più o meno della metà» rispetto a quelli «che gli altri Paesi applicano agli Stati Uniti». Per i prodotti importati dall’UE si arriva al 20%, dalla Cina al 34%. I dazi più alti al Vietnam (46%), mentre tra gli altri Paesi più colpiti Thailandia (36%), Taiwan (32%), Indonesia (32%), Svizzera (31%) e India (26%). I dazi si aggiungerebbero a quelli già previsti per specifiche merci e prodotti come automobili, acciaio e alluminio. Trump ha paragonato l’ordine esecutivo con cui sono stati istituiti i nuovi dazi a una «vera e propria dichiarazione d’indipendenza» che porterà a un «ritorno all’età dell’oro». Qualche giorno dopo, come conseguenza della richiesta della maggior parte dei Paesi colpiti dalle misure, Trump ha sospeso per 90 giorni i dazi definiti “reciproci” – ma non nei confronti della Repubblica Popolare Cinese – in attesa di affrontare dei negoziati che dovrebbero, secondo il parere della Casa Bianca, trovare una soluzione all’abissale deficit commerciale degli Stati Uniti. Parlando con i giornalisti a bordo dell’Air Force One, prima di atterrare a Roma per il funerale di papa Bergoglio, il presidente degli Stati Uniti ha spiegato che probabilmente la sospensione dei dazi non vedrà una ulteriore proroga.
Il presidente americano ha di recente tuonato, in particolare, proprio contro l’Europa che, come dice il nuovo inquilino della Casa Bianca, «riscuote un dazio del 10% sulle importazioni di veicoli, quattro volte superiore al dazio del 2,5% applicato dagli Stati Uniti alle autovetture»; in generale «se si guarda ai singoli Paesi e si osserva quanto ci fanno pagare, in quasi tutti i casi ci fanno pagare molto di più di quanto noi facciamo pagare loro – ha detto – e quei giorni sono finiti».
Siamo all’inizio, sembrerebbe, di una fase del capitalismo imperialista globale che vedrebbe una forte accelerazione della restrizione alla libertà di circolazione di merci e capitali – sulla scia di quanto già accaduto con la pandemia, fenomeno che ha messo in crisi le catene del valore lunghe per via dell’impossibilità degli spostamenti e che ha visto sintomi evidenti di tale cambiamento come la crisi dei container tra Cina e USA, la crisi di Suez con la nave bloccata nel canale, la crisi di fornitura di molti materiali critici come i chip e, quindi, avvio dei progetti di reshoring[1].
Xi e Huawei asfaltano pacificamente Trump. Lui reagisce riempiendo di missili il Pacifico
di OttolinaTV
E meno male che Trump doveva riportare un po’ di sano realismo alla Casa Bianca: prima ha dichiarato una guerra commerciale al resto del mondo che, però, ha scatenato una delle più massicce fughe di capitali dagli USA di sempre e l’ha costretto a una rovinosa ritirata, poi ha rilanciato la guerra tecnologica contro la Cina, vietando l’esportazione anche di chip di vecchia generazione, per ritrovarsi, però, il giorno dopo con Huawei che annunciava l’uscita di nuove macchine e processori pensati ad hoc per l’intelligenza artificiale che hanno lasciato gli analisti a bocca aperta; e ora, per concludere, sembra si sia messo l’anima in pace e sia tornato ai cari vecchi metodi da cowboy. L’hanno ribattezzato il super bowl delle esercitazioni del Pacifico: si chiama balikatan, spalla a spalla, ed è un’esercitazione marina congiunta tra forze armate statunitensi e filippine che va regolarmente in scena da quasi 40 anni, ma che a questo giro, stando ad Asia Times, “è la più grande mai condotta”. “Più che un super bowl, è un super troll” rispondono i cinesi dalle pagine del Global Times: “un’esercitazione che trabocca di provocazioni nei confronti della Cina”.
Durante l’esercitazione, in corso da lunedì scorso e che prevede la partecipazione di circa 15 mila effettivi tra statunitensi e filippini, verrà infatti dispiegato, per la prima volta in assoluto nell’area, il sistema missilistico NMESIS, dotato di missili d’attacco navali in grado di interdire il passaggio di imbarcazioni cinesi nello stretto di Luzon, il tratto di mare che separa le isole settentrionali delle Filippine da Taiwan; ma, soprattutto, verrà schierato un secondo Typhon, il lanciatore di missili a lungo raggio Tomahawk e SM-6 che, con una gittata massima di poco inferiore ai 2 mila chilometri, permetterebbero all’impero di raggiungere sostanzialmente tutte le principali aree metropolitane del dragone. Il primo sistema era stato dispiegato nelle Filippine l’anno scorso, sempre durante un’esercitazione, e sarebbe dovuto essere rimosso; oggi, si raddoppia!
Mar-a-Lago Accord. Il manifesto della pax trumpiana?
di Marco Lossani
Marco Lossani discute le tesi di S. Miran (che è a capo del Council of Economic Advisers), il quale, in un documento che solleva non pochi dubbi, auspica una profonda ristrutturazione del sistema commerciale e finanziario globale. Nel frattempo, la sequenza di annunci del Presidente Trump, che hanno accompagnato il ritorno alla guerra dei dazi, ha generato un livello di incertezza senza precedenti, provocando una perdita di fiducia nei confronti del dollaro. Un risultato a dir poco paradossale.
* * * *
Tariff-Man ha colpito ancora. Come annunciato durante l’ultima campagna elettorale, Trump ha avviato una nuova guerra dei dazi. O meglio, ha ripreso una guerra commerciale fatta di una serie di annunci, in parte successivamente annullati o sospesi (tranne che nei confronti della Cina). Il risultato è una sorta di dejà vu’ di quanto già sperimentato nel corso del suo primo mandato presidenziale. Una serie di comportamenti ondivaghi che hanno generato un’enorme incertezza. Con una differenza sostanziale. Nel 2018 l’obiettivo concreto della guerra commerciale era la Cina e la sua politica di indebita appropriazione di tecnologia USA. Oggi è invece difficile capire quale sia il vero obiettivo, sia economico che politico. Nell’opinione di molti analisti, l’ispiratore di Trump non sarebbe Peter Navarro (il tristemente famoso Trade Czar) ma piuttosto Stephen Miran (a capo del Council of Economic Advisers), autore di un paper in cui viene auspicata una profonda ristrutturazione del sistema commerciale e finanziario globale. Tuttavia, la lettura del documento lascia più dubbi che certezze.
Mar-a-Lago Accord. I punti salienti. La proposta di muove da un punto fondamentale. Il ruolo di moneta di riserva svolto dal dollaro USA ne ha provocato una persistente, sostanziale sopravvalutazione.
Un passo del libro di Sergio Bettini su L’arte alla fine del mondo antico descrive un mondo che è difficile non riconoscere come simile a quello che stiamo vivendo. «Le funzioni politiche sono assunte da una burocrazia di stato; questo si accentua e si isola (precorrendo le corti bizantine e medievali), mentre le masse si fanno astensioniste (germe dell’anonimato popolare del Medioevo); tuttavia entro lo stato si formano nuovi nuclei sociali intorno alle diverse forme di attività (germe delle corporazioni medievali) e i latifondi, divenuti autarchici, preludono all’organizzazione di taluni grandi monasteri e dello stesso stato feudale».
Se la concentrazione delle funzioni politiche nelle mani di una burocrazia statale, l’isolamento di questa dalla base popolare e l’astensionismo crescente delle masse si attagliano perfettamente alla nostra situazione storica, è sufficiente aggiornare i termini delle righe successive per riconoscere anche qui qualcosa di familiare. Ai grandi latifondi evocati da Bettini corrispondono oggi gruppi economici e sociali che agiscono in modo sempre più autarchico, perseguendo una logica del tutto svincolata dagli interessi della collettività e ai nuclei sociali che si formano dentro lo stato corrispondono non solo le lobbies che operano all’interno delle burocrazie statali, ma anche l’incorporazione nelle funzioni governamentali di intere categorie professionali, come in anni recenti è avvenuto per i medici.
Un femminismo che non può nominare Gaza non è femminismo
di Nadine Quomsieh*
L’intero concetto di femminismo va ripensato alla luce delle lotte (post) coloniali, e soprattutto di eventi come il genocidio a Gaza, altrimenti siamo solo delle borghesucce che si limitano a pretendere i diritti civili, un’immagine del femminismo che mi ha sempre fatto orrore e di fatto è diventata dominante perché fa comodo al capitale globale, un femminismo da donnette del Pd o da gentaglia come Rosi Braidotti.
Sono seria, credo che la questione sia cruciale. Io non ho niente a che vedere con personaggi come Concita de Gregorio o simili, eppure questa roba qui è quello che sta passando per femminismo, e noi lo permettiamo, già da tempo [Raffaella Battaglini].
* * * *
Il femminismo celebra da tempo le vittorie dei “primati”: la prima donna a guidare, ad atterrare su un veicolo spaziale, ad abbattere le barriere costruite da patriarcato. Non sono imprese da poco. Ma cosa succede quando il femminismo diventa fluente nell’ambizione e silenzioso nell’agonia? Cosa succede quando non riesce a trovare il linguaggio per parlare di donne che partoriscono sul pavimento, che si struggono per le fosse comuni, che bolliscono l’erba per nutrire i propri figli, semplicemente perché sono palestinesi?
"Cattivo accordo"? Quello che l'occidente non ha ancora compreso sulle priorità russe
di Francesco Dall'Aglio
In linea di principio, chi da occidente commenta la questione dei negoziati si concentra principalmente sul dato territoriale. L’idea è che sostanzialmente questa sia, per la Russia, una guerra mirata alla conquista del territorio ucraino, e propedeutica (in caso non venga fermata) alla conquista di terra nel Baltico o in Europa centrale, o magari anche più in là. Qualsiasi altra questione passa in secondo piano o viene derubricata a scusa o propaganda, mentre solo il dato territoriale conta. E così buona parte del rumore attorno ai negoziati è dedicato alla questione del territorio: quanto territorio ha preso la Russia, quanto avrebbe voluto prendere, quanto si prevede che voglia o possa prenderne ancora, quanto l’Ucraina debba acconsentire a cedere, quanto vergognoso o tristemente realistico sia convincerla, o forzarla, a farlo. E in questa prospettiva, naturalmente, ogni accordo è un cattivo accordo”, "an ugly deal”, come titola oggi Politico (link 1).
Ora, intendiamoci: il dato territoriale è oggettivamente importante per la Russia, per motivi storici, ideologici, etnici e anche biecamente materiali (le regioni che occupa sono tra le più ricche dell’Ucraina, la centrale nucleare di Energodar è la più grande d’Europa, la Crimea è quella che un tempo, e portando parecchio male, si chiamava ?una portaerei naturale” con la quale si controlla una vasta porzione del Mar Nero, eccetera).
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008
Salvatore Minolfi: Le origini della guerra russo-ucraina